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La globalizzazione
La globalizzazione è il tratto più significativo del
tempo presente. Non riguarda soltanto la sfera
economica o politico-istituzionale, ma investe
anche gli aspetti sociali e culturali delle società. In
quanto cifra del presente, si riferisce a una realtà
necessariamente ancora incerta perché in via di
svolgimento e nella quale sono visibili tendenze
contrapposte, ad esempio internazionalizzazione e
localismo.
Le trasformazioni alla fine del Novecento
A partire dagli anni Settanta del Novecento, nei
paesi più sviluppati si verificano una serie di
trasformazioni economiche, sociali e culturali, i cui
pilastri sono la tecnologia, i flussi finanziari
mondiali
e
l’organizzazione
del lavoro
postfordista e i cui caratteri distintivi sono la
crescente integrazione e l’interdipendenza su scala planetaria.
Molte di queste trasformazioni sono connesse alla rivoluzione informatica che rende
possibile trasmettere informazioni e dati in tempo reale, spostare ingenti capitali sulle
piazze finanziarie del mondo, automatizzare interi cicli produttivi, integrare fasi
diverse di lavorazione separate spazialmente, controllare a distanza intere fasi del
ciclo produttivo, insomma finanziarizzare, internazionalizzare, delocalizzare.
Strumento principe delle tecnologie è il computer, bene d’investimento e di
consumo che riduce spazi e tempi e rapidamente entra in tutti i luoghi dove si lavora,
si offrono servizi, si fa ricerca, oltre che nelle case e nella vita di tutti i giorni.
Verso il villaggio globale
Negli anni Ottanta, queste tendenze di unificazione del globo appaiono in tutta la loro
evidenza; nel dicembre del 1982 la rivista “Time” sceglie il personal computer come
personaggio dell’anno. Negli anni Novanta, dopo il
dissolvimento dell’URSS e quindi l’enorme allargamento
dell’area di libero scambio, esse vengono ormai
diffusamente percepite come centrali nella realtà
del presente se non irreversibili. Per riassumerle
sinteticamente,
si
diffonde
allora
il
termine
‘globalizzazione’, che tiene insieme le connessioni dei
flussi dell’economia a livello mondiale e le esperienze
individuali, quotidiane e concrete di perdita dei confini
nell’ambito delle comunicazioni e del consumo, in un
mercato che opera a livello globale. Da allora è questa
la parola più utilizzata per esprimere la cifra del
presente e definire l’epoca in cui viviamo, il ‘villaggio
globale’, questo nostro mondo sempre “più piccolo”
perché sempre più interconnesso.
Le scienze della comunicazione, della politica,
dell’economia e della sociologia hanno posto per prime
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tale concetto al centro delle loro analisi allo scopo di comprendere innanzitutto il
presente. Le molteplici definizioni elaborate hanno per lo più avuto a che
vedere con la dimensione dello spazio e attribuito un rilievo decisamente
secondario alla dimensione del tempo così che i fenomeni sviluppatisi nel breve
arco degli ultimi decenni sono stati interpretati come inediti e senza precedenti.
Scrive ad esempio Ulrich Beck: “Per globalizzazione si intende l’evidente perdita di
confini dell’agire quotidiano nelle diverse dimensioni dell’economia, dell’informazione,
dell’ecologia, della tecnica, dei conflitti transculturali e della società civile, cioè, in
fondo, qualcosa di familiare e allo stesso tempo inconcepibile, difficile da afferrare, ma
che trasforma radicalmente la vita quotidiana, con una forza ben percepibile,
costringendo tutti ad adeguarsi, a trovare risposte. Il denaro, le tecnologie, le merci,
le informazioni, l’inquinamento oltrepassano i confini, come se questi non esistessero.
Perfino cose, persone e questioni che i governi terrebbero volentieri fuori dal proprio
paese (droghe, immigranti illegali, critiche alla violazione dei diritti umani) trovano un
varco. Così intesa, la globalizzazione si traduce – secondo una definizione ispirata da
Anthony Giddens – “[nel] (con)vivere e agire al di sopra delle distanze (mondi
apparentemente separati degli Stati nazionali, religioni, regioni, continenti).” (U. Beck,
Che cos’è la globalizzazione, Carocci, 1999, p. 39).
Apologeti e oppositori della globalizzazione
Nella maggior parte delle definizioni della globalizzazione rivestono un ruolo centrale
l’estensione, l’intensificazione e l’accelerazione delle relazioni su scala mondiale.
Oggetto di controversia sono, invece, le valutazioni sul significato della
globalizzazione.
I poli di una vasta gamma di posizioni sono rappresentati da un lato dagli apologeti
della globalizzazione (che esaltano le nuove possibilità di socializzazione, di
condivisione, d’informazione e/o celebrano l’inizio di una nuova epoca di crescita),
dall’altro dai suoi oppositori (che paventano l’accentuarsi della solitudine e/o temono
l’affermarsi del dominio del grande capitale a scapito della democrazia, dei diritti dei
lavoratori, dei paesi poveri, dell’ecosistema globale). Su alcune questioni al centro del
dibattito l’accordo è unanime, anche se poi la valutazione dei possibili effetti è assai
diversa.
Elementi di accordo unanime
Condiviso è in primo luogo il fatto che la globalizzazione implichi una perdita di
autorità dello Stato nazionale, la cui sovranità assoluta sul proprio territorio è
ormai condizionata:
- dalla dimensione transnazionale dei processi economici e finanziari
(innanzitutto dalle grandi imprese transnazionali)
- dalla crescente presenza di istituzioni e organismi assai diversi, da esso più o
meno indipendenti e con logiche proprie, quali Unione Europea, ONU, FMI, le varie
ONG, Banca Mondiale, Wto... Si tratta di un guadagno in termini di libertà
personale e di democrazia o di un ulteriore vantaggio dei più forti, cioè di un
deficit di democrazia?
È anche un pensiero condiviso che la globalizzazione, attraverso il movimento delle
merci, dei capitali, delle tecnologie, influenzi tutto ciò che è ‘cultura’ e che –
dato che la globalizzazione non accosta le varie parti del mondo su un piano di parità
– questa tenda a occidentalizzare e americanizzare il mondo. Si tratta di spinte
modernizzatrici che investono le società o di una minaccia d’impoverimento
culturale e sociale per le identità tradizionali? Tale tendenza all’omogeneizzazione
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peraltro coesiste con la tendenza opposta, ovvero con la difesa di specificità e
identità locali (glocalizzazione), spesso stimolate da movimenti o gruppi o soggetti
che, per i più diversi motivi, si oppongono alla globalizzazione.
Infine, condiviso è anche il fatto che la globalizzazione conferisca nuovo senso ai
concetti di spazio e di tempo. La facilità e la frequenza con cui le persone, le merci
e soprattutto le informazioni e i dati si muovono ‘comprimono’, infatti, lo spazio e il
tempo e creano rapporti sociali, reti e sistemi di portata mondiale che, slegati dal
territorio, comunicano ‘in tempo reale’, aprendo ancora una volta a rischi e
possibilità nuove e tutte da esplorare.
Il punto di vista degli storici
Da tempo gli storici (dell’economia) hanno
descritto il processo di formazione e
successiva integrazione dell’economia
mondiale (ad esempio l’“economiamondo” di Fernand Braudel e di
Immanuel
Wallerstein),
ma
la
globalizzazione interessa numerosi
altri processi che si intrecciano e
sovrappongono. Da tempo gli storici hanno
anche individuato trasformazioni di
lunga durata (ad esempio, negli ultimi
due
secoli,
industrializzazione,
urbanizzazione,
democratizzazione,
razionalizzazione...),
verificatesi
in
forme e modalità differenti negli
ambiti nazionali o regionali di tutti i continenti. Tuttavia, nessuna delle -izzazioni
si riferisce a ciò che è inter-continentale, inter-nazionale, inter-culturale, a
quelle interconnessioni (a distanza e su scala mondiale) che oggi esperiamo in molti
aspetti della nostra esistenza.
Da qui le difficoltà degli studi storici, il cui sguardo è per definizione retrospettivo: la
globalizzazione contemporanea, come risultato dell’operare congiunto e del rafforzarsi
reciproco di processi di lunga durata, obbliga infatti a un punto di vista globale, a
fare i conti con dimensioni spaziali macroregionali, se non mondiali; a porre
domande nuove al passato a partire da fattori oggi centrali come l’interdipendenza
delle diverse parti del globo; a riformulare la gerarchia delle rilevanze dei
fenomeni storici per affrontare i grandi problemi del presente quali l’ambiente, le
nuove guerre, le differenze di genere.
Alcuni risultati sono ormai consolidati. Il processo di globalizzazione nelle sue
varie dimensioni non si è sviluppato in modo lineare nella storia, ma ha subito
fasi di accelerazione e di rallentamento. Numerosi studi sui movimenti di uomini,
merci e capitali ne hanno individuato l’avvio moderno, almeno dal punto di vista
economico, intorno al 1500 circa, quando si costruiscono gli imperi coloniali
portoghese e spagnolo e, attraverso esplorazioni geografiche e regolari rapporti
commerciali, si sviluppano contatti stabili e diretti fra l’Europa, l’Africa, l’Asia e
l’America. Dalla fine del XVIII e fino ai primi del XX secolo poi, le enormi capacità di
produzione, di trasporto e di comunicazione messe in moto dalle rivoluzioni
industriali, l’espansione coloniale, le migrazioni transoceaniche sostengono un
robusto sviluppo dei processi di globalizzazione. Seguono una fase di deglobalizzazione economica e nello stesso tempo di crisi, fra la Prima e la Seconda
guerra mondiale e, dopo il 1945, una nuova fase espansiva, alimentata dalla
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decolonizzazione, dall’espandersi delle multinazionali, dalla società dei consumi.
Infine, dagli anni Settanta del Novecento una travolgente accelerazione dei
processi di trasformazione (deindustrializzazione e terziarizzazione dell’Occidente,
industrializzazione dell’Asia e in parte dell’America Latina, interdipendenza, crollo dei
comunismi, rivoluzione informatica...) porta alla recente, e per molti ‘vera e propria’,
globalizzazione.
Viviamo in un’epoca nuova?
La profondità della svolta allora iniziata e tuttora in corso è oggetto di ricerca e
di discussione. Se si tratti di un’epoca nuova, diversa da tutte quelle precedenti per le
novità qualitative e quantitative dell’attuale globalismo, è troppo presto per dirlo.
Certo è che i due pilastri della società nata dalle rivoluzioni politiche ed economiche
di fine Settecento (lo Stato nazionale e il lavoro salariato di fabbrica) sono stati
messi in discussione e che la sensazione diffusa di vivere in un’epoca altra dalle
precedenti, nell’epoca, appunto, della globalizzazione, ha validi fondamenti.
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