Nell’Aprile 1950 A. Einstein scrive un articolo per «Scientific American» sintetizzando il tentativo di conciliare la relatività e la meccanica quantistica. L’articolo di Einstein non apportava nessun nuovo importante contributo.

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Transcript Nell’Aprile 1950 A. Einstein scrive un articolo per «Scientific American» sintetizzando il tentativo di conciliare la relatività e la meccanica quantistica. L’articolo di Einstein non apportava nessun nuovo importante contributo.

Nell’Aprile 1950
A. Einstein scrive
un articolo
per «Scientific American»
sintetizzando
il tentativo di conciliare
la relatività
e
la meccanica quantistica.
L’articolo di Einstein non apportava nessun nuovo
importante contributo per la fisica del Novecento.
È però la dimostrazione che il cammino della scienza
è arduo e tortuoso, anche per i massimi ingegni.
Che cosa ci spinge a elaborare teoria dopo teoria?
Perché, addirittura, formuliamo teorie?
Le nuove teorie sono necessarie quando si affrontano
fatti nuovi, non spiegabili con teorie già esistenti;
si vuole giungere all’unificazione e alla semplificazione
delle premesse della teoria nel suo insieme.
Cosa significa?
Ernst Mach lo afferma nel principio di economia,
per cui la scienza si sviluppa secondo linee che
portano le varie discipline a raggrupparsi attorno a
principi (legami funzionali) sempre più semplici e
sempre più vasti nella loro applicabilità
Esiste una passione per la
comprensione proprio come esiste
una passione per la musica e, senza
di essa, non ci sarebbero né la
matematica né altre scienze.
Più volte la passione per la comprensione ha
condotto all’illusione che l’uomo sia in grado di
comprendere razionalmente il mondo oggettivo,
attraverso la metafisica (cioè con il pensiero puro,
senza nessuna fondazione empirica).
Il metafisico addomesticato crede che il logicamente
semplice sia anche reale.
Ma l’idea teorica non nasce indipendentemente
dall’esperienza sensoriale
Né può derivare per puro procedimento logico….
È il prodotto di un atto creativo!
Ricordiamoci che
dal punto di vista della fisica
non vi è niente che garantisca
che una teoria logicamente semplice
debba essere anche vera!
I vantaggi di una teoria vicina all’esperienza
Una teoria ha un vantaggio considerevole se i suoi concetti base e le
sue ipotesi fondamentali sono vicini all’esperienza.
È
certamente giustificata con maggiore fiducia;
 Si corre meno il pericolo di andare fuori strada
soprattutto perché ci vuole meno sforzo e tempo per
invalidare le teorie.
Eppure, più la nostra conoscenza aumenta,
più dobbiamo rinunciare a questi vantaggi.
Già con la teoria della gravitazione si rinunciò alla vicinanza all’esperienza
.
La nascita dell’atomismo ne è un esempio efficace.
Come può aver concepito Leucippo questa audace idea?
Quando l’acqua gela e diventa ghiaccio (qualcosa all’apparenza
interamente diverso dall’acqua) , perché la fusione del ghiaccio dà
origine a qualcosa che non sembra distinguersi dall’acqua originaria?
Leucippo è perplesso e cerca una spiegazione.
Può darsi che la cosa consista di particelle immutabili e
che il cambiamento sia solo un cambiamento nella loro
disposizione spaziale.
Nella fisica newtoniana il concetto teorico
elementare su cui si basa la descrizione teorica
dei corpi materiali è il punto materiale (o particella).
Quindi la materia è considerata discontinua e questo
rende necessario considerare l’azione reciproca dei due
punti materiale come «azione a distanza».
Poiché quest’ultimo concetto sembra del tutto
contrario all’esperienza di ogni giorni, i contemporanei
di Newton trovavano difficile accettarlo.
Ma nella seconda metà del XIX secolo divennero note le
leggi dell’elettrodinamica che non potevano essere
incorporate in maniera soddisfacente del sistema newtoniano.
Infatti Faraday riuscì a scoprire la legge dell’induzione
elettromagnetica perché sgombro dal modo tradizionale di
pensare e introdusse il «campo» per aiutarsi a coordinare i
fatti sperimentali.
Fu però Maxwell a comprendere pienamente
il concetto di campo.
Il «campo», un elemento indipendente della
realtà, gli consentì di scoprire le leggi
fondamentali dell’elettrodinamica che
trovano la loro espressione naturale nelle
equazioni differenziali per i campi elettrico e
magnetico.
Queste equazioni implicavano
l’esistenza di onde le cui proprietà
corrispondevano a quelle della luce.
La teoria di Maxwell, se descrive in modo soddisfacente
il comportamento delle particelle elettricamente cariche
nelle loro interazioni reciproche, non spiega il
comportamento delle densità elettriche, cioè
non fornisce una teoria delle particelle stesse che
vengono trattate come masse puntiformi,
discontinue nello spazio.
Ma una teoria dei campi richiede continuità in tutti gli
elementi, non soltanto nel tempo ma anche nello spazio
e in tutti i punti dello spazio.
Dunque la teoria di Maxwell non può essere
considerata una teoria completa.
Le sue equazioni per lo spazio vuoto rimangono
invariate se le coordinate spazio e tempo sono soggette
a un particolare tipo di trasformazioni lineari, le
trasformazioni di Lorentz.
Ma il gruppo di Lorentz potrebbe essere definito come
un gruppo di trasformazioni lineari che lasciano
invariate un particolare valore della velocità:
la velocità della luce.
Queste trasformazioni valgono per la transizione da un
sistema inerziale a un altro che è in moto uniforme
relativamente al primo.
Ciò distrugge il carattere assoluto di simultaneità di eventi
distanti l’uno dall’altro nello spazio.
Quindi tutte le equazioni della fisica sono covarianti rispetto
alle trasformazioni di Lorentz.
Si suppone che le leggi di entrambe le teorie considerate
siano valide soltanto rispetto a certi sistemi di
coordinate, quelli noti come sistemi inerziali.
La relatività speciale (o ristretta)
ha questo in comune
con la meccanica newtoniana.
Un sistema inerziale è un sistema in uno stato di moto
tale che i punti materiali «liberi da forza» dentro di
esso non sono accelerati rispetto al sistema di
coordinate.
Questa definizione però è vuota se non vi è un mezzo
indipendente per riconoscere l’assenza di forze.
Ma un tale mezzo non può esistere se la gravitazione è
considerata come un «campo».
Sia A un sistema uniformemente accelerato
rispetto ad un sistema inerziale I.
I punti materiali, non accelerati rispetto a I, sono
accelerati rispetto ad A,
con accelerazione uguale per tutti i punti.
I punti si comportano come se esistesse un campo
gravitazionale rispetto ad A
(infatti una caratteristica del campo è che
l’accelerazione sia indipendente dalla natura
del corpo – principio di equivalenza).
Questa interpretazione implica che A
sia un sistema inerziale.
Per spiegare l’identità tra massa inerte e massa
gravitazionale nell’ambito della teoria è necessario
ammettere trasformazioni non linerari delle quattro
coordinate.
È questa l’essenza del principio di equivalenza.
Il gruppo di Lorentz deve dunque essere ampliato…
ma con quale altro gruppo di trasformazioni?
Il sostituto appropriato, affermeranno
Gauss e Riemann,
è il gruppo di tutte le trasformazioni
continue (analitiche) delle coordinate.
Esse esprimono soltanto
l’ordine topologico
dei punti nello spazio e questi hanno quasi le stesse
coordinate.
Newton, Leibniz e Mach intuirono che l’inerzia
si oppone all’accelerazione.
Ma accelerazione relativa a che cosa?
La meccanica classica risponde che l’inerzia
si oppone all’accelerazione relativa allo spazio.
Infatti lo spazio agisce sugli oggetti, gli oggetti non
agiscono sullo spazio.
Si tratta del significato più profondo dell’affermazione
newtoniana spatium est absolutum.
Leibniz non attribuiva però un’esistenza indipendente allo
spazio ma lo considerava una proprietà delle «cose».
Secondo la relatività generale il concetto di spazio
separato da ogni contenuto fisico non esiste. La realtà
fisica dello spazio è rappresentata da un campo le cui
componenti sono funzioni continue di quattro variabili
indipendenti: le coordinate dello spazio e del tempo.
La realtà fisica dello spazio è rappresentata per
mezzo di un campo continuo e quindi il concetto
di punto può materiale non può avere parte
fondamentale.
Serve un campo continuo.
Dal punto di vista matematico il campo è
caratterizzato essenzialmente dal modo in cui le
sue componenti si trasformano se è applicata una
trasformazione di coordinate;
le sue equazioni devono determinare il campo in
misura sufficiente soddisfacendo sempre ai
postulati della relatività generale.
In base alla teoria della gravitazione,
la luce ha una velocità di propagazione costante.
Se un raggio di luce nel vuoto parte da un punto,
designato dalle coordinate x1, x2 e x3 in un sistema
di coordinate a tre dimensione , al tempo x4,
esso viaggia come un onda sferica.
Il raggio raggiunge quindi un punto vicino
(x1 + dx1, x2 + dx2, x3 + dx3) al tempo (x4 + dx4).
Introducendo la velocità della luce c, otteniamo l’espressione
dx²1 +dx²2 + dx²3 = cdx²4
Questa espressione rappresenta una relazione
oggettiva tra punti spazio-temporali vicini di quattro
dimensioni e vale per tutti i sistemi inerziali.
Tuttavia la relazione perde la sua forma se vengono
ammesse trasformazioni continue arbitrarie delle
coordinate, in accordo con il principio della relatività
generale.
(ammettendo trasformazioni continue arbitrarie delle coordinate)
In base al principio di equivalenza, queste funzioni gik descrivono un
particolare campo gravitazionale:
un campo che può essere ottenuto per trasformazione dello spazio
«libero da campo».
Le gik sono componenti di una tensore che gode di una
proprietà di simmetria che si conserva in tutte le
trasformazioni:
gik = gki
Tale tensore simmetrico descrive un
«campo gravitazionale puro».
La legge delle equazioni differenziali è determinata
matematicamente dal principio di relatività generale.
Il sistema di equazioni può essere scritto nella
forma:
Rik = 0
Le Rik si trasformano nello stesso modo delle gik,
cioè anch’esse formano un tensore simmetrico.
Queste equazioni differenziali sostituiscono
completamente la teoria newtoniana del moto
dei corpi celesti, purchè le masse siano
rappresentate come singolarità del campo.
In altre parole, esse contengono
la legge della forza
così come
la legge del moto,
mentre eliminano i sistemi inerziali.
L’obiettivo di Einstein è una teoria completamente
relativistica dei campi.
Per esserlo, essa deve basarsi su un campo di natura
assai complessa, cioè una generalizzazione del
campo tensoriale simmetrico.
Il principio di relatività implica che 4 componenti
del campo non siano 10, ma 10 - 4 = 6
Le equazioni della gravitazione sono 10 equazioni
differenziali per le 10 componenti del tensore
simmetrico gik.
Ma, seguendo il principio appena esposto,
solo 6 delle 10 equazioni debbono essere
indipendenti l’una dall’altra.
Le altre 4 debbono essere connesse a queste 6
per mezzo di 4 relazioni dette identità.
E esistono 4 identità, dette Identità di Bianchi, che
assicurano la loro «compatibilità».
La teoria che stiamo cercando deve essere una teoria
relativistica del campo totale,
una generalizzazione del campo gravitazionale.
Ma prima si pongono delle domande:
qual è la generalizzazione naturale del campo
tensoriale simmetrico?
Si può rispondere solo con un’altra domanda:
 Quale generalizzazione del campo fornirà il
sistema teorico più naturale?
Il campo tensoriale simmetrico deve essere
sostituito da un campo non simmetrico.
Quindi deve cadere la condizione gik = gki
per le componenti del campo.
In questo caso il campo ha 16 componenti
indipendenti e non più 10.

Bisogna ora formulare le equazioni differenziali
relativistiche per un campo tensoriale non
simmetrico, ricordandoci che esse devono essere
compatibili!
Questo risultato può essere raggiunto
in due modi differenti.
Le equazioni sono compatibili se derivate da un principio di
variazione. Questo principio «genera» due sistemi di
equazioni differenti che chiamiamo E1 ed E2 che
presentano alcuni difetti formali.
Vi è però un terzo sistema di equazioni, E3, che
rappresenta una combinazione dei due precedenti
e che sembra essere il sistema che cercavamo.
Lo scettico dirà:
«Può ben essere vero che
questo sistema di equazioni
sia ragionevole
da un punto di vista logico.
Ma questo non prova
che esso corrisponda alla natura.»
E lo scettico ha ragione…
Solo l’esperienza può decidere della verità
Sintesi dell’articolo di A.E
(Scientific American, Aprile 1950)
a cura di Francesca Frau
4^D anno 2012-13
Liceo Scientifico G.Marconi
San Gavino Monreale