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Campylobacter jejuni
L’habitat di Campylobacter è rappresentato
dall’intestino e dalla cavità orale di animali a sangue
caldo, per cui il latte può contaminarsi con le feci
Isolato non frequentemente da latte
e derivati, soprattutto perché in
questi prodotti sopravvive per
breve tempo (pochi giorni in
frigorifero, 1 mese congelato)
Alcuni ceppi, particolarmente
termoresistenti, possono superare la
pasteurizzazione.
Tuttavia il processo di pasteurizzazione
ne riduce molto la vitalità, in quanto si
tratta di germi termoresistenti e non di
veri e propri termodurici
Poiché nel latte Campylobacter non riesce
tuttavia a moltiplicarsi, la sua presenza nel
latte pastorizzato è indice di un processo di
pasteurizzazione mal effettuato
La Campylobatteriosi è divenuta in
alcuni degli ultimi anni, in alternanza
con la salmonellosi, la zoonosi più
diffusa in Europa.
Il numero totale di casi umani nei Paesi
dell’Unione Europea nel 2007 è risultato di
200.507
Negli alimenti il Campylobacter è stato ritrovato però soprattutto nella carne di pollame
e di suino cruda e solo in pochissimi casi nel latte o suoi derivati
Bacillus cereus
Microrganismo ambientale , largamente
diffuso in suolo, acque, vegetali.
Presente in molti alimenti,
specie di origine vegetale, viene
frequentemente isolato anche
da spezie, carni, uova e
prodotti lattiero-caseari
La forma vegetativa viene
distrutta dal calore, mentre
la spora resiste alla
temperatura di
pasteurizzazione
Non cresce di solito sotto i
10°C e risulta quindi difficile
la sua crescita a temperature
di refrigerazione (4-8°C)
La scoperta tuttavia di ceppi psicrotrofi di B. cereus
ha aumentato negli ultimi anni la sorveglianza nel
settore del latte e derivati
La sua presenza indica che il latte è stato sottoposto a
trattamento termico inadeguato oppure che è stato
inadeguatamente refrigerato o non sufficientemente
riscaldato prima del consumo.
B. cereus passa nel latte
proveniente dal suolo e dal
foraggio.
Dopo la sporulazione, poichè resiste alla
pasteurizzazione, resta senza competitori e
cresce facilmente nel latte e nei suoi derivati
Il latte pasteurizzato rappresenta un caso particolare perché,
alla fine della shelf-life, può contenere abbastanza B. cereus
da provocare malattia, ma il microrganismo produce una
proteasi che conferisce al latte aroma sgradevole, il che di
fatto ne impedisce il consumo
Il consumatore può ridurre il rischio di malattia
1.
conservando i cibi sotto i 7°C e sopra i 60°C
2.
Raffreddando e riscaldando rapidamente il
cibo
Yersinia enterocolitica
Famiglia Enterobacteriacee
3 specie patogene
Genere Yersinia
Y. pseudotuberculosis (agente della pseudotubercolosi dei
roditori e occasionalmente dell’uomo)
Y. pestis
(agente della peste
bubbonica o peste nera)
Bacillo scoperto dal medico svizzero Alexandre
Yersin (1863 –1943) nel 1894 ad Hong Kong
durante un’epidemia di colera. Chiamato
Pasteurella pestis, in suo onore il batterio verra'
in seguito ribattezzato Yersinia pestis
Y. enterocolitica
(agente di enterite
nell’uomo)
Isolato dal tratto intestinale di molti mammiferi, uccelli, rane, pesci, insetti
Diffuso in suolo, vegetazione, laghi, pozzi, sorgenti e acque in genere,
soprattutto quelle con bassa temperatura
Sopravvive e replica bene a temperature di refrigerazione nel latte e nei
formaggi freschi
Non resiste alla pasteurizzazione (71,8°C x 15 secondi)
Gli alimenti più spesso coinvolti in episodi di infezione sono
Carni poco cotte, soprattutto di suino, ma
anche di bovino, di agnello e di pollo
Latte - Prodotti lattiero caseari – Gelati - Creme
Sono riportati episodi, anche gravi, associati a consumo di latte crudo, ma poiché il
bovino non rappresenta un importante serbatoio si ritiene che in questi casi il latte sia
stato contaminato con feci suine o umane durante la mungitura o nelle fasi successive.
Poiché dunque Yersinia enterocolitica è sensibile al calore, può sopravvivere in
alimenti cotti o pasteurizzati solo se la contaminazione avviene dopo il trattamento
termico o se lo stesso viene effettuato in maniera inadeguata.
Coxiella burnetii
Scoperta nel 1935 in Australia da Derrick, che la denominò "Q"
dall'iniziale della parola indigena australiana "Query" che
significa appunto "incertezza", ma furono Burnet nel 1937 e Cox
nel 1939 a definirla eziologicamente,
Febbre, grave cefalea, grave malessere generale, mialgia. La
febbre può raggiungere i 40°C e può persistere anche per
oltre 3 sett. Una polmonite si sviluppa spesso durante la 2a
settimana di malattia. Circa 1/3 dei pazienti con febbre Q
protratta sviluppa epatite.
La febbre Q è talvolta fatale (1% nei casi non trattati).
Trasmessa spesso da alcune varietà
di zecche o per via aerogena, è’
possibile che la trasmissione avvenga
anche attraverso l’assunzione di latte
consumato crudo
Stabile e resistente in ambiente extra-cellulare
Stabile all’essiccazione e a valori estremi di pH
La sua capacità di resistenza considerevole, soprattutto nei
confronti del disseccamento, è da ricondurre alla
formazione di forme persistenti simili a spore. Ciò ne
consente la sopravvivenza per anni su polvere, fieno, ecc.
A causa di ciò C. burnetii è una potenziale arma biologica,
anche per la sua bassa dose infettante, la possibilità di
trasmissione per via aerogena e la sua stabilità
nell’ambiente esterno.
Inattivata dalla Pasteurizzazione (in 15” a 71,7°C)
Resiste però almeno 30’ a 61°C nel latte
Cronobacter sakazakii
Così chiamato in onore del
microbiologo giapponese Riichi
Sakazaki
E’ stato isolato dal latte in polvere
destinato ai bambini e da altri alimenti,
ma soltanto il latte in polvere è risultato
legato ad episodi di tossinfezione
Provoca nei bambini /soprattutto al di sotto delle 4 settimane) enterite
necrotica, batteriemia e meningite, con tassi di letalità elevati (dal 20 al 50%) e
spesso disordini neurologici
Le attuali tecnologie non sembrano capaci di
produrre un latte in polvere completamente sterile,
per cui la contaminazione può avvenire nel prodotto
o nei suoi costituenti, oppure durante la sua
ricostituzione (uso di acqua non sterilizzata)
Escherichia coli
E. coli è la specie più nota del genere
Escherichia e prende il nome dal suo
scopritore, il microbiologo tedesco Theodor
Escherich. Se ne distinguono almeno 171
sierotipi. È una delle specie principali di batteri
che vivono nella parte inferiore dell‘intestino di
animali a sangue caldo, incluso l’uomo. E’, con
gli enterococchi, il principale indicatore di
contaminazione fecale
Alcune forme sono patogene:
E. coli enterotossinogena (ETEC)
E.coli enteropatogena (EPEC)
E.coli enteroinvasiva (EIEC)
E.coli enteroaderente (EAEC)
E.
coli produttrice di verocitotossina (VTEC), che
comprende anche i ceppi enteroemorragici,
(EHEC).
L'ultimo gruppo è quello che negli ultimi anni ha assunto maggiore importanza come
causa di colite emorragica e di sindrome emolitico-uremica (la prima rilevazione è
del 1982 in circa 50 soggetti che avevano mangiato hamburger contaminati).
L'infezione da E. coli VTEC è trasmessa
dagli alimenti, soprattutto carne di manzo
cruda o poco cotta, che viene contaminata
dal contenuto intestinale durante la
macellazione o la preparazione della carne.
L'hamburger è particolarmente a rischio
perché il batterio, penetrato in profondità,
resiste alla debole temperatura di cottura.
Altro alimento a rischio è
rappresentato dal latte crudo o
comunque non pastorizzato
Shigella
E’ un genere di enterobatteri di cui si conoscono 4
specie: S. dysenteriae, S. flexneri, S. boydii, S. sonnei.
Sono agenti eziologici della dissenteria bacillare o
shigellosi, provocata da endotossine ed esotossine, in
particolare dalla tossina “SHIGA”.
• La malattia si può contrarre da cibo e acque
contaminate (via oro-fecale) oltre che con un
contatto diretto da persona a persona.
• L’unico ospite è l'uomo.
• Ha una dose infettante in genere molto bassa
(da poche decine a poche centinaia di unità).
• L'azione della Shigella ha come bersaglio la
mucosa del colon e della parte terminale
dell'intestino
• Le feci contengono sangue e muco (dissenteria); la perdita di sangue è il risultato di
microascessi causati dagli organismi che invadono e danneggiano l’epitelio intestinale
• Di solito si risolve senza trattamento, in 3-7 gg.
• La severità e la mortalità dipendono dall’ospite, soprattutto dallo stato nutrizionale, e
dall’aggressività del sierotipo: S. dysentariae 1 spesso causa complicazioni gravi come
la sindrome emolitica uremica (HUS).
• Le acque contaminate da feci e la manipolazione non igienica degli alimenti sono le
cause di contaminazione più comune.
Il latte può essere un vettore di
Shigella se contaminato da
materiale fecale
•La Shigella è termo-sensibile e
viene uccisa a temperature
superiori ai 70 °C.
Da quanto detto è di tutta evidenza che il latte alimentare prodotto
dall’industria, nonostante i molti pericoli potenziali, è dal punto di
vista microbiologico uno dei prodotti alimentari più sicuri in assoluto
Il trattamento di pasteurizzazione
(72°C x 15 secondi) e quello UHT
(135°C x 1-2 secondi) sono infatti
capaci, se eseguiti correttamente, di
eliminare dal latte i microrganismi
patogeni eventualmente presenti
Il rischio per il consumatore è quindi per lo più limitato alla possibilità di
ricontaminazione del prodotto nelle fasi successive al trattamento termico, cioè
nella fase di commercializzazione (trasporto e conservazione inadeguati, mancata
osservanza delle temperature ecc.).
In questo panorama “rassicurante” si è tuttavia inserita, negli ultimi anni, una variabile
che ha introdotto delle novità e avviato un dibattito sul rischio per il consumatore:
DISTRIBUTORI DI LATTE CRUDO
L’avvento di distributori automatici di latte crudo ha
riproposto in certa misura il problema dei patogeni
per cui è stato riconsiderato il concetto di sicurezza
di questo tipo di prodotto
Prima del 1997 la normativa nazionale considerava idoneo al consumo umano solo
il latte che ha subito “almeno un trattamento termico ammesso o un trattamento di
effetto equivalente autorizzato”.
Dal 1997 (DPR 54/97) la normativa italiana consente
timidamente la vendita diretta del latte crudo (cioè non
sottoposto ad alcun trattamento termico).
Le successive normative comunitarie hanno mantenuto
tale possibilità
La commercializzazione di
latte crudo in azienda o
presso distributori
automatici, pratica già
ampiamente diffusa negli
USA, si è così estesa
anche in Italia
Oltre 2000 distributori in 93
province
Le ragioni di questo notevole successo sono molteplici e diverse a seconda del
punto di vista del venditore e del consumatore
Per l’allevatore si tratta
di aumentare in modo
considerevole la quota
di reddito
Per il consumatore, il vantaggio
del minor costo si accompagna
soprattutto a considerazioni
legate alla immagine di un
prodotto considerato come non
“manipolato”, fresco, genuino,
con un maggiore contenuto
nutrizionale (microrganismi
buoni!!) e conoscenza precisa
dell’allevamento di provenienza
Intesa Stato – Regioni del 25 Gennaio 2007
Criteri microbiologici che devono essere valutati in Autocontrollo e
che devono essere verificati in sede di Controllo Ufficiale
Staphylococcus
aureus
E. Coli O 157
Listeria
monocytogenes
Salmonella spp
Campylobacter
termotolleranti
Alcune considerazioni, da cui deriva l’apertura del dibattito in corso su questo
tipo di vendita del latte
Gli allevamenti sono sottoposti a stretto
controllo veterinario sulle
caratteristiche igienico sanitarie
Indagini epidemiologiche e piani di controllo
hanno portato al rilevamento in questo latte
di microrganismi patogeni come Listeria,
Salmonella, E. coli O157 Campylobacter,
ecc., anche se le positività sono state
estremamente limitate
Tuttavia ciò dimostra che non è possibile avere la certezza, anche nei migliori
allevamenti, che nessun patogeno sia presente nel latte erogato dai distributori e
che quindi il latte non costituisca un rischio, soprattutto per bambini e anziani
Diversi casi in Italia di sindrome uremica nei bambini,
riferibili al possibile consumo di latte crudo contenente E. coli
O 157 (anche se la correlazione non è stata accertata), hanno
indotto il Ministero della Salute ad emanare il 14 Gennaio
2009 una Ordinanza che, fra l’altro, impone che negli
erogatori sia riportata ben visibile e con inchiostro rosso la
dicitura:
“DA CONSUMARE SOLO DOPO BOLLITURA”
D’altra parte anche la Food and Drug Administration,
l’agenzia governativa statunitense che regola i prodotti
alimentari e farmaceutici del mercato americano
sostiene che il latte crudo andrebbe assolutamente
vietato perché PUO’ contenere microrganismi pericolosi
Dopo quanto detto sono emerse due “scuole di pensiero”
1) Il rischio è bassissimo, quasi
2) Il rischio è comunque
irrilevante sul piano
epidemiologico, compensato dagli
indubbi benefici che comporta
questo latte, soprattutto sul piano
nutrizionale (la pasteurizzazione,
occorre ricordarlo, elimina le
vitamine)
presente ed è molto difficile
ridurlo ulteriormente, visto che le
aziende che dispongono di
questi erogatori sono già quelle
migliori e quelle che danno le
maggiori garanzie
Ma la domanda a questo punto è……
Se questo latte “deve” essere bollito, cioè sottoposto a temperatura decisamente
superiore a quella di pasteurizzazione (perché ?) molti dei suoi vantaggi si vanno a
perdere e questo rimette in discussione tutto il sistema di erogatori automatici
??????????
Che fare, visto che:
"Sappiamo benissimo che il latte
crudo è pericoloso, ma non
sappiamo cosa spinge la gente a
consumarlo lo stesso“
© NEWSFOOD.com - 01/04/2010
Grazie