L’antropologia culturale

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Transcript L’antropologia culturale

ANTROPOLOGIA CULTURALE
2009-2010
La capacità empatica dell'uomo
come fattore culturale originario
INDICE
- MODULO I:
L'antropologia culturale.
Parte I: Etimologia e storia
Parte II: Lo statuto epistemologico dell'AC
- MODULO II:
De humana cultura et societate
- MODULO III:
L'empatia
- MODULO IV:
L'empatia perduta
Modulo I
Parte I
L’antropologia culturale
Etimologia e storia
Etimologia
L'etimologia è divenuta ormai una scienza.
È la branca della filologia che cerca l'origine delle parole,
attraverso lo studio dei testi antichi e il confronto tra
diverse lingue.
Noi vogliamo esercitarla al modo di Isidoro di Siviglia,
che nel periodo più buio del Medioevo, quello in cui tutto
il sapere fino ad allora accumulato era a rischio di
scomparsa, si mise a scrivere le Etymològiae.
Isidoro di Siviglia
Isidoro di Siviglia (570 ca.-636 d. C.) vive nel regno
visigoto, appena unificato sotto l’egida cattolica del re
Recaredo (589 d.C.).
Egli scrive le Etymològiae (615-636 d. C.), un’opera
enciclopedica in 20 libri, che tratta dei più vari argomenti a
partire dalla individuazione dell’origine (etimologia)
delle parole stesse.
Le Etymològiae
L’intento di tale tentativo titanico era quello di
«cogliere la realtà intera attraverso la determinazione
dell’origine dei vocaboli che ne costituiscono il corpo
visibile e caduco».
La speranza era quella di
«scardinare una volta per tutte le porte oscure
dell’incomprensione ed entrare con passo sicuro nel
regno luminoso dell’unità: unità di parole, unità di
pensiero, unità di cuori».
(A. Valastro Canale, Introduzione alle Etimologie o
Origini, 2 voll., UTET, Torino 2004)
Parola ed espressione
Esordiamo riflettendo sulle parole, perché il linguaggio
rappresenta la qualità umana più specie-specifica.
Secondo Max Scheler (1874-1928), c’è una differenza
essenziale tra espressione e linguaggio.
Cfr.: brano in Pdf sul tema, tratto dal saggio di M.
Scheler, L’idea dell’uomo (1913).
Etimologia (1)
Due mondi si concentrano
nell’espressione «antropologia culturale»
-il mondo greco:
«antropologia», da ànthropos + lògos
uomo + discorso razionale
(in effetti Erodoto di Alicarnasso è considerato
il fondatore degli studi antropologici)
- il mondo latino:
«culturale», dal lt. còlere= coltivare
Erodoto
Erodoto (Alicarnasso 484 a.C.-Atene 425 a. C.) nelle
sue «Storie»
descrive i costumi, le tradizioni, le religioni, le
abitudini di moltissimi popoli dell’antichità,
con cui era venuto direttamente o indirettamente in
contatto, nel corso dei suoi viaggi.
Nella sua opera si riscontra già la lotta vittoriosa ai due
atteggiamenti con cui ogni antropologo deve sempre
combattere: l’etnocentrismo e il relativismo culturale
http://it.wikipedia.org/wiki/Erodoto
http://dariosoldani.interfree.it/erodoto
/home.html
L. VI – sconfitta dei Persiani da parte dei Greci a Maratona
L. IV- usanze funebri dei Galati e dei Greci
Etnocentrismo (1)
È la posizione culturale di chi considera la
propria cultura per modi, stili, abitudini e
tradizioni, superiore alle altre con cui viene in
contatto.
Si tratta di una posizione che ostacola i rapporti
reciproci e l’incremento antropologico, che
spontaneamente ne deriva.
Di qui, il suffisso peggiorativo –ismo, con cui
viene denominata.
Etnocentrismo (2)
Bisogna distinguere dal peggiorativo «etnocentrismo», l’atteggiamento
di etnocentratura, molto comune tra le popolazioni e addirittura
indispensabile, al pari dell’autostima a livello individuale, per
istaurare positive relazioni con gli altri e promuovere il reciproco
incremento antropologico.
La maggior parte delle etnie si autodefinisce infatti «popolo degli
uomini», escludendo inizialmente dall’umanità gli altri gruppi diversi
dal proprio.
-i Cheyenne chiamavano se stessi «gli uomini», mentre indicavano i
Dakota con l’espressione «volpi» (Sioux)
- i Bantu sono «uomini»
-i Masai «uomini guerrieri»
-gli Inuit «uomini cacciatori»
-il Celeste Impero, Chin, è «il centro» dell’universo.
Etnocentrismo (3)
L’etnocentrismo di cui l’antropologo cerca di liberarsi è
l’atteggiamento per cui si tende a giudicare le forme morali,
religiose e sociali di un’altra comunità sulla base della
conformità alle proprie norme e a considerare le differenze
riscontrate come anomalie.
Anche l’esotismo, in quanto culto del pittoresco che sottolinea
le curiosità e le bizzarrie degli altri può virare verso
l’etnocentrismo, quando è accompagnato da un atteggiamento
di svalorizzazione , e verso il vero e proprio razzismo quando
produce rifiuto e ostilità.
Erodoto e l’etnocentrismo
Erodoto non incorse nell’etnocentrismo, ma assunse una esemplare
posizione d’equilibrio nella valorizzazione della propria e
dell’altrui cultura.
Fu spesso considerato un filo-barbaro, perchè la sua curiosità
naturale gli faceva valorizzare e considerare in maniera positiva le
tradizioni culturali degli altri popoli.
Tuttavia egli non si sottrasse dall’ affermare la grandezza dei Greci
soprattutto nei confronti dei Persiani. Riportò infatti il testo della
stele innalzata per celebrare gli eroi di Maratona, in cui si legge:
«Qui diecimila valorosi vinsero un esercito di un milione di
nemici».
Etnologia e Antropologia
L’idea stessa di «etnologia» può essere portatrice di etnocentrismo,
nella misura in cui il suo campo di applicazione, l’etnia, venga
ristretto a gruppi umani uniti in un sistema considerato chiuso e
tale da non avere nulla a che fare con il nostro.
Per etnia si intende generalmente una popolazione (=ethnos), con
un nome proprio (etnonimo), i cui componenti si richiamano ad
un’origine comune e che possiede una tradizione culturale
specificata dalla coscienza di appartenenza a un gruppo, la cui
unità poggia sulla comunanza di lingua, di territorio e di storia.
La nozione di etnia è molto rigida e di difficile storicizzazione.
Poiché, oggi, nessuna società è più una etnia in senso proprio si
preferisce utilizzare il termine antropologia.
Etnologia e antropologia (1)
Gli studi antropologici hanno attraversato varie tappe prima di
acquisire la loro denominazione attuale:
1) Etnologia = analisi e interpretazione dei materiali
precedentemente raccolti. Elaborazione di modelli comparativi
(denominazione introdotta dallo studioso svizzero Edouard
Chavannes nel 1787, per indicare la storia naturale dell’uomo
ovvero lo studio di quei «fossili viventi» che sono le società
primitive)
2) Etnografia= raccolta di dati e documenti, loro prima
descrizione empirica, traduzione e classificazione dei fatti
umani ritenuti utili per la comprensione di una società o
istituzione (denominazione introdotta dallo storico B. G.
Niebuhr, nel 1810).
Etnologia e antropologia (2)
3) la denominazione “antropologia”, che comporta un grado di
generalizzazione più elevato, si è affermata intorno al XX sec.,
distinguendosi subito in:
a) antropologia sociale= di scuola britannica, interessata a
individuare le leggi della vita in società e dedicata soprattutto
all’osservazione del funzionamento delle istituzioni sociali
(famiglia, parentela, politica, procedure legali…)
b) antropologia culturale= nata negli Stati Uniti con F. Boas.
Si interessa alle questioni poste dal relativismo culturale, per
giungere a fornire una sintesi dell’attività sociale specie nei
fenomeni di trasmissione della cultura.
Etnologia e antropologia (3)
c) l’antropologia filosofica è un discorso teorico
sull’uomo
d) l’antropologia fisica è lo studio biologico e
fisico dei caratteri razziali, ereditari, sessuali e
relativi all’alimentazione dell’uomo; comprende
l’anatomia, la fisiologia, la patologia comparata, lo
studio dell'evoluzione umana e del rapporto
dell’uomo con gli altri primati.
Il relativismo culturale (1)
- Rappresenta l’atteggiamento di chi, nel rapporto con l’altro, si
ferma alla rilevazione delle differenze, assolutizzandone la
distanza e considerandole perciò insuperabili.
- Si tratta, come la parola documenta con il suffisso –ismo che la
costituisce, dello stato peggiorativo della condizione di relatività
culturale, propria di ogni cultura, imprescindibilmente
espressiva di gruppi umani determinati e specifici.
- Riconoscere la relatività culturale non implica affatto chiudere
ciascuna cultura nell’autoreferenzialità dei suoi confini, come
tende a fare il relativismo.
- Al contrario, la posizione equilibrata di relatività culturale,
valorizzando le differenze, apre al confronto tra differenti e
promuove lo scambio reciprocamente incrementante.
Relativismo culturale (2)
Erodoto non incorse nel relativismo culturale.
Egli assunse, infatti, una posizione di riconoscimento
equilibrato della relatività culturale, come documentato
dalla descrizione comparativa delle usanze funebri di
Greci e Galati, che riporta nelle sue Storie.
Relativismo culturale (3)
E’ costume funerario dei Galati, piangere il morto, disporlo sopra
un tavolo su un bianco sudario, continuare i pianti e le
lamentazioni, e poi cibarsi del corpo del morto per introiettare la
sua forza e la sua anima.
Questa usanza fa orrore a un Greco, il quale come abitudine
funeraria costruisce una catasta di legno, vi pone sopra il corpo del
defunto, e brucia il tutto mentre organizza giochi ginnici intorno
alla pira per onorare lo spirito del defunto, così come fece Achille
per venerare Patroclo morto.
Erodoto continua osservando che anche a un Galata farebbero
orrore gli usi funerari dei Greci, che bruciano e disperdono il
corpo del defunto.
Relativismo culturale (4)
A questo punto, anziché ridursi nella reciproca autoreferenzialità
culturale propria del relativismo culturale, Erodoto conclude
osservando che alla base delle opposte usanze, c’è e resta comunque
la comune e condivisa esigenza umana di prestare onoranze funebri
ai propri defunti.
Da queste considerazioni possiamo ricavare due idee-guida:
per un verso Erodoto mette in risalto la differenza delle usanze
funebri, dall’altro ribadisce che in ogni società esistono modalità
per segnare, marcare e sacralizzare il passaggio dalla vita alla morte.
Abbiamo così coniugate insieme e, perciò, coinvolte nel rapporto di
reciproca costruttività antropologica, tanto la particolarità specifica
delle usanze funerarie, quanto la loro universalità antropologica,
che apre alla possibilità del confronto arricchente.
Cultura come agricoltura
L’etimo latino della parola ci riporta all’età neolitica, al
tempo in cui i nostri avi abbandonarono la vita nomade e
cominciarono a vivere stabilmente/abitare in un luogo, in
cui potevano praticare la coltivazione dei campi o
agricoltura.
Cfr.: La scoperta dell’agricoltura nel neolitico (Pdf)
L’esperienza della coltivazione
Quale fu la conquista culturale,
determinata dalla scoperta dell’agricoltura?
Gli uomini sperimentarono ed appresero
che la natura, sottoposta alle loro cure,
“fioriva”,
fruttificando secondo una fecondità
impensabile nel suo stato selvaggio.
Estensione del significato della
Cultura
A seguito dell’esperienza sorprendentemente
positiva della coltivazione dei campi, gli uomini
estesero la pratica della coltivazione o cura anche
alla natura in sé e nei propri simili.
Fu così che in una società di agricoltori come quella
della Roma delle origini, l’uso del verbo còlere fu
esteso ad ambiti specificamente antropologici quali
quello del culto dei morti e dell’educazione delle
giovani generazioni.
L’agricoltura presso i Romani (1)
«Apud Romanos bonus civis bonus colonus erat.
Presso i Romani il buon cittadino era buon contadino.
Bonus colonus agros colebat magna cum diligentia
terram
Il buon contadino coltivava i campi con grande
diligenza,
laetamine conspergebat, subigebat aratro,
cospargeva la terra di letame, la dissodava con l’aratro,
rastro glebas aequabat, a saxis et malis herbis
purgabat.
con il rastrello pareggiava le zolle, le ripuliva dai sassi e
dalle erbe cattive.
Ita magnam hordei et frumenti copiam percipiebat.
Così otteneva una grande quantità di orzo e frumento.
L’agricoltura presso i Romani (2)
Agricola sedulous etiam vineas colebat
L’agricoltore solerte coltivava anche le vigne
et frugiferas plantas ut malos, piros et cerasos.
e le piante da frutto come i meli, i peri e i ciliegi.
Agricololarum villae abundabant porcis, haedis,
Le cascine degli agricoltori abbondavano di maiali,
di capretti
agnis, gallinis, caseo et habebant
di
agnelli, di polli, disponevano anche di
formaggio
sed etiam in pugnis victoriam magna audacia
obtinebant»
ma pure nelle battaglie conseguivano la vittoria con
grande audacia»
Importanza dell’agricoltura presso i
Romani
La storia dei Romani documenta il loro apprezzamento
per l’agricoltura, considerata il paradigma di ogni
costruttività umana.
Cfr.: materiale Word sugli antichi Romani e sulla
fodazione di Roma
Cultura (1)
Il sostantivo cultus, tratto dal participio passato del verbo còlere,
venne a indicare non solo il «coltivare» i campi, il «far crescere» le
colture, ma anche la cura in generale per qualcosa e in senso
specifico
- tanto il servizio religioso verso i defunti e gli dei, quello cioè che
tuttora chiamiamo «culto»,
- quanto la coltivazione degli esseri umani, in particolare dei
giovani, cioè la loro «educazione»= «far venir fuori/far fiorire
l’umanità».
Da quest’ultima accezione proviene il valore della cultura nel suo
senso moderno più generale: il complesso delle conoscenze,
tradizioni e saperi, usi e costumi, che ogni popolo considera
fondamentali, e in quanto tali meritevoli di essere trasmessi alle
generazioni successive.
Cultura (2)
Così in antropologia si parla di culture orali in
riferimento a quelle società in cui la trasmissione delle
conoscenze è affidata alla memoria degli anziani; e
archeologi, storici e antropologi denominano cultura
materiale l’insieme dei manufatti prodotti da una
popolazione, grazie ai quali è possibile ricostruirne modi
di vita e credenze, come ciascuno di noi può
comprendere visitando un museo archeologico o
etnografico.
Cultura (3)
Nella nostra civiltà occidentale, fondata su una pratica
millenaria di scrittura, il concetto di cultura è venuto però a
sovrapporsi
largamente
al
pieno
possesso
dell’alfabetizzazione, ed in pratica alla conoscenza di
quanto depositato nei libri.
Nella mentalità corrente si è arrivati a considerare persone
colte o addirittura uomini di cultura coloro che hanno letto
tanti libri.
E anche nella definizione delle lingue di cultura del passato
o attuali è prevalente il collegamento a importanti
tradizioni letterarie scritte.
Cultura (4)
Tuttavia, anche in società come la nostra, la cultura non si
identifica esclusivamente con le tradizioni scritte: si pensi
a culture di massa come quelle attuali, in cui attraverso i
grandi mezzi di comunicazione si è affermata una
multimedialità sempre più intensa, che unisce codice
linguistico, soprattutto parlato, immagine e suono.
Non a caso la denominazione, coniata in tempi molto
recenti, di beni culturali si estende non solo al patrimonio
librario di una nazione, ma a tutta la sua arte, e addirittura
all’ambiente.
Cultura (5)
D’altro canto, nel nostro «villaggio globale», si sono
ampliati e moltiplicati i processi di acculturazione e
soprattutto di fusione fra culture di popoli e razze, anche
assai lontani.
Certo, il rapporto con l’altro, il diverso, può essere fonte
di conflitti: ma la storia ci mostra che la chiusura verso
l’esterno non solo caratterizza in realtà una sottocultura,
ma è alla lunga insostenibile e dannosa.
Ed è proprio ciò che la cultura ci insegna a evitare.
Storia dell'Antropologia culturale
Per tutta l’antichità greco-romana abbiamo documenti a
contenuto etno-antropologico.
Il De bello gallico di Giulio Cesare (8 libri scritti fra 58 e il 50
a.C.) è denso di considerazioni sulla cultura, la religione, gli usi
e i costumi dei Galli.
Del resto, in epoca romana, conoscere i popoli diversi, che
venivano conquistati militarmente fu necessario, per
organizzare l’amministrazione dell'impero.
Dalla caduta di Cartagine (intorno al 146 a.C.), Roma si trovò
alla testa di un impero immenso, delle cui popolazioni ignorava
quasi tutto. Rapidamente la sua metodica amministrazione
permise di raccogliere informazioni su vari paesi soggetti e su
quelli che intendeva assoggettare.
Storia (1)
La modalità della ricerca etnoantropologica greco-romana fu
raccolta dagli Arabi, anch’essi desiderosi di conoscere i popoli
che, attraverso la loro diaspora vittoriosa, andavano
islamizzando.
Masudi, intellettuale arabo, viaggiò in Africa, in India, in
Madagascar e raggiunse la Cina, scrivendo le sue notazioni etnoantropologiche nell’opera che porta il titolo I prati d’oro.
Ibn Khaldum (1332-1406) affrontò non solo la descrizione di
popoli e costumi diversi, ma problemi come i rapporti tra
ambiente naturale, razza, tecniche e generi di vita, temi che
verranno riconsiderati solo alla fine del XIX secolo.
Storia (2)
Con l’affermarsi del Cristianesimo si determinò
“un modo relativamente nuovo di intendere i diversi,
rispetto alla filosofia greca”;
Un modo che sottolineava
“l’universalità della natura umana di fronte a Dio.
Questa posizione metteva in crisi la distinzione fra
popoli civili e popoli barbari”
(Carlo Tullio-Altan, Manuale di Antropologia Culturale,
Bompiani, Milano, 1971, p. 22).
Storia (3)
In Europa intanto mercanti e missionari prevalentemente italiani
furono i primi “artigiani” della tecnica di ricerca antropologica.
- Giovanni del Pian del Carpine (1182-1251) viaggiò tra i Mongoli
e si spinse fino al Karakorum, lasciando una Storia dei Mongoli,
che offre una descrizione delle popolazioni mongoliche
estremamente accurata.
- I mercanti ebbero in Marco Polo, chi li rappresentò in modo
brillante con il famosissimo testo Il Milione.
Marco Polo visitò la Cina, l’India, il Giappone e visse a lungo al
servizio di Kubilay Khan, signore mongolo della Cina tra il 1270 e
il 1290.
Storia (4)
Le nuove scoperte geografiche, in particolar modo quella delle
Americhe, aprirono uno spazio sconfinato all’analisi e alla
descrizione di popoli altri e diversi.
La colonizzazione distrusse molte culture, ma ci fu anche chi reagì
contro questi disastri, e pazientemente raccolse tradizioni e
costumi dei popoli delle Americhe.
Padre Bartolomeo de las Casas (1474-1566) offre una
testimonianza polemica della colonizzazione spagnola scrivendo
Storia apologetica degli Indiani, in cui difende i nativi dalla
deculturazione e dall’invasione europea.
Allo stesso modo Garcilaso de la Vega, storico ispano-peruviano
redasse un testo sulla cultura degli Incas, pubblicato intorno al
1610.
Il gesuita Giuseppe d’Acosta redasse in Perù la Storia naturale e
morale delle Indie.
Garcilaso de la Vega
Uno dei primi “meticci” del Nuovo Mondo, Garcilaso de la Vega
(1539-1616) detto «El Inca», (il cui vero nome era Gómez Suárez
de Figueroa) fu un famoso scrittore di tematiche riguardanti il
popolo inca.
Era il figlio del conquistador spagnolo Sebastián Garcilaso de la
Vega e della principessa inca Isabel Suárez Chimpu Ocllo, che era
una discendente del potente sovrano inca Huayna Capac.
Come parlante nativo quechua nato a Cuzco, De la Vega scrisse
resoconti della vita inca, della storia del popolo e della conquista
ad opera degli spagnoli.
Garcilaso de la Vega (1)
Il suo capolavoro, il libro intitolato Comentarios Reales de los
Incas (1609), è basato sulle storie che egli aveva sentito raccontare
dai suoi parenti inca quando era bambino a Cuzco.
I Comentarios contengono due sezioni:
- la prima riguardante la vita degli Inca,
- la seconda tratta della conquista spagnola del Perù.
Molti anni dopo, quando la guerriglia di Tupac Amaru II (José
Gabriel Condorcanqui, 1738- 1781) aveva molta presa, un editto
reale di Carlo III di Spagna proibì la pubblicazione dei
Comentarios, a Lima, per i contenuti considerati pericolosi.
Il libro da allora non fu più stampato in America fino al 1918, ma
continuò a circolare clandestinamente.
Meticcio
Con il termine meticcio si definivano in origine gli individui, nati
da un genitore bianco e da un genitore indio.
I meticci, che presentano carnagione olivastra, occhi e capelli scuri
nascevano dall'incrocio fra i conquistadores europei, solitamente di
origine spagnola o britannica, e le popolazioni indigene
precolombiane.
Attualmente il termine viene usato anche in senso generico,
indicando individui nati dall'incrocio di due razze diverse.
Storia (5)
Il Settecento fu l’epoca delle grandi spedizioni organizzate con
impegno da specialisti nei vari rami della botanica, della zoologia,
della geografia e della medicina.
Nel Settecento si completò la scoperta delle terre non conosciute
con le spedizioni in Oceania, in cui primeggiò il capitano James
Cook, che ci lasciò un resoconto del suo viaggio nell’Oceano
Pacifico.
Come è noto, Cook fu ucciso dagli hawaiani, durante una
complessa situazione in cui il capitano fu scambiato per il dio
locale Lono.
L’esotismo
Il Settecento fu il secolo delle grandi scoperte geografiche e
contemporaneamente della passione per l’esotismo, che può
essere considerata la «spinta sentimentale» che portò alla
complessa, vasta e contraddittoria elaborazione della scienza
etnoantropologica.
Non a caso, Charles de Secondat, barone di Montesquieu (16891755), nelle sue Lettere persiane (1721), si servì di un persiano
come protagonista di dialoghi che criticavano la società del suo
tempo. La civiltà europea appariva al persiano “illuminista”
arbitraria, convenzionale e fortuita in confronto ai costumi e ai
modi di vita della sua civiltà esotica.
Le Lettere persiane
L'opera comprende 161 lettere, scritte da tre giovani persiani
immaginari, Usbek, Rica e Rhedi, che viaggiano in Europa e
soggiornano per un lungo periodo in Francia, tra il 1712 e il 1720,
scambiando con i loro amici e familiari orientali, una ricca
corrispondenza.
La loro ironia si appunta sull'irrazionalità delle istituzioni e del sistema
politico francese, sulle ingiustizie e le malversazioni, cui sono
sottoposti i sudditi, sul fanatismo che ne avvelena l'esistenza.
Benché lucidamente critico sulle nefandezze dell'assolutismo europeo,
il saggio Usbek non sa riconoscere le più tetre forme del dispotismo
orientale, di cui egli stesso è responsabile. Nell' harem che ha lasciato
per venire in Europa, le sue amanti sono segregate, prigioniere di
eunuchi cinici e spietati. Roxane, la donna che egli ama, gli farà capire
con una lettera drammatica le reali condizioni di vita dell' harem.
Roxane
«Sì, ti ho ingannato: ho sedotto i tuoi eunuchi, mi sono presa gioco
della tua gelosia, ho saputo fare un luogo di delizia e di piaceri del
tuo orribile serraglio. […] Come mi hai potuto stimare tanto credula
da convincermi che io ero al mondo solo per assecondare i tuoi
capricci e che tu, mentre ti permettevi tutto, avevi il diritto di
contristare tutti i miei desideri? No! Io ho potuto vivere nella
schiavitù, ma sono rimasta sempre libera: ho riformato le tue leggi su
quelle della natura, e la mia anima si è sempre mantenuta
indipendente. […] Eravamo entrambi felici: tu mi credevi ingannata,
ed io ti ingannavo. […]Ma è finita: il veleno mi consuma, la forza mi
abbandona, la penna mi cade di mano; sento affievolirsi fino il mio
odio: io muoio».
Dal serraglio di Ispahan, il giorno 8 della luna di Rebiab 1, 1720.
Storia (6)
L’interesse degli illuministi non era di identificare le reali condizioni
di vita dei popoli, quanto di contestare le condizioni della loro stessa
società, che veniva criticata sulla base del mito di uno stato
selvaggio, in cui l’uomo era originariamente felice.
Il mito si alimentò al di fuori delle reali esperienze etnografiche, che
erano piuttosto patrimonio di pochissimi ricercatori.
L’uomo naturale o «buon selvaggio» fu il termine di paragone
continuo, che J. J. Rousseau propose , nella sua polemica con lo
Stato assolutista e feudale e con l’intera tradizione del suo tempo,
contro l’uomo artificiale e sociale.
La sua convinzione era che la società avesse inferto all’umanità le più
profonde ferite e che i mali della convivenza derivassero dalle
organizzazioni politiche.
J. J. Rousseau (1712 -1778)
L'idea centrale della filosofia di Rousseau è che ogni uomo nasce
buono e giusto e, se diventa ingiusto, la causa è da ricercare nella
società, che ne corrompe l'originario stato di purezza, favorendo il
pensiero razionale che porta al freddo calcolo e al cinismo tipico delle
civiltà moderne.
Lo stato originario di purezza è il cosiddetto «stato di natura», ovvero
la condizione propria del «buon selvaggio», che vive assecondando la
sola legge naturale del proprio istinto.
L’istinto si armonizzerebbe, naturalmente e necessariamente, con le
esigenze della realtà circostante, mentre tutta la struttura morale delle
società civili implicherebbe l’ imposizione arbitraria e artificiale di un
codice di comportamento, che andrebbe a sovrapporsi, cancellandolo,
a quello stato di correttezza morale innata. '
La Société des Observateurs de
l’Homme
Nel 1799, al moltiplicarsi dei resoconti di viaggi e al culmine
dell’istanza antropologica comparativa, viene fondata la Société
des Observateurs de l’Homme, che si propone di effettuare
comparazioni tra i popoli dell’antichità, i selvaggi e gli indigenti,
p. es. i sordomuti.
Nel 1800, Joseph Marie De Gérando (1772-1842) scrive una
guida per tale ricerca, intitolata: Considérations sur le diverses
méthodes à suivre dans l’observation des peuples sauvages.
Il discorso antropologico, fin qui svolto surrettiziamente ad
intenti extra-scientifici, si muove lentamente in direzione
dell’acquisizione di uno statuto epistemologico per
l’antropologia.
Modulo I
Parte II
Statuto epistemologico
dell’antropologia
Lo statuto epistemologico
dell’antropologia
L’antropologia conquista il proprio statuto
epistemologico
- distinguendosi dalle discipline contigue
- perseguendo lo studio del proprio oggetto,
- secondo il proprio metodo,
- producendo monografie.
Antropologia e discipline contigue
1. Antropologia e sociologia
1. Antropologia e storia
1. Antropologia e etnolinguistica
1. Specializzazioni
Antropologia e sociologia
Si possono considerare «sorelle quasi gemelle»
a) La sociologia nasce nel XIX sec. in Francia ad opera di A.
Comte e a seguito delle esigenze di riorganizzazione socioculturale, indotte dalle rivoluzioni politiche e industriali dell’età
post-napoleonica  riformismo sociale+filosofia
a) L’antropologia nasce poco dopo dalla saldatura tra l’interesse
romantico per l’esotico, il progetto kantiano di un’antropologia
filosofica e l’impresa coloniale  spirito antiquario e storia
naturale
- Entrambe sono imperniate su:
ricerche classificatorie, schemi evolutivi
valorizzazione tipologica di razze e etnie,
- Entrambe sostengono l’azione di riforma sociale
e mirano a «civilizzare» i cosiddetti primitivi.
Antropologia e sociologia (1)
Hanno inizialmente campi di ricerca peculiari, differenti
1) L’antropologia analizza le società relativamente omogenee e di
piccole dimensioni, di cui non si conosce la storia e che
vengono dette «primitive», «tradizionali», «senza scrittura».
Si pone l’obiettivo di elaborare la descrizione completa delle
culture di piccole dimensioni.
2) La sociologia studia le società complesse, eterogenee, con
storia documentaria, definite «civilizzate», «industrializzate»,
«della scrittura», «moderne». Si orienta verso il metodo
dell’indagine per campioni, condotta su insiemi ampi.
Antropologia e sociologia (2)
L’interesse di sociologi e antropologi si
concentra ormai concordemente
a) sulla ricerca delle strutture e delle funzioni
sociali
a) sull’analisi della dinamica delle società
contemporanee
Antropologia e storia
Fino al XX sec. l’indagine storica si distingueva da quella
antropologico-sociologica, modellata sulle scienze naturali, per il
fatto di prediligere il lavoro sulla cronologia, l’individualità e la
dimensione politica, effettuato servendosi di documenti scritti.
Nel XX sec. si sviluppa il dibattito tra «storici puri» (C.
Seignobos) e «storici sociologizzanti» (F. Simiand).
Negli anni ’30 del Novecento fu invece l’antropologia
funzionalista a prendere le distanze dalla storia, rivendicando per
sé la centralità dell’osservazione e dell’inchiesta orale e
rifiutando per lo studio delle società arcaiche ogni approccio
storico.
Antropologia e storia (1)
Nel 1958, Lévi-Strauss distingue tra «società fredde», che si sforzano
di sterilizzare il divenire storico (Europa) e «società calde», che
producono una storia cumulativa e termodinamica (Terzo Mondo).
Si verifica una progressiva convergenza tra antropologia e storia:
-si è sviluppata l’etnostoria, che utilizza in maniera combinata le
tecniche degli storici e degli antropologi.
-Si è sviluppata l’antropologia storica, p. es. in Francia alla scuola
delle Annales, si studiano temi come il quotidiano, il corpo, le
tecniche, i miti, la parentela (J. P. Vernant, E. Leroy-Ladurie)
Antropologia e etnolinguistica
-F. de Saussurre (1857-1913) fu il primo a dare autonomia alla
linguistica, definendo la lingua come un sistema di relazioni
interdipendenti.
La lingua ha vita propria dal punto di vista fonologico, sintattico e
semantico

-linguistica strutturale (lingua=codice prodotto dalla mente umana)
-linguistica generativa (lingua=insieme di regole per la produzione
di frasi)
- l’antropologia linguistica si interessa del modo con cui la lingua
influenza il pensiero e la visione del mondo (cfr.: Pigmalion, di B.
Shaw)
Scienze ausiliarie e specializzazioni
a)relazioni interdisciplinari
La ricerca antropologica si è giovata e si giova dello sviluppo di
scienze quali
-la demografia
-la geografia
-la tecnologia
-l’archeologia
-la genetica
-la preistoria
-la psicologia
-la psicoanalisi
b)specializzazioni
- esterne  etnobotanica, etnozoologia, etnomusicologia..
- interne  antropologia politica, economica, religiosa, della
parentela…
- per aree geografiche  dell’Africa, dell’Oceania, dell’America…
- legate alle scuole  in funzione delle tematiche via via in voga
Oggetto e metodo
dell’antropologia
Nella miriade di relazioni interdisciplinari, di cui gli studi antropologici
si servono, occorre che l’antropologo conquisti un punto di vista
unitario e un livello specifico i ricerca.
L’oggetto di studio dell’antropologia prende forma attraverso
l’esercizio del metodo dell’osservazione partecipante, che comporta le
seguenti specificazioni:
a)
b)
c)
d)
Uno spazio determinato d’osservazione
Una prospettiva limitata
Uno status assegnato nell’ambito del sistema
Il fatto che l’antropologo è egli stesso un nodo di interazione.
L’osservazione partecipante
Condizioni soggettive
- dar seguito alla curiosità antropologica, rispetto ad altri uomini e a
sé in circostanze nuove, comporta sempre una dose di avventurosità
- ci si allontana dalla propria civiltà/ambiente per incontrarne altre, si
affronta l’esilio culturale e lo spaesamento, che ne consegue.
- si vive secondo uno stile più rudimentale del nostro, non privo di
disagi
-si accetta di rappresentare a propria volta un oggetto esotico,
argomento di conversazione, di sospetto e di cupidigia
-si pratica il mimetismo e ciò è rischioso per l’oggettività delle
rilevazioni.
L’osservazione partecipante (1)
Regole generali
1) Al ricercatore sono necessarie rigore e precisione, intuizione,
immaginazione, empatia
2) è necessario un apprendistato per scoprire i problemi e i
comportamenti significativi, acquisire la capacità di annotare con
esattezza e di memorizzare il maggior numero di informazioni
3) la procedura di acquisizione delle informazioni comporta la
memorizzazione di una lista di controllo degli elementi da
osservare, in conformità agli obiettivi della ricerca, e la raccolta
delle annotazioni sul campo, dettagliate e comprensive delle azioni
con effetto di disturbo della situazione osservata
4) Il contenuto dell’osservazione è raccolto in schede descrittive, in cui
le conversazioni sono riportate nella forma del discorso diretto,
mentre le opinioni sono scritte nel diario della ricerca
5) La stesura dei dati comporta la classificazione e la documentazione
sull’imponderabile (aneddoti, espressioni…)
Gli informatori
L’osservazione partecipante è affiancata da colloqui con informatori
qualificati, quali:
1) Altri ricercatori, anche locali
2) Gli informatori propriamente detti o imposti dalle autorità locali o
selezionati in funzione delle loro competenze o appartenenze e
opportunamente campionati
3) Informazioni si possono trarre da interrogazioni dirette in date
situazioni, da conversazioni riservate, da colloqui a più voci, sia
conducendo vere e proprie inchieste sia procedendo in
conversazioni libere
4) Si utilizzano documenti verbali, materiali e tutte le forme di
registrazione dei fatti umani, nei vari formati, provenienti da fonti
pubbliche o private
N.B.: tutte le testimonianze vengono vagliate criticamente,
valutandone l’origine, l’integrità, il significato, sottoposte a spoglio
dei dati e analisi, utilizzando metodi storiografici e sociologici
La monografia
La monografia, in cui confluiscono i risultati di una ricerca
antropologica, è un genere letterario, nato nell’ambito della sociologia
ottocentesca (Le Play) e adottato dopo che nel 1847 venne pubblicato
un modello di inchiesta in Notes and Queries on Anthropology, a cura
del Royal Anthropological Institute.
Si trattava di un indice-catalogo degli argomenti da affrontare per
fornire una descrizione completa di un’etnia o raggruppamento
sociale.
A tali monografie generali si preferiscono ormai monografie su
ambienti o aspetti circoscritti o su fenomeni esemplari.
Il problema di fondo degli studi antropologici consiste nella difficoltà a
trovare una giusta misura di interpretazione dei dati:
o si sovra-interpreta, imponendo ai dati una senso arbitrario
o si sottointerpreta, limitandosi a descrivere i fatti nella loro
frammentazione empirica.
Ciò cui si aspira è, invece, interpretare i fatti, inserendoli in reticoli
semantici differenti.
P. G. F. Le Play
Pierre Guillaume Frédéric le Play (1806 -1882), francese, fu
ingegnere, sociologo ed economista. Frequentò l’ École
Polytechnique e l’ École des Mines.
Nel 1834 fu posto a capo del Commissione permanente di statistica
mineraria, nel 1840 divenne professore di Metallurgia all’École
des Mines.
Per quasi un quarto di secolo Le Play viaggiò nei vari paesi
d’Europa e raccolse una ingente quantità di materiale relativo alla
condizione sociale della classe operaia.
Nel 1855 pubblicò Les Ouvriers européens, che comprendeva 36
monografie sui bilanci di famiglie tipo selezionate tra le più diverse
industrie.
MODULO I
Parte III
Principali correnti del pensiero
antropologico
Sinossi delle principali correnti
del pensiero antropologico
•
•
•
•
•
•
•
•
•
L'evoluzionismo
Il diffusionismo
«Cultura e personalità»
La scuola socio-antropologica francese
La corrente dinamista
La corrente marxista
Il funzionalismo
Lo strutturalismo
Gli studi americani contemporanei: etnometodologia,
antropologia cognitivista, transazionalismo, ecologia culturale
L’evoluzionismo
-affonda le proprie radici nell’idea di Jean-Antoine-Nicolas-Caritat,
marchese di Condorcet (1743-1794) dell’unità psichica del genere umano
e del progresso della civiltà.
-si appoggia anche sulle concezioni trasformiste di J. B. Lamarck e sulle
ricerche sull’origine delle specie per selezione naturale di C. Darwin.
-Nella seconda metà del XIX sec. si comincia ad osservare anche nel
mondo sociale un passaggio dal semplice al complesso e un
miglioramento dei sistemi sociali (settori: economico, politico, religioso,
della parentela).
-Si afferma nella ricerca antropologica il tema delle sopravvivenze, che
documenta lo stadio arcaico delle società umane evolute.
Jean-Antoine-Nicolas-Caritat
De Condorcet
L'interesse principale di Condorcet fu la matematica (Sul calcolo
integrale, 1765; Saggi di analisi, 1768), considerata anche in vista
delle sue possibili applicazioni alle scienze sociali e morali, al fine di
individuare costanti in un mondo fino allora considerato soggetto a
variazioni imprevedibili (Saggio sull'applicazione dell'analisi alla
probabilità delle decisioni prese a maggioranza di voti, 1785 e
Quadro generale della scienza che ha per oggetto l'applicazione del
calcolo alle scienze politiche e morali, postumo).
In economia aderì alle teorie fisiocratiche, esposte nello scritto
Riflessione sul commercio dei grani (1768). La sua opera più celebre
è l'Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano,
prospetto di un'opera più vasta e incompiuta della quale restano solo
parti frammentarie pubblicate postume nel 1795.
De Condorcet (1)
«…Ma, se si considera questo stesso svolgimento nei suoi risultati,
relativamente agli individui che esistono nello stesso tempo in uno
spazio dato, e se lo si segue di generazione in generazione, esso ci offre
allora lo schema generale dei progressi dello spirito umano. Tale
progresso è sottoposto alle stesse leggi generali che osserviamo nello
sviluppo delle facoltà dei singoli individui, poiché è il risultato di tale
sviluppo, considerato nello stesso tempo in un gran numero di individui
riuniti in società. Ma il risultato che ogni istante presenta dipende da
quello risultante dagli istanti precedenti; e influisce su quello dei tempi
che ancora devono venire.[...]
C. Condorcet, Saggio di un quadro storico dei progressi dello spirito
umano, in Grande antologia filosofica, a cura di M.F. Sciacca, Milano,
Marzorati, 1968, vol. XIV, pp. 700-701, 706)
Jean Baptiste Lamarck
Jean-Baptiste Pierre Antoine de Monet cavaliere di Lamarck
(1744 -1829), naturalista e biologo francese, pubblicò nel 1809
Philosophie zoologique. In essa sosteneva che si sarebbe potuto
trovare un legame fra tutti i viventi, nel filo conduttore della
trasformazione/progressione che dalle forme più semplici di vita
aveva portato alle più complesse.
Lamarck è il precursore delle scienze evolutive, in quanto è stato
il primo scienziato a rivendicare la trasformazione dei viventi.
Contro le concezioni fissiste del suo tempo, egli affermò che gli
organismi viventi non sono immutabili, bensì si trasformano
ininterrottamente, per adattarsi all'ambiente e conseguire una più
efficiente capacità di sopravvivere; inoltre, le loro trasformazioni
si accumulano nel corso delle generazioni, determinando nuove
specie.
J. B. Lamarck (1)
Egli riteneva che dai cambiamenti dell'ambiente si determinasse nei
viventi un bisogno di modificazione e di adattamento e che, sotto la
spinta di un insieme di sensazioni recondite, gli esseri viventi
riuscissero a sviluppare organi specifici per l'adattamento.
La sua concezione di evoluzione si basava su due ipotesi:
1) l'ipotesi dell'uso e del disuso, per la quale la necessità di svolgere
una funzione fa sorgere e sviluppare nell'animale l'organo necessario,
che in seguito si svilupperà e si perfezionerà. Il disuso fa regredire
l'organo fino alla sparizione.
2) L’ipotesi dell'ereditarietà dei caratteri acquisiti, per cui ogni
vivente può trasmettere i caratteri sviluppati con l'uso o le regressioni
per il disuso.
Egli fa l’esempio della giraffa che sarebbe derivata da un’antilope
J. B. Lamarck (2)
La sua spiegazione delle modalità dell'evoluzione ebbe una influenza
enorme sia sulla biologia sia sulle scienze sociali.
Essa sembrò verosimile perché la stessa evoluzione psico-sociale
degli uomini è, in effetti, un processo di tipo lamarckiano, dove però
i caratteri socio-culturali acquisiti vengono trasmessi per via
esogenetica.
Il lamarckismo è continuato ufficialmente sotto varie forme, fino agli
anni trenta del secolo scorso, ad opera di alcuni grandi biologi e
filosofi come Edmond Terrier, Felix Le Dantec, Alfred Giard.
Charles Darwin
Charles Robert Darwin (1809 -1882) è stato un naturalista
inglese, celebre per aver formulato, assieme ad A. R. Wallace, la
teoria dell'evoluzione* delle specie animali e vegetali per
selezione naturale di mutazioni casuali congenite ereditarie
(origine delle specie), e per aver teorizzato la discendenza di tutti i
primati, uomo compreso, da un antenato comune (origine
dell'uomo).
Ha pubblicato la sua teoria sull'evoluzione delle specie nel libro
L'origine delle specie (1859), che è rimasto il suo lavoro più noto.
Ha raccolto molti dei dati su cui ha basato la sua teoria durante un
viaggio intorno al mondo sulla nave «Beagle», e in particolare
durante la sua sosta sulle Isole Galápagos.
* Il termine «evoluzione» fu coniato dal filosofo positivista H.
Spencer.
C. Darwin (1)
Darwin pubblicò nel 1859 la sua opera Sull'origine delle
specie, sotto l’influenza della lettura del Saggio sui principi
della popolazione (1798) di Thomas Malthus.
Malthus sosteneva che l'uomo si riproduce con troppa rapidità,
compromettendo la possibilità del miglioramento delle
condizioni di vita sulla Terra.
Tuttavia, la mancanza di spazio, il clima, la presenza di
predatori erbivori e carnivori limitano, sia nel mondo vegetale
che nel mondo animale, il numero degli individui che
diventeranno adulti, operando la selezione dei più adatti
all'ambiente.
C. Darwin (2)
Darwin elabora così la teoria dell’evoluzione ad opera della selezione
naturale, secondo la quale:
1. In ogni generazione il numero degli individui è costante.
2. Gli esseri viventi si riproducono in quantità superiore alle
disponibilità di nutrizione e di spazio vitale.
3. Si instaura una lotta per la sopravvivenza, il cui esito determina la
sopravvivenza dei più adatti.
4. In ogni specie esistono differenze che possono diventare ereditarie.
5. Alcune differenze sono favorevoli e permettono all'individuo di
sopravvivere, di riprodursi e di trasmettere i mutamenti utili.
6. Le piccole differenze possono diventare notevoli e determinare la
nascita di nuove specie.
7. Poiché le nuove specie, si riproducono e si sviluppano con rapidità, la
selezione naturale elimina le specie più antiche.
L’evoluzionismo (1)
-La corrente evoluzionistica svolge la ricerca antropologica,
individuando, nei gruppi umani sottoposti a indagine, uno sviluppo,
dall’arcaico all’evoluto, sulla base di un’idea teleologica di progresso e
dell’osservazione di fattori, ritenuti parametri predominanti
(fattore biologico, per Darwin; tecnologico per Morgan; economico per
Marx; spirituale per Frazer).
-Anche le tappe dello sviluppo individuate variano secondo gli autori:
Comte: stadio teologico, metafisico, positivo.
Ferguson, Morgan: stadio selvaggio, barbaro, civile.
Marx: società schiavista, feudale, capitalista, socialista.
- Le ipotesi evolutive, spesso azzardate, formulate a partire dalle
conoscenze documentarie, permettono di impostare la ricerca sui
cosiddetti anelli mancanti.
Lewis Morgan (1818-1881)
Giurista, è tra gli evoluzionisti americani di maggior rilievo. Pubblica
nel 1877, La società antica, in cui il cammino del’evoluzione segue
quello delle tecniche di sussistenza:
Fase selvaggia
Fase barbara - inizia con l’invenzione dell’agricoltura
Fase civile - inizia con l’avvio del commercio e dell’industria
1) Evoluzione dell’idea di governo (irochesi, aztechi, greci e romani)
2) Evoluzione della famiglia (consanguinea, punalua=consiste di una
serie di fratelli carnali e più lontani, coniugati con una serie
di sorelle carnali e più distanti, poligamia, poliandria,
matriarcato, patriarcato…)
3) Trasformazione della proprietà, fino alla proprietà privata
L. Morgan (1)
L’opera di Morgan ebbe una vasta eco anche per la risonanza che
le conferì il lavoro di F. Engels, L’origine della famiglia, della
proprietà privata e dello stato, (1884).
Morgan, infatti, secondo Engels, aveva riscoperto, a modo suo, in
America, quella concezione materialistica della storia che
quarant'anni prima era stata scoperta da Marx e che, nel raffronto
tra barbarie e civiltà, l'aveva portato, nei punti principali, agli
stessi risultati di Marx.
La concezione materialistica
«Secondo la concezione materialistica, il momento determinante della
storia, in ultima istanza, è la produzione e la riproduzione della vita
immediata. Ma questa è a sua volta di duplice specie. Da un lato, la
produzione di mezzi di sussistenza, di generi per l'alimentazione, di
oggetti di vestiario, di abitazione e di strumenti necessari per queste cose;
dall'altro, la produzione degli uomini stessi: la riproduzione della specie.
Le istituzioni sociali entro le quali gli uomini di una determinata epoca
storica e di un determinato paese vivono, sono condizionate da entrambe
le specie della produzione; dallo stadio di sviluppo del lavoro, da una
parte, e della famiglia, dall'altra. Quanto meno il lavoro è ancora
sviluppato, quanto più è limitata la quantità dei suoi prodotti e quindi
anche la ricchezza della società, tanto più l'ordinamento sociale appare
prevalentemente dominato da vincoli di parentela».
(F. Engels)
L’evoluzionismo (2)
Qualche giudizio
1) Costituisce una tappa decisiva nella costruzione della scienza
antropologica, fissandone alcune problematiche e il vocabolario
tecnico.
2) Non sono attendibili l’unilinearità e progressività dello sviluppo
umano, secondo le quali l’evoluzionismo vorrebbe realizzare un
corpus etnografico di tutta l’umanità e una tipologia intelligibile
di tutte le società.
3) La teoria della civilizzazione ha giustificato acriticamente
l’impresa coloniale.
Il Diffusionismo
Mira a studiare la distribuzione geografica dei «tratti culturali» (F.
Graebner, 1911, scuola austro-tedesca), attribuendo la loro presenza al
susseguirsi di prestiti da un gruppo all’altro (tema della circolazione dei
tratti culturali: itinerari, velocità e aree di diffusione, modificazioni,
ostacoli e condizioni favorevoli alla diffusione).
1) Scuola britannica panegiziana: dalla presenza planetaria di fattori di
somiglianza (p. es. le piramidi), si deduce l’orine egiziana di ogni
civiltà, 4000 anni fa.
2) Scuola austro-tedesca di F. Graebner e W. Schmidt, facente capo alla
rivista «Anthropos» e al «Kulturgeschichtliche Methode». Concetti di
Kulturcomplexe, Kulturkreis.
3) Scuola americana: con ricerche sul campo e ricostruzioni storiche a
raggio limitato, accumula dati esatti e quantitativi sulla circolazione
sociale e geografica, deperimento, modifica, combinazione e
dissoluzione degli elementi culturali
Franz Boas (1858-1942)
- E’ il fondatore della scuola antropologica americana: un gruppo di
brillanti ricercatori si formò intorno alla sua cattedra di statistica e
lingue indiane alla Columbia University di new York.
- Nel volume Race, Language and Culture (1940), opera lo
svincolamento della ricerca antropologica da schemi interpretativi
rigidi (p. es. comparativismo non sorretto da calcolo statistico delle
probabilità), affermando che gli elementi culturali non viaggiano in
blocco né una cultura relativamente integrata assorbe qualunque
elemento culturale.
- Egli considera la ricerca descrittiva dei fenomeni di diffusione solo
come preliminare allo studio dell’acculturazione e dei cambiamenti
culturali, di cui recupera il dinamismo interno e esterno.
- E’ fautore della ricerca sul campo e della descrizione di fatti umani
concreti come l’economia sfarzosa del potlach kwakiutl
«Cultura e personalità»
Si sviluppa negli anni Trenta negli Stati Uniti e si concentra sullo
studio del rapporto tra cultura e individui.
Infatti la cultura, intesa come il sistema dei comportamenti appresi
e trasmessi attraverso l’educazione, l’imitazione e il
condizionamento (inculturazione) in un determinato ambiente
sociale, influisce sulla formazione della personalità.
Margaret Mead (1901-1978), allieva di Boas e di Ruth Benedict,
studia in Oceania la coerenza tra i «patterns» (modelli) culturali e
il modo in cui l’educazione porta alla strutturazione della
personalità adulta normale.
P. es. osserva che nelle isole Samoa, la crisi adolescenziale non
esiste, a differenza degli Stati Uniti, e ciò grazie all’uso di metodi
educativi elastici, che seguono lo sviluppo dl bambino, a un
atteggiamento liberale nei confronti della sessualità e ad
un’assenza di responsabilità economiche.
Margaret Mead
Negli anni 1925-26 partì per l’isola di Tau, a Samoa, dove studiò lo
sviluppo delle ragazze adolescenti.
Il suo primo libro, L’adolescenza in Samoa (1928) mostrava come
l’adolescenza non dovesse essere necessariamente un periodo di
ribellione e di crisi. Le ragazze samoane, infatti, trascorrevano la loro
adolescenza come un periodo di sviluppo ordinato, che comprendeva
anche la libertà sessuale. La conclusione della Mead era che il disagio
adolescenziale non era naturale ma appreso, dovuto agli aspetti
culturali e non biologici. Il libro divenne un best seller e fu tradotto in
molte lingue.
In seguito uscì Crescere in Nuova Guinea dove la Mead rifiutava il
concetto che i primitivi fossero come dei bambini; sosteneva invece
che è la cultura a formare la personalità dell’individuo. Questo libro fu
acclamato come un contributo di importanza eccezionale alla teoria
dell’educazione.
M. Mead (1)
Nel 1944 fondò un Istituto per gli Studi Interculturali.
Dopo la guerra pubblicò Maschio e Femmina: uno studio sui sessi in
un mondo che cambia, che poneva a confronto gli atteggiamenti sui
ruoli sessuali della gente del Pacifico con quelli dei moderni
americani.
Era convinta che fossero fattori culturali a portare al razzismo, alle
intolleranze, alle guerre, a causa di pregiudizi appresi e non ricusati,
perciò i membri di una società potevano/dovevano lavorare insieme
per far evolvere le loro tradizioni e costruire nuove istituzioni:
«Never doubt that a small group of thoughtful, committed citizens
can change the world».
M. Mead (2)
In una società sempre più pessimista riguardo alle capacità
umane di incremento dell’umano, la Mead insisteva
sull’importanza di favorire e supportare tale capacità.
Si poteva imparare dagli altri popoli: le diversità umane sono
una grande risorsa, non un ostacolo e gli esseri umani sono tutti
in grado di apprendere ed insegnare l’un l’altro.
La socio-antropologia francese
Emile Durkheim
Emile Durkheim (1858-1917), che vuole considerare i fatti come
cose e ricava le tipologie per comparazione tra fenomeni in contesti
omogenei, mostra che i fenomeni socio-culturali non sono
spiegabili come espressioni di istinti o di scelte individuali
volontarie e consapevoli, ma in termini di rappresentazioni
collettive.
I concetti basilari della religione, come mana (forza), tabù
(divieto), totem (rappresentazione sacralizzata del clan), hanno la
loro origine nell' esperienza con cui gli uomini avvertono la forza e
la maestà del gruppo sociale e sono il prodotto di una sorta di mente
collettiva (Le forme elementari della vita religiosa, 1912).
Emile Durkheim
«La società non è una semplice somma di individui; al contrario,
il sistema formato dalla loro associazione rappresenta una realtà
specifica dotata di caratteri propri. Indubbiamente nulla di
collettivo può prodursi se non sono date le coscienze particolari:
ma questa condizione necessaria non è sufficiente. Occorre pure
che queste coscienze siano associate e combinate in una certa
maniera; da questa combinazione risulta la vita sociale, e di
conseguenza è questa che la spiega. Aggregandosi, penetrandosi,
fondendosi, le anime individuali danno vita ad un essere
(psichico, se vogliamo) che però costituisce un’individualità
psichica di nuovo genere».
(Le regole del metodo sociologico, V)
La socio-antropologia francese
(1)
Sulla linea dello studio delle rappresentazioni collettive, l'
allievo e nipote di Durkheim, Marcel Mauss (1872-1950), nel
Saggio sul dono (1924), individua, alla base dello scambio
arcaico il triplice obbligo, radicato nella mente umana, di dare,
ricevere e restituire, ossia un principio di reciprocità, da cui
dipendono le relazioni di solidarietà tra individui e gruppi,
mediante lo scambio di doni pregiati.
Il funzionalismo
-I fatti sociali, osservati sul campo sono contestualizzati e spiegati sulla
base delle funzioni,* che svolgono nell’intero e delle relazioni, che
intrattengono con gli altri elementi presenti.
-Si procede su 3 parametri principali:
1. utilità (A cosa serve?)
2. causalità (Per quali ragioni o scopi esiste?)
3. sistema (Come agisce l’interdipendenza degli elementi in un
insieme coerente e in equilibrio?)
* La nozione di funzione è usata in modo ampio:
come funzionalità (proibizione dell’incesto funzionale alla
circolazione delle donne nei vari segmenti sociali);
come processo (la famiglia nucleare è funzionale alla società
industriale, perché mobile);
come risultato (il partito democratico è funzionale alle classi popolari
perché ne raccoglie i voti).
Bronislaw Malinowski
(1884-1942)
Ha imposto il termine «funzionalismo» negli anni 1930/50 in Gran
Bretagna, dalla «London School of Economy», dove insegnava, prima di
tresferirsi negli Stati Uniti, a Yale.
M. intende la cultura come quell’apparato strumentale, che permette
all’uomo di risolvere i problemi concreti e specifici, relativi alla
soddisfazione dei bisogni elementari o primari, come la riproduzione, cui
risponde l’istituzione della parentela e derivati o secondari, come la
crescita degli individui promossa dall’istituzione educativa.
Egli privilegia la dimensione individuale, ritenendo che capire i bisogni
dei singoli componenti della società, le loro motivazioni e inclinazioni,
porta a capire i bisogni della società stessa.
R. K. Merton, in Teoria e struttura sociale (1949), gli rimprovererà
questo funzionalismo assoluto, che non dà conto dell’origine né della
trasformazione di una cultura.
B. Malinowski (1)
Nel suo primo lavoro, Argonauti del Pacifico Occidentale ( 1922), M.
rivoluziona i metodi di ricerca antropologica, accordando la priorità
all’indagine sul campo ed elaborando il metodo dell’osservazione
partecipante.
M. svolge un ruolo pionieristico nell’antropologia economica; studia,
infatti, lo scambio cerimoniale kula, tipico della Melanesia, in cui si
ricevono bracciali in cambio di collane di conchiglie e dove i beni di
prestigio (p. es. grossi tuberi ignami) circolano ritualisticamente e
secondo una reciprocità tra compagni di scambio abituali. Lo scambio
con l’obbligo di restituire almeno quanto ricevuto sigilla l’alleanza tra le
comunità.
B. Malinowski (2)
Le sue osservazioni sui melanesiani, inoltre, contribuirono alla
relativizzazione del complesso edipico.
Ne La vita sessuale nella Melanesia Nord-Occidentale (1929),
stimolato dalla lettura di Totem e tabù dello stesso Freud, dimostrò
concretamente l'estraneità dei modelli di società nonoccidentalizzati rispetto a tale teoria.
Il funzionalismo-Giudizi
- Mette con competenza l’accento sul sistema (olismo) rispetto agli
elementi (Raymond Boudon farà il contrario, ritenendo che siano i
singoli attori sociali a creare il gruppo con le loro transazioni e che le
leggi di funzionamento non siano identiche in tutte le
società=individualismo metodologico) .
- Ha investigato la maggior parte dei campi antropologici: vita
familiare, economia, magia, parentela, religione, politica…
-Il metodo funzionalista di indagine è estremamente fecondo, in
quanto conforme alla scientificità rigorosa che prevede:
. Ricerca empirica di dati concreti
. Comprensione delle relazioni
. Ricostruzione di una totalità a partire dallo studio delle
variabili e dei loro legami, delle loro correlazioni e
delle loro interazioni
Il funzionalismo-Giudizi (1)
-Nei sistemi sociali oltre alla dimensione determinista, colta e spiegata
funzionalmente, sul modello delle scienze naturali, c’è anche un livello
morale che richiede l’interpretazione dei significati soggettivi e
simbolici.
-C’è inoltre una storicità dei sistemi sociali che non può essere
trascurata, mentre il funzionalismo considera la società in modo
statico, non avendo gli strumenti per spiegare né l’origine né le
trasformazioni di una cultura o di un’organizzazione. Tale rimprovero
venne da parte della corrente dinamista di Gluckman e Balandier.
-C’è poi un difetto logico, nella misura in cui si pretende di applicare
la nozione di funzione sia ai fatti osservabili sia agli scopi presunti
oppure si fa prevalere una finalità di integrazione e di armonia, che è
invece da dimostrare di volta in volta.
Lo strutturalismo
-La nozione di «struttura» entra in antropologia accanto a quelle di
«funzione» e «processo», con l’opera di Alfred R. Radcliff-Brown,
Struttura e funzione nelle società primitive (1952), dove non è ben chiaro
se essa sia un concetto teorico o un dato di osservazione.
- Anche il sociologo Talcott E. Parsons (1902-1979) usa tale nozione. In:
La struttura dell’azione sociale (1937), afferma che l’azione è l’unità
elementare di cui si occupa la sociologia e richiede i seguenti elementi:
- l’attore, colui che compie l’atto;
- un fine verso cui è orientato l’atto;
- una situazione di partenza, in cui vi sono le condizioni ambientali,
sulle quali l’attore non ha possibilità di controllo, e i mezzi che invece
l’attore controlla e utilizza;
- un orientamento normativo dell’azione, che porta l’attore a preferire
certi mezzi ad altri e certe vie ad altre, tuttavia basandosi sul sistema
morale vigente nella sua società.
Talcott Parsons
Ne Il sistema sociale (1951), Parsons definisce il sistema come un
insieme interrelato di parti, che è capace di autoregolazione e in cui
ogni parte svolge una funzione necessaria alla riproduzione
dell’intero sistema.
Ogni sistema dev’essere in grado di svolgere almeno quattro
funzioni (secondo il celebre sistema AGIL):
•Adattamento all’ambiente; il sottosistema che svolge questa
funzione è il sottosistema economico.
•Definizione dei propri obiettivi; il sottosistema che svolge questa
funzione è il sottosistema politico.
•Conservazione della propria organizzazione; i sottosistemi che
svolgono questa funzione sono il sottosistema della famiglia e il
sottosistema della scuola.
•Integrazione delle parti componenti; il sottosistema che svolge
questa funzione è il sottosistema giuridico e il sottosistema religioso.
Sistema AGIL
Il paradigma sociologico indicato dall'acronimo AGIL è stato
introdotto da Talcott Parsons, come strumento di analisi di una
società e più in generale di un qualsiasi sistema sociale.
L'assunto base del paradigma, dal quale muove il sociologo
americano, nell'ambito della sua lettura in chiave funzionalista dei
sistemi sociali, è che ogni sistema per sopravvivere e svilupparsi
deve saper risolvere quattro classi di problemi funzionali richiamate
dalle quattro lettere dell'acronimo:
•A = Adaptation (funzione adattiva)
•G = Goal attainment (raggiungimento dei fini)
•I = Integration (funzione integrativa)
•L = Latent pattern maintenance (mantenimento del modello
latente)
Claude Lévi-Strauss
L'antropologo Claude Lévi-Strauss è stato colui che, con la sua
utilizzazione del modello della linguistica strutturale nelle indagini
sulle strutture della parentela e sui miti e con le sue teorie generali
sul concetto di struttura, ha più contribuito alla formulazione e alla
diffusione di quello che è stato chiamato strutturalismo .
Dal 1954 insegna Antropologia sociale al Collège de France.
Le sue opere principali sono: Le strutture elementari della
parentela (1949), Tristi tropici (1955), Antropologia strutturale
(1958), Il totemismo oggi(1962), Il pensiero selvaggio (1962,
dedicato a Merleau-Ponty), Mitologiche (4 voll.): Il crudo e il
cotto , 1964, Dal miele alle ceneri , 1966-67; L' origine delle
buone maniere a tavola , 1968; L' uomo nudo (1971);
Antropologia strutturale due (1973) e Lo sguardo da lontano
(1983).
Claude Lévi-Strauss (1)
«Che cos’è dunque l’antropologia sociale/culturale? Nessuno, mi
sembra, è stato più vicino a definirla […]di Ferdinand de Saussurre
quando, presentando la linguistica come una parte di una scienza ancora
da nascere, riserva a quest’ultima il nome di semiologia e le attribuisce,
come oggetto di studio, la vita dei segni in seno alla vita sociale. […]
Nessuno contesterà che l’antropologia annoveri nel proprio campo,
almeno certuni di tali sistemi di segni, ai quali si aggiungono molti
altri: linguaggio mitico, segni orali e gestuali di cui si compone il
rituale, regole di matrimonio, sistemi di parentela, leggi
consuetudinarie, talune modalità degli scambi economici. Intendiamo
quindi l’antropologia come l’occupante in buona fede di quel campo
della semiologia che la linguistica non ha ancora rivendicato come
proprio; in attesa che, almeno per certi settori di questo campo, non si
costituiscano scienze speciali all’interno dell’ antropologia».
Elogio dell’antropologia (in: Razza e storia e altri
studi di antropologia, Torino, Einaudi, 19087, p. 56)
Claude Lévi-Strauss (2)
Secondo Lévi-Strauss, la linguistica di Saussure rappresenta
«la grande rivoluzione copernicana nell' ambito degli studi dell'
uomo».
Analogamente alla linguistica come semiologia o studio-dei-segni,
si possono intendere le varie forme della parentela come una
concatenazione di segni, che rimandano a un’unica logica,
sottostante a tutti i sistemi di parentela al di là della loro varietà.
Obiettivo della sua opera, Le strutture elementari della parentela,
sarà pertanto ricercare la struttura invariante rispetto alla quale le
forme della parentela sono tutte trasformazioni.
Claude Lévi-Strauss (3)
Alla base di tutti i sistemi matrimoniali è, secondo Lèvi-Strauss, la
proibizione dell' incesto, la quale impedisce l' endogamia: l' uso di
una donna, vietato all' interno del gruppo parentale, diventa
disponibile ad altri.
Grazie alla proibizione dell' incesto è reso allora possibile lo scambio
di un bene pregiato, le donne, tra gruppi sociali e quindi lo
stabilimento di forme di reciprocità e di solidarietà che garantiscono
la sopravvivenza del gruppo (cfr. Durkheim-Mauss).
Sono queste le relazioni invarianti necessarie in ogni società, alla
luce delle quali diventa possibile studiare le varie forme che
assumono le relazioni di parentela, individuando due categorie
essenziali di sistemi matrimoniali, quello a scambio limitato, tra
cugini, di tipo prescrittivo, e quello a scambio generalizzato, di tipo
preferenziale.
Claude Lévi-Strauss (4)
L' antropologia, alla pari della geologia, della psicanalisi, del
marxismo e soprattutto della linguistica, diventa in tale modo scienza
capace di cogliere le strutture profonde, universali, a-temporali e
necessarie, al di là della superficie degli eventi, che è sempre
ingannevole, e al di là dell' apparente arbitrarietà degli elementi che
costituiscono ogni società.
A queste strutture si accede non attraverso la descrizione puramente
empirica delle varie situazioni di fatto, ma mediante la costruzione di
modelli. Essi sono sistemi di relazioni logiche tra elementi, sulle quali
è possibile compiere esperimenti, ossia trasformazioni, in modo da
individuare ciò che sfugge all' osservazione immediata.
Claude Lévi-Strauss (5)
Dalla scuola durkheimiana, Lévi-Strauss riprende l' idea della
natura psichica dei fatti sociali:
questi sono sistemi di idee oggettivate, che nel loro insieme
costituiscono lo spirito umano nella sua universalità;
ma questi sistemi non sono elaborazioni consce, bensì inconsce.
Il fondamento ultimo è dato dallo spirito umano inconscio, che si
rivela attraverso i modelli strutturali della realtà.
Obiettivo dell' antropologia diventa allora la contemplazione dell'
architettura logica dello spirito umano, al di là delle sue molteplici
manifestazioni empiriche.
Claude Lévi-Strauss (6)
L' attività inconscia collettiva tende a privilegiare una logica binaria,
ossia una logica che costruisce categorie mediante contrasti o
opposizioni binarie e che presiede alla costruzione dei miti.
I miti secondo Lévi-Strauss, non sono espressioni di sentimenti o
spiegazioni pseudoscientifiche di fenomeni naturali o riflessi di
istituzioni sociali, ma non sono neppure privi di regole logiche.
Come è possibile spiegare il fatto che i contenuti dei miti sono
contingenti e appaiono arbitrari, eppure presentano forti somiglianze
nelle diverse regioni del mondo?
La risposta secondo Lévi-Strauss, sta nel fatto che il mito è l'
espressione dell' attività inconscia dello spirito umano e si struttura
come un linguaggio.
Claude Lévi-Strauss (7)
Gli elementi della riflessione mitica si collocano a metà tra le immagini
connesse alla percezione e i concetti, cosicchè il pensiero mitico resta
legato a immagini, ma, lavorando con analogie e paragoni, può dare
origine a generalizzazioni e costruire nuove serie combinatorie degli
elementi di base, che restano costanti.
Di tali strutture, il pensiero mitico si serve per produrre un oggetto che
abbia l' aspetto di un insieme di eventi, ossia un racconto.
In particolare, il sistema mitico e le rappresentazioni che esso suscita
stabiliscono correlazioni tra condizioni naturali e condizioni sociali ed
elaborano un codice che permette di passare da un sistema all' altro di
opposizioni binarie pertinenti a questi piani.
Il materiale è fornito dalle classificazioni, per esempio di animali e
vegetali, che hanno tanta parte nel pensiero primitivo: esse non sono solo
legate all' esigenza pratica di permettere un miglior soddisfacimento dei
bisogni, ma nascono dall' esigenza intellettuale di introdurre un principio
di ordine nell' universo.
Claude Lévi-Strauss (8)
In questo senso, Lévi-Strauss rivendica, ne Il pensiero selvaggio, l'
esistenza di un autentico pensiero anche nei primitivi; esso è alla
base di ogni pensiero e non è una mentalità pre-logica,
esclusivamente caratterizzata da una partecipazione affettiva e
mistica con le cose, nettamente distinta dal pensiero logico, come
aveva sostenuto Lucien Lévi-Bruhl (1857-1939).
L' unica differenza, secondo Lévi-Strauss, è data dal fatto che il
pensiero "selvaggio", quale si esprime anche nei miti, è più legato
all' intuizione sensibile e, quindi, più attento a salvaguardare la
ricchezza e la varietà delle cose e a memorizzarla.
Claude Lévi-Strauss (9)
L' ultimo capitolo de Il pensiero selvaggio è una polemica contro la
Critica della ragion dialettica di Sartre. Definendo l' uomo in base
alla dialettica e alla storia, Sartre ha di fatto privilegiato, secondo
Lévi-Strauss, la civiltà occidentale, isolandola dagli altri tipi di
società e dai popoli "senza storia".
In Razza e storia, Lévi-Strauss aveva riconosciuto che ogni società
vive nella storia e muta, ma che diversi sono i modi in cui le varie
società reagiscono a ciò. Le società primitive hanno subito
trasformazioni, ma in seguito resistono a tali modificazioni : in
questo senso, esse sono società fredde, ossia con un basso grado di
temperatura storica, e la loro storia è fondamentalmente stazionaria.
Esse si distinguono dunque dalle società calde, come quella
occidentale, perennemente in divenire e caratterizzate da una stria
cumulativa, le quali hanno come costo della loro instabilità i
conflitti.
Claude Lévi-Strauss (10)
In prospettiva, Lévi-Strauss auspica una integrazione tra questi
due tipi di società e le corrispondenti forme di cultura e di
pensiero.
Egli rifiuta, dunque, ogni forma di etnocentrismo, in quanto ogni
cultura realizza soltanto alcune delle potenzialità umane.