La scuola a Roma - Liceo Classico D`Annunzio

Download Report

Transcript La scuola a Roma - Liceo Classico D`Annunzio

Realizzato da:
Francesca Mannias
Valentina Pettiniccchio
Greta Crisante
Ilaria Cascella
Chiara Di Loreto
• l termine scuola deriva
dalla
parola latina schola,che
a sua volta deriva da un
termine greco,che
significava inizialmente
"tempo libero", per poi
indicare un "luogo di
lettura", fino a
descrivere il luogo
d'istruzione per
eccellenza.
La prima educazione
spettava essere impartita
dal padre che si occupava
dell’insegnamento della
scrittura e della lettura.
Papà Catone
• Un esempio è infatti
Catone che si affrettava a
tornare a casa prima che
il figlio facesse il bagno o
andasse a dormire, e in
più Catone, oltre agli
insegnamenti di base,
aggiungeva NUOTATE
PADRE E FIGLIO,
PASSEGGIATE A
CAVALLO O LANCIO
DEL GIAVELLOTTO.
Nostante Catone
fosse un uomo
politico e
particolarmente
impegnato si
prestò molto
nell’impartire
un’educazione al
figlio.
• Un padre ricco poteva servirsi di un liberto o comperare uno
schiavo colto perché facesse da precettore al figlio; altrimenti a
sette anni il ragazzo veniva mandato a scuola
• Per cinque anni l’allievo imparava a leggere a fare di conto
(addizioni sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni fatte con l’aiuto di
un abaco).
• A dodici anni il ragazzo iniziava lo studio, a casa o a scuola, della
letteratura sotto la guida di un grammatico, generalmente greco,
dell’Asia o di Egitto. Gli allievi dovevano arrivare a parlare, a
leggere e a scrivere il greco correttamente come il latino.
• Il ragazzo diventava ufficialmente uomo a 17 anni. Deponeva
allora la "bulla" e la toga praetexta con un fregio rosso, per
indossare la toga tutta bianca o toga virilis. Ormai era un cittadini
che doveva prestare servizio nell’esercito.
• I precetti paterni (praecepta paterna)
consistevano nel fornire consigli
tramandati da padre in figlio ed erano di
tipo:
MORALE
POLITICO
PRATICO
SOCIALE
L’assunzione di precettori apparirebbe come
un lusso; i bambini che ne potevano
beneficiare appartenevano alle classi sociali
più privilegiate. Inoltre si trattava di un
educazione di livello intellettuale e culturale;
ciò farebbe supporre una base di conoscenze
elementari, che potevano essere date anche
nell’ambito della famiglia. Ma questa istruzione
più pratica di livello inferiore era oggetto di una
più ampia richiesta, perché era riconosciuto
che i bambini dovessero necessariamente
imparare a leggere e scrivere, a contare, a
misurare e a calcolare. A questo scopo, i
genitori che non avevano il tempo, la
propensione o la capacità d’impegnarsi
direttamente nell’insegnamento ed erano privi
di un’opportuna assistenza, erano soliti inviare
i figli a una scuola elementare.
Le origini e il primo sviluppo di scuole
elementari a Roma sono oggetto
d’ipotesi, nessuna delle quali consente di
stabilire con certezza la verità dei fatti.
Gli storici Livio e Dionisio, ricordano che
vi erano scuole elementari nel Foro verso
la metà del V secolo a.C. ma non
possiamo essere sicuri che questi due
scrittori avessero prove fondate per
dimostrare quanto affermavano. Più
esplicito invece è Plutarco. in una
sezione di quella raccolta intitolata
“Questioni romane”, egli afferma che
l’insegnamento fu considerato come un
servizio di grande prestigio; “perché
s’insegnava soltanto ai propri amici e
parenti. Solo recentemente si è
incominciato a insegnare per averne un
compenso ed il primo ad aprire una
scuola fu Spurio Carvilio”. In un’altra
sezione ricordo che lo stesso Carvilio
introdusse per primo la lettera G
nell’alfabeto latino.
Non tutti i bambini che giocavano insieme erano i figli nati
liberi della famiglia. Vi era generalmente, tra loro, almeno
un bambino schiavo, nato o da schiavi di famiglia, che
vivevano insieme in quella libera forma di concubinato
chiamata contubernium, oppure avuto da una schiava
della famiglia da qualche cittadino di libera condizione. I
figli nati liberi erano conosciuti come “padroncini”, mentre
il bambino schiavo era detto verna o vernula, cioè “nato
in casa” o “nativo”, per distinguerlo dagli schiavi di origine
straniera o acquistati in altro modo. Era un indizio
riconosciuto della prosperità di una famiglia che questa
avesse diverse vernae; nelle grandi famiglie urbane essi
divennero molto numerosi. Fin dai primi tempi essi
acquistarono un posto particolare negli affetti della
famiglia romana. Il costume di allevare i vernae insieme ai
bambini nati liberi sopravvisse per tutto il periodo
imperiale.
allo schiavo nato in casa non si insegnava sempre a leggere e scrivere,
spesso gli veniva fatto apprendere qualche lavoro manuale, ma egli rientra
nel quadro dell’educazione per due motivi:
1. Quando era ancora molto giovane
poteva divenire uno degli schiavi che
accompagnava il giovane padrone
a scuola. Divenuto grande a lui
erano affidati i figli del padrone. Egli
era incaricato di accompagnarli a
scuola e di ricondurli a casa. In
quanto “pedagogo” egli poteva
rimanere con il bambino affidatogli
anche durante le lezioni,
acquistando anch’egli utili
conoscenze.
2.
Qualsiasi schiavo acquistava un
2. Qualsiasi
schiavo se
acquistava
valore maggiore,
diveniva un
letterato.
Catone se
aveva
escogitato il
valore
maggiore,
diveniva
sistema di comprare schiavi, di farli
letterato. Catone aveva escogitato
istruire da un maestro, per poi
il sistema
comprare
schiavi,
rivenderli di
a prezzo
più alto;
ma a di
volte
egli consentiva
all’insegnante
farli
istruire
da un maestro,
per poi
di beneficiare del suo lavoro
rivenderli a prezzo più alto; ma a
accreditandogli la somma
volte
egli consentiva
all’insegnante
corrispondente
all’aumentato
valore
tratteneva con
lo lavoro
schiavo ormai
di ebeneficiare
del sé
suo
divenuto istruito.
accreditandogli la somma
corrispondente all’aumentato valore
e tratteneva con sé lo schiavo ormai
divenuto istruito.
• per proteggere loro dai pericoli sia fisici che morali;
• aiutavano i genitori a instillare nei bambini il senso
del giusto e dell’ingiusto e tutti i dettagli di una
condotta appropriata;
• potevano rimanere presenti anche loro alle lezioni e
al ritorno a casa potevano interrogare i ragazzi e farsi
ripetere ciò che avevano imparato;
• proteggevano i bambini, soprattutto nell’ultimo mezzo
secolo della repubblica, per le strade divenute ormai
teatro di disordini e di eccidi e nemmeno le case erano
sicure;
• avevano l’incarico d’insegnare le norme generali
dell’educazione e d’inculcare nei bambini le buone
maniere tradizionali in casa e fuori;
• accompagnavano i giovani dovunque questi
dovessero andare;
• grazie a loro i ragazzi di Roma iniziavano a capire e
a parlare il greco.
Quando a un “pedagogo” veniva
finalmente concessa la libertà, egli
cercava un impiego in cui utilizzare le
sue precedenti esperienze. Un tale
impiego egli poteva trovarlo, nel
periodo imperiale, in una delle grandi
istituzioni destinate all’istruzione,
chiamata paedagogia, che esistevano
nelle abitazioni di famiglie ricche e nel
palazzo imperiale. Si trattava di
istituzioni ben organizzate, che
avevano lo scopo di soddisfare la
richiesta si un’adeguata istruzione ai
giovani schiavi, di cui si aveva
bisogno per l’ampia gamma di
compiti domestici all’interno di
famiglie molto grandi. Questi ragazzi,
di età tra i dodici e i diciannove anni,
erano chiamati paedagogiani.
Studiando a spasso per Roma...
Cercare un luogo dove
insegnare
Fino a che Vespasiano non cominciò e provvedere a
nomine ufficiali per l’insegnamento della retorica, lo
Stato non ebbe alcun interesse nel finanziare l’istruzione
pubblica.
L’ambiente nel quale lavorava il maestro poteva variare
molto a seconda delle sue condizioni personali dato che
viveva solamente grazie ai suoi onorari.
Se non aveva abbastanza denaro per affittare un luogo
insegnava anche all’aria aperta o nella propria
abitazione. La miglior soluzione restava però quella di
assicurarsi un posto nel Foro
Insegnante all’aperto
I suoi alunni dovevano provenire dalle classi più povere
e il compenso era presumibilmente molto scarso. Non
poteva permettersi un posto riservato e perciò cercava di
stabilirsi dove poteva attirare il maggior numero di
alunni. Poteva capitare che il maestro raccogliesse il suo
piccolo gruppo di alunni sotto i portici pubblici.
I maestri più agiati delle elementari,
seppur si trovavano ad un basso
livello, aspiravano ad una
sistemazione più regolare. Allo
stesso modo cercavano di fare i
retori e i grammatici. Alcuni
preferivano comunque ospitare i
propri alunni nelle loro case.
Pochi grammatici erano fortunati e
possedevano una villa che
costituiva un ambiente piacevole
e tranquillo per i figli di famiglie
ricche.
A Roma la maggior parte dei maestri non aveva a
disposizione luoghi così confortevoli perciò era
costretta ad insegnare in mezzo alla folla e ai
rumori della città.
Molti prendevano in affitto una bottega e la
trasformavano ad uso scolastico
Sembra però più probabile che le prime sedi
scolastiche fossero delle costruzioni
improvvisate, coperte con tessuto per tende.
Altri maestri insegnavano in una pergula che
rappresentava un’estensione degli edifici a volte
provvista di tende per
difendersi dagli sguardi
indiscreti dei passanti. E’
possibile anche che la
pergula fosse una stanza
o una soffitta sulla bottega
dove viveva lo stesso
negoziante, ma la sua
etimologia fa pensare a
un prolungamento
dell’edificio.
Un edificio simile alla
pergula è il maenianum,
costruito su un portico.
LE SCUOLE DI RETORICA E I LORO CRITICI
Raffaello Sanzio (1483 - 1520) "La scuola di Atene” (1509-1510) Palazzi Vaticani a Roma
La retorica dal greco ῥητορικὴ τέχνη, rhetorikè téchne, «arte del dire» è l’arte del parlar bene.
La retorica è l’arte di persuadere mediante i discorsi.
L’arte della retorica, creazione dei Greci, tardò ad essere accettata dai Romani. Supponiamo che gli studi
retorici venissero intrapresi sotto la guida di un precettore privato in casa propria.
Nel 161 a.C. un decreto del Senato ordinava l’espulsione dei retori e dei filosofi.
Nel 92 a.C. un editto dei Censori sopprimeva l’insegnamento organizzato dei “retori latini”.
I Romani temevano che l’insegnamento dei retori potesse produrre effetti negativi: i Greci erano troppo
ingegnosi perché potessero meritare fiducia!
Ciò nonostante l’insegnamento retorico cominciò ad essere impartito con sempre crescente richiesta soprattutto
da parte dei giovani, specialmente giovani avvocati che aspiravano di ottenere il pubblico riconoscimento.
I TECHNAI O “MANUALI PROFESSIONALI”
Al tempo dei due più grandi oratori della Repubblica,
Licinio Crasso (140-91 a.C.) e M. Antonio (143-87 a.C.), Roma poté disporre non solo di un ampio
numero di maestri e di retori, ma anche di molte scuole ufficiali.
Tali scuole erano nelle mani dei Greci.
L’insegnamento dell’arte oratoria si impartiva
sistematicamente facendo imparare a memoria
e mettendo in pratica le relative norme. Il loro
insegnamento era basato su libri di testo, o
“manuali professionali” (technai), compilati da
“tecnografi” ad uso degli studenti.
Manuali di questo genere erano
già stati in uso presso i Greci,
per generazioni e generazioni.
Aristotele ne aveva raccolto una
collezione di quelli ancora
esistenti ai suoi tempi.
I manuali
classificavano i vari tipi
di oratoria:
• deliberativa
• epidittica
• giudiziaria
e proponevano norme
per ciascun tipo, con
particolare attenzione
a quello giudiziario.
distinguevano i vari
elementi dell’oratoria:
• la inventio, cioè gli
argomenti
• la dispositio,
• l’ elocutio, o stile
• la memoria, cioè il
ricordare gli elementi
• la pronuntiatio, cioè il
modo di esporli.
Aristotele
Stagira, 384 a.C.
Calcide, 322 a.C.
davano le relative
norme per le parti costitutive
di una orazione:
• introduzione
• esposizione del fatto
• prove e confutazioni
• perorazione finale.
MANUALI IN LINGUA LATINA
I Romani avevano un atteggiamento critico verso i retori di professione e ai loro manuali. Era del
tutto naturale, per loro, in quanto cittadini di alto rango, guardare in modo sprezzante chi
insegnava dietro compenso, e, in quanto uomini di cultura, deplorare i metodi dogmatici e privi di
fantasia dei maestri contemporanei.
Il greco Ermagora di Temno idealizza quattro
punti qualificanti del discorso:
• coniecturae (sulla realtà dell’azione
commessa),
• definitionis (sulla definizione giuridica del
fatto),
• qualitatis (sulla passibilità della pena),
• translationis (sulla legittimità e la
competenza).
Cicerone riconosceva
che questo modo di
affrontare il problema
era valido, ma trovava
Ermagora insufficiente
per quanto riguardava
lo stile. Solo dal I sec.
a.C. si cominciarono a
scrivere manuali di
questo genere in latino.
Marcus Tullius Cicero
Arpino 106 a.C.
Formia 43 a.C.
Il trattato ciceroniano De Inventione ( elemento dell’arte oratoria), fu un’opera giovanile del
grande oratore, da lui successivamente ripudiata perché voleva sostituirla con una più colta e più
ampia. Nel 55 a.C. Cicerone scrive De Oratore, opera in tre libri sottoforma di un dialogo dal vero
di Crasso, Antonio ed altri interlocutori. Essi criticavano i retori greci perché questi non avevano
esperienza né dei dibattiti politici di Roma né delle pratiche dei suoi tribunali e perché erano
uomini che “insegnano agli altri ciò che essi non hanno sperimentato”.
L’oratore Antonio era particolarmente qualificato per affermare il valore dei manuali di retorica,
perché ne aveva esaminato personalmente un gran numero, da quelli della collezione di Aristotele a
quelli del suo tempo.
Antonio sottolinea l’importanza di ricorrere a sollecitazioni di carattere emotivo anche durante la
discussione o nelle digressioni, e non soltanto, come erano soliti suggerire i retori, nella
“perorazione finale”.
SCUOLE LATINE DI RETORICA A ROMA
Nel 94 a.C. a Roma fu aperta, da parte di Plozio Gallo, la scuola dei Rhetores Latini, che si
proponeva di impartire una formazione retorica in latino: l’insegnamento trascurava lo studio
degli oratori greci e si concentrava sulla tradizione oratoria nazionale. e così egli attrasse
schiere di alunni. Venivano forniti i rudimenti di un’eloquenza aggressiva, di oratori specializzati
nell’accusa, che poteva rappresentare una scorciatoia per l’ascesa politica e l’inserimento sociale
a Roma. La sua istituzione venne sentita come un atto di ostilità nei confronti del senato e la
scuola ebbe una durata brevissima, dato che nel 92 a.C. ne venne decretata la chiusura: “taluni
hanno introdotto un nuovo genere di insegnamento, e che la gioventù va alle loro scuole, e che lì i
giovani oziano intere giornate”. La decisione di chiudere la scuola dei Rhetores Latini sembra
stroncare sul nascere i timidi sviluppi di un’arte retorica in latino; in realtà alcune delle istanze
della scuola di Plozio Gallo continuano ad agire nella produzione manualistica posteriore.
Nella scuola di Plozio Gallo, gli studenti
pronunciavano a voce alta i discorsi di
esercitazione. Lo scopo era quello di sviluppare
non solo la fermezza della voce ma anche una
efficace modulazione per accrescerne la
sonorità e la potenza.
Questi esercizi vocali erano conosciuti presso
i Greci col nome di anaphonensis (innalzamento
della voce), questa parola fu latinizzata col
termine declamatio (declamazione).
Agli oratori romani, come Crasso e Antonio, non
piacevano i pubblici oratori che gridavano:
l’atto stesso del gridare era ritenuto poco
signorile.
Nel De oratore di Cicerone, Antonio distingue
tre categorie di studenti:
• l’individuo veramente dotato, che deve essere
anche un buon cittadino (vir bonus);
• lo studente mediocre, che deve essere
destinato ad un’altra professione;
• colui che “grida al di là di ogni norma di buona
educazione”.
INSEGNANTI DI RETORICA
Negli ultimi anni della Repubblica, gli insegnanti di retorica furono insignificanti, diversi dagli
interlocutori del De Oratore di Cicerone. Furono di bassa origine o di scarso temperamento, ma
dovettero possedere una certa abilità se riuscirono ad innalzarsi fino a posizioni di rilievo.
L. Voltacilio Ploto
Era un liberto che si era sollevato
dall’umiliante occupazione servile
di portinaio tenuto alla catena,
aveva trovato la possibilità di
educarsi ed era stato messo in
libertà grazie al suo ingegno. Nella
sua scuola di retorica ebbe
Pompeo tra i suoi allievi.
Sesto Clodio
Siciliano di origine, insegnò retorica sia in latino
che in greco. Fu “un uomo gretto di vedute e
tagliente di lingua”, che divenne intimo di
Antonio. Secondo Cicerone, i due, erano
ubriaconi incalliti, che praticavano l’arte della
declamazione per far svanire i fumi del vino.
M. Epidio
Sebbene questo maestro avesse
tra i suoi discepoli Marco Antonio
e Ottaviano (ed anche secondo
una testimonianza Virgilio), fu
denunciato, una volta, come
calunniatore.
Timagene
Originario di Alessandria, fu portato a Roma
come prigioniero di guerra nel 55 a.C. Per
qualche tempo fu impegnato in occupazioni
servili, prima come cuoco, poi come scaricatore
di immondizie. Poi, dopo essere stato
affrancato, aprì una scuola di retorica e
divenne un declamatore notoriamente efficace.
Alcuni retori facevano sì che la retorica divenisse disgiunta dalla pratica effettiva dell’oratoria.
Si impose l’influenza autorevole di una persona che agì nella direzione opposta, verso un concetto
di gran lunga più equilibrato e più liberale dell’educazione oratoria: questa persona fu Cicerone.
•
•
Statua di Orbilio a Benevento
La vita degli studenti cominciava
molto presto:alle sei del mattino
cominciava la scuola.una volta arrivati
a “scuola i ragazzi, dopo aver deposto
i mantelli,andavano a rassettarsi in una
stanza chiamata proscholium.
I ragazzi sedevano su delle panche e
non avevano neanche scrittoi: usavano
semplicemente le ginocchia come
piano di appoggi, i maestri al contrario
sedevano in una sedia dall’alto
schienale (cathedra) ed avevano in
mano una bacchetta impiegata come
un scettro che permetteva loro di
punire i fanciulli.
Per lo studio dei testi letterari si ricorreva al
papiro. I due bordi estremi erano legati
saldamente a due aste cilindriche, ma essendo
lungo parecchi centimetri il lettore doveva essere
molto attento nel srotolarlo.La scrittura era
disposta in colonne ma per trascrivere un brano,
visto che le mani erano occupate nel tenerlo
aperto, serviva un’altra persona che scriveva.
•
Gli strumenti scrittorii venivano messi in una theca(l’attuale astuccio).Le
penne venivano chiamate(calamus) dato che, originariamente erano ricavate
dalle canne ma in alternativa c’erano anche quelle in bronzo.Per cancellare sul
papiro si adoperava una spugna e l’inchiostro si ricavava dalla seppia. Oltre al
papiro si scriveva anche su avorio,pergamena, cocci e tavolette di cera o di
legno.
•
•
Molti studiosi presuppongono che
gli esami o come li chiamiamo noi
oggi le verifiche già esistevano
nell’antica Grecia.Gli alunni in
genere venivano divisi in due
gruppi, quello dei più “lenti e
quello dei più” svelti,come la loro
educazione procedeva, ricevevano
delle lodi.
Alla fine di ogni anno gli alunni si
esibivano davanti a dei giudici e
alle loro famiglie e mostravano ciò
che avevano imparato:nell’abilità
atletica nella letteratura ed anche
nella musica.
Grammaticus:ha il compito di dare
un’infarinatura generale agli allievi partendo
dai testi poetici e toccando anche argomenti di
astronomia,metrica della musica,matematica e
geografia
Rhetor:insegna a
I maestri
Ludi magistri(litteratores): una categoria
che si trova molto in basso nei gradini della
società e sono considerati come maestri
di”strada”,retribuiti dai genitori degli alunni.
ragazzi benestanti
di 15-16
anni,facendo
apprendere loro le
regole d’oro
dell’eloquenza per
prepararli alla
carriera nella vita
pubblica
Arrivederci
Roma….