Presentazione Ipermondo

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Transcript Presentazione Ipermondo

Presentazione del volume di
Vanni Codeluppi:
Ipermondo.
Dieci chiavi per capire il presente,
Roma-Bari, Laterza, 2012.
Vanni Codeluppi
Sociologo, si occupa principalmente di consumi, media e
cultura di massa. È docente presso la Facoltà di Scienze
della comunicazione e dell’economia dell’Università di
Modena e Reggio Emilia, dopo aver insegnato nelle
Università di Urbino, Palermo e IULM di Milano. Tra le
sue numerose pubblicazioni: Consumo e comunicazione
(Franco Angeli 1989); Il potere della marca (Bollati
Boringhieri 2001); Che cos’è la moda (Carocci 2002); La
vetrinizzazione sociale (Bollati Boringhieri 2007); Il
biocapitalismo (Bollati Boringhieri 2008); Tutti divi.
Vivere in vetrina (Laterza 2009); Il ritorno del medium
(Franco Angeli 2011); Stanno uccidendo la tv (Bollati
Boringhieri 2011).
Premessa:
Definire la nostra epoca
Definire la nostra epoca
Provare a descrivere l’epoca in cui stiamo vivendo
non è un’operazione semplice. Appare difficile infatti
anche solo individuare un termine per definirla.
Come è noto, le epoche storiche sono solitamente
denominate secondo una tradizionale, quanto
convenzionale, linea del tempo:
La convenzionale linea del tempo
Nascita di Cristo
II
I
I
II
476
III
IV
V
1492
VI
VII VIII IX
a.C.
X
XI
1815
Oggi
XII XIII XIV XV XVI XVIIXVIII XIX XX XXI
d.C.
Età moderna
Età antica
Età contemporanea
Medioevo
Alto
Basso
Definire la nostra epoca
Siamo soliti dunque definire genericamente la nostra
epoca “età contemporanea”.
Appare però evidente che un periodo storico che
copre circa due secoli e attraversa profonde
trasformazioni sociali non può essere definito sotto
un’unica ‘etichetta’.
Per questo motivo storici, filosofi e sociologi da
alcuni anni a questa parte hanno coniato nuovi
termini per cercare di definire e descrivere i tratti
caratteristici del presente.
Definire la nostra epoca
Tra le numerose definizioni adottate, ricordiamo
le seguenti:
• Società postmoderna (Lyotard, 1979)
• Seconda modernità (Beck, 1986)
• Modernità riflessiva (Giddens, 1991)
• Surmodernità (Augé, 1992)
• Modernità liquida (Bauman, 2000)
Lyotard
Jean-François Lyotard (1924 – 1998)
La Condition postmoderne: rapport sur le
savoir (1979); tr. it.: La condizione
postmoderna: rapporto sul sapere, Milano,
Feltrinelli, 1981.
Lyotard ritiene che alla modernità sia
subentrata un’epoca definita
“postmoderna”.
La modernità
•
•
•
•
•
Economia di mercato e capitalistica.
Accentuata urbanizzazione.
Stato nazione.
Razionalizzazione.
Secolarizzazione.
La modernità
• Credenza nelle visioni onnicomprensive
e legittimanti (grandi narrazioni).
• Culto del nuovo (uso della categoria del
superamento).
• Dominio della natura ed esaltazione
della scienza.
• Uso della categoria di unità e totalità.
Postmodernità
• Relativismo etico.
• Esaltazione del soggettivismo.
• Flessibilità e frammentazione
socioculturale.
• Condizione di perenne dinamismo e
cambiamento sociale.
Postmodernità
• Sfiducia nelle grandi narrazioni
(illuminismo, idealismo, marxismo).
• Rifiuto dell’enfasi del nuovo.
• Abbandono dell’idea di progresso
necessario.
• Rifiuto della mentalità scientista.
• Ricorso al paradigma della molteplicità.
• Pratiche incentrate sulla differenza e sulla
frammentazione.
Beck
Ulrich Beck (1944)
Risikogesellschaft (1986); tr. it.: La società del rischio,
Roma, Carocci, 2000.
Beck distingue una prima e una seconda modernità.
Prima modernità  dalla nascita del capitalismo
industriale fino alla seconda guerra mondiale.
Seconda modernità  dagli anni Cinquanta ad oggi.
Prima modernità
•
•
•
•
Espansione economica.
Scoperte scientifiche.
Innovazioni tecnologiche.
Nascita di una nuova classe sociale: la classe
operaria.
• Organizzazione sociale e orizzonte di
credenze religiose di carattere premoderno
(sostanziale conservazione di tradizionali
appartenenze culturali, identità di genere e
strutture familiari).
Seconda modernità
• Crisi delle antiche certezze.
• Confronto con le conseguenze dell’esaurimento
delle risorse esterne e interne.
• Presenza sempre più ingestibile di effetti
collaterali dell’industrialismo (scorie radioattive,
rifiuti tossici etc.).
• Necessità di rimediare agli effetti collaterali che la
razionalità economica può produrre e necessità di
valutare prima le possibili conseguenze negative
di scelte da fare.
Giddens
Anthony Giddens (1938)
Modernity and Self-Identity. Self and Society in the
Late Modern Age (1991); tr. it.: Identità e società
moderna, Napoli, Ipermedium, 1999.
Giddens parla di “modernità radicalizzata” e/o
“modernità riflessiva” per descrivere la tendenza delle
società odierne a estremizzare tendenze già in atto fin
dalla prima fase della modernità.
Modernità riflessiva
1.
2.
3.
4.
Dinamismo della società in virtù
dell’azione di quattro attori collettivi:
Movimenti sindacali contro il capitalismo.
Movimenti per la libertà di parola contro la
sorveglianza (controllo dell’informazione e
supervisione sociale).
Movimenti pacifisti contro il potere
militare.
Movimenti ecologisti contro
l’industrialismo.
Modernità riflessiva
•
•
•
Democratizzazione.
Individualizzazione e autonomia
dell’individuo.
Necessità di una “riflessività” sia a livello
individuale che a livello istituzionale
(capacità di districarsi nei contraddittori
processi del moderno).
Augé
Marc Augé (1935)
Non-lieux. Introduction à une anthropologie
de la surmodernité (1992); tr. it. di Dominique
Rolland: Non luoghi. Introduzione a una
antropologia della surmodernità, Milano,
Elèuthera, 1993.
L’antropologo Augé per definire la nostra
epoca ha coniato il termine surmodernité
(surmodernità o supermodernismo).
Surmodernità
• Accelerazione del tempo (sovrabbondanza di
avvenimenti del mondo contemporaneo).
• Trasformazione dello spazio (restringimento del
pianeta grazie allo sviluppo dei mezzi di trasporto
rapido. In questa dimensione nascono e si
moltiplicano i non-luoghi).
• Eccesso di ego (l’individuo si considera un
mondo a sé. Tutto ruota attorno alle proprie
esigenze).
Bauman
Zygmunt Bauman (1925)
Modernity and the Holocaust (1989); tr. it.: Modernità e
olocausto, Bologna, Il Mulino, 1992; Liquid Modernity
(2000); tr. it.: Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza,
2002.
Dopo aver utilizzato nei primi anni Novanta il termine
“postmodernità”, Bauman ha introdotto a cavallo tra il
vecchio e il nuovo secolo una delle definizioni della
nostra epoca (“Modernità liquida”) che ha avuto
maggiore diffusione tra i mass media, non senza
numerosi fraintendimenti.
Il sociologo di origine polacca, alla fine degli anni
Ottanta, aveva inoltre offerto una lettura originale della
cosiddetta “modernità”.
Modernità
La modernità per Bauman è un modo di interpretare il
mondo come un campo governabile con azioni
razionali.
È caratterizzata da una fede nella conoscenza
scientifica e da una profonda fiducia nel diritto e in una
morale fondati sulla ragione.
Ma la razionalità che sta a fondamento della modernità
è una razionalità ‘utilitaristica’, caratterizzata da quello
spirito calcolistico ben descritto da Weber.
La ricerca della massima efficienza coincide con uno
strumento di dominio.
Modernità
La ricerca dell’ordine si accompagna anche alla volontà
di chiusura e di esclusione nei confronti di chi si sottrae
alla presa della razionalità strumentale, che dell’ordine
moderno è la base. La natura disciplinare del potere
moderno passa attraverso il controllo dei corpi e la
sorveglianza. Mentre una parte della popolazione viene
ritenuta idonea ad agire in conformità all’ordine sociale,
l’altra, quella degli ‘imperfetti’, viene presa in carico da
autorità esperte – guardie carcerarie, medici,
insegnanti… – che si occuperanno di far loro ‘generare’
le condotte desiderate.
Carmen Leccardi, Zygmunt Bauman: sociologia critica e impegno etico
nell’epoca della globalizzazione, in Ghisleni Maurizio – Walter Privitera,
Sociologie contemporanee, Torino, UTET, 2009.
Modernità
La modernità non è solo una civiltà costruita sulla
razionalità, il dinamismo e la conoscenza scientifica.
Essa è anche una società coscientemente diseguale.
Rovesciando le interpretazioni ricorrenti della Shoah, che
hanno sempre sostenuto l’unicità e la specificità tedesca
del fenomeno parlando di ‘fallimento’ della modernità,
Bauman ritiene invece che “la Germania fece quello che
fece a causa di ciò che condivide con noi”, non a causa
di ciò che la differenzia.
La Shoah è dunque il prodotto della modernità.
Leccardi, Zygmunt Bauman: sociologia critica e impegno etico nell’epoca della
globalizzazione, cit.
Modernità
Auschwitz è l’estrema conseguenza del perverso intreccio
tra ingegneria sociale e razionalità strumentale (Bauman
parla di “fordismo assassino”). Nella modernità, il
genocidio si configura come elemento di ingegneria
sociale consonante con il progetto di una società che si
batte per eliminare ‘sporco’ e ‘disordine’. Per costruire
armonia e ordine, l’isolamento, l’allontanamento o, come
misura estrema, lo sterminio delle categorie di persone
“per le quali lo schema ordinativo non prevede un posto”
può essere contemplato. In questo senso l’Olocausto
appare come un aspetto ‘interno’ alla modernità piuttosto
che come sua terribile anomalia.
Leccardi, Zygmunt Bauman: sociologia critica e impegno etico nell’epoca della
globalizzazione, cit.
Modernità liquida
Bauman trae la metafora della “liquidità” dal
Manifesto del Partito comunista. Marx ed Engels
utilizzano l’espressione “fusione dei corpi solidi” per
alludere al potere del capitalismo moderno di minare
alle fondamenta ogni tradizione, di dissolvere
nell’aria le spoglie del passato.
Ma l’azione del capitalismo, secondo Marx ed
Engels, prelude alla creazione di nuovi corpi solidi e
nuove fondamenta.
Leccardi, Zygmunt Bauman: sociologia critica e impegno
etico nell’epoca della globalizzazione, cit.
Modernità liquida
Nella “modernità liquida”, invece, alla fase della
liquefazione non fa seguito alcuna nuova fusione.
Il vecchio ordine non è sostituito da un ordine
alternativo, ma da un’incertezza che pervade mondo
sociale e vite individuali insieme, generando un’ansia
diffusa.
Leccardi, Zygmunt Bauman: sociologia critica e impegno
etico nell’epoca della globalizzazione, cit.
Modernità liquida
• Liquefazione dei legami sociali.
• Impossibilità di trasformare le scelte dei singoli in
azioni e progetti collettivi.
• Assenza di punti di riferimento sociali.
• Società “individualizzata”.
• Rifiuto di responsabilità personali.
• Neoliberismo.
• Perdita della stabilità lavorativa.
• Trasformazione del cittadino in consumatore.
Definire la nostra epoca
Vanni Codeluppi propone di utilizzare il termine
“ipermodernità” perché ritiene che l’attuale società
sia ancora chiaramente moderna.
Parlare di “post-modernità” significherebbe infatti
indicare una realtà totalmente diversa.
Con “ipermodernità” si intende una modernità
portata all’eccesso.
Vanni Codeluppi, Ipermondo. Dieci chiavi per capire il presente, Roma-Bari,
Laterza, 2012.
Ipermodernità
Ipermodernità
La società attuale appare essere fondata su beni sempre
più astratti.
“A prima vista sembrerebbe che siano state le tecnologie
digitali e biologiche comparse negli ultimi decenni a
rendere sempre più astratta la società.”
“Tali tecnologie però non hanno fatto altro che
accelerare un processo di ‘spiritualizzazione’ della
materia che è in corso da diversi secoli, cioè da quando è
nato il modello capitalistico di produzione.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermodernità
Il processo di astrazione riguarda in primo luogo il
capitale stesso.
“Il capitale infatti, come è stato efficacemente spiegato
sia da Karl Marx che da Georg Simmel, possiede una
natura quantitativa e impersonale che gli attribuisce la
capacità di assumere qualsiasi forma e di propagarsi nel
mondo qualitativo del valore d’uso e dei bisogni degli
esseri umani.”
Nel corso del tempo la ricchezza economica “è diventata
sempre più mobile e leggera, assumendo ad esempio le
forme del credito, della finanza e della moneta
elettronica che circola nelle reti informatiche.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermodernità
“Nel corso dei secoli, anche la materia fisica ha vissuto
un processo di astrazione in conseguenza dell’analogo
processo subito dal capitale.
I beni hanno progressivamente arricchito la loro capacità
di produrre significati, sviluppando le componenti
comunicative e immateriali a scapito di quelle
puramente materiali.”
I progressi dell’elettronica hanno poi reso
particolarmente evidente il processo di
smaterializzazione degli oggetti.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermodernità
Il sistema capitalistico ha inoltre cercato “di creare un
unico grande mercato in grado di consentire la libera
circolazione e di migliorare progressivamente la sua resa
produttiva accelerando tale circolazione e quindi il lavoro
richiesto agli esseri umani, che sono i protagonisti attivi
dei flussi economici e circolatori della società”
“Di conseguenza, nelle società ipermoderne la cultura
sociale, anche grazie alle possibilità offerte dalle nuove
tecnologie del trasporto e della comunicazione, accelera
progressivamente la sua velocità.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermodernità
“Le ricerche ci dicono che nel mondo
occidentale, dall’inizio del Novecento a oggi, gli
individui hanno perso mediamente 90 minuti di
sonno per inseguire tali ritmi.”
L’alterazione dei cicli naturali dell’organismo
determina anche l’insonnia che oggi colpisce una
persona su tre.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermodernità
Nell’epoca dell’ipermodernità assistiamo alla:
Mercificazione della cultura.
Culturalizzazione della merce.
“Mercificazione della cultura perché quest’ultima si è
fatta mercato, dunque abnorme offerta di informazioni,
immagini, suoni, prodotti e marche da consumare.
Culturalizzazione della merce perché quest’ultima ha
progressivamente arricchito la sua capacità di creare
significati e valori e di farli circolare nella società.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermodernità
“Sull’industria culturale è celebre l’analisi critica
condotta dai filosofi francofortesi Max Horkheimer e
Theodor W. Adorno nel volume Dialettica
dell’Illuminismo.”
Max Horkheiner – Theodor W. Adorno, Dialektik der Aufklärung.
Philosophische Fragmente (1947); tr. it. di Renato Solmi:
Dialettica dell’Illuminismo, introduzione di Carlo Galli, 4a ed.,
Torino, Einaudi, 1997 (1a ed. 1966).
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermodernità
• Nella Dialektik der Aufklärung l’Illuminismo non è
inteso come epoca storico-culturale determinata, ma
come il complesso degli atteggiamenti tesi a dominare
e trasformare la natura.
• Quella che si critica è la “ratio” strumentale, di
derivazione illuministica, che nel mondo occidentale è
diventata sinonimo di utilitarismo economico e
totalitarismo.
• L’industria culturale è industria del divertimento che, in
epoca capitalistica, costituisce di fatto un
prolungamento del lavoro.
Ipermodernità
“I prodotti dell’industria culturale possono
contare di essere consumati alacremente anche
in uno stato di distrazione. Ma ciascuno di essi è
un modello del gigantesco meccanismo
economico che tiene tutti sotto pressione fin
dall’inizio, nel lavoro e nel riposo che gli
assomiglia.”
Max Horkheiner – Theodor W. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, cit..
Ipermodernità
• L’industria culturale crea bisogni a cui le masse
non riescono a sottrarsi.
• Per l’industria culturale i fruitori sono soltanto
clienti privi di individualità.
• Nel modo di produzione capitalistico la cultura
viene venduta come qualsiasi altra merce.
Ipermodernità
• I prodotti culturali, i film, i programmi radiofonici, le
riviste testimoniano la stessa razionalità tecnica, lo stesso
schema di organizzazione e di pianificazione del
management della fabbricazione in serie di automobili e di
progetti urbanistici.
• I media costituiscono un sistema la cui offerta è solo
apparentemente diversificata.
• L’industria culturale si presenta come un sistema
compatto e integrato per la produzione di “merci
culturali”.
• Il valore di sacralità ed unicità dell’oggetto artistico viene
sostituito dalla “standardizzazione” e della “ripetizione”
(una produzione seriale, sul modello della grande fabbrica
“fordista”).
Ipermodernità
• Nell’industria culturale i processi comunicativi sono
unidirezionali.
• Il fruitore perde il senso critico.
• L’industria culturale segna la morte dell’arte.
• L’industria culturale è quel complesso di strumenti con
cui il sistema sociale veicola un determinato insieme di
valori e un determinato modello di comportamento.
• I mass media non sono veicoli imparziali: essi
trasmettono ideologia indipendentemente dai contenuti
particolari.
Ipermodernità
“L’amusement è il prolungamento del lavoro nell’epoca
del tardo capitalismo. Esso è cercato da chi aspira a
sottrarsi al processo lavorativo meccanizzato per essere
poi di nuovo in grado di affrontarlo e di essere alla sua
altezza. Ma nello stesso tempo la meccanizzazione ha
acquistato un potere così grande sull’uomo che utilizza il
suo tempo libero e sulla sua felicità, essa determina in
modo così integrale la fabbricazione dei prodotti di
svago, che egli non è più in grado di apprendere e di
sperimentare altro che le copie e le riproduzioni dello
stesso processo lavorativo. Il preteso contenuto e solo un
esile pretesto: ciò che si imprime realmente negli animi è
una sequenza automatizzata di operazioni prescritte.”
Horkheiner – Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, cit.
Ipermodernità
“Al processo lavorativo nella fabbrica e nell’ufficio si può
sfuggire solo adeguandosi ad esso nell’ozio. Da questo
vizio originario è affetto incurabilmente ogni
amusement. Il piacere del divertimento si irrigidisce in
noia, poiché, per poter restare piacere, non deve costare
altri sforzi, e deve quindi muoversi strettamente nei
binari delle associazioni consuete. Lo spettatore non
deve lavorare di testa propria; il prodotto gli prescrive
ogni reazione: non in virtù del suo contesto oggettivo
(che si squaglia, appena si rivolge alla facoltà pensante),
ma attraverso una successione di segnali. Ogni
connessione logica, che richieda per essere afferrata, un
certo respiro intellettuale, è scrupolosamente evitata.”
Ipermodernità
“Divertirsi significa essere d’accordo. […] Divertirsi
significa ogni volta: non doverci pensare, dimenticare la
sofferenza anche là dove viene esposta e messa in
mostra. Alla base del divertimento c’è un sentimento di
impotenza. Esso è, effettivamente, una fuga, ma non già,
come pretende di essere, una fuga dalla cattiva realtà, ma
dall’ultima velleità di resistenza che essa può avere
ancora lasciato sopravvivere negli individui. La
liberazione promessa dall’amusement è quella dal
pensiero come negazione. L’impudenza della domanda
retorica, ‘Ma guarda un po’ che cosa vuole il pubblico!’,
consiste nel fatto che ci si appella, come a soggetti
pensanti, a quelle stesse persone che l’industria culturale
ha il compito specifico di disavvezzare dalla
soggettività.”
Ipermodernità
“In anni recenti, i sociologi inglesi Scott Lash e Celia
Lury hanno cercato di aggiornare l’interpretazione di
Horkheimer e Adorno attraverso una ricerca che hanno
condotto a livello internazionale sulle merci dell’industria
culturale (Scott Lash – Celia Lury, Global Culture
Industry: The Mediation of Things, Cambridge, Polity
Press, 2007). Ne è derivato che merci come i film
Trainspotting o Toy Story sono oggi principalmente
caratterizzate da un processo non più di
omogeneizzazione, ma di differenziazione.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermodernità
“Infatti, mentre nell’analisi dei sociologi tedeschi
l’industria culturale definiva in maniera rigida le merci
culturali, le quali erano ricevute e interpretate
passivamente dai loro destinatari, nell’attuale industria
culturale globale gli oggetti culturali sono indeterminati,
perché si trasformano nel corso dei molteplici processi di
circolazione sociale che li riguardano e proprio grazie a
questa trasformazione possono acquisire un valore
economico.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermodernità
“Ciò è possibile perché il funzionamento dell’odierna
industria culturale globale si basa, più che sulle singole
merci, su oggetti totalmente comunicativi come le
marche, le quali si caratterizzano per la loro capacità di
dare vita a relazioni sociali e per il loro possesso di una
storia e una memoria, grazie alle quali sono in grado di
alimentare l’identità dei prodotti.”
“Le marche si contraddistinguono soprattutto perché
riescono a operare attraverso la differenziazione: ognuna
di esse produce infatti valore economico grazie alla sua
capacità di essere differente dalle marche concorrenti.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermodernità
Oggi “ci troviamo all’interno di un ‘capitalismo
cognitivo’ perché sono soggetti comunicativi come le
marche a produrre valore, così come nel capitalismo
industriale a svolgere lo stesso compito era la fabbrica.”
Indubbiamente anche il capitalismo cognitivo cerca di
procedere a una forzata acculturazione al modello di
consumo proprio dell’occidente.
È questo il fenomeno che è stato definito
“globalizzazione”.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Globalizzazione
• Fenomeno di crescita delle relazioni e degli scambi a
livello mondiale in diversi ambiti, i cui effetti principali
sono una convergenza delle politiche economiche della
maggior parte dei Paesi del mondo e una progressiva
omogeneizzazione della cultura.
• La globalizzazione genera la percezione di una
compressione spazio temporale del mondo, dove lo
spazio appare annullabile dalla mobilità fisica (il
trasporto aereo) e da quella virtuale (il tempo istantaneo
delle comunicazioni globali).
Globalizzazione
“Possiamo quindi definire la globalizzazione
come l’intensificazione di relazioni sociali
mondiali che collegano tra loro località distanti
facendo sì che gli eventi locali vengano modellati
dagli eventi che si verificano a migliaia di
chilometri di distanza e viceversa”.
Anthony Giddens, The Consequences of Modernity.
(1990); tr. it.. Le conseguenze della modernità, Bologna,
Il Mulino, 1994.
Ipermodernità
Se è vero che la globalizzazione è una tendenza della
nostra epoca, a ben vedere ciò che generalmente si
presenta è piuttosto una costante relazione dialettica tra
cultura globale e quella locale.
“Se è vero infatti che tendono sempre più a formarsi
ampie comunità transnazionali di consumatori che
condividono le stesse abitudini e le stesse pratiche
culturali […], è anche vero che è ben vivo un processo
contrario di appropriazione e rielaborazione avviato da
parte di culture che si trovano al di fuori del mondo
occidentale e hanno la necessità di esprimere la propria
diversità.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermodernità
In conclusione, “la globalizzazione può presentarsi in
alcuni casi come un fenomeno sociale coercitivo e
omogeneizzante, ma generalmente si basa su un
processo culturale articolato e complesso.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Società pubblicitaria
Società pubblicitaria
“È difficile individuare con certezza il preciso momento di
nascita della pubblicità, perché quest’ultima ha preso vita
progressivamente nel corso dello sviluppo storico
dell’Occidente.
Possiamo però correttamente ritenere che essa sia passata
dalle sue forme ancora primitive alla sua attuale fase di
maturità a partire dagli ultimi due decenni dell’Ottocento
e grazie a quell’intenso sviluppo economico che è stato
prodotto dalla seconda rivoluzione industriale. In tale
periodo, infatti, si è per la prima volta manifestata quella
che possiamo chiamare ‘pubblicità moderna’, perché i
nuovi linguaggi del manifesto hanno cominciato a
insediarsi stabilmente all’interno dello spazio urbano.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Società pubblicitaria
“In realtà, il manifesto pubblicitario ha sempre utilizzato
lo spazio esterno della città come un palcoscenico in cui
potersi esprimere. Ciò era già vero per le prime forme
elementari di manifesto comparse alla fine del XV secolo:
gli avvisi ufficiali, ancora composti soltanto di testo
verbale.”
Ma è a partire dal XIX secolo che i manifesti vengono
utilizzati per vendere dei prodotti e iniziano altresì a
servirsi di immagini.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Società pubblicitaria
“La forza del manifesto consisteva nella possibilità di
essere moltiplicato all’infinito per le nuove masse
urbane e nel possesso di un’elevata immediatezza
comunicativa che gli permetteva di scavalcare
efficacemente la barriera costituita
dall’analfabetismo. Ne è derivata una sua rapida
diffusione, che ha avuto tra i principali interpreti
diversi pittori impressionisti e postimpressionisti,
come Jules Chéret, Henri de Toulouse-Lautrec,
Alfons Maria Mucha, Marcello Dudovich e Leonetto
Cappiello.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Henri de Toulouse-Lautrec, Manifesto pubblicitario del Moulin Rouge, 1891.
Henri de Toulouse-Lautrec, Le Divan Japonais, 1893.
Loenetto Cappiello, Stagione balneare, 1901.
Loenetto Cappiello, Pubblicità Campari, 1921.
Società pubblicitaria
Con l’invenzione del cinema, nascono anche le prime
forme di pubblicità cinematografica.
“Non è un caso che siano stati quegli stessi fratelli
Lumière che con la storica proiezione avvenuta il 28
dicembre 1895 presso il Grand Café di Boulevard des
Capucines a Parigi avevano dato inizio allo spettacolo
cinematografico a realizzare, nel 1898, anche il primo
spot pubblicitario della storia: un filmato per il
sapone Sunlight di William H. Lever.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Società pubblicitaria
“Agli inizi del Novecento, anche gli artisti
appartenenti alle cosiddette ‘avanguardie storiche’
hanno dato il loro contributo all’evoluzione del
linguaggio del manifesto.”
Soprattutto i futuristi stabiliscono una sintonia con il
nuovo mondo industriale e si dedicano alla
comunicazione pubblicitaria.
Filippo Tommaso Marinetti ha composto per la Snia
Viscosa i cosiddetti “poemi industriali”.
Fortunato Depero ha sviluppato una originale
strategia pubblicitaria per l’azienda Campari,
disegnando anche la bottiglia del prodotto.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Fortunato Depero, pubblicità Campari, 1926.
Società pubblicitaria
“In quegli anni si sono dedicati alla pubblicità tra gli
altri anche Vladimir Majakovskij, Alexander
Rodčenko, Man Ray, Kurt Schwitters, René Magritte
e la scuola del Bauhaus.
Ma le Avanguardie storiche hanno pur sempre
rappresentato l’estremo tentativo effettuato da parte
degli artisti di salvare quel legame tra arte e società
che è saltato con il pieno affermarsi del processo
capitalistico di produzione. Tale processo ha
proseguito rapido il suo corso e l’arte ne è stata
progressivamente emarginata, a tutto vantaggio della
comunicazione pubblicitaria.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Società pubblicitaria
Nel corso del Novecento si afferma una pubblicità
fondata sul marketing, sempre più finalizzata a
promuovere il prodotto attraverso precise tecniche
tratte dalla psicologia.
Progressivamente emerge anche il ruolo della marca,
come strumento dell’impresa in grado di
incrementare il valore del beneficio offerto dal
prodotto aggiungendovi un proprio plusvalore di tipo
simbolico e comunicativo.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Società pubblicitaria
“Dalla fine degli anni Ottanta del Novecento, la
comunicazione d’impresa è approdata alla sua fase
‘metapubblicitaria’, dove la pubblicità diventa sempre
più autoreferenziale e cosciente del suo linguaggio e
della sua storia; finendo, così, per avere come oggetto
sempre meno il prodotto da pubblicizzare e sempre più
se stessa, i suoi discorsi e i suoi meccanismi di
comunicazione. Con il passaggio della pubblicità alla
fase metapubblicitaria, la marca ha cominciato a
incrementare progressivamente la sua importanza sia sul
piano del marketing che su quello sociale. E ha
cominciato ad arricchirsi di significati, assumendo
un’esistenza sempre più autonoma rispetto al prodotto.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Società pubblicitaria
Evoluzione della pubblicità moderna
XIX secolo  pubblicità réclame (una forma ancora
primitiva di comunicazione dell’impresa, che aveva
l’obiettivo di far conoscere semplicemente il prodotto ai
consumatori).
Fine XIX secolo – inizi del XX secolo  pubblicità artistica
(partecipazione delle Avanguardie alla realizzazione
della comunicazione pubblicitaria).
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Società pubblicitaria
Evoluzione della pubblicità moderna
Dagli anni Trenta alla fine degli anni Ottanta del XX secolo
 pubblicità marketing (orientamento più rigoroso
finalizzato a esaltare le qualità del prodotto e a
convincere i consumatori attraverso tecniche
psicologiche).
Dalla fine degli anni Ottanta del XX secolo 
metapubblicità (pubblicità sempre più autoreferenziale,
orientata sulla marca piuttosto che sul prodotto).
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Società pubblicitaria
“Oggi, dunque, si ritiene che l’efficacia economica di
un’impresa sul mercato dipenda dalla sua più o meno
elevata capacità di dare forza all’identità della sua
marca.”
“Gli studiosi di marketing definiscono ‘brand equity’
proprio la capacità di una marca di generare valore
economico a partire dalla sua capacità di creare e
gestire relazioni sociali.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Società pubblicitaria
“I mondi di marca possono apparire ‘veri’ agli occhi
dei consumatori soprattutto quando si fondano su
precisi valori sociali che consentono l’attivazione di
processi d’identificazione particolarmente
coinvolgenti.
Ogni marca infatti dà vita a un proprio specifico
immaginario culturale, che non costruisce ex novo,
ma appropriandosi di una porzione del più ampio
immaginario sociale esistente nella società, perché in
tal modo riesce più facilmente ad avvicinarsi al
consumatore.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Società pubblicitaria
“Grazie all’impiego di queste tecniche, le marche si
trasformano in attori sociali estremamente autorevoli,
che tendono a invadere lo spazio privato
dell’individuo penetrando nella sua vita sempre più in
profondità.”
“Le marche più efficaci sono quelle in grado di
funzionare a pieno titolo come vere e proprie ‘marche
valoriali’ ovvero marche che agiscono in un contesto
sociale dal quale certamente ricevono delle influenze,
ma che contribuiscono a loro volta ad influenzare
attraverso l’impiego dei valori sociali di cui si
appropriano.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Società pubblicitaria
“Sfruttare valori e sentimenti dei consumatori per
costruire i mondi delle marche genera però
inevitabilmente un costo per la società.”
Collegare per lungo tempo a una determinata marca
alcuni valori può portare a un indebolimento degli
stessi valori di base della società, “quel patrimonio
inestimabile sul quale si regge l’intera vita sociale.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Corpo-packaging
Corpo-packaging
I media e la pubblicità idealizzano costantemente dei
modelli corporei di bellezza, ma soprattutto di
magrezza, che uomini e donne sono portati a cercare
di seguire, pagando spesso questo sforzo con fatica e
sofferenza.”
“Quando però, come spesso succede, non si riesce a
raggiungere una corrispondenza tra il proprio corpo e
i modelli dominanti socialmente, il cibo può essere
percepito anche come una gratificante via di fuga,
sebbene alla fine si riveli essere soltanto uno
strumento di autopunizione (anoressia, bulimia).
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Corpo-packaging
“Nelle società ipermoderne la funzione svolta dal
corpo come strumento di comunicazione a
disposizione degli individui per trasmettere la propria
identità agli altri è diventata centrale. È inevitabile
dunque che gli individui sentano di poter liberamente
manipolare il loro corpo per raggiungere quegli
obiettivi di comunicazione che si sono dati.
Si impone così il ‘corpo flusso’, cioè un corpo che si
trova in uno stato di variazione permanente, non ha
confini né identità fisse e tenta di non dover
dipendere dalle leggi della biologia.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Corpo-packaging
Così come il prodotto, indipendentemente dai suoi
difetti, si fa packaging (involucro) luccicante sugli
scaffali in vendita, così “anche il corpo viene indotto
a seguire il modello del packaging e a trasformarsi a
sua volta in un involucro sfavillante, che imita i corpi
perfetti creati dalle nuove tecnologie elettroniche di
manipolazione dell’immagine, ovvero quei corpi
seducenti e quasi totalmente artificiali che invadono
in maniera crescente i canali mediatici.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperdivismo
Iperdivismo
La manipolazione dell’immagine del corpo, attraverso
l’abbigliamento, il trucco o altri artifici, è centrale
nella costruzione dei “divi”.
Il fenomeno del divismo risale agli anni Dieci del
Novecento, quando l’industria cinematografica
hollywoodiana inventa la figura del divo con
personaggi come Mary Pickford, Lillian Gish, Gloria
Swanson, Charlie Chaplin, Douglas Fairbanks e
Rodolfo Valentino.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Mary Pickford
Lillian Gish
Lillian Gish
Rodolfo Valentino
Iperdivismo
“Nel corso del Novecento, il processo di
industrializzazione è progredito e il divo ha visto
crescere la sua importanza sociale.”
Durante gli anni Cinquanta, il progressivo emergere
all’interno della società statunitense di un malessere
giovanile che sarebbe sfociato in seguito nei
movimenti contestativi degli anni Sessanta e Settanta
ha favorito il successo dei cosiddetti “anti-divi”,
ovvero divi ribelli e anticonformisti.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperdivismo
James Dean “ha incarnato il modello di adolescente
inquieto e ribelle nel quale si sono identificati milioni di
giovani”. Marilyn Monroe, “con la sua vita di
autodistruzione progressiva (suggellata da una morte che
è stata probabilmente determinata da un suicidio), ha
mostrato a molte donne che dietro la sua immagine
luccicante di diva si nascondevano una grande fragilità e
la sensazione di non poter vivere una vita normale,
coronata da una piena realizzazione e da un amore
ricambiato. Molte donne, che all’epoca cominciavano a
lottare per ottenere un riconoscimento da parte della
società, hanno potuto dunque riconoscere in questa diva
hollywoodiana parte delle loro difficoltà personali”.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
James Dean
Marilyn Monroe
Norma Jeane Mortenson
Iperdivismo
Nel corso del Novecento “si è così verificato un
notevole incremento dell’interesse delle persone per
tutto quello che fanno nella loro esistenza i
personaggi importanti della società dello spettacolo,
con il risultato che la vita privata dei divi siano essi
presentatori, attori, cantanti o politici) è
costantemente osservata attraverso la lente
d’ingrandimento dei media.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperdivismo
La televisione ha poi creato un altro genere di divo.
“Se il divo di Hollywood cercava costantemente una
distanza rispetto al suo pubblico, quello della
televisione vuole a tutti i costi apparire normale,
essere come la persona della porta accanto.”
“Questa vicinanza tra i divi della televisione e le
persone comuni ha facilitato l’adozione odierna del
modello divistico da parte dell’intera società. Ma a ciò
ha contribuito anche il fatto che tutti i principali
ambiti sociali hanno cominciato a produrre dei divi”.
(Dalla musica alla moda etc.)
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperdivismo
Ma da che cosa deriva questo crescente interesse sociale
per il mondo dei divi?
Innanzitutto dal fatto che tutti, nessuno escluso, sono
irresistibilmente attratti dal gossip. In generale, guardare
attraverso qualche ‘buco della serratura’ e poter vedere
all’interno della dimensione privata delle persone
provoca un’elevata soddisfazione. A maggior ragione se
si ha a che fare con persone famose. Perché in questo
caso non c’è solamente il piacere voyeuristico di poter
conoscere la vita intima di qualcuno, ma anche la
soddisfazione impagabile di mettersi in qualche misura
sullo stesso piano del divo, di sentirsi parte del suo
mondo ricco di privilegi, benessere e prestigio.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperdivismo
“In realtà si tratta di un’illusione, ma il meccanismo
funziona in una maniera straordinariamente efficace sul
piano psicologico.”
“È inutile meravigliarsi allora se i comportamenti delle
celebrità stanno sempre più diventando il principale
modello sociale di riferimento.”
Oggi siamo giunti al punto che alcune persone si
sottopongono a interventi di chirurgia estetica pur di
assomigliare ai divi preferiti.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperdivismo
Attraverso il divismo le società contemporanee
appartenenti alla cultura occidentale manifestano la
permanenza di una mitologia.
Il mito di base oggi è quello del successo economico e
materiale.
Il divismo costituisce in questo senso un mito secondario
che rimanda comunque a questo mito primario.
I divi infatti rappresentano degli esempi di come sia
possibile ottenere il successo economico.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperdivismo
“Ci sono poi i miti terziari che sono ancora più immediati
e consentono agli individui comuni di personalizzare e
‘addomesticare’ il mito di base. Infatti, generalmente
raccontano in maniera sintetica come le persone possano
partecipare alla realtà affascinante della prosperità e
dell’abbondanza economica attraverso i rituali del
consumo. Come, in sostanza, attraverso l’acquisto e
l’impiego di determinati prodotti i consumatori possano
entrare nei panni di quei personaggi importanti che sono
stati in grado di avere successo nella società.”
Non è un caso che nei messaggi pubblicitari i divi
vengano massicciamente utilizzati in qualità di
testimonial.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperdivismo
L’adozione del modello divistico da parte dell’intera
società ha determinato anche un altro fenomeno: i divi
dello spettacolo e i personaggi del potere tradizionale
oggi si mescolano in maniera crescente.
D’altra parte, già nei primi decenni del Novecento il
regime fascista e quello nazista avevano dato origine a
quelle forme di estetizzazione della politica che Walter
Benjamin ebbe modo di stigmatizzare nella Postilla
conclusiva all’Opera d’arte nell’epoca della sua
riproducibilità tecnica.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperdivismo
“’Fiat ars - pereat mundus’, dice il fascismo, e, come
ammette Marinetti, si aspetta dalla guerra il
soddisfacimento artistico della percezione sensoriale
modificata dalla tecnica. È questo, evidentemente, il
compimento dell’arte per l’arte. L’umanità, che in Omero
era uno spettacolo per gli dèi dell’Olimpo, ora lo è
diventata per se stessa. La sua autoestraniazione ha
raggiunto un grado che le permette di vivere il proprio
annientamento come un godimento estetico di
prim’ordine. Questo è il senso dell’estetizzazione della
politica che il fascismo persegue. Il comunismo gli
risponde con la politicizzazione dell’arte.”
Walter Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen
Reproduzierbarkeit (1936); it. it.: L’opera d’arte nell’epoca della sua
riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 1966.
Corpo trasparente
Corpo trasparente
Oggi la Rete ha posto sotto i riflettori non soltanto i divi
e i personaggi noti, ma ogni comune fruitore di Internet.
Questo produce inevitabilmente delle conseguenze sulla
nostra vita.
Le cronache raccontano sempre più spesso di episodi di
cyberbullismo che in alcuni casi hanno favorito il
suicidio dei soggetti sottoposti a persecuzione mediatica.
“L’abolizione della barriera esistente tra il pubblico e il
privato crea inevitabilmente in tutti gli individui la
sensazione di essere più esposti e dunque anche più
vulnerabili.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Corpo trasparente
La situazione di ipercomunicazione conduce dunque
all’insicurezza.
Non solo. Ogni volta che effettuiamo una
navigazione in rete lasciamo delle tracce che possono
essere utilizzate per scopi pubblicitari o altro ancora.
Ormai in rete esistono dei programmi che sono in
grado di creare per ciascun navigatore “un accurato
dossier contenente il nome, il cognome, le fotografie,
i video, gli amici, le opinioni, i gusti personali, ecc.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Corpo trasparente
Ma Internet non fa altro che portare alle estreme
conseguenze un processo già in atto nella società.
“Lo Stato moderno tende sempre più a impadronirsi del
controllo del corpo degli individui.
E il passaggio dal controllo alla proprietà privata può
avvenire con facilità, come è dimostrato dal fatto che
oggi il corpo è anche oggetto di un processo di
privatizzazione e commercializzazione.
Le multinazionali del farmaco, sono alla ricerca
spasmodica di corpi-cavia sui quali testare i loro prodotti
e li trovano soprattutto nelle zone più povere del
mondo.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Corpo trasparente
“Ma il vero problema riguarda la crescente
commercializzazione dei geni umani.
“Poiché ogni anno vengono rilasciati negli Stati Uniti più
di 4.000 brevetti sul DNA, c’è chi ha stimato che più del
20% dei circa 35.000 geni del genoma umano sia già
diventato di proprietà di qualche società farmaceutica o
università.”
“Forse è solo questione di tempo e un domani non
lontano dovremo imparare a convivere con esseri viventi
completamente artificiali. Naturalmente acquistabili sul
mercato dietro pagamento del relativo prezzo.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Corpo trasparente
Ma già oggi siamo a conoscenza dell’esistenza di un
traffico internazionale di organi umani da trapiantare.
La possibilità di manipolare, controllare e gestire le
capacità vitali degli esseri umani ha originato una nuova
economia.
Oggi c’è chi vende un rene o un pezzo del proprio fegato
“per poter pagare il mutuo dell’abitazione o per salvare
dal fallimento la propria azienda come testimoniano
centinaia di annunci con offerte di questo tipo comparsi
su Internet.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermetropoli
Ipermetropoli
Codeluppi utilizza l’espressione “ipermetropoli” per
indicare il processo di progressiva metropolizzazione
della società che si trasforma sotto l’influenza dei centri
commerciali.
Come ha osservato Giandomenico Amendola, oggi “il
museo assomiglia all’aeroporto, l’aeroporto alla
stazione ferroviaria e tutti assomigliano ad uno
shopping mall.”
Giandomenico Amendola (a cura di), La città vetrina. I luoghi del
commercio e le nuove forme del consumo, Napoli, Liguori, 2006.
Ipermetropoli
Già l’antropologo Marc Augé aveva definito “nonluoghi”, quegli spazi urbani privi di identità specifica e
ad alta standardizzazione, come supermercati, stazioni o
aeroporti.
• “Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale,
storico, uno spazio che non può definirsi né identitario
né relazionale né storico, definirà un non-luogo.”
Marc Augé, Non-lieux (1992) ; tr. it. di Dominique Rolland: Non
luoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità,
Milano, Elèuthera, 1993.
Ipermetropoli
• “Il concetto di non-luogo è stato utilizzato per
comprendere e analizzare spazi molto diffusi nelle realtà
urbane, e che si contraddistinguono per la loro vocazione
non territoriale, in particolare quelli di transito
(autostrade, aeroporti), e quelli del consumo
(supermercati, catene di alberghi, infrastrutture
turistiche). Aeroporti, supermercati, club vacanze sono
simbolo ed emblema della surmodernità, intesa come
l’epoca caratterizzata dall’eccesso di sensazioni e di
sollecitazioni, e dalla accelerazione spazio-temporale.”
Sonia Paone, Città in frantumi. Sicurezza, emergenza e produzione
dello spazio, Milano, Angeli, 2008.
Ipermetropoli
Prima ancora di Marc Augé, questa trasformazione in
atto negli spazi urbani era già stata notata da Italo
Calvino sin dagli anni Settanta.
Calvino pubblica infatti proprio durante questi anni un
volume che raccoglie una serie di racconti che
scaturiscono dalle sue riflessioni intorno al complesso
tema dei rapporti tra utopia e realtà: Le città invisibili.
• Attraverso un immaginario dialogo tra Marco Polo e
Kublai Kan, che funge da cornice, Calvino proietta su
una serie di città fantastiche sia molteplici dimensioni
interiori, sia aspetti oggettivi della realtà.
Ipermetropoli
In particolare, tra gli undici nuclei tematici che
compongono l’indice dell’opera, l’autore stesso invita a
individuare «un’oggettività sociale-storica» nelle città
che rientrano nelle serie delle “città continue” e delle
“città nascoste”.
Questi centri abitati descrivono i caratteri propri della
società contemporanea sotto la forma di idealtipi che
evidenziano singoli aspetti di una realtà che abbiamo
sotto gli occhi ogni giorno ma che spesso risulta
invisibile.
Ipermetropoli
Calvino aveva bene presenti i passi de La situazione della
classe operaia in Inghilterra (Die Lage der arbeitenden
Klasse in England, 1844), in cui Friedrich Engels
descrive l’isolamento dell’uomo della folla nelle strade di
Londra. Tra gli appunti sparsi su cui andava elaborando
i testi de Le città invisibili, compare il nome di Engels
proprio sotto quello che diventerà il titolo definitivo
dell’opera.
“[…] le città invisibili
XX città che gli abitanti non vedono:
vivono in una città solo pensata
città in cui gli abitanti
non si vedono fra loro (Engels)”
Ipermetropoli
• Calvino pensa dunque a città che sono “invisibili”
perché ciascun abitante non conosce più gli altri, ma si
limita a fantasticare possibili incontri.
“A Cloe, grande città, le persone che passano per le vie
non si conoscono. Al vedersi immaginano mille cose uno
dell’altro, gli incontri che potrebbero avvenire tra loro, le
conversazioni, le sorprese, le carezze, i morsi. Ma
nessuno saluta nessuno, gli sguardi s’incrociano per un
secondo e poi si sfuggono, cercano altri sguardi, non si
fermano”.
Italo Calvino, Le città invisibili, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972 .
Ipermetropoli
• Nella metropoli, come osserva Engels, si consuma
questa disaggregazione dell’umanità in monadi:
individui isolati in cui prevale un egoismo che pare
essere a fondamento della società moderna.
• Un altro passo di questi appunti, in cui Calvino cita
ancora una volta Engels, pare confermare questa
puntuale fondazione sociologica dell’opera:
“le città deserte: quartiere commerciale
la city deserta dove passa solo il poliziotto (Engels)
e i poveri si ammucchiano”.
Ipermetropoli
• Il cuore commerciale della città è anche il luogo in cui “il
deserto cresce” e si contrappone alla moltitudine di
poveri che di quella city sono vittime.
• I conflitti di classe e i mutamenti che avvengono nella
società modificano sensibilmente anche lo spazio
urbano.
• L’analisi di queste trasformazioni subite dalla città in età
moderna costituisce il tema centrale di quest’opera,
come conferma l’autore stesso in un’intervista.
Ipermetropoli
• “Le città si stanno trasformando in un’unica città, in una
città ininterrotta in cui si perdono le differenze che un
tempo caratterizzavano ognuna. Questa idea, che
percorre tutto il mio libro Le città invisibili, mi viene dal
modo di vivere che è ormai di molti di noi: un continuo
passare da un aeroporto all’altro, per fare una vita
pressoché uguale in qualsiasi città ci si trovi.”
Ipermetropoli
• Il fenomeno della conurbazione è bene rappresentato
dalle città di Cecilia e Pentesilea.
• Cecilia ingloba in sé ogni spazio urbano limitrofo fino a
far scomparire la campagna, riducendo i terreni per il
pascolo delle capre alle aiuole dello spartitraffico.
• Pentesilea, priva di un centro e di una periferia, è la
metafora di uno spazio illimitato senza alcuna identità,
che induce il visitatore a chiedersi se esista una realtà
esterna a questa città che non ha né mura né confini.
Ipermetropoli
• “Se nascosta in qualche sacca o ruga di questo slabbrato
circondario esista una Pentesilea riconoscibile e
ricordabile da chi c’è stato, oppure se Pentesilea è solo
periferia di se stessa e ha il suo centro in ogni luogo, hai
rinunciato a capirlo. La domanda che adesso comincia a
rodere nella tua testa è più angosciosa: fuori da
Pentesilea esiste un fuori? O per quanto ti allontani dalla
città non fai che passare da un limbo all’altro e non arrivi
a uscirne?”
Ipermetropoli
• La sensazione che esista soltanto un’unica città che
rende vani persino i lunghi viaggi in aereo è bene
descritta a proposito di Trude.
• Parlando di questa città invisibile, Calvino coglie la
portata di alcuni aspetti di un processo di
globalizzazione che stava appena emergendo al
momento della stesura del libro e che ancora non
costituiva un tema centrale nelle riflessione dei sociologi.
Ipermetropoli
• “Se toccando terra a Trude non avessi letto il nome della
città scritto a grandi lettere, avrei creduto d’essere
arrivato allo stesso aeroporto da cui ero partito. I
sobborghi che mi fecero attraversare non erano diversi da
quegli altri, con le stesse case gialle e verdoline.
Seguendo le stesse frecce si girava le stesse aiole delle
stesse piazze. […]
• Perché venire a Trude? Mi chiedevo. E già volevo
ripartire. Puoi riprendere il volo quando vuoi, - mi
dissero, - ma arriverai a un’altra Trude, uguale punto per
punto, il mondo è ricoperto da un’unica Trude che non
comincia e non finisce, cambia solo il nome
dell’aeroporto.”
Ipermetropoli
• L’analisi della società dei consumi iniziata in
Marcovaldo pare trovare compimento proprio ne Le città
invisibili.
• Precorrendo i tempi anche in questo caso, con autentico
spirito sociologico, nel descrivere la città immaginaria di
Leonia, Calvino illustra con grande efficacia il paradosso
di una società fondata su un modo di produzione che
prevede il continuo acquisto di oggetti nuovi.
Ipermetropoli
• “La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni
mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si
lava con saponette appena sgusciate dall’involucro,
indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più
perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi,
ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello
d’apparecchio. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi
sacchi di plastica, i resti della Leonia d’ieri aspettano il
carro dello spazzaturaio.”
Ipermetropoli
• “L’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni
giorno vengono buttate via per far posto alle nuove.
Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia
davvero come dicono il godere delle cose nuove e
diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il
mondarsi d’una ricorrente impurità.”
Ipermetropoli
• Leonia allontana i rifiuti per tentare di far tacere la
propria cattiva coscienza; ma la quantità di questi residui
aumenta di giorno in giorno fino a creare un cratere con
al centro «la metropoli in eruzione ininterrotta». Così in
un futuro molto prossimo sarà sufficiente un oggetto
qualsiasi per dare origine alla frana che segnerà la fine di
Leonia:
“Un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa,
cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a
nuovo. Già dalle città vicine sono pronti coi rulli
compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo
territorio, ingrandire se stesse, allontanare i nuovi
immondezzai.”
Ipermetropoli
• Questa è la realtà della società occidentale:
“Lento e rapido che sia, ogni movimento in atto nella
società deforma e riadatta – o degrada irreparabilmente –
il tessuto urbano, sia la sua topografia, la sua sociologia,
la sua cultura istituzionale e la sua cultura di massa
(diciamo: la sua antropologia).”
Ipermetropoli
Codeluppi non cita né Marc Augé, né Italo Calvino, ma
la sua analisi del processo di metropolizzazione è
simile a quella dell’antropologo francese e dello
scrittore italiano.
Il sociologo osserva in particolare come il centro della
città sia stato oggi sostituito dai grandi centri
commerciali.
Emblematico è il caso di City Walk, da tempo divenuto
il centro artificiale di Los Angeles: un’area pedonale su
cui si affacciano negozi, ristoranti, attrazioni ludiche e
riproduzioni delle più celebri architetture della
metropoli californiana.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermetropoli
“Il centro commerciale è percepito come migliore della
città da cui proviene perché questa spesso spaventa
con il suo carico di realtà, con l’urgenza dei suoi
problemi concreti.
È molto meglio la replica della metropoli costruita
dentro il centro commerciale, la quale rassicura con la
sua perfezione e la sua capacità di sfuggire all’usura
fisica, e viene percepita dunque come qualcosa che si
colloca fuori dal tempo, in quella dimensione ideale
che è propria del sogno.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermetropoli
“In questi nuovi luoghi del consumo tutto viene
costantemente tenuto sotto controllo e i comportamenti
devianti sono proibiti.”
I consumatori però pagano questa sicurezza con la
perdita della privacy. Le telecamere controllano ogni
spazio e l’intera città appare oggi essere sempre più
‘militarizzata’.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermetropoli
“Il processo di metropolizzazione è inarrestabile e oggi
invade persino lo spazio più vuoto che esista: il deserto.
Las Vegas e Dubai ne sono una testimonianza
evidente.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermetropoli
Ma dietro a queste città del divertimento e del sogno si
nascondono altre realtà. A Dubai, ad esempio, è
presente un’abbondante manodopera a basso costo,
proveniente soprattutto dall’India, dal Pakistan, dal
Bangladesh, dallo Sri Lanka e dalle Filippine.
“Sono persone che lavorano di solito dodici ore al
giorno per sei giorni e mezzo alla settimana, nel caldo
torrido del deserto e per pochi dollari. Una specie di
‘schiavi contemporanei’, vittime di un ricatto
economico che si basa sulla loro condizione di stranieri
e sul fatto che quando entrano a Dubai viene ritirato
loro il passaporto da parte delle agenzie di lavoro.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Ipermetropoli
Secondo l’urbanista Mike Davis Dubai rappresenta una
nuova fase evolutiva del capitalismo, dove, a suo
avviso, il modello neoliberale è stato portato fino ai suoi
massimi livelli e si realizza una paradossale fusione tra
il mondo di Walt Disney e quello di Albert Speer, il
famigerato architetto di Hitler. Questo perché dietro
un’apparente condizione paradisiaca si nasconde uno
Stato autoritario diretto dallo sceicco Mohammed bin
Rashid Al Maktoum, la cui famiglia è proprietaria dal
1833 del territorio di Dubai.
Mike Davis, Le stade Dubaï du capitalisme, paris, Les Prairies, 2007.
Ipermetropoli
In conclusione, “anche se basate sull’artificialità e sulla
finzione, cioè, Las Vegas e Dubai non sono qualcosa di
irreale, un puro complemento all’attività economica. Si
tratta invece di forme di concretizzazione di quel
modello economico e sociale biocapitalistico che ha
nella cultura del consumo la sua vera linfa vitale.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Biocapitalismo
Biocapitalismo
Con “biocapitalismo” – termine coniato da Kaushik
Sunder Rajan nel 2006 - Codeluppi intende una
forma avanzata di capitalismo “che si caratterizza per
la capacità di coinvolgere le vite degli esseri umani
all’interno dei processi produttivi”
In precedenza, il capitalismo faceva principalmente
ricorso alle funzioni di trasformazione delle materie
prime svolte dai macchinari e dai corpi dei lavoratori
utilizzati come strumenti materiali del lavoro”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Biocapitalismo
“Il biocapitalismo produce valore estraendolo da tutte
le componenti biologiche, dalle dimensioni mentali,
relazionali e affettive dei corpi degli individui.”
Oggi il corpo umano è oggetto di sfruttamento
economico in tutte le sue molteplici manifestazioni.
“Il biocapitalismo non si accontenta di sfruttare gli
individui nelle ore di lavoro, ma tenta di produrre
valore anche utilizzando le ore del loro tempo libero.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Biocapitalismo
“È in atto un processo di trasformazione del sistema
economico in una realtà che ingloba nuovamente
nella produzione il consumatore e rende quest’ultimo
e ogni sua attività di produzione di significati
(simboli, narrazioni, immagini) un soggetto in grado
di generare valore economico.”
All’interno del biocapitalismo ha sempre meno senso
distinguere tra la produzione e il consumo.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Biocapitalismo
“Karl Marx aveva intuito questa trasformazione del
sistema capitalistico individuando l’importante ruolo
produttivo svolto dal general intellect, cioè dal ‘sapere
sociale generale’, ovvero ‘dallo stato generale della
scienza e dal progresso della tecnologia, o
dall’applicazione di questa scienza alla produzione’.”
(K. Marx, Grundisse der Kritik der politischen
Oekonomie (1857-1858); tr. it.: Lineamenti fondamentali
della Critica dell'economia politica, Firenze, La Nuova
Italia, 1968-1970, 2 voll., p. 403).
Questo processo che si sta oggi sviluppando è ancora
più ampio di quello previsto da Marx.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Biocapitalismo
“Nell’attuale modello economico e produttivo di tipo
‘postfordista’ la parte immateriale del corpo umano con
i suoi processi mentali, le sue immaginazioni e le sue
visioni del mondo, si autonomizza progressivamente e
diventa sempre più importante come strumento di
produzione.”
“Oggi la fonte del valore economico per le aziende non
risiede più nel lavoro consacrato a produrre le merci o i
servizi, ma in quello passato a concepire nuove idee. Lo
dimostra il caso di un’azienda come Google, le cui
migliaia di dipendenti devono, per contratto, dedicare
il 20% del loro tempo di lavoro a farsi venire nuove
idee.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Biocapitalismo
“Il sistema biocapitalistico può pienamente
manifestarsi oggi anche perché le imprese tendono in
maniera crescente a scaricare i loro costi su un altro
soggetto: il consumatore.
In sostanza, fanno compiere a quest’ultimo una serie di
operazioni che in precedenza venivano totalmente
svolte all’interno dell’impresa.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Biocapitalismo
“Karl Marx è stato il primo autore a sviluppare l’idea
che il consumatore possa svolgere un ruolo attivo
all’interno del sistema economico.
Ha affermato infatti che soltanto il consumatore è in
grado di attribuire alla merce il suo carattere di ‘finish’,
cioè di conclusione necessaria del ciclo economico di
valorizzazione del capitale.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Biocapitalismo
“Il consumo produce la produzione in duplice modo:
1) in quanto solo nel consumo il prodotto diviene un
prodotto effettivo. Per esempio, un vestito non diviene
realmente un vestito che per l’atto di portarlo; una casa
che non è abitata, non è in fact una vera casa; il
prodotto, quindi, a differenza del semplice oggetto
naturale, si afferma e diviene prodotto solo nel
consumo. Dissolvendo il prodotto, il consumo gli dà il
finishing stroke [l’ultimo perfezionamento]; giacché il
prodotto è la produzione non soltanto come attività
oggettivata, ma come oggetto per il soggetto attivo.”
Karl Marx, Zur Kritik der Politischen Ökonomie (1859); tr. it. di Emma Cantimori
Mezzomonti: Per la critica dell’economia politica, introduzione di Maurice Dobb,
3a ed., Roma, Editori Riuniti, 1971 (1a ed. 1957).
Biocapitalismo
“2) [il consumo produce la produzione] in quanto il
consumo crea il bisogno di una nuova produzione e
quindi nel motivo ideale che è lo stimolo interno della
produzione e il suo presupposto. Il consumo crea lo
stimolo della produzione; esso crea anche l’oggetto, che
agisce nella produzione determinandone lo scopo. Se è
chiaro che la produzione offre esteriormente l’oggetto del
consumo, è perciò altrettanto chiaro che il consumo
pone idealmente l’oggetto della produzione, come
immagine interiore, come bisogno, come impulso e
come scopo. Esso crea gli oggetti della produzione in
una forma ancora soggettiva. Senza bisogno non vi è
produzione. Ma il consumo riproduce il bisogno.”
Marx, Zur Kritik der Politischen Ökonomie, cit.
Biocapitalismo
“Tutto ciò può dare al consumatore la sensazione di
avere un ruolo di maggiore potere e autonomia, ma
semmai è vero il contrario.”
“Considerare l’individuo che consuma un soggetto
attivo non comporta che tale individuo possa avere un
potere tale da consentirgli di essere realmente
autonomo e libero di esprimersi.”
I consumatori, per quanto coinvolti nei processi
produttivi, continuano a rimanere vincolati al proprio
ruolo.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Biocapitalismo
D’altra parte, già Marx osservava che il consumo porta
a compimento l’atto della produzione e costituisce un
momento della produzione.
Produzione
Consumo
Biocapitalismo
“A ciò corrisponde da parte della produzione che essa:
1) fornisce al consumo il materiale, l’oggetto. Un
consumo senza oggetto non è un consumo; per questo
verso, quindi, la produzione crea, produce, il consumo.
2) Ma non è soltanto l’oggetto che la produzione crea al
consumo. Essa dà anche al consumo la sua
determinatezza, il suo carattere, il suo finish. Allo stesso
modo che il consumo dava al prodotto il suo finish come
prodotto, la produzione dà il suo finish al consumo.
Innanzitutto, l’oggetto non è un oggetto in generale, ma
un oggetto determinato, che deve essere consumato in
un modo determinato, in un modo ancora una volta
mediato dalla produzione stessa.”
Marx, Zur Kritik der Politischen Ökonomie, cit.
Biocapitalismo
La fame è la fame, ma la fame che si soddisfa con carne
cotta, mangiata con coltello e forchetta, è una fame
diversa da quella che divora carne cruda, aiutandosi con
mani, unghie e denti. La produzione non produce perciò
solo l’oggetto del consumo ma anche il modo di
consumo, essa produce non solo oggettivamente ma
anche soggettivamente. La produzione crea quindi il
consumatore.”
Marx, Zur Kritik der Politischen Ökonomie, cit.
Biocapitalismo
“La produzione produce perciò non soltanto un oggetto
per il soggetto, ma anche un soggetto per l’oggetto.
La produzione produce quindi il consumo 1) creandogli
il materiale; 2) determinando il modo di consumo; 3)
producendo come bisogno nel consumatore i prodotti
che essa ha originariamente posto come oggetti. Essa
produce perciò l’oggetto del consumo, il modo di
consumo e l’impulso al consumo. Allo stesso modo, il
consumo produce la disposizione del produttore,
sollecitandolo in veste di bisogno che determini lo scopo
della produzione.”
Marx, Zur Kritik der Politischen Ökonomie, cit.
Biocapitalismo
• In conclusione Marx osserva: “La cosa più importante da
mettere qui in rilievo è che produzione e consumo,
considerati come attività di un solo soggetto o di singoli
individui, appaiono in ogni caso come momenti di un
processo in cui la produzione è l’effettivo punto di partenza e
perciò anche il momento che abbraccia e supera gli altri. Il
consumo come necessità, come bisogno, è esso stesso un
momento interno dell’attività produttiva; ma quest’ultima è il
punto di partenza della realizzazione e, quindi, anche il
momento che abbraccia e supera gli altri, l’atto nel quale si
risolve di nuovo l’intero processo. L’individuo produce un
oggetto e, consumandolo, fa di nuovo ritorno a se stesso, ma
come individuo produttivo e che riproduce se stesso. A
questo modo, il consumo appare come un momento della
produzione.”
Marx, Zur Kritik der Politischen Ökonomie, cit.
Biocapitalismo
Nell’epoca del biocapitalismo la cooptazione del
consumatore all’interno del sistema produttivo appare
ancora più accentuata.
“Nel tempo libero, infatti, l’individuo è spinto a
svolgere delle attività che sono estremamente utili per i
funzionamento del sistema produttivo e consentono
alle imprese di ridurre i costi.”
È il caso, ad esempio, dei sistemi automatici introdotti
nei supermercati o delle recensioni relative ai servizi
degli alberghi scritte in internet dai turisti.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Biocapitalismo
Alvin Toffler (The Third Wave (1980); tr. it.: La terza
ondata. Il tramonto dell’era industriale e la nascita della
nuova civiltà, Milano, Sperling & Kupfer, 1987) ha
teorizzato l’avvento nella società della nuova figura del
“prosumer”, unione di producer e consumer
(produttore e consumatore).
Accanto al lavoro domestico e a quello retribuito,
Toffler ha evidenziato l’esistenza di un “terzo lavoro”
non retribuito sfruttato da numerose aziende.
È il caso del motore di ricerca Google che produce
valore facendo lavorare il suo miliardo di utenti, che
attraverso le loro ricerche danno vita alle gerarchie dei
siti internet.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Biocapitalismo
Come ha avuto modo di osservate Carlo Formenti, “il
taylorismo non è morto, si è evoluto, passando dal
disciplinamento del corpo al disciplinamento della
mente.”
Carlo Formenti, Felici e sfruttati. Capitalismo digitale ed eclissi del
lavoro, Milano, Egea, 2011, p. 55.
Biocapitalismo
“Non c’è da meravigliarsi pertanto se in Occidente,
come è stato evidenziato da numerose ricerche
condotte dagli psicologi, i livelli individuali di stress e
insoddisfazione fanno registrare un continuo
incremento.
A ciò si aggiunge l’ansia determinata dal fatto che le
persone hanno la percezione di avere sempre meno
tempo a disposizione per poter fare quello che
desidererebbero.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Biocapitalismo
“A ciò contribuisce anche l’odierna industria del tempo
libero, che produce in continuazione seducenti
proposte di occupazione del tempo personale.
Ma il problema primario, proprio come ha sostenuto
Alvin Toffler, è che il consumatore appare essere
sempre più occupato a svolgere il suo nuovo ‘terzo
lavoro’.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperconsumo
Iperconsumo
I consumatori dei Paesi avanzati “hanno smesso da
tempo di comperare i beni per le funzioni che
possono svolgere e sono spinti all’acquisto da
moltissimi altri motivi, con il risultato di vivere in una
situazione di ‘iperconsumo’.”
“Il termine inglese ‘shopping’ di solito viene tradotto
in italiano con ‘acquisti’, ‘compere’ o ‘spesa’, ma in
realtà il suo significato è decisamente più ampio.
Lo shopping non si riferisce soltanto a un semplice
atto di acquisto di un bene, ma è un’esperienza
complessa che racchiude al suo interno diverse
dimensioni di natura individuale e sociale.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperconsumo
“Il consumatore infatti non investe nello shopping
soltanto il suo denaro, ma anche il suo tempo libero e
il suo impegno psicologico. Non vi cercano soltanto
dei beni che siano in grado di soddisfare le sue
esigenze materiali, ma anche la possibilità di
sviluppare le sue relazioni sociali e realizzare la sua
identità.”
“Per tutti lo shopping si presenta come un mondo
altamente desiderabile e ciò è in gran parte il risultato
di quel lavoro di promozione che su di esso viene
incessantemente svolto da parte dei messaggi
pubblicitari.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperconsumo
“Ciò non comporta, però, che il consumo produca
necessariamente un elevato livello di soddisfazione
all’interno degli individui.
Questi continuano ostinatamente a consumare, ma
tutte le ricerche condotte a partire dagli anni
Cinquanta mostrano come la crescita del reddito, che
si traduce solitamente nell’acquisto di beni, non
abbia determinato un aumento della soddisfazione,
ad eccezione, ovviamente, di coloro che si trovavano
al di sotto della soglia di povertà.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperconsumo
Come osserva Bauman, infatti, lo scopo dei
produttori di merci non è quello di soddisfare
completamente i bisogni degli acquirenti. Se così
fosse i consumatori non sarebbero più indotti
all’acquisto di altri prodotti.
È quindi intrinseco alla natura del capitalismo non
solo favorire la nascita di nuovi bisogni, ma anche
fare in modo che si mantenga nel consumatore un
certo livello di insoddisfazione che possa indurlo ad
effettuare altri acquisti.
Iperconsumo
La cultura occidentale pare possedere una visione
miracolistica del consumo. (Cfr. Jean Baudrillard, La
société de consommation (1970); tr. it.: La società dei
consumi. I suoi miti e le sue strutture, Bologna, Il
Mulino, 1976).
Il consumo “viene infatti vissuto come il regno della
massima abbondanza, dove i beni non sono frutto del
lavoro e delle fatiche degli esseri umani, ma regali
dispensati da un’istanza mitologica benefica: la
tecnica, il progresso, l’industria, ecc.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperconsumo
“Non diversamente da quello che succedeva agli
indigeni, la società dei consumi di massa non
costituisce dunque altro che una grande illusione
collettiva.”
Si pensi a coloro che “alla fine degli anni Ottanta,
hanno fatto improvvidamente crollare una solida
barriera come il Muro di Berlino e i molti regimi
comunisti che si trovavano al di là di esso per poter
consumare i seducenti beni occidentali.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperconsumo
Nella società contemporanea prosegue “quel
processo tipico delle società capitalistiche che già
Marx aveva indicato nell’Ottocento come
‘mercificazione’ della società, per cui la cultura del
consumo si espande in continuazione su territori
sociali sempre nuovi.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperconsumo
Il modello consumistico è talmente pervasivo che, “come
ha sostenuto Zygmunt Bauman, nelle odierne società
consumistiche gli individui devono cercare, esattamente
come le merci in vendita nel mercato, di rendersi
particolarmente attraenti agli occhi degli altri, se
vogliono sentirsi parte della società in cui vivono.”
Come scrive Bauman, la società “ridefinisce le relazioni
interumane a modello e somiglianza delle relazioni tra i
consumatori e gli oggetti di consumo” (Zygmunt
Bauman, Consuming Life (2007); tr. it.: Consumo,
dunque sono, Laterza, Roma-Bari, 2009).
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperconsumo
“Assorbire lo statuto delle merci comporta per gli
individui anche assorbire quell’irreversibile tendenza
verso l’obsolescenza che caratterizza le merci stesse. Vale
a dire quell’inclinazione alla necessità di rinnovarsi in
continuazione se non si vuole sparire dalla vista e quindi
dal mercato. Tenere costantemente aggiornata la propria
identità attraverso i beni che si acquistano diventa perciò
un vero e proprio obbligo sociale. Ma è improbabile che
un tale aggiornamento possa rendere soddisfatti a lungo
termine gli individui, perché esattamente come le merci,
gli standard di riferimento mutano in continuazione e
qualsiasi innovazione è destinata a diventare prima o poi
obsoleta.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperconsumo
“Pensare a se stessi come a delle merci fa sì che gli
individui tendano a percepire come simili alle merci
anche gli altri (il partner o gli amici). Essi devono perciò
corrispondere esattamente a ciò che si desidera e sono
passibili di essere rapidamente sostituiti se non
soddisfano più, nello stesso modo in cui va restituito un
prodotto che presenta dei difetti.”
Tutto questo “rende inevitabilmente tutti i rapporti
umani fragili, temporanei e dunque fonti a loro volta di
ansia.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Iperconsumo
Inoltre, se da una parte la società dei consumi di
massa sembra in apparenza dare vita a un processo di
omologazione, dall’altra produce “nuove forme di
differenziazione e gerarchizzazione degli individui.
Lungi dall’eliminare, infatti, come promette, le
barriere culturali, le differenze religiose e i conflitti di
classe, il consumo esercita oggi principalmente il suo
potere attraverso un incremento delle discriminazioni
sociali.”
Il consumo infatti non è in grado di migliorare lo
stato di benessere di tutti. Sono in molti a rimanere
esclusi.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrinizzazione sociale
Vetrinizzazione sociale
Con l’espressione “vetrinizzazione sociale”, Codeluppi
intende quel fenomeno che ha progressivamente
portato “all’adozione da parte dei principali ambiti
sociali di quel particolare modello di comunicazione
che contraddistingue dal Settecento le modalità
comunicative delle vetrine.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrinizzazione sociale
“La vetrina ha dato origine a un particolare modello
di comunicazione. Ha avuto numerosi precursori che
avevano in comune con essa il senso della
spettacolarità – il teatro greco, l’arte della costruzione
dei giardini, la prospettiva artistica rinascimentale, le
Wunderkammern (cioè quelle ‘camere delle
meraviglie’ che venivano realizzate dagli aristocratici
europei nelle loro dimore) – ma è nei primi decenni
del Settecento che il suo modello comunicativo si è
effettivamente rivelato, come certificano le prime
testimonianze scritte.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrinizzazione sociale
“La vetrina probabilmente è comparsa perché si è
profondamente modificato il rapporto esistente da
secoli tra la bottega e la strada.
Lo sviluppo demografico e commerciale delle città
aveva sostituito infatti una clientela conosciuta e
abituale con nuovi clienti ignoti e frettolosi che
dovevano essere persuasi a entrare nelle botteghe.
Ciò è stato possibile principalmente grazie
all’introduzione della vetrina, che ha consentito di
esporre verso la strada le merci.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrinizzazione sociale
Con la vetrina cambia la disposizione delle merci:
“non più nascoste alla vista e stipate alla rinfusa in
retrobottega inaccessibili al pubblico o in cassetti
profondi e armadi chiusi da cui il venditore le preleva
per magnificarle, ma esposte sia in vetrina sia
all’interno del negozio per cercare di catturare lo
sguardo e il desiderio dei clienti.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrinizzazione sociale
In vetrina le merci mostrano con chiarezza la loro
natura di “feticci”.
Come osservava Karl Marx, le merci sono soprattutto
“feticci”, perché nascondono sotto l’apparenza dei
rapporti tra cose quelle che in realtà sono le relazioni
tra persone che si instaurano nel modo di produzione
capitalistico.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrinizzazione sociale
Le merci in vetrina mostrano il loro aspetto bello e
seducente, attirando gli sguardi dei potenziali
consumatori.
Georg Simmel, descrivendo l’esposizione universale
di Berlino ebbe modo di descrivere il processo di
vetrinizzazione delle merci, osservando come la
dimensione estetica nella cultura occidentale avesse
posto in secondo piano il valore d’uso dei prodotti.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrinizzazione sociale
• Come osserva Georg Simmel, a proposito
dell’esposizione universale di Berlino:
• “Dal punto di vista architettonico questa esposizione
raggiunge il suo culmine, dimostrando quanto il
principio di esposizione ha raggiunto finora nella
produttività estetica.”
Georg Simmel, Berliner Gewerbe-Ausstellung (1896); tr. it. di Ulrike Hoffmann
e Vincenzo Mele: Esposizione industriale berlinese, in Estetica e sociologia, a
cura di Vincenzo Mele, Roma, Armando, 2006.
Vetrinizzazione sociale
“Da un altro punto di vista, la sua produttività è
almeno altrettanto alta: mi riferisco a ciò che si
potrebbe chiamare la qualità di vetrina degli oggetti
(Schaufenster-Qualität der Dinge), una caratteristica
che l’esposizione accentua al massimo. La produzione
di merci sotto il dominio della libera concorrenza e
con la normale predominanza dell’offerta sulla
domanda comporta che gli oggetti tendano a mostrare
un aspetto seducente a discapito della loro utilità.”
Vetrinizzazione sociale
“Laddove la concorrenza in rapporto all’utilità e alla
qualità intrinseche termina il suo compito – e spesso
anche prima – occorre cercare di attrarre l’interesse del
compratore attraverso il fascino esteriore dell’oggetto e
persino attraverso il modo del suo arrangiamento.
Questo è il punto che provoca un cambiamento
nell’ideale estetico proprio a causa dell’incremento
esteriore dell’interesse materiale e della necessità sempre
più aspra di concorrenza. La premura di dare anche a ciò
che è utile un aspetto gradevole all’occhio, com’è
assolutamente naturale per gli orientali e le culture
romanze, deriva presso di noi dalla lotta per l’acquirente
– la grazia maggiore da ciò che è assolutamente privo di
grazia.”
Vetrinizzazione sociale
“L’esposizione rappresenta l’aumento estremo di
questo superadditum estetico in cui, coerentemente
con la sua accentuazione del divertimento, viene
ricercata soprattutto una nuova sintesi di principio tra
la bellezza esteriore e l’utilità oggettiva. L’esigenza
banale di ‘porre le cose nella giusta luce’ si sviluppa a
partire dalle urla per magnificare le merci nel mercato
tradizionale per giungere fino ai più interessanti
tentativi di ricavare nuovi significati estetici mediante
l’arrangiamento della loro disposizione – proprio
come la comune Reclame si è evoluta verso l’arte del
poster.”
Vetrinizzazione sociale
“Progressivamente, l’intensa ingordigia di merci
manifestata dalle nuove masse urbane ha determinato
la necessità di passare dal negozio singolo alla prima
forma di galleria commerciale coperta: il passage.
Questo, concentrando al suo interno diversi negozi
con le relative vetrine, ha amplificato la forza
posseduta dalla singola vetrina. Ma la capacità
comunicativa della vetrina è stata soprattutto
rafforzata dalla possibilità tecnica di produrre, a
partire all’incirca della metà dell’Ottocento, lastre di
vetro di grandi dimensioni e quindi in grado di
occupare l’intera esposizione esterna dei negozi.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrinizzazione sociale
• Anche Walter Benjamin, allievo di Georg Simmel, si
sofferma sul tema delle esposizioni universali.
“Le esposizioni universali” – scrive Benjamin – “sono
luoghi di pellegrinaggio al feticcio merce.”
[…]
“Le esposizioni universali trasfigurano il valore di
scambio delle merci; creano un ambito in cui il loro
valore d’uso passa in secondo piano; inaugurano una
fantasmagoria in cui l’uomo entra per lasciarsi
distrarre.”
Walter Benjamin, Das Passagenwerk (1927-1940) [tr. it.: I “Passages” di Parigi, a cura di
Rolf Tiedemann. Edizione italiana a cura di Enrico Ganni, vol. I, Torino, Einaudi,
2000].
Passage
Passage
Passage
Vetrinizzazione sociale
“È stato inoltre estremamente importante il ruolo
svolto dall’illuminazione artificiale interna, la quale
ha consentito di amplificare la trasparenza del vetro. I
negozianti hanno cominciato perciò a cercare di
attirare l’attenzione dei passanti sulle vetrine
mediante spettacolari giochi di luce: hanno impiegato
le vetrine come se fossero il palcoscenico di un teatro
sul quale rappresentare uno spettacolo, considerando
la strada come la platea e i passanti come il pubblico.
Non è un caso, pertanto, che l’illuminazione delle
vetrine abbia fedelmente adottato le regole che
vengono seguite per l’illuminazione teatrale.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrinizzazione sociale
“La logica comunicativa della vetrina, basata sulla
messa in scena spettacolare dei prodotti, si è poi
progressivamente estesa all’intera superficie dei
luoghi di vendita e a spazi sempre più vasti. Lo
dimostrano, nel Novecento, la nascita e il sempre più
intenso successo ottenuto a livello planetario dal
modello statunitense del centro commerciale e lo
sviluppo di tutti i principali tipi di luoghi di consumo:
alberghi, ristoranti, cinema, musei, parchi a tema,
aeroporti, Internet, ecc. Ma più in generale, negli
ultimi decenni si è presentato un processo di
progressiva vetrinizzazione anche della società.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrinizzazione sociale
“La vetrina ha insegnato soprattutto a coltivare l’arte
dello sguardo e ha contribuito a far sorgere quella
vera e propria passione per l’immagine visiva che ha
caratterizzato nel corso degli ultimi due secoli la
cultura del mondo occidentale.”
“Lo spazio della vetrina rappresenta anche una
dimensione profondamente diversa rispetto alla realtà
fisica vissuta ogni giorno dalle persone. Costituisce
infatti uno spazio ‘di sogno’ che, pur essendo
totalmente artificiale, coinvolge in profondità e
invoglia a entrare al suo interno, perché si presenta
come ideale perfetto e privo di qualsiasi problema.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrinizzazione sociale
Spostando l’attenzione dagli oggetti ai soggetti, occorre
ricordare che se è vero che uomini e donne sono sempre
stati attenti alla propria immagine, è soltanto a partire
dal Seicento, con la progressiva diffusione nelle case
benestanti dello specchio, che è cresciuta la
consapevolezza dell’importanza del proprio aspetto
esteriore.
“È stata la vetrina, in seguito, a proporre un vero e
proprio modello di valorizzazione di ciò che viene messo
in scena.”
“È così anche dalla vetrina e dalla pubblicità che gli
individui hanno progressivamente imparato a costruire e
gestire la propria identità personale.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrinizzazione sociale
Gli uomini offrono un’immagine di sé attraverso:
l’ostentazione di oggetti dotati di un elevato valore
economico e di caratteristiche di visibilità tali da
consentire la loro esibizione in società (“Status
symbol”): borse firmate, fuoristrada, smartphone etc.
 l’ostentazione del proprio corpo (esibito con capi di
abbigliamento sempre diversi o mostrato
direttamente. Anche i tatuaggi e i piercing rientrano
in una precisa strategia esibitiva).
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrinizzazione sociale
Ma “vetrinizzarsi non è un semplice mostrarsi, che
comporta la possibilità di trattenere qualcosa per sé,
di difendere la propria dimensione interiore.
L’individuo che si mette in vetrina si espone allo
sguardo dell’altro e non può sottrarsi a tale sguardo.
Tutto dev’essere esposto e non è possibile lasciare
nascosti sentimenti, emozioni o desideri.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrinizzazione sociale
“Norbert Elias ha sostenuto che dall’XI al XVII
secolo lo sviluppo del processo occidentale di
civilizzazione ha prodotto la necessità di una
progressiva separazione tra la sfera pubblica e quella
privata della vita umana.”
Tuttavia occorre ricordare che questo processo ha
riguardato soprattutto la borghesia dell’Ottocento.
“Prima dell’avvento al potere della borghesia, infatti,
tutto avveniva per strada e la sicurezza degli individui
era garantita dalla solidità dei legami comunitari
esistenti.”
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrinizzazione sociale
“In seguito, con il diffondersi del benessere economico,
questo modello si è esteso anche ai ceti popolari.
Oggi però, dopo più di un secolo, accade sempre più
frequentemente che le persone tendano a voler
rinunciare al proprio diritto alla privacy.”
Assistiamo a una progressiva frantumazione della
barriera che un tempo esisteva tra dimensione pubblica e
dimensione privata. Il privato viene esibito in pubblico
quotidianamente. Alcuni esempi sono sotto i nostri
occhi: si va dalle conversazioni tramite cellulare che
vengono effettuate senza problemi in luoghi affollati o
alla esibizione di se stessi su Internet, mediante foto o
webcam.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrina digitale
Vetrina digitale
“Oggi è soprattutto all’interno di Internet che il
processo di vetrinizzazione degli individui si va
diffondendo.”
Blog e social Network sono spazi all’interno dei quali
si denuda la propria anima e a volte anche il proprio
corpo.
I profili personali sono strumenti di autopromozione,
dove si inserisce la propria foto migliore e si
raccontano gli aspetti più socialmente attraenti di se
stessi.
Codeluppi, Ipermondo, cit.
Vetrina digitale
“Sembra che le esperienze fatte dagli esseri umani siano
considerate vere solamente se vengono dichiarate
esplicitamente nello spazio relazionale dei social
network. Naturalmente si tratta di un’illusione.”
Come osserva Maria Emanuela Corlianò “i dispositivi di
comunicazione always on (al cellulare, in chat, sul web)
assumono i contorni di una gabbia che ci lega alle
persone e agli oggetti e condiziona la nostra esistenza
sociale. In tal modo, il social networking finisce
paradossalmente per allontanarci da noi stessi,
impedisce, almeno in parte, la riflessione sulla
complessità della rete” (Vite mediate. Nuove tecnologie di
connessione e culture di rete, Milano, FrancoAngeli, 2010, p. 39).
Codeluppi, Ipermondo, cit.
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