PensieroLeopardi 2

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Il pensiero di Giacomo Leopardi
Caratterizzato
da una forte
inclinazione al
pessimismo, il
pensiero
leopardiano
ruota intorno
al tema
dell’infelicità
umana.
Gli studiosi hanno distinto tre fasi del pessimismo
leopardiano: una fase di "pessimismo storico" (avvertibile
nell'opera "Discorso di un italiano sulla poesia romantica"
del 1818), una di "pessimismo psicologico" (nei "Piccoli
Idilli") e una di "pessimismo cosmico" (in alcune "Operette
morali" e nei Canti pisano-recanatesi ovvero Grandi Idilli).
1) LA FASE DEL “PESSIMISMO STORICO” (1817 – 1823)
Il "Pessimismo Storico" si basa sulla "Teoria delle Illusioni".
Indagando sulla causa dell'infelicità umana, Leopardi segue la
spiegazione di Rousseau, e afferma, con la sua "Teoria delle
Illusioni", che gli uomini furono felici soltanto nell'età
primitiva, quando vivevano a stretto contatto con la natura,
ma poi essi vollero uscire da questa beata ignoranza e
innocenza istintiva e, servendosi della ragione, si misero
alla ricerca del vero. Le scoperte della ragione furono
catastrofiche: infatti scoprì la vanità delle illusioni, che
la natura, come una madre benigna, aveva ispirato agli uomini;
scoprì le leggi meccaniche che regolano la vita dell'universo;
scoprì
il
male,
il
dolore,
l'infelicità,
l'angoscia
esistenziale.
La storia degli uomini quindi, dice Leopardi, non è progresso, ma
decadenza da uno stato di inconscia felicità naturale, ad uno stato
di consapevole dolore, scoperto dalla ragione.
Ciò che è avvenuto nella storia dell'umanità, si ripete
immancabilmente, per una specie di miracolo, nella storia di ciascun
individuo. Dall'età dell'inconscia felicità, quale è quella
dell'infanzia, dell'adolescenza e della giovinezza, allorché tutto
sorride intorno e il mondo è pieno di incanto e di promesse, si passa
all'età della ragione, all'età dell'arido vero, del dolore
consapevole e irrimediabile .
La ragione è colpevole della nostra infelicità, in contrasto con la
natura madre provvida, benigna e pia, che cerca di coprire col velo
dei sogni, delle fantasie e delle illusioni le tristi verità del
nostro essere.
OPERE PRINCIPALI:
“Alla primavera, o delle favole antiche”
“Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica”
“All’Italia”
“Sopra il monumento di Dante”
Negli anni 1820-23 infatti elabora la TEORIA DEL PIACERE
La "teoria del piacere” afferma che l'uomo nella sua vita tende sempre a ricercare
un piacere infinito, come soddisfazione di un desiderio illimitato, ma di fatto
può ottenere solo piaceri limitati, finiti, rimanendo insoddisfatto, per questo la
felicità non esiste e l’uomo è condannato all’infelicità.
<<L’anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente e mira unicamente,
benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt’uno col
piacere. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perché è ingenita o congenita coll’esistenza,
e perciò non può avere fine in questo o quel piacere che non può essere infinito, ma solamente termina
colla vita. E non ha limiti: 1) né per durata; 2) né per estensione. Quindi non ci può essere nessun
piacere che eguagli: 1) né la sua durata, perché nessun piacere è eterno; 2) né la sua estensione,
perché nessun piacere è immenso, ma la natura delle cose porta che tutto esista limitatamente, e tutto
abbia confini, e sia circoscritto>> (Zibaldone, luglio 1820).
L’uomo però attraverso l’immaginazione può figurarsi piaceri inesistenti, e
figurarseli come infiniti in numero, durata ed estensione. La natura benigna
fornisce tale facoltà all'uomo come strumento per giungere non alla verità, ma ad
un'illusoria felicità. L’immaginazione è stimolata da tutto ciò che è vago e
indefinito:
1. TEORIA DELLA VISIONE = la vista impedita da un ostacolo (es.
la siepe de L’Infinito), stimola l’immaginazione.
2. TEORIA DEL SUONO: canti che si odono in lontananza, per
strada, da una casa (cfr. Il passero solitario, A Silvia, Canto
notturno…, La sera del dì di festa)
3. uso di parole indefinite (lontano, eterno, antico…)
Leopardi aggiunge poi una considerazione importante: sono
suggestive le immagini che evocano sensazioni che ci hanno
affascinati da fanciulli. La rimembranza diviene pertanto
essenziale al sentimento poetico. Poetica dell'indefinito e
poetica della rimembranza si fondono: la poesia non è che
ricupero della visione immaginosa della fanciullezza attraverso
la memoria.
Leopardi osserva che maestri della poesia vaga e indefinita
erano gli antichi: essi, perché più vicini alla natura, erano
appunto immaginosi come fanciulli. E questo carattere
"fanciullesco" è rivelato dal ricorrere spontaneo, nella loro
poesia, di immagini vaghe e indefinite.
Opere ricollegabili a questo
periodo:
-L’infinito
-Le ricordanze
3) Il “pessimismo cosmico” (dal 1824)
L'infelicità è una condizione data dalla natura stessa e coinvolge
in tutti luoghi e in tutti i tempi, gli uomini tutti, gli esseri
viventi tutti e l'intero universo. Il pessimismo cosmico, che è
fondato su un materialismo assoluto, induce Leopardi a negare ogni
possibilità di riscatto dall'infelicità, e dunque ogni possibilità
di mutamento.
Al tema del piacere che non si può avere, Leopardi accosta quello
della sofferenza che non si può evitare: anche se l'individuo un
giorno riuscisse a raggiungere il piacere, sarebbe comunque frutto
di troppe sofferenze e quindi il bilancio della vita sarebbe in
ogni caso catastrofico, fatto di malattie, infortuni, sofferenza e
morte. Quindi scopre che causa del dolore è proprio la natura, che
tanto ha promesso e nulla può mantenere. Adesso perciò, la natura,
è per Leopardi una matrigna crudele ed indifferente al dolore degli
uomini, una forza oscura e misteriosa.
O natura, o
natura,
perché non
rendi poi
quel che
prometti allor?
perché di tanto
inganni i figli
tuoi?
“A Silvia”
Ma perché dare al
sole,
Perché reggere in
vita
Chi poi di quella
consolar convenga?
Se la vita è
sventura
Perché da noi si
dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non
sei,
E forse del mio dir
poco ti cale.
“Canto notturno di
un pastore errante
dell’Asia minore”
Opere riconducibili a questa fase:
-A Silvia
-Canto notturno di un pastore errante dell’Asia minore
-Dialogo della Natura e di un Islandese
L’ultima fase: il pessimismo “eroico” (dal 1830)
Il pessimismo eroico segna il ritorno delle opere leopardiane all’atteggiamento
titanico, all’impegno civile, l’attenzione alla dimensione sociale, al soccorso
reciproco tra gli uomini di fronte al male comune (la natura matrigna) [già nel
Dialogo di Plotino e di Porfirio è sottolineata l’importanza della dimensione
sociale nella vita umana. Il suicidio provoca dolore ai superstiti e quindi
maggiore infelicità dell’esistenza. Gli uomini devono aiutarsi reciprocamente
contro l’infelicità, esso è lo stesso concetto che ritroviamo nella Ginestra]
Questa fase comprende la composizione
del Ciclo di Aspasia (è una serie di componimenti poetici il cui tema principale è
la caduta e la vanità di ogni illusione, in particolare dell’“ultima illusione”
cioè l’amore. L'ispirazione per le liriche viene dalla traumatica vicenda d'amore
vissuta dal poeta con Fanny Targioni Tozzetti, a cui il poeta fa riferimento usando
lo pseudonimo in senso dispregiativo di Aspasia, la concubina di Pericle. Le poesie
che compongono il ciclo sono: Il pensiero dominante, Amore e Morte, Consalvo, A se
stesso, Aspasia.
Stile dei componimenti: concentrazione espressiva, uso estremo della sintassi
(periodo molto brevi o al contrario molto lunghi, sintassi spezzata dalla
punteggiatura), lessico concreto
e della Ginestra
Alcune note sulla Ginestra:
scritta nel 1836 a Torre del Greco presso Napoli nella villa Ferrigni e pubblicata postuma.
Con questo canto, il poeta vuole trasmettere un messaggio di solidarietà umana e, al di là del suo pessimismo, volgere lo sguardo verso
l'avvenire. Leopardi inizia la poesia con la descrizione di un paesaggio desolato, quello del Vesuvio, rallegrato solamente dall'"odorata
ginestra,/ contenta dei deserti" e contempla in modo doloroso la potenza di un fenomeno della natura, come l'eruzione del vulcano (79 d.
C.), e ne analizza tutti gli effetti di distruzione confermando la precarietà della condizione umana. Sulle pendici riarse e desolate del Vesuvio
solo una pianta riesce a vivere, la ginestra, flessibile e tenace: simbolo dell'uomo che sa accettare la verità sulla propria condizione e, su
questa verità, può costruire la propria dignità.
Paesaggio desolato del Vesuvio: simbolo della condizione di sofferenza dell’uomo
Contro ogni ottimismo il poeta deve denunciare la condizione umana eternamente infelice per individuare il vero nemico: la Natura
Per questo è necessaria l’alleanza tra tutti gli uomini, per poter soffrire di meno
La ginestra rappresenta la resistenza alla forza della natura, l’umiltà e la dignità, tutte virtù che dovrebbe avere anche l’uomo