Alla stazione in una mattina d`autunno

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Transcript Alla stazione in una mattina d`autunno

Luci ed ombre alla stazione
in una mattina d’autunno
Giosuè CARDUCCI
In questo componimento, uno dei più
celebri della produzione letteraria
carducciana, l’immagine dell’amata Lidia,
sembra fondersi con quella dell’io lirico per
poi perdersi sullo sfondo di un malinconico
mattino autunnale.
Oh quei fanali come s’inseguono
accidïosi là dietro gli alberi,
tra i rami stillanti di pioggia
sbadigliando la luce su ’l fango!
Va l’empio mostro; con traino orribile
sbattendo l’ale gli amor miei portasi.
Ahi, la bianca faccia e ’l bel velo
salutando scompar ne la tenebra.
Flebile, acuta, stridula fischia
la vaporiera da presso. Plumbeo
il cielo e il mattino d’autunno
come un grande fantasma n’è intorno.
O viso dolce di pallor roseo,
o stellanti occhi di pace, o candida
tra’ floridi ricci inchinata
pura fronte con atto soave!
Dove e a che move questa, che affrettasi
a’ carri foschi, ravvolta e tacita
gente? a che ignoti dolori
o tormenti di speme lontana?
Fremea la vita nel tepid’aere,
fremea l’estate quando mi arrisero;
e il giovine sole di giugno
si piacea di baciar luminoso
Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
al secco taglio dài de la guardia,
e al tempo incalzante i begli anni
dài, gl’istanti gioiti e i ricordi.
in tra i riflessi del crin castanei
la molle guancia: come un’aureola
piú belli del sole i miei sogni
ricingean la persona gentile.
Van lungo il nero convoglio e vengono
incappucciati di nero i vigili,
com’ombre; una fioca lanterna
hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei
Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com’ebro, e mi tócco,
non anch’io fossi dunque un fantasma.
freni tentati rendono un lugubre
rintócco lungo: di fondo a l’anima
un’eco di tedio risponde
doloroso, che spasimo pare.
Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su l’anima!
io credo che solo, che eterno,
che per tutto nel mondo è novembre.
E gli sportelli sbattuti al chiudere
paion oltraggi: scherno par l’ultimo
appello che rapido suona:
grossa scroscia su’ vetri la pioggia.
Meglio a chi ’l senso smarrí de l’essere,
meglio quest’ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi
in un tedio che duri infinito.
Già il mostro, conscio di sua metallica
anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei
occhi sbarra; immane pe ’l buio
gitta il fischio che sfida lo spazio.
PARAFRASI
Oh quei fanali come s’inseguono
accidïosi là dietro gli alberi,
tra i rami stillanti di pioggia
sbadigliando la luce su ’l fango!
Va l’empio mostro; con traino orribile
sbattendo l’ale gli amor miei portasi.
Ahi, la bianca faccia e ’l bel velo
salutando scompar ne la tenebra.
Flebile, acuta, stridula fischia
la vaporiera da presso. Plumbeo
il cielo e il mattino d’autunno
come un grande fantasma n’è intorno.
O viso dolce di pallor roseo,
o stellanti occhi di pace, o candida
tra’ floridi ricci inchinata
pura fronte con atto soave!
Dove e a che move questa, che affrettasi
a’ carri foschi, ravvolta e tacita
gente? a che ignoti dolori
o tormenti di speme lontana?
Fremea la vita nel tepid’aere,
fremea l’estate quando mi arrisero;
e il giovine sole di giugno
si piacea di baciar luminoso
Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
al secco taglio dài de la guardia,
e al tempo incalzante i begli anni
dài, gl’istanti gioiti e i ricordi.
in tra i riflessi del crin castanei
la molle guancia: come un’aureola
piú belli del sole i miei sogni
ricingean la persona gentile.
Van lungo il nero convoglio e vengono
incappucciati di nero i vigili,
com’ombre; una fioca lanterna
hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei
Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com’ebro, e mi tócco,
non anch’io fossi dunque un fantasma.
freni tentati rendono un lugubre
rintócco lungo: di fondo a l’anima
un’eco di tedio risponde
doloroso, che spasimo pare.
Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su l’anima!
io credo che solo, che eterno,
che per tutto nel mondo è novembre.
E gli sportelli sbattuti al chiudere
paion oltraggi: scherno par l’ultimo
appello che rapido suona:
grossa scroscia su’ vetri la pioggia.
Meglio a chi ’l senso smarrí de l’essere,
meglio quest’ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi
in un tedio che duri infinito.
Già il mostro, conscio di sua metallica
anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei
occhi sbarra; immane pe ’l buio
gitta il fischio che sfida lo spazio.
Linguaggio alto e ricercato: apostrofe
Oh quei fanali come s’inseguono#
accidïosi là dietro gli alberi,
tra i rami stillanti di pioggia#
sbadigliando la luce su ’l fango!
personificazione
Flebile, acuta, stridula fischia#
la vaporiera da presso. Plumbeo#
il cielo e il mattino d’autunno#
come un grande fantasma n’è intorno.
allitterazione
anastrofe
Dove e a che move questa, che affrettasi#
a’ carri foschi, ravvolta e tacita#
gente? a che ignoti dolori #
o tormenti di speme lontana?
metafora
similitudine
termini di ispirazione
gotica
Tu pur pensosa, Lidia, la tessera#
al secco taglio dài de la guardia,
e al tempo incalzante i begli anni#
dài, gl’istanti gioiti e i ricordi.
epanalessi e parallelismo
anastrofe
Van lungo il nero convoglio e vengono# termini di ispirazione gotica
incappucciati di nero i vigili,
com’ombre; una fioca lanterna#
hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei#
figura etimologica
freni tentati rendono un lugubre#
rintócco lungo: di fondo a l’anima#
un’eco di tedio risponde#
doloroso, che spasimo pare.
E gli sportelli sbattuti al chiudere#
paion oltraggi: scherno par l’ultimo#
appello che rapido suona:
grossa scroscia su’ vetri la pioggia.
anastrofe
figura etimologica
Già il mostro, conscio di sua metallica#
anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei#
occhi sbarra; immane pe ’l buio#
gitta il fischio che sfida lo spazio.
personificazione
Va l’empio mostro; con traino orribile#
sbattendo l’ale gli amor miei portasi.
Ahi, la bianca faccia e ’l bel velo#
salutando scompar ne la tenebra.
metafora
climax ascendente
termini d’ispirazione gotica
ossimoro
O viso dolce di pallor roseo,
o stellanti occhi di pace, o candida#
tra’ floridi ricci inchinata#
pura fronte con atto soave!
Fremea la vita nel tepid’aere,
fremea l’estate quando mi arrisero;
e il giovine sole di giugno#
si piacea di baciar luminoso#
analessi metafora
personificazione
in tra i riflessi del crin castanei#
la molle guancia: come un’aureola# metafora
piú belli del sole i miei sogni#
ricingean la persona gentile.
grande tristezza e pessimismo
Sotto la pioggia, tra la caligine#
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com’ebro, e mi tócco,
non anch’io fossi dunque un fantasma.
Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su l’anima!
io credo che solo, che eterno,
che per tutto nel mondo è novembre.
metafora climax ascendente
anastrofe
Meglio a chi ’l senso smarrí de l’essere, anafora
meglio quest’ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi#
anadiplosi
in un tedio che duri infinito.
La stazione
Il treno della vita…
Giosuè CARDUCCI nacque nel 1835
a Valdicastello, in Versilia. Trascorse
l’infanzia in Maremma, si laureò in
Lettere a Pisa, insegnò nelle scuole
secondarie, ebbe la cattedra di
Letteratura Italiana a Bologna. L’opera
poetica,
dall’anti-romanticismo
e
l’anticlericalismo giovanile, si svolse
con evocazioni storiche e momenti
d’intensa malinconia come nelle Rime
Nuove e nelle Odi Barbare (chiamate
così poiché, abbandonando i metri
tradizionali italiani, cercò di riprodurre
quelli classici col sistema accentuativo
italiano). Dapprima attivo patriota e
positivista, poi critico e «Scudiero dei
Classici» (ritenendo che all’epoca la
letteratura
fosse
fragile,
volle
esprimere i propri concetti con la
potenza dei classici), alla fine
un’anima tardo-romantica. Collaborò
a periodici e sostenne polemiche
letterarie e politiche; nel 1906 ottenne
il premio Nobel per la poesia, morì
nell’anno successivo. x
Parafrasi Oh quei lampioni del viale come s'inseguono pigri tra gli alberi gocciolanti di
pioggia, spandendo la loro luce sbiadita dalla nebbia sul fango della strada, simile a sbadigli!
La locomotiva fischia, dapprima debolmente, poi in modo acuto e stridulo. Il cielo è grigio,
pesante e il mattino ci avvolge con la nebbia come se fosse un grande fantasma. Dove e per
quale motivo questa gente, avvolta nei cappotti e silenziosa, si avvia frettolosamente verso i
convogli scuri? A che scopo va incontro a dolori ignoti o a pene di speranze rivelatesi vane?
Anche tu, Lidia, pensierosa, consegni il biglietto ferroviario alla guardia che lo taglia, e
contemporaneamente consegni al tempo, che incalza velocemente, i begli anni della
giovinezza, i momenti di gioia e i ricordi del nostro amore. Intanto, i controllori dei freni,
incappucciati di nero, vanno su e giù lungo il nero convoglio, come ombre, hanno in mano
una debole lanterna e delle mazze di ferro: ed i freni, percossi dalle mazze, vibrano con un
suono lungo e triste, al quale il mio animo risponde con un'eco di dolore, simile ad uno
spasmo. Il chiudere degli sportelli mi sembra oltraggioso e l’ultimo invito a salire sulle carrozze
mi appare come una presa in giro, mentre la pioggia cade sui vetri provocando un forte
rumore. Ormai la locomotiva, simile ad un mostro meccanico, consapevole della su anima
metallica emette sbuffi di vapore, vibra, ansima, i fanali sembrano occhi di fuoco appena
sbarratti: quindi, nel buio emette un terribile fischio, come se cercasse di sfidare lo spazio.
Parte lo spietato treno portando via con sè il mio amore, simile ad un mostro che sbatte le ali.
Il viso rosa pallido dell'amata scompare nel buio salutando. Oh dolce viso di un pallore roseo,
Oh occhi luminosi come stelle che danno un senso di pace; oh fronte bianca e pura che si
piega tra i folti capelli. Trepidava la vita nell'aria tiepida e «fremeva» l'estate quando i suoi
occhi mi sorrisero; e l'ancora tiepido sole di giugno si compiaceva di baciare, tra i riflessi
castani dei capelli la morbida guancia: i miei sogni, più luminosi del sole, circondavano come
un'aureola la sua figura delicata. Torno a casa sotto la pioggia, nella nebbia fitta e vorrei
confondermi in esse; barcollo stordito e mi tocco per constatare che non sia anch'io un
fantasma. Mi sembra che le foglie cadano sempre più pesanti, fredde e silenziose sulla mia
anima! Io credo che ovunque sia novembre. E' meglio per chi ha perduto ogni legame con la
vita, quest'ombra, questa nebbia: io voglio adagiarmi in un tedio che duri per sempre. x
Carolina Cristofori Piva
Carolina Cristofori Piva nel 1872
Copyright © Biblioteca e Casa
Carducci
era un’intellettuale che si legò
sentimentalmente e culturalmente a
Carducci tra il 1872 e il 1878, dando
frutto ad una fitta corrispondenza.
Il poeta ne trasformò il nome in Lidia
rievocando una protagonista
dell’opera Oraziana.
Nel componimento essa rappresenta
l’unica luce nel buio soffocante del
progresso e della modernità, posta
nel locus amoenus dei ricordi. La
bella Natura fa da contrappunto
all’avvento della tecnologia, la
stagione dell’amore si contrappone
al tedio autunnale. x
I vigili assumono l’aspetto di creature
demoniache che vagano sul «nero
convoglio», spiriti inquieti, mietitori di morte!
Insieme al «mostro, conscio della sua
metallica anima», sono la perfetta espressione
del PRE-DECADENTISMO .
Il poeta è stato un avanguardia del Decadentismo,
corrente letteraria caratterizzata dalla sensualità e da un
estetismo che evoca sentimenti di decadenza e di morte,
l’esaltazione della sregolatezza, il culto del mistero, il
demonismo. Si esprime attraverso una poesia suggestiva
e visionaria, indefinita ma musicale, densa di simbologie
oscure.
Sublime
Il sentimento di curiosità verso l’oscuro, nell’arte
l’attrazione-repulsione per ciò che ci sgomenta, una
spettacolarità che ci lascia senza fiato. È una bellezza
che riguarda il soprannaturale e l’ignoto, «l’unknown»
della letteratura inglese, stupore, paura. Esso ci
confonde, ci devasta, percepiamo la nostra impotenza,
siamo disorientati, terrorizzati ed allo stesso tempo
fortemente attirati. È silenzio ed inquietudine. x
In un’atmosfera di buio totale, tra i tormenti e
le inquietudini, trova spazio l’angelica Lidia.
Il poeta dedica i versi più dolci alla donna
che ha amato, la descrive come un essere
candido e delicato nel contesto di un’estate
passata, accarezzata dai raggi del sole, nel
momento in cui, con un sorriso, ella gli rapì il
cuore. Da allora Il giovane Carducci ripose in
essa sogni ed illusioni e probabilmente visse
una coinvolgente storia d’amore.
Il breve flashback , compiuto dall’autore,
costituisce l’unico «punto di luce», nell’intero
componimento. x
Lavoro realizzato da
Alessia D’Amico
classe 5A
Liceo scientifico
a.s. 2011-2012
Prof.ssa Assunta Gasparri