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PRIMO PIANO
Venerdì 10 Marzo 2017
Titti Di Salvo, deputata dem, ex Cgil e Sel: ecco perché sostengo Renzi al congresso
Pd, serve una leadership forte
Riforme, il limite da recuperare è la mancata condivisione
DI
ALESSANDRA RICCIARDI
«U
na guida mite», invocano i 25 senatori democratici che
si sono schierati
con Andrea Orlando nella corsa per la segreteria del partito.
«Una rivoluzione mite» è quella
che promette l’altro candidato, il
governatore pugliese Michele
Emiliano. «Io invece sono convinta che al partito democratico serva un leader forte», dice
Titti Di Salvo. Vicepresidente
del gruppo Pd alla camera, Di
Salvo è stata per molti anni
sindacalista, la prima segretaria regionale donna della Cgil
per il Piemonte. Passata alla
politica, deputata con Sel, nel
2014 segue la scissione operata
dall’allora capogruppo, Gennaro Migliore, ed entra nel partito democratico. Oggi sostiene
Matteo Renzi nella corsa alla
segreteria.
Domanda. Lei va controcorrente. Alcuni suoi
compagni di viaggio hanno
abbandonato il Pd per un
movimento più di sinistra
e contro Renzi, lei invece
ha aderito al Pd venendo
dalla sinistra e ora sostiene
Renzi.
Risposta. Sostengo la candidatura di Renzi con convinzione, perché penso che la sua
leadership di questi anni sia
stata essenziale per rompere
con il passato, per dare una
scossa al paese, per trovare una
via attraverso cui immaginare
una modernità che non fosse
alternativa ai diritti ma che li
tenesse insieme.
D. Il giudizio che gli italiani hanno dato di questi
anni, il 4 dicembre scorso,
non è positivo.
R. Le riforme che sono state
fatte hanno bisogno di prospettiva e di essere completate e
condivise. Solo dopo se ne potrà
dare un giudizio completo.
D. L’ex sottosegretario
Nannicini dice che è stato
un errore la bulimia riformista.
R. Io penso che il limite da recuperare sia quello della mancata condivisione, il non aver cercato l’alleanza dei soggetti che
quelle riforme avrebbero dovuto
far camminare. Ma sono altrettanto convinta che senza Renzi
alla guida del Pd e a Palazzo
Chigi molte di quelle riforme
non sarebbero state mai fatte.
Penso alle dimissioni in bianco,
che erano state eliminate dal
governo Prodi e reintrodotte
dal governo Berlusconi, ministro del lavoro Maurizio Sacconi. Ecco, ci sono voluti 7 anni
perché fossero eliminate, con il
Jobs act. Ed è solo un esempio.
Poi ci sono le unioni civili, il divorzio breve, la redistribuzione
degli 80 euro... anche la legge
sul contrasto alla povertà, che
approviamo adesso, è frutto degli anni del governo Renzi.
D. Con la riforma della
Buona scuola avete rotto
con un settore che è tradizionalmente riferimento del
centrosinistra.
R. La riforma ha messo 4
miliardi e 100 mila assunzioni
dopo tagli da 8 miliardi. Il paradosso è che c’è stata una grande risposta negativa. In quella
occasione sarebbe stato utile
fermarsi per ragionare sul paradosso. È stata sottovalutata
invece l’ampiezza del dissenso.
La ministra Valeria Fedeli è
impegnata in un lavoro di ascolto che sta dando i suoi frutti,
che non vuol dire annullare la
riforma ma coinvolgere di più
gli interessati.
D. Il non dialogo con i sindacati è stato uno dei punti
chiave del carattere di Renzi al governo.
R. Sul rapporto tra Renzi e
sindacati si sono consolidati
alcuni luoghi comuni. Penso
alla revisione della Fornero,
fatta d’intesa con i sindacati,
alle tante crisi aziendali risolte
ascoltando i lavoratori. Penso
che anche questa storia andrà
riscritta in base alle cose fatte.
D. Nessun mea culpa?
R. Renzi si è dimesso da premier e segretario, è un’evidente
assunzione di responsabilità.
Ora ci propone un «noi», in tandem con Maurizio Martina,
che ha sostituito l’«io» di questi
anni. Sono però convinta che
senza la sua guida forte il Pd
torni indietro, torni indietro il
paese. I partitini, il proporzionale... Insomma, la prima repubblica.
D. Gli scissionisti non la
pensano così.
R. L’elemento decisivo della
rottura, al di là del legittimo
giudizio politico, è stato un sentimento di ostilità nei confronti
di Renzi.
CHE, INVENTATI DA SANT’IGNAZIO, ERANO IL LUOGO DELLA MACERAZIONE SPIRITUALE
Il Papa vede un film durante
i suoi esercizi spirituali
DI
M
ANTONINO D’ANNA
ica Papa Francesco può andare
in ritiro per gli esercizi spirituali ad
Ariccia senza lasciare la sua dose di
news quotidiane. E così lo storytelling papale continua fino a quando Jorge Mario
Bergoglio non sarà tornato a Santa Marta. In
questi giorni di assenza fisica il Papa c’è stato comunque, grazie alla copertina su Rolling
Stone edizione italiana, nella quale si anticipa
l’incontro tra Bergoglio e i giovani a cui ha chiesto di “fare chiasso”.
Rolling Stone, nella sua pagina Facebook, scrive che il Pontefice è andato in copertina
perché: «Dice cose di buon senso, talmente di
buon senso che la sua solitudine comincia ad
essere palpabile». A giudicare dallo stuolo di
supporters quantomeno a parole non si direbbe.
E non solo: si è appreso che Francesco ha anche
visto un film (il suo preferito è Il pranzo di Babette), ossia Perfetti sconosciuti, film dell’anno
scorso che mostra come, attraverso uno scambio
di smartphone durante una cena, un gruppo
di amici faccia delle scoperte insospettabili su
ognuno di loro.
Come sono cambiati gli esercizi spirituali, pratica peraltro inventata proprio dal
fondatore dei Gesuiti, Sant’Ignazio di Loyola.
Michele Roccisano, autore di Chiamate perse
– quando si spogliarono i previtelli (Rubbettino,
2002), ex seminarista nella Calabria dei tardi
anni ‘60, ha narrato gli esercizi spirituali presso
il Seminario Pontificio «Pio XI» di Reggio Calabria che allora era gestito proprio dai Gesuiti.
Tre giorni di silenzio, preghiera, meditazione,
solitudine non facile da reggere per dei ragazzini in crescita, e su tutto l’immagine di un sacerdote che la sera, nel silenzio delle camerate,
faceva filtrare il suono del pianoforte al quale
si esibiva con Chopin e musica classica. Di film,
a quel tempo, neanche l’ombra.
La linea dello storytelling papale continua insomma ad essere viva e ad alimentarsi
quasi spontaneamente. Il Papa telefona, ha l’R4
a metano, si porta la valigetta in aereo, non ha
del tutto compiuto un esorcismo in Vaticano (ricordate quel ragazzo messicano che era in cura
presso padre Gabriele Amorth, peraltro?), si
fa dare del «tu», battezza figli di ragazze madri,
«apre» all’allattamento durante la celebrazione
liturgica. Applausi.
Adesso va su Rolling Stone per la seconda volta confermandosi pop, vede un film
durante gli esercizi spirituali, piace alla gente
che piace e non solo alla ggente qualunque. E
tutto questo pur precisando egli stesso al Die
Zeit di non credere nel proselitismo. È il suo
stile, il suo mood per dirlo in modo più cool:
questa è la Chiesa rutilante e sparaflashante
di questi anni. Non vorremo essere nei panni
di chi un giorno gli succederà.
PER FINANZIARE LE OPERE PUBBLICHE, UN COMUNE TRASFORMA I SUOI LAVORATORI IN AGENTI
Il dipendente comunale ora vende la pubblicità
L’idea del sindaco di Ponzano Veneto: così si incentiva la ricerca di sponsor
DI
I
RAFFAELE PORRISINI
n tempi di vacche magre per
le casse comunali, con i trasferimenti dello Stato ridotti al
lumicino, gli amministratori
locali sono costretti a inventarsi un
po’ di tutto per accaparrare risorse.
Nella Marca trevigiana la creatività
non manca di certo, se è vero che per
rimpinguare le casse del Comune c’è
chi pensa di incentivare i dipendenti
a trovare sponsor privati, così da potersi risparmiare di mettere le mani
nelle tasche dei cittadini alzando
tasse e tariffe locali. Succede a Ponzano Veneto, 12 mila abitanti a nord
di Treviso, dove la giunta appoggiata
dal Pd e guidata dal sindaco Monia
Bianchin ha modificato il regolamento per la disciplina e la gestione
delle sponsorizzazioni e ora attende
il via libera (scontato) al nuovo testo
da parte del consiglio comunale.
L’obiettivo è quanto mai nobile: trovare risorse per finanziare
le attività della macchina pubblica,
dalle ristrutturazioni delle scuole
agli interventi sulle strade e per il
decoro urbano, giusto per fare qualche esempio. In un certo senso, i
dipendenti comunali potranno reinventarsi nell’inedito ruolo di agenti
pubblicitari per conto dell’amministrazione comunale, ricevendo in
cambio un premio in base ai risultati
raggiunti.
Dal canto suo, il Comune in
questo modo tramite i suoi lavoratori vende spazi pubblicitari assicurando agli sponsor la visibilità
dei loro marchi un po’ ovunque: dalla
carta intestata alle buste, dal sito internet alle bacheche, sale riunioni,
palestre, impianti sportivi, auto di
servizio, aree pubbliche. Insomma,
come farebbe una qualsiasi azienda
privata.
Le aziende potranno finanziare lavori pubblici e di manutenzione, eventi culturali, pulizia, interventi nelle scuole, cura dei parchi e delle
aree verdi, insieme a tante altre opere.
Il tutto fatto attraverso bandi pubblici
o trattative private, a seconda degli
importi in discussione.
La novità rispetto al panorama nazionale è rappresentata dalla
previsione di un premio in denaro ai
dipendenti comunali più bravi nel portare soldi nei forzieri comunali. «Una
quota pari al 15% del risparmio reso
possibile dalla sponsorizzazione verrà destinata al fondo per lo sviluppo
delle risorse umane e per la produttività per il personale dell’ufficio che
ha consentito il risparmio» ha spiegato
al Gazzettino l’assessore alle Attività
produttive, Mario Sanson. «Parallelamente», ha aggiunto, «una quota del
5% sarà destinata alla retribuzione di
posizione e di risultato dei responsabili dello stesso settore del municipio».
Se quindi un lavoratore riuscirà a vendere qualche inserzione
pubblicitaria per conto del Comune, ne
beneficerà l’intero settore nel quale è
inquadrato, a partire dal dirigente. E
chissà quali accese gare si scateneranno tra i vari uffici per aggiudicarsi i
premi più alti. Va da sé che sono escluse da questa procedura le pubblicità
di natura politica, sindacale, religiosa
così come quelle per tabacco, alcolici,
gioco d’azzardo, materiale a sfondo
sessuale oppure per i messaggi a
sfondo razzisti e sessista.
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