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L

E IDEE DEGLI ALTRI

F

EDERICO

G

AITO

Recensione a “Il volto nell’investigazione e nel

processo”, Milano, 2017, di G. Gullotta ed E.M. Tuo sto

“ Imago animi vultus, indices oculi”. Forse potrebbe bastare anche solo questa frase per andare ad inquadrare incisivamente le tematiche analizzate nell’opera in commento. Sì perché l’antico adagio di ciceroniana memoria ha effettivamente il pregio di riassumere in maniera efficace e mirabile il contenuto semplice ed allo stesso tempo innovativo del libro: questi, infatti, si presenta come ibrido (sen za alcun tipo di accessione negativa, anzi!) rispetto ai possibili fruitori dello stesso, spaziando a livello di categoria e generi sotto cui essere catalogato dalla scienza medica-psicologica, alla criminologia, alla cultura generale. Partendo infatti da un excursus sulle origini della fisiognomica, tropo a lungo colpevolmente scambiata nell’opinione comune per ciarlataneria priva di qualsivoglia valore e peso scientifico, si arriva alle evoluzioni ed alle applica zioni più rilevanti ed innovative della “scienza del volto” nell’ambito giudizia rio nella fase investigativa e del giudizio. Ed è estremamente interessante, ed in un certo qual modo rassicurante, sco prire (da normale lettore) che allora è veritiero il pensiero per cui “la prima impressione” (a cui è dedicato anche apposito capitolo) conta eccome, non tanto - e non solo - per le rispettive sensazioni a livello epidermico delle sin gole persone, bensì poiché ancorata intimamente ed in maniera inscindibile ad un dato scientifico innegabile: e se ciò è valido nella normale e quotidiana vita di tutti noi, non sono trascurabili le implicazioni di tale assunto nelle aule di giustizia. D’altronde ci si è sempre chiesti se avere un bel volto potesse comportare o meno un giudizio più indulgente da parte del giudice, o se averlo meno avve nente e curato potesse – viceversa – indirizzare verso un esito negativo del processo: la risposta che emerge dalle varie pagine sembra propendere in senso affermativo, cercando di spiegare come – nei fatti – il condizionamento

A RCHIVIO P ENALE 2016, n. 3 esiste e non può essere ignorato! L’opera, pertanto, approfondisce ed illumina – ancorando gli spunti trattati anche alla realtà delle cose, spaziando dall’opera dei pittori a quella volta alla geometrica ricostruzione dei volti dei più noti latitanti dei giorni nostri – incu riosendo, senza mai dare una sensazione di pesantezza o prolissità. Se molteplici sono le sfaccettature dei volti di tutti noi, altrettanto vaste e va riegate sono le reazioni cui può condurre l’analisi di queste varietà: dal giudi zio del singolo fino a quello sociale, dalle investigazioni alla fase del giudizio, fino ad arrivare anche alle misure –forse inquietanti- ormai varate in tema di lotta alla criminalità ed al terrorismo quali il “FaceReader” ed altri strumenti in grado di captare in tempo reale le espressioni facciali ritenute o ritenibili pericolose e/o sospette. A fronte però delle conquiste e dei risultati raggiunti nel campo scientifico, è bene ricordare come sia ancora vasta l’area dell’odierno imperscrutabile, per questo merita di esser ripresa la riflessione finale degli autori a proposito della possibilità di riconoscere nel volto del prossimo con verosimile certezza gli atteggiamenti, la personalità e le intenzioni delle persone: «oggi come si è vi sto, si spera con l’aiuto dell’informatica di raggiungere questo scopo che avrebbe notevoli ricadute in campo sociale e giudiziario. È un’illusione? Non sarebbe la prima volta che in essa si cade. Nel 1840 uscirono due volumi at tribuiti a Lavater che raccordando la fisionomia, la chiromanzia, la frenologia, la grafologia e l’animalità (ovvero lo studio delle analogie tra la figura umana e quella animale) in una specie di “sistema” dove si è codificato come gli uomi ni potessero comprendere le donne e come le donne potessero comprendere gli uomini. Per quel che se ne sa continuiamo ad essere un mistero l’uno per l’altra e viceversa. Comunque speriamo! Ma la speranza significa scambiare il desiderio di un avvenimento con una sua probabilità (Schopenhauer)? No, essa non è ottimismo, né la convinzione che otterremo quel che vogliamo, la speranza, come diceva Havel, è la certezza che quello che facciamo ha un senso». 2