Rapporto Ismea 2016 - Trentino Wine Blog

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STRATEGIE
COMMERCIALI E DI
MARKETING,
POTENZIALITÀ DI
ESPANSIONE DELLE
COOPERATIVE
AGROALIMENTARI DI
PICCOLA E MEDIA
DIMENSIONE SUI
MERCATI NAZIONALI
E INTERNAZIONALI
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016
e linee guida
Roma, Gennaio 2017
STRATEGIE COMMERCIALI E DI MARKETING,
POTENZIALITÀ DI ESPANSIONE DELLE COOPERATIVE
AGROALIMENTARI DI PICCOLA E MEDIA DIMENSIONE SUI
MERCATI NAZIONALI E INTERNAZIONALI
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
Roma, Gennaio 2017
ISMEA © Copyright 2017
www.ismea.it
Documento prodotto con il contributo del Ministero
delle politiche agricole alimentari e forestali
Responsabile della pubblicazione:
RAFFAELE BORRIELLO
Responsabile scientifico:
FABIO DEL BRAVO
Responsabile del progetto:
ROBERTO D’AURIA
Coordinamento operativo:
GIOVANNA MARIA FERRARI
Redazione:
FRANCO TORELLI, GILBERTO PESCI,
PAOLO GHIACCI
Progetto grafico ed impaginazione:
DAVIDE BARILLÀ
Il presente studio è stato realizzato grazie alla preziosa collaborazione degli operatori della cooperazione agroalimentare e della distribuzione e del
commercio alimentare italiano ed estero, nonché
degli Enti e delle Istituzioni impegnati a sostenere le
imprese cooperative.
Si segnala l’importante contributo delle Centrali
cooperative nella fase di progettazione e organizzazione dell’indagine. In questo ambito un sentito ringraziamento va a Giorgio Unis e Giuseppe Piscopo,
per le loro preziose indicazioni al gruppo di lavoro in
fase di progettazione e verifica dei risultati.
Un sentito riconoscimento va alla Direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare
e dell’ippica del MiPAAF e a Pietro Gasparri, responsabile dell’ufficio competente, PQAI II • Sviluppo
imprese e cooperazione, nonché a Stefano Soldano,
componente dell’ufficio, per il sostegno ricevuto per
la realizzazione dello studio.
INDICE
1.
GLI OBIETTIVI DELL’INDAGINE
2. LE METODOLOGIE
5
6
7
3. IL PANORAMA ESPORTATIVO ITALIANO
10
4. I RISULTATI DEI FOCUS GROUP E DELLE INTERVISTE INDIVIDUALI SVOLTI CON
LE COOPERATIVE
18
5. I RISULTATI DELLE INTERVISTE ALLA GDO
26
6. I RISULTATI DELLE INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILEGIATI DEL MONDO
COOPERATIVO
33
7. I RISULTATI DEI CASI DI STUDIO SULL’INTERGRAZIONE E
SULL’AGGREGAZIONE
40
8. RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA IN RIFERIMENTO ALLA PARTECIPAZIONE
ALL’EXPO
52
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
56
Strategie commerciali e di relazioni con il mercato
56
9.1.
9.1.1.
Polonia
56
9.1.2.
Regno Unito
82
9.1.3.
Belgio
96
9.1.4.
Paesi Bassi
119
9.2.
Un’analisi in dettaglio dell’Italian sounding
128
9.3.
Strategie logistiche e distributive: analisi di alcuni casi
132
9.4.
Il caso Paesi Bassi: l’attività di ricerca e di innovazione
152
10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI E LINEE GUIDA PER PICCOLE E MEDIE
COOPERATIVE, E IPOTESI DI LAVORO PER LE ASSOCIAZIONI DI RIFERIMENTO
164
10.1.
Strategie di profilazione del prodotto e di comunicazione
164
10.2.
Strategie commerciali e di relazioni con il mercato
175
10.3.
Strategie per affrontare le barriere logistiche e distributive
189
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
6
1. GLI OBIETTIVI DELL’INDAGINE
In continuità con gli studi realizzati negli anni precedenti, in questa fase di ricerca
si è voluto analizzare il settore della cooperazione agroalimentare italiana, sempre sotto l’aspetto delle scelte e delle politiche commerciali e di marketing, con
attenzione sia al mercato interno, sia al mercato estero. L’obiettivo finale è stato
quello di giungere a una sintesi di tutti i risultati per produrre alcune linee-guida
di strategie commerciali e funzionali ad affrontare le barriere logistiche.
Il focus di questo lavoro è costituito dalle cooperative meno strutturate, di piccola
e media dimensione, peraltro numericamente rilevanti in ogni settore merceologico; si tratta di cooperative che in tanti casi incontrano difficoltà sia sul mercato
interno sia nell’esportazione, anche nei paesi tradizionalmente acquirenti di prodotti italiani. Si deve a questo proposito considerare che l’internazionalizzazione è una delle sfide importanti anche per il sistema cooperativo, e che il costo
dell’inesperienza è particolarmente alto, alla luce anche dei frequenti problemi di
contraffazioni, imitazioni o fenomeni di Italian sounding.
L’ottica è stata quella di fornire spunti per sviluppi commerciali rivolti proprio a
questa fascia di cooperative.
In tale ambito, diverse sono state le tematiche oggetto di studio, collegate ad altrettanti obiettivi:
• Le esigenze e le problematiche commerciali delle imprese cooperative di minore dimensione: l’obiettivo, riguardo a questo aspetto, è l’identificazione di
potenzialità di miglioramento in termini di incisività nelle relazioni con i diversi gruppi di clienti italiani ed esteri, parallelamente all’individuazione di
opportune strategie commerciali e di profilazione del prodotto in base ai diversi parametri tangibili e non tangibili che lo caratterizzano.
• Le barriere logistiche e distributive che incontrano i prodotti delle nostre
aziende cooperative per raggiungere i mercati nazionali ma soprattutto esteri.
Sono evidenti i vincoli e le zone d’ombra in riferimento a strutture di aggregazione, organizzazioni collettive della funzione logistica, integrazione orizzontale, ecc. A questi vincoli si affiancano i quantitativi spesso limitati di prodotto
che la singola cooperativa è in grado di rendere disponibili, in tanti casi non
sufficienti per rendere economicamente sostenibile la funzione logistica. Gli
obiettivi sono da un lato l’identificazione di strategie opportune per affrontare
le barriere logistiche esistenti, dall’altro la ricerca della possibilità di miglioramento in termini di supporto istituzionale alle esigenze delle cooperative
meno organizzate e strutturate.
• Le conoscenze, gli atteggiamenti e le percezioni della clientela estera, intermedia e finale, in relazione alle cooperative italiane, e il set di valenze che una
cooperativa italiana può giocare. Si sono prese in esame le valenze di vario genere su cui il mondo cooperativo può puntare, che vanno dagli stretti contatti
con la produzione primaria alla territorialità delle produzioni, dal sostegno di
intere zone geografiche alla vicinanza al concetto di tipicità, dalla componente
etica nei confronti del produttore primario alla salvaguardia ambientale, ecc.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
2. LE METODOLOGIE
Indagine iniziale su un campione di cooperative
Come prima fase, si è preso in esame un campione di imprese cooperative italiane, identificato per mezzo di un campionamento a grappolo stratificato per
settore specifico di attività.
Grazie alla collaborazione delle organizzazioni cooperative, si sono realizzati focus group in tre zone, nelle diverse aree nazionali, con gruppi di cooperative
appartenenti alla fascia dimensionale piccola e media. Per colmare eventuali carenze, in alcuni casi si è proceduto con colloqui individuali.
Indagine su un piccolo campione di operatori della Gdo
Si è successivamente intervistato un piccolo campione di quattro imprese appartenenti al mondo della Gdo italiana; le interviste sono avvenute di persona per
mezzo di un questionario semistrutturato.
Lo scopo è stato quello di identificare esigenze, aspettative, propensione a piccoli
fornitori e a fornitori locali, in particolare appartenenti al mondo cooperativo.
Indagine su un piccolo campione di cooperative organizzate e strutturate
In un’altra fase di lavoro, si è intervistato un piccolo campione di quattro imprese
cooperative italiane in attività nel comparto agroalimentare, identificate tra quelle che meglio sono organizzate pure in riferimento ai mercati esteri. Anche per
questo step, le interviste sono avvenute di persona.
Lo scopo è stato quello di dedurre i fattori di successo da diffondere, con le opportune modifiche, alle imprese meno strutturate e di dimensione inferiore.
Indagine su un campione di paesi esteri
Si sono presi in considerazione diversi paesi, e per ognuno di questi si sono realizzate una fase di ricerca a livello desk, interviste a operatori e/o istituzioni,
osservazioni degli scaffali nei punti vendita. I paesi esaminati sono stati Polonia,
che rappresenta un’economia in crescita, Belgio e Paesi Bassi, importanti centri
di smistamento di prodotti alimentari provenienti da ogni parte del mondo, il
Regno Unito, paese tradizionalmente forte acquirente di prodotti italiani e ben
orientato verso le produzioni del nostro paese. Ad essi sono stati aggiunti gli
Emirati Arabi, con uno speciale focus sulla logistica.
Relativamente alle conoscenze e agli atteggiamenti e percezioni della clientela
finale, in un paio di paesi si sono realizzate tecniche qualitative di indagine sul
consumatore (focus group o interviste individuali).
Più precisamente:
• Polonia: si sono realizzati due incontri preparatori in Italia con operatori
buoni conoscitori del paese e dieci incontri in loco con: importatori di diversi
settori merceologici (ortofrutta, prodotti caseari, prodotti biologici, olio, vino,
conserve vegetali e di pomodoro), il titolare di una catena distributiva speciaStrategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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8
2. LE METODOLOGIE
lizzata in prodotti italiani, il gestore del principale ristorante italiano di Varsavia, i responsabili economico-commerciali dell’Ambasciata italiana, l’analista
di mercato dell’ufficio ICE di Varsavia, la direzione del mercato ortofrutticolo
di Bronisze (il più importante della Polonia). Si sono, inoltre, effettuate rilevazioni degli assortimenti e dei prezzi, con riferimento ai prodotti italiani, in
numerosi punti vendita di Varsavia di diverse insegne e format.
• Emirati Arabi Uniti: si sono realizzate interviste face to face con istituzioni e
analisi del materiale fornito sulla logistica del paese.
• Regno Unito: oltre all’utilizzo di documentazione esistente tra cui precedenti ricerche Ismea e materiale proveniente da tesi di laurea, si sono realizzate
interviste face to face e telefoniche con istituzioni, interviste face to face individuali a consumatori, brevi interviste face to face a società di import-export e
ad imprese esportatrici in questo paese, interviste face to face a operatori della
Gdo nel ruolo di supporto all’export, analisi delle referenze con esplorazione
online, brevi interviste a consumatori finali.
• Belgio: oltre all’utilizzo di documentazione esistente tra cui materiale proveniente da tesi di laurea, si sono realizzate interviste face to face con istituzioni,
interviste telefoniche e face to face con operatori, analisi visiva degli scaffali
di supermercati e ipermercati, indagine in loco (e brevi interviste) presso esercenti del settore retail e horeca, brevi interviste face to face individuali a consumatori, focus group con consumatori, indagine in loco presso esercenti del
settore retail e horeca, analisi delle referenze in mercati ambulanti all’ingrosso
o al dettaglio.
• Paesi Bassi: oltre all’utilizzo di documentazione esistente tra cui precedenti
ricerche Ismea e materiale proveniente da tesi di laurea, si sono realizzate interviste telefoniche e face to face con istituzioni, alcune interviste face to face
con operatori appartenenti al retail e all’horeca, analisi visiva degli scaffali di
supermercati e ipermercati, indagine in loco (e brevi interviste) presso esercenti del settore retail e horeca, oltre ad interviste ad alcune strutture legate
alla ricerca nel settore e ad operatori con specifiche competenze nella logistica
dei prodotti agroalimentari.
Analisi delle modalità di partecipazione e di comunicazione nell’ambito
di Expo Milano 2015
Si sono realizzati colloqui con operatori e istituzioni che erano presenti ad Expo
Milano 2015 e si è esaminato il materiale espositivo, tutt’ora disponibile online,
al fine di ricavare spunti concreti per le cooperative che intendono affacciarsi soprattutto ai mercati extra UE.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
2. LE METODOLOGIE
Studio di casi di successo relativamente all’organizzazione e all’aggregazione orizzontale
Si sono poi studiati alcuni casi di successo in Italia e all’estero nel comparto agroalimentare, tramite colloqui di persona, per ricavare i fattori di successo nell’area
dell’organizzazione e dell’integrazione orizzontale tra imprese, da diffondere con
le opportune modifiche alle cooperative meno strutturate, per sviluppare l’attività di esportazione e quella di commercializzazione sul mercato interno.
Indagine finale su un campione di cooperative
Dopo avere realizzato le precedenti fasi, si è preso in esame un campione di imprese cooperative italiane, ubicate nelle diverse aree nazionali. Queste cooperative sono state coinvolte in interviste individuali, alcune face to face, altre telefoniche, durante le quali sono stati posti in evidenza ai partecipanti una serie di
aspetti già affrontati nelle fasi di lavoro precedenti, al fine di ottenere spunti di
arricchimento e di approfondimento.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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3. IL PANORAMA ESPORTATIVO ITALIANO
L’export agroalimentare del nostro paese ha raggiunto nel 2015 la soglia dei 36
miliardi di euro con una crescita rispetto al 2014 di oltre 2,5 miliardi, pari al 7,5%.
Il trend di crescita non accenna a fermarsi e rispetto a 10 anni fa si è registrato un
aumento del 67%, passando da 21 agli attuali 36 miliardi di euro.
Nel 2015 le importazioni hanno superato i 38 miliardi di euro e pertanto la bilancia commerciale risulta negativa, seppur in miglioramento, in quanto in questi ultimi 10 anni le performance delle esportazioni sono nettamente migliori rispetto a
quelle delle importazioni (oltre il 40% di incremento).
Italia - Bilancia commerciale agroalimentare (milioni di euro)
Fonte: elaborazioni Ismea su dati ICE – ISTAT
I dati del nostro export al 30 giugno 2016 evidenziano la conferma del trend di
crescita, seppure con una spinta ridotta rispetto al 2015, registrando un incremento del 2,6%, pari a circa 500 milioni di euro. Dato il contemporaneo calo delle importazioni, lo squilibrio della nostra bilancia commerciale semestrale si è ridotto
a 917 milioni.
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Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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3. IL PANORAMA ESPORTATIVO ITALIANO
BILANCIA COMMERCIALE PER GRANDI AREE – MIGLIAIA DI EURO
ESPORTAZIONI
2015
2016
GEN-GIU
GEN-GIU
12.735.433
12.509.820
-1,8
0,0
861.230
927.125
309.896
-23,5
455.427
214.257
184.114
-14,1
2.104.160
2.172.335
America
centro-meridionale
238.720
Medio Oriente
541.753
Unione europea
Paesi europei non
2015
2016
VAR %
GEN-GIU
GEN-GIU
11.264.177
11.782.011
4,6
1.278.815
1.278.829
404.904
IMPORTAZIONI
VAR %
SALDI
2015
2016
GEN-GIU
GEN-GIU
-1.471.257
-727.809
7,7
417.584
351.704
404.491
-11,2
-50.524
-94.596
603.251
559.512
-7,3
-388.994
-375.398
3,2
836.514
737.816
-11,8
1.267.645
1.434.518
204.452
-14,4
1.762.266
1.777.869
0,9
-1.523.547
-1.573.417
564.072
4,1
106.167
94.678
-10,8
435.586
469.395
Ue
Africa settentrionale
Altri paesi africani
America
settentrionale
Asia centrale
Asia orientale
Oceania
Altri territori
MONDO
56.488
57.218
1,3
267.808
256.915
-4,1
-211.320
-199.697
1.006.948
1.002.928
-0,4
1.341.838
1.319.614
-1,7
-334.891
-316.685
245.373
253.821
3,4
169.970
141.782
-16,6
75.403
112.039
2.221
5.046
127,2
520
2.388
359,7
1.701
2.657
17.357.814
17.814.720
2,6
19.140.426
18.732.009
-2,1
-1.782.612
-917.289
Fonte: elaborazioni Ismea su dati ICE – ISTAT
Lo sbilancio commerciale si registra in particolare negli scambi con i paesi europei, seppur in forte riduzione, con i paesi dell’America centro meridionale
(in particolare Brasile e Argentina), con quelli dell’Africa centrale e meridionale e con l’Asia.
In merito alle destinazioni delle nostre merci, va segnalato l’incremento al di sopra della media delle merci destinate ai paesi europei e dell’America settentrionale, al Medio Oriente e Oceania, mentre si evidenzia nel 2016 un robusto calo
nei paesi africani (in particolare per le crisi che colpiscono l’area settentrionale,
che nel 2014/2015 ci aveva dato forti soddisfazioni) e dell’Asia (in particolare per
Giappone e Cina).
Da segnalare che nel nord America, a seguito delle programmate iniziative del
piano Made in Italy, nel 2015 abbiamo registrato un aumento del 16% rispetto ai
dati del 2014, raggiungendo l’importante risultato di oltre 4,3 miliardi di euro.
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3. IL PANORAMA ESPORTATIVO ITALIANO
EXPORT AGROALIMENTARE ITALIA PER GRANDI AREE – MIGLIAIA DI EURO
2008
Unione europea
2014
2015
2015
2016
VAR%
gen-giu
gen-giu
16/15
17.906.018
22.085.005
23.427.035
11.264.177
11.782.011
4,6
2.147.763
2.757.113
2.639.202
1.278.815
1.278.829
0,0
Africa settentrionale
337.913
563.939
677.532
404.904
309.896
-23,5
Altri paesi africani
373.752
415.799
430.934
214.257
184.114
-14,1
Paesi europei non Ue
America settentrionale
2.706.814
3.693.838
4.341.111
2.104.160
2.172.335
3,2
America centro-meridionale
310.208
512.124
486.985
238.720
204.452
-14,4
Medio Oriente
443.525
900.426
1.144.401
541.753
564.072
4,1
Asia centrale
49.169
108.241
124.506
56.488
57.218
1,3
Asia orientale
967.074
1.975.556
2.189.772
1.006.948
1.002.928
-0,4
Oceania
307.737
487.034
520.684
245.373
253.821
3,4
Altri territori
TOTALE
12.390
25.079
38.281
2.215
5.044
127,7
25.562.363
33.524.154
36.020.443
17.357.810
17.814.720
2,6
Fonte: elaborazioni Ismea su dati ICE – ISTAT
I prodotti agroalimentari italiani sono destinati principalmente verso alcuni paesi europei con i quali il nostro paese intrattiene relazioni storiche (Germania e
Francia), ma si evidenzia un maggior sviluppo nel 2016 verso alcuni paesi dell’est
Europa (Romania, Polonia e Repubblica Ceca), la Spagna e alcuni mercati nordici
(Danimarca e Svezia).
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3. IL PANORAMA ESPORTATIVO ITALIANO
EXPORT AGROALIMENTARE ITALIA PER GRANDI AREE – MIGLIAIA DI EURO
2008
2014
2015
2015
2016
VAR%
gen-giu
gen-giu
16/15
Germania
5.037.881
5.987.634
6.338.453
3.062.034
3.182.493
3,9
Francia
2.916.376
3.766.269
3.865.380
1.861.457
1.914.431
2,8
Stati Uniti
2.230.121
3.034.461
3.620.210
1.772.338
1.830.308
3,3
Regno Unito
2.382.720
2.921.971
3.149.201
1.449.774
1.486.518
2,5
Svizzera
1.094.295
1.298.823
1.388.746
682.422
706.016
3,5
Spagna
1.072.063
1.126.278
1.291.305
609.369
669.818
9,9
Paesi Bassi
789.698
1.162.417
1.218.156
601.256
646.669
7,6
Austria
908.673
1.196.713
1.217.678
609.423
611.250
0,3
Belgio
762.696
984.927
1.065.946
535.298
551.209
3,0
Giappone
530.335
780.675
797.127
397.198
385.152
-3,0
Canada
476.690
659.367
720.882
331.817
342.019
3,1
Polonia
394.437
620.870
675.075
293.183
339.761
15,9
Svezia
370.864
560.543
610.615
300.665
317.145
5,5
Grecia
672.067
588.384
570.108
286.461
291.344
1,7
Danimarca
404.775
481.532
520.360
251.410
274.384
9,1
Australia
272.436
439.073
467.087
220.550
226.502
2,7
Repubblica ceca
280.834
346.373
378.549
181.497
208.039
14,6
Romania
269.835
290.121
341.862
166.455
196.146
17,8
Altri paesi
TOTALE
4.695.567
7.277.723
7.783.703
3.745.203
3.635.516
-2,9
25.562.363
33.524.154
36.020.443
17.357.810
17.814.720
2,6
Fonte: elaborazioni Ismea su dati ICE – ISTAT
Da segnalare che l’embargo russo ha interrotto un importante trend in crescita
verso quel paese – nel 2014 avevamo registrato quasi un raddoppio rispetto al
2006, con oltre 614 milioni di euro di prodotti esportati; nel 2015, al contrario, si
è verificata una riduzione di oltre il 38% e l’export si è collocato a 377 milioni di
euro.
Riguardo ai risultati raggiunti dalle regioni italiane, si conferma il primato di
quelle nord-orientali (+4% giugno 2016 su giugno 2015), con il Veneto e l’Emilia
Romagna in vetta ai risultati dell’export regionale. Stabile l’area nord-occidentale, mentre si evidenziano segnali di crescita per le regioni centro-meridionali,
seppure su volumi minori rispetto alle regioni settentrionali; da osservare che a
giugno 2016 la Puglia registra un -11%, mentre molto buone sono le performance
delle isole, in particolare la Sicilia con un aumento del 10%.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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3. IL PANORAMA ESPORTATIVO ITALIANO
Italia – export per gradi aree nazionali – primo semestre 2015 e 2016
(dati in migliaia di euro)
Fonte: elaborazioni Ismea su dati ICE – ISTAT
Per quanto riguarda i settori, la tabella che segue evidenzia una crescita del lattiero-caseario, degli oli e degli altri prodotti, mentre stabili sono l’ortofrutta, i prodotti da forno e i vini. In calo le carni lavorate. Da evidenziare che la crescita di
molte categorie merceologiche è comunque equilibrata e diverse aziende si sono
strutturate in modo da poter soddisfare la domanda estera e la ricerca di prodotti
innovativi.
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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3. IL PANORAMA ESPORTATIVO ITALIANO
EXPORT AGROALIMENTARE ITALIA PER GRANDI AREE – MIGLIAIA DI EURO
2008
2014
2015
2015
2016
VAR%
gen-giu
gen-giu 16/15
011 - Prodotti di colture agricole non
permanenti
1.691.054
1.973.743
2.278.382
1.398.555
1.371.195
-2,0
012 - Prodotti di colture permanenti
2.767.066
2.964.010
3.275.909
1.334.274
1.393.872
4,5
217.483
224.185
242.293
115.369
118.374
2,6
2.108.164
2.964.201
3.071.612
1.471.800
1.456.847
-1,0
326.631
373.274
411.651
200.077
206.771
3,3
103 - Frutta e ortaggi lavorati e conservati
2.602.630
3.172.872
3.313.645
1.670.629
1.663.780
-0,4
104 - Oli e grassi vegetali e animali
1.512.517
1.927.283
2.083.357
1.031.749
1.103.663
7,0
105 - Prodotti delle industrie lattierocasearie
1.798.484
2.719.937
2.771.747
1.359.971
1.432.402
5,3
106 - Granaglie, amidi e di prodotti
amidacei
1.063.845
1.180.551
1.223.665
620.432
631.301
1,8
107 - Prodotti da forno e farinacei
2.743.963
3.321.608
3.581.575
1.731.598
1.717.850
-0,8
108 - Altri prodotti alimentari
030 - Pesci ed altri prodotti della pesca;
prodotti acquacoltura
101 - Carne lavorata e conservata e prodotti
a base di carne
102 - Pesce, crostacei e molluschi lavorati e
conservati
3.556.171
5.358.839
5.858.314
2.679.053
2.859.435
6,7
109 - Prodotti per l'alimentazione degli
animali
318.033
504.149
607.667
284.325
296.388
4,2
11010 - Bevande alcoliche distillate
476.055
610.420
628.308
280.422
296.194
5,6
11021 - Vini da tavola e vini di qualità
2.812.503
3.628.725
3.766.811
1.825.373
1.827.954
0,1
860.450
1.486.450
1.623.628
717.661
789.965
10,1
20.884
65.221
73.846
39.048
34.600
-11,4
153.263
169.575
148.158
65.537
77.066
17,6
11050 - Birra
75.140
154.610
183.350
89.130
91.162
2,3
11060 - Malto
2.094
1.240
934
459
481
4,8
11022 - Vino spumante e altri vini speciali
11030 - Sidro e altri vini a base di frutta
11040 - Altre bevande fermentate non
distillate
11070 - Bibite analcoliche, acque minerali
TOTALE
455.933
723.261
875.591
442.348
445.420
0,7
25.562.363
33.524.154
36.020.443
17.357.810
17.814.720
2,6
Fonte: elaborazioni Ismea su dati ICE – ISTAT
Nel 2015 il nostro paese ha beneficiato a livello mondiale del buon successo
dell’Expo di Milano e le varie iniziative sono state una grande vetrina per i prodotti agroalimentari italiani. In continuità con le diverse iniziative a valle dell’Expo, da segnalare anche la valorizzazione all’estero della Cucina italiana di Qualità, iniziativa di diversi Ministeri, che permette di far conoscere il nostro paese
presso ambasciate, istituzioni ed enti di cultura in giro per il mondo.
Come già riferito nel nostro precedente report, il governo italiano ha posto una
forte attenzione allo sviluppo delle esportazioni, prevedendo nella legge di stabilità per l’esercizio 2015 uno stanziamento triennale straordinario per le attività di
promozione e sviluppo dell’internazionalizzazione dei prodotti, per un ammontare complessivo di 220 milioni di euro, di cui 130 nel 2015. Il piano ha interessato
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3. IL PANORAMA ESPORTATIVO ITALIANO
tutte le aree geografiche chiave, potenziando le risorse promozionali di tutti i settori ed in particolare per il food & beverage ha previsto uno stanziamento di circa
55 milioni – un quarto dei fondi complessivi – con iniziative come il piano Gdo,
l’incoming con operatori esteri e la campagna contro l’Italian sounding.
Il piano straordinario per il Made in Italy, che proseguirà nel 2017, e i provvedimenti come la legge Sabatini o il super ammortamento per i beni e i macchinari
che migliorano la competitività internazionale delle imprese, sono esempi di iniziative che hanno funzionato.
Da ultimo, il piano recentemente varato dal governo, “Industria 4.0”, la quarta
rivoluzione industriale che ha l’obiettivo di portare a una produzione quasi integralmente basata su un utilizzo di macchine intelligenti, interconnesse e collegate
ad internet. Il piano italiano segue analoghe iniziative avviate negli Stati Uniti, in
Germania e in Francia, tenendo conto che, dagli studi effettuati sul tasso di digitalizzazione delle imprese italiane rispetto a quelle tedesche, è emerso che le nostre
imprese sono “brave a produrre, meno a vendere” ed in particolare si evidenzia
un loro grave ritardo sul modo di interfacciarsi verso l’esterno, in special modo
nell’utilizzo dei dati ai fini del marketing e per la gestione informatica della catena cliente - fornitore. Tra le direttrici strategiche d’intervento, figurano quelle di
incentivare gli investimenti privati su tecnologie e beni Industria 4.0, aumentare
la spesa privata in ricerca, sviluppo e innovazione e rafforzare la finanza a supporto di Industria 4.0, venture capital e start up.
Nel futuro, da studi Ismea1, si conferma l’andamento positivo dell’agroalimentare, sostenuto dell’export mondiale nell’ultimo decennio. Tra i leader dell’export
mondiale non è una novità trovare Brasile e Cina, mentre perdono terreno i paesi
europei e, tra i vecchi attori, solo gli Stati Uniti mantengono la leadership aumentando anche la quota di mercato. I veri emergenti sono India, Indonesia e altri
asiatici, Russia, Polonia, Ucraina e Turchia.
Nell’ultimo decennio l’export ha registrato il maggiore incremento per le commodity di base, come semi oleosi, mangimi, cereali, caffè, tè e spezie, oli e grassi, cioè
materie prime per l’industria alimentare e per l’alimentazione animale, esportate
soprattutto dai paesi emergenti, ma anche da Stati Uniti e Canada. Crescita inferiore alla media si evidenzia per bevande, preparazioni di carne, ortofrutticoli, sia
freschi che trasformati. Interessante invece la crescita delle preparazioni a base di
cereali, del gruppo cacao e cioccolata, del latte e dei suoi derivati.
Dal lato della domanda, il mercato sta cambiando notevolmente con diversi paesi che hanno registrato tassi di crescita medi annui delle richieste anche doppi
rispetto alla media mondiale. I mercati di sbocco più dinamici sono quelli asiatici,
1
Tendenze del commercio agroalimentare mondiale e ruolo del Made in Italy- Rapporto Ismea presentato in occasione dell’Expo Milano – giugno 2015
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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3. IL PANORAMA ESPORTATIVO ITALIANO
con la Cina diventata il secondo importatore mondiale, l’India, l’Indonesia, quelli
dell’est Europa (Polonia e Russia), ma anche Turchia e nord Africa, mentre diversi
paesi europei hanno avuto risultati inferiori ai nostri, sempre in termini di quote
di mercato (anche i grandi come Francia e Paesi Bassi).
Un ultimo recente segnale incoraggiante deriva dalla formalizzazione da parte
della Cina della decisione di riconoscere l’indennità da malattia vescicolare alle
carni suine fresche e ai prodotti a breve stagionatura della macroregione del Nord
Italia (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Valle d’Aosta, Veneto e Province Autonome di Trento e Bolzano).
Si è potuto raggiungere questo importante risultato, dopo dieci anni di trattative, grazie al gioco di squadra fra associazione di categoria (Assica - Associazione industriale carni e salumi), governo e istituzioni all’estero. Si sono attivate
procedure operative con le autorità cinesi per l’apertura del mercato alle sole
regioni sulle quali le autorità americane avevano già condotto una valutazione
del rischio favorevole.
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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4. I RISULTATI DEI FOCUS GROUP E DELLE INTERVISTE
INDIVIDUALI SVOLTI CON LE COOPERATIVE
Questa indagine su un campione di imprese cooperative italiane, identificato per
mezzo di un campionamento a grappolo stratificato per settore specifico di attività, ha coinvolto 28 cooperative ubicate nelle diverse aree nazionali e appartenenti
alla fascia dimensionale piccola e media.
Le situazioni emerse e le soluzioni adottate variano notevolmente da cooperativa
a cooperativa: ad esempio, la quota di export passa da alcuni punti percentuali a
quote superiori al 70%.
Di fronte alle difficoltà connesse a una gestione commerciale a 360 gradi, vi sono
cooperative che preferiscono circoscrivere l’ambito di vendita ad aree limitate,
tentando di lavorare al meglio sul prodotto, sulla qualità, sul marchio e di rafforzarsi nel tempo sui clienti acquisiti. Al contrario, altre cooperative si sono ormai
orientate verso un mercato ben più ampio dei confini nazionali, alla ricerca di
spazi difficili da trovare sul territorio italiano.
Altre ancora vedono come principale prospettiva il conferimento a un consorzio
di grado superiore, a cui delegare l’attività di rapporto con il mercato. Questo si
verifica quando non sussistono le condizioni per costruire e gestire una efficiente organizzazione commerciale, quando non si raggiungerebbe un sufficiente
livello di economie di scala e quando sul mercato si sopravvive solo a certi livelli dimensionali per non venire schiacciati dai competitor di maggiore taglia.
Naturalmente, questa scelta comporta il mancato controllo diretto dell’ultimo
tratto della filiera.
Le problematiche sul mercato interno
I canali e le aree su cui si indirizza l’attività delle cooperative sono svariati, in relazione alla loro storia, al loro portafoglio prodotti, alle dinamiche di settore, alla
loro organizzazione e strutturazione.
Si spazia dalla vendita al consumatore fino ai rapporti con le grandi insegne della
Gdo, passando per le piccole e medie catene della distribuzione moderna, per il
dettaglio tradizionale o specializzato, per l’horeca.
Quando il prodotto ha una shelf life particolarmente ridotta, può essere necessario percorrere canali il più possibile diretti, per evitare allungamenti dei tempi e
le relative ripercussioni sulla qualità. Ma in certi settori, come l’ortofrutta, il canale lungo ha comunque un notevole rilievo: grossista e importatore svolgono un
ruolo distributivo e logistico spesso fondamentale.
Ci sono poi circuiti particolari, come la commercializzazione di snack di frutta
tramite i distributori automatici nelle scuole, con difficoltà evidenziate a proposito della disponibilità di spazi riservati. Un altro circuito interessante è quello dei
GAS, oggi quantificabile in uno 0,4-0,5% del consumo alimentare (corrispondente
a una quota di penetrazione in numerica dello 0,7% dei consumatori).
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4. I RISULTATI DEI FOCUS GROUP E DELLE INTERVISTE INDIVIDUALI SVOLTI CON LE COOPERATIVE
Tra i problemi emersi dalle discussioni con le cooperative, molti intervistati hanno
lamentato cali dei consumi avvenuti negli ultimi anni, a cui a volte si affiancano
forti fluttuazioni del prezzo delle materie prime, eventi meteorologici negativi o
forme di concorrenza sleale da parte di operatori che commercializzano prodotto
di provenienza estera come italiano (è il caso di alcune produzioni ortofrutticole).
Svariate cooperative incontrano sul mercato crescenti complessità, in modo particolare nelle relazioni con le grandi catene distributive, sia italiane che estere, in
un confronto serrato e con rapporti assolutamente sbilanciati in termini di potere contrattuale. Si lamenta una mancata partecipazione alla formulazione del
prezzo finale, evidenziando che talvolta la scontistica contrattata con la Gdo non
viene girata al cliente, ma trattenuta per il conto economico del distributore.
Un’altra difficoltà nelle relazioni con le catene distributive è la riduzione dei volumi venduti. Fanno eccezione alcune referenze come, nel settore del vino, il Prosecco, ariete in grado di entrare ovunque e di permettere una buona redditività.
Anche alcune cooperative di altri settori sono invece cresciute nei volumi con la
Gdo, grazie a caratteristiche distintive quali Dop o Igp, oppure a prodotti accessori rispetto a quelli principali, per i quali l’attenzione al prezzo è sempre più spinta.
Diversi intervistati hanno evidenziato una situazione di forte difficoltà delle catene, difficoltà che si ripercuotono sui fornitori. Secondo le opinioni raccolte, le
catene cercano di supplire a una scarsa capacità di affrontare i mercati in evoluzione negativa con politiche centrate sulla compressione dei prezzi e sulla selezione di prodotti a basso prezzo.
Tra le altre difficoltà citate dalle cooperative, rientrano quella connessa al recupero crediti (nella ristorazione, nella distribuzione organizzata, nel canale industria) e i fenomeni di concorrenza sleale (per esempio, produttori che tentano con
metodi più o meno leciti di sfruttare la scia di un determinato prodotto, impiegando tecniche differenti e materie prime di qualità più bassa).
Un’altra problematica evidenziata è legata alla movimentazione di alcune produzioni locali che devono transitare per i centri logistici (come mercati all’ingrosso)
e tornare sui mercati locali, con evidenti diseconomie. Ulteriori inefficienze si riscontrano nell’utilizzo di imballi a perdere, con creazione di enormi volumi di
rifiuti di cui le catene della Gdo non si occupano.
Le cooperative minori, in modo particolare, sentono il peso di operare da sole,
confrontandosi con clienti di spessore rilevante, incalzate da agguerriti competitor italiani ed esteri. Vi è la consapevolezza che la disponibilità ad un rapporto
flessibile, a soddisfare le richieste dei clienti, a produrre per private label, è una
condizione necessaria ma insufficiente per iniziare o continuare un rapporto.
Per quanto riguarda il grado e le modalità di applicazione dell’articolo 62, si sono
raccolti pareri differenziati. Per molti, sembra inefficace, anzi crea difficoltà di
vario genere (per esempio, di tipo burocratico). La Gdo chiede sconti per poter
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4. I RISULTATI DEI FOCUS GROUP E DELLE INTERVISTE INDIVIDUALI SVOLTI CON LE COOPERATIVE
pagare nei termini previsti, e questi sconti a volte sono di entità più che proporzionale rispetto ai benefici della tempestività di riscossione. Parte della clientela
non lo osserva affatto, dal momento che mancano i controlli.
Secondo altre cooperative, l’articolo 62 viene applicato in misura soddisfacente dalla Gdo e in parte dai grossisti, mentre più spesso cedono gli operatori
dell’horeca.
Permane l’impiego della scontistica che ha una notevole incidenza percentuale.
Le problematiche sul mercato estero
Per quanto concerne più in specifico i mercati esteri, si è consapevoli che si deve
operare con intermediari: nella maggior parte dei casi, si tratta di importatori che
gestiscono il rapporto con grandi catene e piccoli clienti; meno spesso di agenti.
Autonomamente, salvo eccezioni, è improbabile riuscire a interfacciarsi direttamente con il cliente finale: gli importatori, in tanti paesi, detengono le licenze.
Inoltre, qualcuno che fa visite sistematiche ai clienti è essenziale, altrimenti sarebbe forte il rischio di vedere interrotte le relazioni.
Ma ci sono anche deleghe dell’attività di vendita a società commerciali, al fine di
ridurre gli investimenti e per evitare di costruire una propria organizzazione, che
richiederebbe impegno e competenze interne. In altri casi, la cooperativa si propone come produttrice per conto di clienti esteri (private label).
Di fronte alla possibilità che alcune insegne della Gdo svolgano il ruolo di intermediari per l’export, avendo punti vendita in altri paesi o contatti stretti con
insegne di altri paesi, l’atteggiamento delle cooperative è piuttosto scettico e disilluso. Ci sarebbero senz’altro problemi legati allo strapotere della Gdo, e anche
per l’estero sorgerebbero tanti ostacoli legati alla mancanza di un vero dialogo.
Da parte di alcuni, si spera che la Gdo non sviluppi nemmeno attività di questo
tipo, altrimenti il produttore potrebbe risentirne negativamente.
In generale, le difficoltà che le cooperative incontrano nella loro attività di esportazione sono piuttosto variabili in base al singolo paese, all’area geografica, alla
tipologia di prodotto, alla struttura interna. Diverse cooperative evidenziano la
difficoltà di organizzarsi opportunamente per garantire flessibilità, continuità
nella relazione e forniture continuative.
Al di fuori dall’Unione Europea, un problema spesso emerso è riferito all’aspetto
burocratico e doganale: per esempio, centro America, Cina e Russia, tutti paesi
con procedure particolarmente complesse. A queste difficoltà a volte si affiancano
altri problemi, come l’embargo russo, che ha avuto conseguenze rilevanti: greci e
polacchi, per esempio, hanno riversato gran parte delle mele destinate alla Russia
sull’Europa, creando enormi problemi di mercato.
Alcuni paesi sono considerati porte di ingresso per mercati complessi: è il caso di
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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4. I RISULTATI DEI FOCUS GROUP E DELLE INTERVISTE INDIVIDUALI SVOLTI CON LE COOPERATIVE
Hong Kong, i cui importatori sono impiegati come chiavi di accesso al mercato
cinese, un paese poco leggibile che non è semplice gestire direttamente.
Anche i rapporti con gli Stati Uniti sono piuttosto complicati: è necessario sempre
disporre prontamente di tutta la documentazione richiesta, e tutti i giorni vi è una
richiesta sempre più stringente sul versante della qualità.
Tante catene estere (discount in modo particolare), anche in Europa, sono buone
pagatrici, corrette e trasparenti, ma non concedono nulla sul versante del prezzo,
richiedono la massima precisione nel servizio, soprattutto per quanto riguarda
tempi e modalità di consegna, e sono sfibranti nei controlli.
Nello sfuso (ad esempio vino), poi, la merce è spesso soggetta alle contestazioni
dei clienti con riferimento a parametri che variano nel tempo. In particolare, è
ormai necessario stipulare contratti sempre più complessi: non più un paio di
pagine, ma 10-15 pagine.
Particolarmente utile sarebbe una drastica semplificazione burocratica, anche da
parte italiana, ossia la soluzione delle complicazioni e dei problemi di interpretazione relativamente a tutti gli aspetti burocratici. Procedure complesse portano
ad allungamenti di tempi, che si vanno a sommare alla tempistica delle trattative,
ai tempi di adattamento del prodotto o del packaging, alla riformulazione delle
etichette (soprattutto quando si lavora per private label).
Un altro problema è quello delle falsificazioni o per lo meno delle imitazioni, i cui
risvolti saranno più avanti approfonditi.
L’e-commerce
In relazione allo sviluppo dell’e-commerce, si sono riscontrate situazioni operative molto differenti.
Una parte delle cooperative ha già avviato o sta per avviare un servizio di vendita
online, soprattutto sul mercato italiano. Successivamente, si prevede di affrontare
il mercato estero, in un’ottica di affiancamento alle tecniche commerciali classiche. Alcune di queste valutano l’e-commerce una priorità e hanno già avuto
contatti con Amazon o altre piattaforme specializzate con le quali si può collaborare. Sono cooperative che si attendono una crescita della commercializzazione
via internet e pertanto ritengono opportuno prevedere progetti di investimento
per incentivare tali strumenti.
Altre cooperative devono superare le problematiche connesse all’organizzazione e verificare l’economicità dell’operazione. Si ammette in tanti casi che è una
strada da non escludere, ma si considera nel contempo che sussistono tutt’ora
molti interrogativi, per esempio in riferimento alle dogane e alle accise, al costo
di trasporto per piccoli quantitativi, ecc. Forte attenzione deve essere dedicata a
non creare turbative sul mercato e contrasti nella relazione con i clienti acquisiti ;
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4. I RISULTATI DEI FOCUS GROUP E DELLE INTERVISTE INDIVIDUALI SVOLTI CON LE COOPERATIVE
soprattutto, per operare nell’e-commerce occorrono un’organizzazione opportuna, un’attenta gestione del magazzino e dei trasporti e la forza di un brand di cui
ancora molte cooperative non dispongono.
Non a caso, le cooperative che lo considerano un canale a cui prestare buona attenzione, sono spesso attive in modo marginale, con strumentazione inadeguata
(per esempio, ordini inviati via mail). Si intravvede la prospettiva, insomma, ma
non si riesce ancora a passare a una vera operatività.
Ci sono state cooperative che si sono poste seriamente la questione dell’e-commerce, per esempio puntando in modo sperimentale sul mercato di una grande
città, con il supporto di un magazzino in loco, ma le difficoltà sono state rilevanti.
Difficilmente la disponibilità di prodotto nel deposito coincideva con le richieste,
e allora ci si trovava senza disponibilità di prodotto o, al contrario, con prodotto
in eccedenza che doveva essere eliminato.
Non mancano poi cooperative che considerano l’e-commerce un canale non interessante in quanto non dispongono di un prodotto ritenuto idoneo (per esempio,
ortofrutta) oppure non operano con un prodotto destinato al consumatore finale
(come il vino sfuso).
In altri casi, il commercio elettronico viene ritenuto uno strumento inevitabilmente marginale, perché è esclusivamente il rapporto interpersonale che consente di
raccontare, valorizzare, garantire e instaurare una relazione calda.
Vantaggi e svantaggi di una cooperativa sul mercato estero
Sul lato degli aspetti positivi, la cooperativa rappresenta, agli occhi dei clienti,
garanzia di controllo della filiera, di qualità certificata, di controllo e tracciabilità
della produzione.
In quanto cooperativa, poi, si forniscono garanzie di continuità nel tempo e di
costanza qualitativa che sono fattori molto importanti sui mercati esteri.
Ma allo stesso tempo si riconoscono alcuni punti di debolezza: la cooperativa
potrebbe non avere una corretta e incisiva mentalità aziendale. Essendo una cooperativa i soci sono proprietari e talvolta risulta difficile orientarli in base all’andamento del mercato. I tempi di cambiamento sono molto lunghi, soprattutto per
quanto riguarda la forma mentis, e il meccanismo decisionale può essere lento.
Diffondere alla compagine societaria la cultura che il prodotto deve essere tarato
per le esigenze dei diversi mercati, non è un’impresa semplice. Per esempio, la
sola idea di entrare nel libero mercato per l’acquisto dell’uva e quindi per l’ampliamento della gamma finalizzata ad adattarsi a determinate esigenze di mercato, può suscitare fra i soci conferenti preoccupazioni, chiusure e polemiche.
La cooperativa può rappresentare un valore anche all’estero, anche se in molti
paesi è un concetto non molto conosciuto e con parecchi clienti il discorso della
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Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
4. I RISULTATI DEI FOCUS GROUP E DELLE INTERVISTE INDIVIDUALI SVOLTI CON LE COOPERATIVE
cooperativa non è un argomento affrontato. In alcuni paesi può addirittura rappresentare un ostacolo (ad esempio, nei paesi dell’Europa centro orientale, ex
socialisti, o negli Stati Uniti).
Le relazioni con i soci
Pur in presenza delle eventuali difficoltà sopra accennate, il rapporto con i soci è
considerato mediamente buono.
Sembra vincente la strategia di spiegare in modo trasparente i motivi di determinate scelte, mostrando i dati su cui si basano le decisioni. A monte, parte delle
cooperative sviluppa un lavoro attento di relazione con i soci, sul versante tecnico ma non solo, al fine di mantenere vivo il rapporto umano e di evitare che
la relazione si riduca ad alcuni momenti formali, con il rischio di una eccessiva
lontananza.
È vero che i soci di molte cooperative si caratterizzano per un’età media elevata,
per cui diminuisce la propensione a investire e a innovare, soprattutto in situazioni di prezzi di liquidazione flettenti. È però altrettanto vero che una crescente consapevolezza e sensibilità verso le problematiche commerciali e di mercato
rendono possibile il sostegno della base sociale e l’accettazione di norme societarie stringenti, come addirittura il non pagamento del conferito in presenza di
quote di scarto elevate e la trattenuta di una quota del prezzo di liquidazione per
incrementare le risorse finanziarie della cooperativa.
La possibilità di aggregazioni
Anche se si riconosce che l’aggregazione fra cooperative può portare a indubbi
vantaggi e che in alcuni casi senza una aggregazione non vi è futuro per la cooperativa, la prudenza è sempre molta.
Soprattutto in certe regioni, le esperienze compiute stimolano la convinzione che
si arriverebbe alla fusione solo quando ormai è troppo tardi e non c’è quasi nulla
da salvare. Oppure, l’individualismo e la competizione tra piccoli sono tali da
consentire solo un tipo particolare di aggregazione, con la cooperativa più robusta che incorpora quella più debole. Si è parlato di atteggiamenti assolutamente
individualistici, di eccessivo campanilismo, di espressione di atteggiamenti di
superiorità, di comando e non di collaborazione da parte dei più forti. Si è citato
il fatto che tra cooperative dello stesso settore vengono organizzati a livello territoriale incontri per decidere un prezzo minimo da non oltrepassare per nessun
motivo, ma poi ci sono cooperative che non rispettano nessun accordo.
Ma sono affiorate anche esperienze ben diverse, come aggregazioni attraverso
associazioni temporanee di imprese al fine di affrontare i mercati esteri, o l’iniziativa di una cooperativa che, facendo perno sul prodotto del territorio, è riuscita ad
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4. I RISULTATI DEI FOCUS GROUP E DELLE INTERVISTE INDIVIDUALI SVOLTI CON LE COOPERATIVE
aggregare altri prodotti dello stesso territorio. Oppure, situazioni in cui si è dato
vita a un consorzio di secondo grado a cui conferire in fase iniziale una quota
minoritaria di produzione, per poi crescere nel tempo.
È in questa direzione che stanno orientandosi diverse cooperative, stimolando
aggregazioni al fine di costruire, ad esempio, contratti quadro con industrie e
commercianti, anche per evitare problemi legati a una gamma mono prodotto, la
cui attività non coprirebbe l’intero arco dell’anno e non giustificherebbe certi costi
di struttura.
Quanto alle aggregazioni trasversali tra cooperative di settori diversi, si evidenziano i vantaggi ai clienti in termini di ampiezza o completezza di gamma, e alle
aziende aderenti in termini di possibilità economica di partecipare a determinate
iniziative.
A volte, però, le caratteristiche merceologiche dei prodotti hanno reso impossibile l’adozione di strategie unitarie, con riferimento agli aspetti logistici.
In linea di massima, si è consapevoli che le forme realisticamente possibili e più
opportune di aggregazione sono quelle dove ognuno trova il suo spazio mantenendo la propria identità: una sorta di contratto di collaborazione, ad esempio
per ottenere sinergie di costo, per sviluppare una politica più incisiva di mercato
con volumi di offerta nettamente superiori, per uscire da una situazione di mancanza di varietà di offerta.
L’aggregazione avviene con minori difficoltà per cooperative tra cui esiste un rapporto di conoscenza e fiducia. Si auspica a questo proposito che le Centrali stimolino le cooperative a ricercare forme di collaborazione per giocare un ruolo più
importante sul mercato, sostenendo la concorrenza dei produttori di maggiori
dimensioni, anche attraverso preliminari occasioni di conoscenza reciproca.
Ampliando il discorso, si ritiene che qualche intervento delle Centrali sarebbe
opportuno, se ben calibrato e concreto. Con riferimento all’export, le Centrali potrebbero creare una piattaforma che offra indicazioni di mercato e consulenza
sugli aspetti normativi, che svolga un ruolo di raccordo forte tra le diverse esigenze delle piccole realtà. Alcune cooperative sentono il bisogno di avere maggiori
informazioni di mercato e di conoscere regolarmente le opportunità.
La conoscenza e l’utilizzo di strumenti istituzionali a sostegno dell’export
Poche cooperative conoscono i servizi di Sace e Simest e la collaborazione con enti istituzionali non si spinge, solitamente, oltre alla partecipazione a qualche manifestazione
fieristica con Camere di Commercio o con ICE.
Per quanto riguarda l’assicurazione crediti, è stato affermato che il ricorso agli strumenti istituzionali ha caratteristiche e costi corrispondenti ai privati, oppure che il mercato
estero dà solitamente la possibilità di poter proporre una riscossione anticipata.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
4. I RISULTATI DEI FOCUS GROUP E DELLE INTERVISTE INDIVIDUALI SVOLTI CON LE COOPERATIVE
La possibilità di partecipare a missioni all’estero o a fiere internazionali è ritenuta
particolarmente utile. Si auspica a questo proposito un intervento dell’ICE più
robusto e incisivo, altrimenti occorre supplire a livello di singola azienda appoggiandosi a società di marketing che promuovano il prodotto in determinati eventi.
Non sono mancate critiche ad alcune scelte compiute, per esempio dalle Camere
di Commercio locali, che magari hanno organizzato missioni all’estero in paesi
appena al di là del confine, raggiungibili e aggredibili con facilità anche dalle
singole aziende.
Le preoccupazioni per il futuro
L’atteggiamento verso le prospettive è piuttosto variegato, così come le preoccupazioni manifestate. Tra queste, lo scarso ricambio generazionale e di conseguenza l’insicurezza degli approvvigionamenti in prospettiva, con concreti rischi di
fallimento dei singoli produttori. Si percepisce a volte una certa preoccupazione
per la tenuta della base sociale, in termini di adesione alla cooperativa, continuando ad esprimere buoni livelli di produzione: può accadere che compratori
privati offrano con qualche garanzia prezzi superiori, e allora il socio può essere
tentato dalla sospensione del conferimento. A volte, la cooperativa viene vissuta come strumento per ottenere finanziamenti, non tanto per affrontare insieme
meglio il mercato, e ciò ovviamente non consente una buona programmazione
commerciale.
Vi sono preoccupazioni relative ad eventi di carattere socio-politico. Per esempio,
sulla crescita dei flussi commerciali diretti alla Russia, è intervenuto l’embargo
che ha bloccato tutto, compresa la linea di confezionamento ed etichettatura specifica per questo mercato.
È emersa di nuovo l’eccessiva burocratizzazione che si affianca ad aiuti che secondo alcuni non vengono dati ai veri investimenti caratterizzati da un buon spessore quantitativo, ma al green e al rinnovabile.
Altri hanno parlato invece delle difficoltà di accesso al credito.
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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5. I RISULTATI DELLE INTERVISTE ALLA GDO
I gruppi della distribuzione e lo scopo delle interviste
Queste note sono il frutto di quattro incontri con buyer di gruppi della distribuzione organizzata, buyer i cui ambiti di responsabilità fanno riferimento, nell’insieme, ai settori ortofrutta, latticini, caseari, salumi, gastronomia, carni fresche,
prodotti ittici, surgelati, panetteria e pasticceria.
Due gruppi sono di rilevanti dimensioni, con fatturati tra 1.500 e 2.000 milioni di
euro, uno di medie, circa 350 milioni, uno di piccole, circa 30 milioni.
Tre gruppi hanno sede in Emilia, uno nel Veneto e i loro punti vendita sono distribuiti in area 1 e 2 Nielsen.
Lo scopo delle interviste è stato quello di identificare esigenze, aspettative, propensione a piccoli fornitori e a fornitori locali, in particolare appartenenti al mondo cooperativo, di raccogliere indicazioni circa i punti di forza e di debolezza
delle cooperative di minori dimensioni e suggerimenti per il miglioramento del
loro rapporto con i grandi clienti. Si è pure verificato lo stato di applicazione
dell’articolo 62 a circa quattro anni dall’entrata in vigore.
Piccolo contro grande fornitore
Il grande fornitore è indubbiamente indispensabile: offre prodotti di marca e innovativi, servizio efficiente (ordini, consegne, ecc.), prezzi contenuti in quanto riesce a realizzare economie di scala. D’altra parte, partendo da condizioni di forza,
si comporta, talvolta, in modo arrogante nella trattativa.
Sotto l’aspetto del servizio il piccolo è meno efficiente, poi propone prezzi non
sempre appetibili, però esprime meglio il territorio, è più disponibile al confronto, e con lui c’è trattativa e i rapporti si possono estendere anche al di fuori
dell’ambito strettamente professionale, mentre il grande è talvolta blindato sulle
proprie posizioni.
Per di più il piccolo fornitore è ben disponibile ad accettare ordini minimi, in grado di agevolare l’attività della DO di minori dimensioni.
Sussistendo le necessarie condizioni, si tende a privilegiare il fornitore locale e
medio piccolo. Si è convinti che così si crea ricchezza nel territorio, che viene riversata necessariamente anche nei punti vendita della catena stessa.
Poi la dimensione del fornitore assume valenze diverse con riferimento ai settori
merceologici: si privilegia il fornitore minore in alcuni, mentre in altri (vedi libero
servizio confezionato) non si può prescindere dalla grande azienda. In particolare si concede spazio al fornitore minore in tutte le situazioni (panetteria, pasticceria, formaggi, carni, ecc.) nelle quali si ritrova valore aggiunto per il tipo di
lavorazione e per l’aderenza alla tradizione locale.
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5. I RISULTATI DELLE INTERVISTE ALLA GDO
Per elevare la distintività dell’insegna, nella carne bovina, ad esempio, si seleziona il piccolo macellatore in grado di proporre tagli e lavorazioni particolari,
mentre nel Parmigiano Reggiano si va alla ricerca di ben determinate matricole di
caseifici e non ci si affida soltanto ai grandi stagionatori.
Il fornitore locale è una delle armi su cui un gruppo distributivo di medie dimensioni può fare leva per fronteggiare i grandi retailer che raramente sono in
grado, per struttura organizzativa e cultura aziendale, di calarsi adeguatamente
nel rapporto con la cultura del territorio. È stato portato il simpatico caso di una
prestigiosa insegna italiana che identificava in modo ufficiale la mortadella con il
nome Bologna.
Il prodotto locale, correttamente miscelato nell’assortimento, spesso esprime una
buona rotazione e migliora le prestazioni del punto vendita.
I punti vendita affiliati per mettersi alla prova come compratori o per dimostrare
di essere più competenti del buyer del gruppo, talvolta, acquistano direttamente
prodotti, ad esempio caseari, al di fuori della contrattualistica centrale. Sono infatti migliori conoscitori del territorio e quando i fornitori da loro scelti riescono
ad offrire un buon contributo all’assortimento, il buyer li inserisce nella contrattualistica centrale e li propone agli altri punti vendita.
Il rapporto con le cooperative
Il rapporto con le cooperative varia da situazione a situazione, ma complessivamente si considera buono, poi vi sono grandi realtà cooperative con le quali, alla
stregua delle maggiori aziende private, il rapporto, tutto improntato a listini e
clausole contrattuali, si fa un po’ freddo.
Il buyer deve però fare riferimento al grado di efficienza che esprime il fornitore.
Nel settore ortofrutta, con alcune cooperative, consorzi o OP i gruppi lavorano veramente bene, ma in taluni casi si trovano di fronte ad agglomerati di produttori
senza servizi centralizzati che fungono semplicemente da centri di rifatturazione,
con tanti punti di debolezza, dal prezzo alla capacità di relazione, alla logistica.
Si tratta di strutture nate soprattutto per recuperare contributi e ce ne sono troppe
in questo settore, al nord come al sud.
Punti di forza e di debolezza delle cooperative
Alcuni responsabili commerciali, soprattutto nelle realtà minori (vedi latterie sociali), esprimono una cultura di mercato un po’ obsoleta, ma è in atto un ricambio.
Il prezzo non è di certo punto di forza di queste cooperative, impegnate a salvaguardare il lavoro dei soci, anche del più debole. Rispetto al privato sono quindi
più rigide su questa leva.
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5. I RISULTATI DELLE INTERVISTE ALLA GDO
D’altra parte riescono ad argomentare il prezzo meglio di altri in quanto, esprimendo una buona conoscenza del processo produttivo, lo pongono maggiormente in relazione ai costi della materia prima e di lavorazione e lo sfrondano da
numerose voci non strettamente collegate ad ambiti produttivi.
Le aziende private, e in parte anche le grandi cooperative, invece, nella formulazione dei listini e nella trattativa si distaccano troppo dal valore del prodotto,
della materia prima.
La capacità di relazione è buona. Il tessuto sociale in cui le cooperative operano
probabilmente le aiuta ad esprimere più calore ed empatia. Poi alcune cooperative sono maggiormente professionalizzate e attrezzate sotto l’aspetto organizzativo, altre meno e vengono portate ad esempio alcune latterie sociali.
La qualità è un indubbio punto di forza. È nel dna della cooperativa prestarvi attenzione e non di rado le realtà minori esprimono prodotti di valore, ma non sono
sempre in grado di offrire prodotti innovativi e con buoni contenuti di servizio.
Devono, per di più, imparare a raccontarsi meglio.
La velocità di risposta alle sollecitazioni dei clienti non si considera, invece, un
punto di eccellenza: vi sono più funzioni che intervengono e non sempre ai responsabili commerciali si concede il giusto grado di autonomia.
Ad esempio, con la piccola azienda privata a volte è sufficiente una sola telefonata al titolare per risolvere il problema, mentre nella cooperativa non di rado si
deve riunire il consiglio di amministrazione.
Circa la disponibilità alle attività promozionali, le cooperative rispondono adeguatamente, ma potrebbero fare di più e forse sono più propense a quelle in store,
avvalendosi delle loro promotrici, e meno a quelle classiche di calendario.
Le cooperative di taglia inferiore, in ambito ortofrutticolo, esprimono per forza
di cose minori volumi e dispongono di una gamma limitata, per cui la catena
acquista da loro soltanto alcuni prodotti e non riesce ad instaurare un rapporto
continuativo nell’arco dell’anno, bensì soltanto per la campagna di quel particolare prodotto.
Le cooperative maggiori vengono vissute spesso alla stregua delle grandi aziende
private, mentre nelle piccole si percepisce la buona conoscenza dell’intera realtà
aziendale, l’impegno sulla materia prima e il rapporto stretto con il socio. Poi, se
da una parte ispirano maggiore fiducia, dall’altra non sono in grado di porre bene
in luce i loro plus.
Per le consegne i fornitori minori, e questo vale anche per le cooperative, dispongono di sistemi meno efficienti, ma sono più elastici e disponibili, qualora richiesto, ad evadere ordini che scendono sotto il minimo concordato.
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5. I RISULTATI DELLE INTERVISTE ALLA GDO
Le cooperative in questa fase di mercato
Le cooperative stanno reagendo meglio delle altre aziende in questa critica fase
economica: devono infatti cercare ogni spazio per mantenere una buona remunerazione del socio e in questo la pratica della mutualità le aiuta. Debbono però
sviluppare un ancor più stringente controllo dei costi.
Sono più vicine al prodotto, esprimono maggiore concretezza e sono più di altri
in grado di motivare i prezzi con le variazioni (positive o negative) del costo della
materia prima.
Se la gestione diviene particolarmente critica, il privato può cessare l’attività,
mentre le cooperative sono portate a resistere più a lungo, per non tradire la fiducia dei soci.
Dopo anni di attenzione all’estero, anche le cooperative stanno riprendendo interesse al mercato italiano, in considerazione pure di consumi in leggero recupero
nella seconda metà del 2015.
Le cooperative maggiori, ben radicate presso le reti distributive cooperative e con
una base di clienti diversificata, sono in questa fase sufficientemente tranquille e
anche le piccole, quelle efficienti e flessibili, si stanno muovendo bene sul mercato
domestico, ma sono in ogni caso più gracili e, se un buon cliente le abbandona,
corrono il rischio di sbilanciarsi ed entrare in situazioni di seria difficoltà.
I suggerimenti alle cooperative
Alle cooperative, in particolare di minori dimensioni, vengono proposti alcuni
suggerimenti:
• disporre di una visione chiara del rapporto con il mercato: essere quindi consapevoli del motivo per il quale si rimane su certe aree d’affari, anche mature,
e dei vincoli che ciò comporta oppure con quali obiettivi si entra in aree nuove,
che possono richiedere sostanziosi investimenti. E nel fare ciò vanno osservati
con attenzione i numerosi esempi positivi che nel mondo cooperativo vi sono
e cercare, mutadis mutandis, di imitarli;
• improntare il rapporto con alcuni grandi clienti ad un maggiore livello di fiducia, almeno con alcuni culturalmente e storicamente più vicini, quali Coop
e Conad, aprirsi e superare certe diffidenze;
• prestare maggiore attenzione alla propria immagine, facendo emergere in comunicazione i plus e le peculiari caratteristiche;
• mantenere una visione ampia sulla realtà aziendale, ma pure saperla meglio
raccontare. Imparare, cioè, a fare storytelling, aspetto nel quale sono attualmente carenti;
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5. I RISULTATI DELLE INTERVISTE ALLA GDO
• in ambito ortofrutticolo, far rispettare le indicazioni di scelte varietali. I soci,
prevalentemente nel centro sud, che dispongono di minori risorse da investire, sono meno disponibili ad accogliere le indicazioni della cooperativa ed
erroneamente si improvvisano in loro autonome scelte, che spesso rendono
inadeguata l’offerta della cooperativa. Melinda, ad esempio, offre indicazioni
precise che vengono pienamente accolte e i risultati si vedono.
L’articolo 62
A quattro anni dalla entrata in vigore, l’articolo 62, “Disciplina delle relazioni
commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari” del Decreto Legge sulle liberalizzazioni del 24 gennaio 2012, ha trovato nel mondo Gdo
un’applicazione parziale, che varia principalmente in relazione alla dimensione
del retailer, la GD e la grande DO rispettano la normativa, i piccoli operatori sono
meno ottemperanti.
Nelle regioni del centro sud non è mai entrato pienamente in vigore, mentre nel
centro nord ha trovato un’applicazione più ampia, pur essendovi parte dell’ingrosso tradizionale non di rado inadempiente.
Certamente l’entrata in vigore ha creato difficoltà finanziarie un po’ a tutti i gruppi, in specie ai più piccoli e gracili, ma la Gdo ha recuperato margini operando
sui contratti, ad esempio caricando sulla voce sconto o mettendo direttamente in
fattura i premi di fine anno, al fine di incassare il corrispettivo nel corso dell’anno
e non all’inizio di quello successivo.
Anche per rendere meno complesso l’iter amministrativo, in accordo con i fornitori di prodotti che prevedono due scadenze, a 30 e a 60 giorni, di frequente si
sono portati tutti i pagamenti a 30 giorni, addebitando un fee a compensazione
del maggiore onere finanziario che la catena deve sostenere.
Certamente con la sua applicazione il fornitore è più tutelato: incassa in tempi
più rapidi e rimane meno esposto nei confronti dei clienti, per cui nel caso che un
cliente entri in forte difficoltà (concordato o fallimento), l’importo a rischio sarà
certamente più contenuto.
Sostanzialmente l’articolo 62 ha anticipato i pagamenti di settimane e i fornitori
hanno beneficiato di un flusso finanziario continuo: è stata una bella boccata di
ossigeno.
Alcune catene pagavano l’ortofrutta anche a 180 giorni, quindi portare a circa 50
giorni effettivi ha significato molto.
È certo che, a fronte di clienti inadempienti, il fornitore in situazione di debolezza
non reagisce per timore di vedere interrompersi il rapporto, ma si rileva pure che
gli uffici competenti del Ministero delle Finanze non sanzionano in mancanza di
denuncia da parte di quest’ultimo, anche qualora da verifiche nella contabilità
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5. I RISULTATI DELLE INTERVISTE ALLA GDO
del cliente emerga la non rispondenza alle prescrizioni dell’articolo.
È poi normale che la sua entrata in vigore, per di più in una fase di mercato complessa, abbia creato difficoltà a qualche retailer.
L’articolo 62 ha portato di certo miglioramenti ai fornitori sotto l’aspetto del flusso
finanziario, ma i gruppi distributivi devono avere l’accortezza di non stressarli
troppo con le clausole contrattuali penalizzanti, finalizzate a recuperare punti di
margine, altrimenti potrebbero non essere più in grado di offrire la giusta qualità.
Ai retailer maggiori l’articolo 62 ha creato qualche difficoltà sotto l’aspetto organizzativo ed informatico, non tanto sotto quello finanziario, mentre i piccoli
gruppi, oltre ai problemi connessi alla implementazione delle procedure, hanno
incontrato senza dubbio difficoltà finanziarie dovute al fatto che, in più di un’occasione, si sono trovati stretti tra fornitori che richiedevano il rispetto dell’articolo
62 e molti punti vendita, loro aderenti, non in grado di far fronte a tempi di pagamento ridotti.
Taluni fornitori, i più robusti, hanno approcci diversi a seconda del cliente. Nei
confronti dei più deboli sono incalzanti e intransigenti, e non di rado, a fronte di
ritardi eccessivi, sospendono le consegne, al fine di esercitare pressione e di cautelarsi, per rimanere esposti con cifre inferiori, mentre si dimostrano più disponibili verso gruppi con i quali sviluppano rilevanti fatturati.
La situazione attuale e le prospettive per i retailer
La Gdo sta vivendo una fase schizofrenica, il mercato non è più interpretabile e
non si riesce più a centrare una previsione.
Vi sono consumatori, la maggioranza, che risparmiano su molti beni e alcuni segmenti che vogliono sperimentare il nuovo (vegano, etnico, biologico, ecc.), ben
disposti a spendere di più.
La rete dei punti vendita del mondo Gdo è oggi troppo pesante: si sono realizzate
troppe aperture in passato. Oggi ci si è fermati, ma si attiveranno ancora nuovi
punti vendita sulla scia della programmazione degli anni precedenti.
Oggi si sta procedendo a ristrutturazioni piuttosto che a nuove aperture e si sta
riflettendo molto sugli iper, format da alcuni anni in notevole difficoltà.
I superstore e i piccoli punti vendita a libero servizio sono i format che stanno
rispondendo meglio, ma questi ultimi hanno costi di gestione elevati. Per gli iper
l’alternativa principale pare il downsizing.
Alcune grandi catene si stanno muovendo nella giusta direzione, altre invece,
fino ad oggi leader, e la DO più gracile sono in fase di ripiegamento.
Le catene meno burocratizzate e più snelle e chi presidia il territorio con piccole superfici di vicinato, anche se con un pricing non particolarmente appetibile,
stanno ottenendo i risultati migliori.
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5. I RISULTATI DELLE INTERVISTE ALLA GDO
Le catene per stare in mercato devono impegnarsi nella ristrutturazione dei punti
vendite, nel rinnovo degli arredi e dell’ambiente interno.
Questa è quindi una fase di mercato ancora critica per la Gdo, ma è una di quelle
travagliate fasi dalle quali i più bravi, i più capaci e creativi usciranno rafforzati e
i meno preparati, indeboliti. Una fase che sta riservando per chi vuole mettersi in
gioco, ripensando anche ai format e alla offerta per cui da molti anni sono riconosciuti, buone soddisfazioni.
Vengono premiati la professionalità, il radicamento locale, la creatività espressa
nei nuovi punti vendita, la capacità di comunicare. E una leadership forte sarà
determinante.
Per anni si è puntato molto sul format grande e sulla standardizzazione dei prodotti, oggi, invece, si tende a valorizzare il prodotto locale e vi è un recupero dei
piccoli punti vendita e di quelli aziendali, come gli spacci dei caseifici del Parmigiano Reggiano che potevano apparire anni addietro senza grandi prospettive.
Questa tendenza verso i prodotti tipici e i format minori e particolari può senz’altro aiutare il piccolo produttore, in specie la cooperativa.
A ciò si contrappone il rafforzamento dei discount. Il panorama distributivo si sta
quindi complicando ed emergono apparenti contraddizioni come il contestuale
successo di punti vendita con assortimenti e pricing di tutto rispetto e di altri con
assortimenti essenziali accompagnati da prezzi di fascia bassa.
E come in tutte le situazioni complicate, in questa fase è fondamentale anche
mantenere un ferreo controllo dei costi.
Vogliamo segnalare, infine, che si profila la possibilità che alcune importanti insegne della Gdo assumano il ruolo di intermediari di rilievo per l’export. Hanno,
infatti, punti vendita in altri paesi o contatti stretti con insegne di altri paesi e sono
in grado di fornire un servizio completo, con sdoganamento, trasporto, ecc., che
evita una serie di problematiche al produttore.
Ciò è di indubbio interesse, ma potrà comportare ulteriori problemi legati alla
forza dei grandi retailer, di fronte ai quale i piccoli produttori si sentono molto
indifesi.
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6. I RISULTATI DELLE INTERVISTE A TESTIMONI
PRIVILEGIATI DEL MONDO COOPERATIVO
Le cooperative e lo scopo delle interviste
Queste note sono il frutto di quattro incontri con dirigenti di importanti realtà
cooperative:
• due del settore ortofrutticolo, una emiliana e una romagnola
• una del vinicolo, toscana
• una del caseario, veneta.
Lo scopo delle interviste è stato quello di dedurre suggerimenti da diffondere, con
le opportune modifiche, alle imprese meno strutturate e di dimensione inferiore,
con riferimento in particolare agli spazi di crescita, ai punti di forza e di debolezza, al rapporto con i soci, ai fattori organizzativi necessari per competere meglio,
alle possibili forme di aggregazione, ai livelli di patrimonializzazione. Si sono raccolte pure alcune informazioni sul grado di applicazione, ad oggi, dell’articolo 62.
Gli spazi di crescita
Sia per le cooperative di maggiore che di minore dimensione sussistono spazi di
crescita. È determinante, però, la buona gestione.
Quelle minori, d’altra parte, sono più fragili, meno attrezzate per interpretare il
mercato (distribuzione e consumatore) e sostengono, in genere, con maggiore difficoltà i contraccolpi della crisi, che sta mettendo a dura prova tutte le aziende.
Poi, non tutti i settori offrono gli stessi spazi di manovra.
In quello vinicolo, ad esempio, è preferibile che rimangano cantine di vinificazione,
commercializzando il loro imbottigliato in un ambito in prevalenza locale dove maggiormente si apprezzano le produzioni tipiche del territorio, ed anche gli investimenti in comunicazione saranno a dimensione di questo mercato (feste, sagre, ecc.).
Qualora vi sia intenzione di approcciare canali distributivi pesanti, come la Gdo,
è d’obbligo valutare fino a che punto, in termini di volumi disponibili e di risorse
da investire, la piccola cooperativa si può spingere.
Nel porsi l’obiettivo di orizzonti più ampi, in particolare i mercati esteri, è preferibile che le realtà minori si avvalgano di una struttura consortile.
Le piccole realtà che hanno investito troppo nell’imbottigliato (impianti, organizzazione commerciale, ecc.), cercando di entrare e consolidarsi in aree non prossime e in canali pesanti, non di rado hanno incontrato difficoltà da cui non si sono più risollevate.
Vi è per di più da osservare che in questo settore, a differenza di altri, neppure il
biologico può considerarsi un importante driver di crescita per le piccole realtà.
Anche in ortofrutta, le strutture di minori dimensioni si esprimono meglio nei
mercati di prossimità, mentre quelli esteri richiedono generalmente volumi elevati, di cui di rado dispongono.
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6. I RISULTATI DELLE INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILEGIATI DEL MONDO COOPERATIVO
Nel settore caseario, oltre a non essere dotate di uffici commerciali sufficientemente strutturati, talvolta producono, per mancanza di controllo sui processi,
anche le Dop (ad esempio, l’Asiago) in formati fuori standard, che la distribuzione non apprezza.
Da parte dei distributori esteri, vi è la ricerca del prodotto particolare, tipico,
espressione di territori circoscritti e al riguardo va segnalato il recente incontro
(nel marzo 2016) a Sommacampagna (VR) di Kroger (grande retailer statunitense) per la sua iniziativa Taste of Italy (ottobre 2016) con numerosi operatori italiani, che però, oltre ad un fatturato di almeno 5 milioni di euro e una quota di
export non inferiore al 30%, dovevano possedere la registrazione Food and Drug
Administration, l’etichettatura conforme al mercato statunitense e le certificazioni BRIC e IFS.
In ogni caso è preferibile che le piccole realtà si aggreghino in qualche forma consortile, almeno per affrontare i grandi clienti e l’estero.
Da sole non hanno, salvo eccezioni, grandi prospettive: dispongono di ridotti volumi su cui si scaricano tutti i costi generali e quelli fissi di lavorazione e commercializzazione.
Oggi poi, nella catena del valore la quota più cospicua è appannaggio della distribuzione; all’agricoltore e alla cooperativa, in specie di piccola taglia, che si
pongono nella sua parte iniziale, rimane l’osso.
Forze e debolezze e qualche suggerimento
La cooperativa di minori dimensioni deve esprimere una gestione efficiente e curare con elevato grado di attenzione il prodotto e il rapporto con i clienti, conquistandosi una buona credibilità, partendo dal mercato locale.
Lavorando ridotte quantità, il prodotto presenterà spiccate, quasi artigianali, caratteristiche distintive, mentre quello della grande cooperativa tenderà ad una
standardizzazione più spinta che le consenta di meglio affrontare mercati ampi.
Il fatto di lavorare su volumi contenuti comporta però, per esempio in ortofrutta,
limitate possibilità di selezione del conferito.
La piccola realtà dovrebbe, quindi, esprimersi prevalentemente su prodotti di
nicchia, su specialità (il particolare asparago, fagiolino, tipo di vino o formaggio,
ecc.), curando con la massima attenzione la qualità della materia prima, la lavorazione, la vestizione.
Ciò le consente di svincolarsi dalla battaglia sul prezzo e ottenere ricavi unitari più
elevati, superando in parte lo svantaggio della mancanza di economie di scala.
E, anche nelle Dop, sarebbe opportuno andare oltre gli standard dei disciplinari,
impegnandosi pur sempre di offrire prodotti in sintonia con le attese del mercato.
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6. I RISULTATI DELLE INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILEGIATI DEL MONDO COOPERATIVO
Nelle grandi Dop, mantenendosi legati agli standard, per i piccoli produttori non
c’è troppo spazio di manovra; il gioco è soprattutto sui costi e qui sono perdenti.
Realizzare innovazione, proposte differenzianti, vestizioni particolari, ecc. richiede naturalmente attenzione, visioni chiare e, non ultimo, risorse economiche da
destinare al marketing e alle vendite.
I valori a cui la comunicazione delle cooperative di più ridotte dimensioni deve
ispirarsi sono un mix di riferimenti alla qualità, alla cura del prodotto, alla sua
salubrità, al legame profondo con il socio e con il territorio.
La cooperativa deve giocarsi il controllo stretto della sua quota di filiera e, soprattutto, evidenziare che la materia prima proviene da una robusta base di soci, i
quali gestiscono la loro attività in prima persona, con il contributo della famiglia,
senza eccessivi ricorsi a manodopera esterna. Si offrirà così l’immagine di un’azienda nel cui prodotto si ritrovano le braccia, la testa e il cuore dei soci.
Ad esempio, i soci di una cooperativa ortofrutticola intervistata selezionano e
confezionano il prodotto direttamente in azienda e nelle confezioni compare in
bella evidenza, oltre al marchio e al coordinato d’immagine della cooperativa,
proprio il loro nome, la loro ragione sociale.
La piccola cooperativa, anche a fronte di un’apprezzabile propensione, investe
in misura limitata in comunicazione, in quanto non dispone delle risorse per interventi di respiro e, meno agevolmente di quelle maggiori, riesce ad accedere ai
fondi pubblici che talvolta sostengono questi investimenti. Per di più non sempre
dispone delle risorse finanziarie per coprire la quota che i bandi mettono a carico
dell’azienda beneficiaria.
In alcune situazioni è poi preferibile non investire in area commerciale, rimanere
essenziali nell’organizzazione e cedere il prodotto alle strutture preposte ad interfacciarsi con il mercato. Ci si colloca così in un’ottica di delega a terzi dell’intelligenza di mercato, ma che può offrire buoni ritorni, soprattutto se ben meditata e
resa coerente nel tempo.
Le cooperative minori non di rado gestiscono il rapporto con il cliente in modo
meno professionale delle grandi ed è stato portato l’esempio, non particolarmente positivo, del vicepresidente di un caseificio che, con buona dose di impreparazione, si è impegnato a gestire in prima persona il contratto con una catena Gdo,
con risultati tutt’altro che lusinghieri.
Per di più devono ricercare clienti disposti a remunerare adeguatamente il prodotto e con richieste di volumi non troppo elevati, altrimenti corrono il rischio di
non soddisfarle.
È preferibile approcciare gruppi distributivi a dimensione locale in grado di apprezzare il prodotto del territorio e propensi a lavorare a prezzo netto e trasparente, senza eccessivi orpelli contrattuali.
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6. I RISULTATI DELLE INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILEGIATI DEL MONDO COOPERATIVO
Il rapporto con le importanti catene si basa spesso su strutture contrattuali complesse, su contributi, su logiche finanziarie che le piccole realtà non sempre sono
in grado di gestire al meglio, quindi è preferibile che evitino di investire in listing
pesanti, correndo poi il rischio di venire dereferenziate dopo breve tempo.
Dovrebbero inoltre impegnarsi per una maggiore velocità nei tempi di risposta ai
clienti, in ciò favorite, a differenza delle cooperative maggiori, da un’organizzazione per forza di cose più semplice e flessibile.
Anche nella gestione dei clienti esteri possono incontrare difficoltà, oltre che per
corrispondere a tutte le normative, per la relazione, la lingua e la logistica.
Il rapporto con i soci
È necessario improntare il rapporto con i soci a correttezza ed equilibrio, liquidando il conferito a prezzi di mercato, senza forzature per mantenere legata la
base sociale; liquidare a prezzi troppo elevati significa senza dubbio ritrovare
consenso, ma, per converso, sottrarre risorse utili per investimenti.
I soci devono sentirsi parte di un’ampia famiglia e i frutti del loro lavoro tradursi
in motivo di orgoglio. La confezione andrebbe ben curata e, quando possibile,
su di essa evidenziata l’azienda del socio da cui la materia prima o il prodotto
proviene.
È opportuno che i dirigenti della cooperativa siano più determinati, facendo comprendere che soltanto il prodotto con buone prospettive di mercato va conferito e
non accettare tutto ciò che viene portato in conferimento.
Queste indicazioni vanno inserite nel regolamento a cui attenersi senza troppa
indulgenza, altrimenti, accettando anche le produzioni di scarso pregio, si danneggiano quelle migliori e i soci più virtuosi.
Una struttura con costi generali e fissi riversati su volumi esigui e di valore unitario risibile non può reggere.
Per ottenere buoni risultati necessita capacità gestionale, coraggio e strumenti che
valorizzino il prodotto conferito, come i premi di qualità a cui sarebbe opportuno
attribuire maggiore peso.
Su questi temi, e sul contenimento dei costi generali, su cui le cooperative hanno
accumulato grandi ritardi, va affrontata un’opera seria di efficientamento.
Fattori organizzativi per competere meglio
In mancanza di una gestione efficiente e di obiettivi chiari, più che mai le realtà
minori non riescono ad essere competitive, infatti, non potendo beneficiare di
economie di scala, vengono appesantite da costi unitari elevati.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
6. I RISULTATI DELLE INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILEGIATI DEL MONDO COOPERATIVO
Anche lo spirito di squadra è importante: si deve creare un’atmosfera quasi
famigliare.
Alcuni presidenti riescono in questa operazione, poi succede talvolta che si identificano troppo nella cooperativa e la vivono come una loro proprietà: ciò crea
dannose distorsioni. È richiesto equilibrio, attaccamento alla cooperativa, ma anche sapere fare un passo indietro, quando necessario.
In termini organizzativi la cooperativa deve puntare certamente ad una specializzazione dei ruoli, ma altresì formare persone eclettiche, flessibili, con una visione
ampia della realtà aziendale e che sappiano giocare, quando necessario, più ruoli.
La dimensione ridotta richiede la possibilità di interscambiarsi, di supplire a vuoti organizzativi.
Le cooperative minori dovrebbero, infatti, essere vissute come le botteghe artigiane di un tempo.
Il presidente s’impegna a delegare, ma avrà pure l’accortezza di scegliere persone
preparate e affidabili. In ogni caso, oggi si delega ancora troppo poco.
Poi, è necessario velocizzare i processi decisionali.
È perciò importante che il personale, soprattutto di area commerciale esprima
qualità, sia adeguatamente retribuito, lavori con margini di autonomia. È sul
mercato che si vince la sfida. Il consiglio di amministrazione indirizzerà e controllerà, avendo come riferimento i programmi di lavoro e i budget concordati.
Con manager preparati si controllano meglio anche i processi produttivi e meglio
si indirizzano i soci nelle scelte produttive. E le positive ricadute sulla qualità non
mancheranno.
Affrontare il mercato da soli o assieme ad altri
La piccola cooperativa può affrontare da sola il mercato, ma, soprattutto nel settore oleario e vinicolo, se si collega a cooperative maggiori o a consorzi di secondo
grado che gestiscono il marketing del prodotto e la commercializzare sul mercato, nazionale o estero, è senz’altro preferibile. Da sola avrebbe sempre notevoli
difficoltà, sono infatti molteplici gli investimenti da affrontare e non sempre a
dimensione delle sue disponibilità.
La cooperativa può certamente approcciare tutti i canali distributivi, inclusa la
Gdo che da qualche tempo sta dando spazio ai piccoli fornitori, al prodotto di
prossimità, ma cercherà sempre di espandersi con cautela, partendo dai punti
vendita vicini.
Rispetto alla cooperativa di taglia superiore, con i clienti può sviluppare un rapporto più fluido, più intenso e offrire risposte veloci: in questo l’organizzazione
essenziale aiuta.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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6. I RISULTATI DELLE INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILEGIATI DEL MONDO COOPERATIVO
In ortofrutta, ad esempio, la piccola cooperativa dovrebbe dar vita, assieme ad altre realtà del territorio di analoghe dimensioni, a forme consortili che gestiscano
marketing, vendite, controllo qualità.
All’interno della struttura consortile, operante con esclusive ben definite su prodotti, canali o aree, ogni cooperativa deve poter portare senza difficoltà le proprie
specialità, creando così un ricco portafoglio di offerta, di qualità omogenea, che i
clienti migliori ben apprezzano.
Ed è pure preferibile che i responsabili commerciali delle singole cooperative
confluiscano nella struttura consortile.
La forma consortile è indicata per tutti i settori, importante è che siano ben definite
le esclusive, al fine di evitare che il cliente venga contattato contemporaneamente
dalla cooperativa e dal consorzio, creando così deleterie situazioni di confusione.
Le forme di aggregazione o consortili devono offrire risposte in termini di complementarietà e di valorizzazione delle specificità delle cooperative partecipanti,
per cui, se queste dispongono di buoni prodotti, di linee e marchi interessanti, si
lavorerà per farli emergere.
Un progetto di collaborazione si porrà anche l’obiettivo della riduzione dei costi
e di una gestione efficiente sia delle cooperative aderenti che della struttura di
secondo grado. Quindi, vanno centralizzate le funzioni e creati servizi comuni
(dalla lavorazione, al commerciale, fino al cash pooling di tesoreria).
A fronte di aggregazioni, è preferibile che gli organi dirigenti delle singole cooperative, senza tentennamenti, facciano un passo indietro, altrimenti si duplicano
costi e rimangono inopportunamente attivi centri di potere e di pressione.
La patrimonializzazione
Le cooperative minori generalmente sono meno patrimonializzate, un gap, questo, da superare. Richiedere ai soci la sottoscrizione di capitale è la strada da percorrere. Se la cooperativa funziona, i soci vedono la prospettiva, si convincono e
si rendono disponibili.
Sono numerosi i casi in cui cooperative hanno cessato l’attività in quanto, oltre
che non gestite al meglio, scarsamente patrimonializzate.
Un buon dirigente cercherà, quindi, di dotare la cooperativa del giusto capitale
proprio. Se questo non si crea, non c’è futuro.
Una soluzione per l’incremento del capitale può ritrovarsi nel vincolare il socio a
destinare annualmente una quota della liquidazione a capitale sociale o a forme
di finanziamento remunerato.
A fianco di ciò, sarebbe utile attivare il voto plurimo in assemblea, ad esempio, da
uno a cinque voti per socio, in relazione al capitale sottoscritto.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
6. I RISULTATI DELLE INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILEGIATI DEL MONDO COOPERATIVO
Tutti i soci vengono in tal modo stimolati, attraverso il confronto, a lavorare al
meglio e a partecipare più attivamente alla gestione della cooperativa.
L’articolo 62
L’articolo 62 viene applicato in modo pieno soltanto dalle più importanti catene
Gdo, che rispettavano i tempi di pagamento anche precedentemente alla sua entrata in vigore.
Chi lavora con i grandi retailer non ha perciò rilevato grossi cambiamenti,
salvo qualche difficoltà iniziale per adeguare le procedure amministrative ed
informatiche.
Le altre categorie di clienti, dal piccolo dettaglio alla ristorazione, dai grossisti
alle aziende di imbottigliamento o di lavorazione, lo rispettano parzialmente.
In ogni caso, alcune catene hanno cercato di mitigare gli effetti negativi dell’articolo 62 sui loro margini, operando sulla data di emissione delle fatture o,
quando possibile, facendo inserire prodotti per i quali sono previsti i 30 giorni
in fatture a 60.
Una cooperativa del settore ortofrutticolo ha visto ridursi notevolmente i tempi di
incasso, con una situazione variegata:
• le maggiori catene della Gdo rispettano perfettamente i tempi (media 45
giorni);
• le minori cercano di frequente soluzioni per allungare;
• la ristorazione collettiva non sempre è adempiente, assumendo come motivazione i notevoli ritardi dei pagamenti degli enti pubblici a cui fornisce i
servizi.
Vi è infine l’opinione che non sia sempre opportuno l’intervento pesante del legislatore nel rapporto tra soggetti privati e, quando necessario, deve legiferare in
modo chiaro e semplice, affinché non si creino spazi per interpretazioni diverse
sulla medesima prescrizione.
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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7. I RISULTATI DEI CASI DI STUDIO
SULL’INTERGRAZIONE E SULL’AGGREGAZIONE
L’Italia è caratterizzata da una prevalenza di piccole imprese con un numero molto ridotto di addetti - secondo fonti Istat nel 2014 in Italia operavano 4,4 milioni
di imprese di cui oltre il 95% con meno di 10 addetti. Difficilmente tali imprese
hanno le risorse per affrontare da sole i mercati esteri e di conseguenza, per migliorare la competitività del sistema produttivo, sono particolarmente importanti
le integrazioni tra le imprese, comprese quelle cooperative.
La maggior parte delle imprese ragiona ancora in una logica puramente di export diretto che, in alcuni casi, rappresenta una buona modalità di market entry,
in altri è invece una limitazione alle opportunità offerte da un paese. Alleanze
strategiche, investimenti diretti e internazionalizzazione di risorse umane costituiscono una altrettanto valida alternativa di accesso ai mercati esteri, sia per la
grande impresa che per la Pmi.
Sono state riferite alcune esperienze di aggregazione societaria, difficilmente riproducibili, attraverso strutture societarie cooperative di secondo grado, consorzi
o società commerciali. In particolare, nell’ortofrutta operano grandi colossi cooperativi quali Alegra e nel settore dell’olio Montalbano in Toscana e Alce Nero,
la più grande realtà del biologico italiano che commercializza il prodotto di oltre
mille agricoltori e trasformatori.
Un altro esempio interessante è Romagna Coop Food, una rete d’imprese nata
per sfruttare le sinergie tra alcune delle principali società agroalimentari e vinicole italiane, situate in Romagna, una terra ricca di tradizioni enogastronomiche. È nata 3 anni fa da imprese che producono prodotti diversi di qualità, ma
che sono poco competitive sul piano commerciale, in particolare per affrontare la
Gdo. Queste imprese ora sono in grado di offrire ai clienti un approccio integrato,
in quanto possono fare affidamento con semplicità su un unico interlocutore per
tutti i marchi e le categorie di prodotto rappresentati.
Un’altra interessante esperienza di aggregazione è Only Good Italy, che consente
di promuovere l’eccellenza di vari marchi appartenenti a micro imprese che operano in un territorio fortemente caratterizzato dalla vecchia tradizione contadina.
I fondatori hanno costruito un progetto che pone al centro le migliori iniziative
produttive, valorizzandone gli aspetti della loro qualità ed eccellenza nel campo
alimentare. Così sono state selezionate le migliori produzioni presenti sul territorio quali l’olio, il vino, il miele, i prodotti sotto olio, la pasta, i salumi, i formaggi, i
prodotti ittici, ecc. per essere proposte direttamente a quei consumatori che ricercano prodotti biologici realizzati utilizzando materie prime certificate provenienti dal territorio, seguendo una manifattura di tipo artigianale.
L’impresa cooperativa che decide di sviluppare il proprio business all’estero, oltre ad una buona pianificazione, ha in primo luogo bisogno di conoscere il paese e
di instaurarvi delle relazioni, cercando di ridurre i propri costi di apprendimento.
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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7. I RISULTATI DEI CASI DI STUDIO SULL’INTERGRAZIONE E SULL’AGGREGAZIONE
In secondo luogo necessita di competenze differenziate (dalle linguistiche alle
manageriali, dalle fiscali alle legali), che non possono essere racchiuse in una sola
figura. Nel campo agricolo l’esperienza insegna che i bravi produttori agricoli
non sempre sono bravi commerciali e, anche se sono dotati di personale dedicato,
raramente tale personale è funzionale all’export.
Le imprese si aggregano per andare all’estero in quanto condividono conoscenze
e informazioni sui mercati, partecipano a missioni, fiere e bandi, sviluppano progetti per aumentare la penetrazione commerciale e il marketing di prodotti di alta
qualità all’estero e trovano insieme opportunità di business. Inoltre organizzano
servizi di assistenza post vendita in loco e fanno formazione per il personale addetto all’internazionalizzazione.
Per consentire alle imprese di aggregarsi per crescere si utilizzano prevalentemente il contratto di rete di imprese, una ATI (associazione temporanea di impresa), il consorzio o la creazione di una società di scopo. La principale differenza
è data dal fatto che, costituendo una rete, le imprese collaborano e si aggregano,
mentre con l’ATI, il consorzio o la società di scopo le imprese collaborano per
dare vita ad una nuova attività imprenditoriale, diversa da quella che le imprese
esercitano individualmente. Nel corso di questo capitolo avremo modo di valutare l’esperienza delle reti di impresa.
Nel corso delle attività sviluppate in questi anni ci è stato riferito con frequenza
che esiste una struttura a servizio del mondo cooperativo che può essere uno
strumento utile all’impresa cooperativa nel gestire i propri processi di internazionalizzazione.
Indaco è una società che offre servizi di internazionalizzazione, creata per supportare e gestire lo sviluppo estero delle imprese. È una cooperativa di secondo
livello, con soci costituiti da persone giuridiche, non necessariamente legati ai
servizi, che nasce in Italia nel 2008 dall’esperienza internazionale di un gruppo
di professionisti di diverse nazionalità e differenti formazioni, con esperienze che
vanno dalla promozione di processi di sviluppo locale e di impresa ad azioni di
lobbying internazionale.
Indaco incentiva, accompagna e gestisce i processi di internazionalizzazione delle imprese italiane nei mercati esteri, garantendo loro conoscenza del territorio
e operatività sul posto, tenuto conto che l’asset principale su cui si fonda la strategia di Indaco è la presenza sui territori esteri. Infatti Indaco non fornisce solo
consulenza per lo sviluppo del business estero dell’impresa ma, attraverso i suoi
presidi locali, si pone come partner diretto dell’impresa, cura il continuo sviluppo di un network internazionale e lo mette al servizio delle imprese. Oltre a ciò,
Indaco si propone come global service partner per l’internazionalizzazione delle
imprese, grazie alle molteplici collaborazioni con esperti di varia natura.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
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Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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7. I RISULTATI DEI CASI DI STUDIO SULL’INTERGRAZIONE E SULL’AGGREGAZIONE
L’attività export della rete di Indaco è frutto di un lavoro di comunicazione e di
sviluppo negli anni sia con i marchi delle aziende che con marchi privati dedicati in oltre 70 Paesi. Il supporto di Indaco è di grande efficacia, soprattutto per
strutture carenti nella commercializzazione dei propri prodotti che difficilmente
possono avere l’attitudine a commercializzare quelli di altre imprese.
Attualmente conta uffici in Sudafrica, Cina, Argentina, Brasile, Russia e nei Balcani, diretti da professionisti locali specializzati.
Dall’esperienza di Indaco emerge che il fattore di successo sta negli strumenti e
nelle competenze dedicate ai mercati esteri. Per un’efficace integrazione orizzontale, occorre che il portafoglio offerto sia composto da prodotti coerenti fra di loro
e gestito da un commerciale che li sappia trattare insieme e che possa essere anche ricettore di richieste dal mercato di prodotti per quel target, in quanto figura
di fiducia e di riferimento.
Per sviluppare l’attività occorre prima di tutto definire la politica commerciale: un listino con la scontistica, il modello dei contratti e i margini per i conseguenti accordi commerciali. Successivamente partono le azioni di marketing,
in quanto le due aree debbono essere coperte da figure professionali con caratteristiche diverse.
È altresì importante fare riferimento ai bandi o ai fondi per l’internazionalizzazione ma è necessario affrontarli con professionalità e con una visione di lungo
termine. Per questo Indaco offre supporto nell’ideazione e nell’implementazione
di progetti europei volti a favorire l’integrazione e la collaborazione tra soggetti
di vari stati membri dell’Unione Europea, attraverso le fasi di analisi e progettazione e in seguito la fase di implementazione, la gestione operativa del progetto o
di specifiche parti dello stesso.
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7. I RISULTATI DEI CASI DI STUDIO SULL’INTERGRAZIONE E SULL’AGGREGAZIONE
Uno strumento molto utilizzato ed apprezzato dai clienti di Indaco è il voucher
per export temporary manager erogato dal Ministero Sviluppo Economico, per il
quale si è già conclusa una prima tranche e, visto il successo, ne è stata riavviata
una seconda. Tale strumento è utilizzato per l’avviamento di una nuova attività
all’estero, da aziende o da ATI, ma non dalle cooperative agricole, in quanto già
beneficiano di fondi del Mipaaf. Per le cooperative agricole sono state previste,
grazie al PSR, iniziative sull’internazionalizzazione per agevolare la penetrazione
nei mercati europei e anche attività di consulenza specifica sui temi. Va inoltre
evidenziato il piano export per le Regioni della Convergenza (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia), detto anche Piano Export Sud, nato per sostenere la promozione di prodotti e servizi di realtà produttive sui mercati internazionali. È un
programma di attività che punta a favorire l’internazionalizzazione delle Pmi e
la promozione dell’immagine del prodotto italiano promuovendo i settori di specializzazione e di eccellenza delle regioni del sud Italia.
Da segnalare infine che Indaco, fin dalle sue origini, è partner di associazioni di
imprese e di enti di promozione dell’internazionalizzazione, affiancandoli nell’organizzazione di eventi e missioni, nella gestione di servizi di stimolo e prima assistenza per gli associati, nella formazione o nello specifico accompagnamento
all’impresa che vuole internazionalizzarsi. La collaborazione si può concretizzare
nella creazione di specifici progetti, dedicati ad un’area geografica o ad un settore
specifico, come l’organizzazione di eventi all’estero (Fiere, B2B, show room, ecc.)
l’organizzazione di eventi online, convegnistica e momenti informativi o infine
corsi di formazione per dirigenti d’azienda e commerciali esteri.
Un’altra realtà molto interessante utilizzata da alcune cooperative è la rete
di impresa. Per analizzare meglio questo strumento abbiamo verificato l’attività
dell’associazione RetImpresa, l’Agenzia Confederale per le reti di impresa, nata
nel 2009 per migliorare l’integrazione e la competitività delle piccole imprese.
Il contratto di rete è stato introdotto nel nostro ordinamento nello stesso anno
e RetImpresa svolge un’attività di coordinamento e sviluppo al servizio degli
associati. L’identikit delle imprese appartenenti alle reti di imprese evidenzia che
queste realtà sono maggiormente produttive ed efficienti, sono interconnesse ed
innovative nonché orientate all’estero.
A luglio 2016, grazie al supporto di RetImpresa, già 14.827 imprese si sono
alleate costituendo 2.935 reti di impresa, con un trend crescente. All’interno
delle reti di impresa operano 340.000 addetti, e viene sviluppato un fatturato
aggregato di oltre 86 miliardi di euro ed un valore aggiunto aggregato di oltre
19 miliardi di euro.
I settori di riferimento sono prevalentemente quello manifatturiero per circa il
26%, le attività professionali, scientifiche e tecniche per il 12% e l’agricoltura, silStrategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
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7. I RISULTATI DEI CASI DI STUDIO SULL’INTERGRAZIONE E SULL’AGGREGAZIONE
vicoltura e pesca per oltre il 10%. Per quanto riguarda la struttura delle reti di impresa, circa il 50% delle reti è composta da 2 a 3 imprese, mentre il 40% da 4 fino
a 9 imprese e il restante 10% è composto da oltre 10. Le imprese appartenenti alle
reti sono per il 50% organizzate sotto forma di società di capitale ma è da evidenziare che oltre 1.500 sono società cooperative o consortili – oltre il 10%.
A livello regionale, le prime 5 posizioni sono ricoperte da imprese appartenenti a
Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Veneto; si evidenzia che il 73,2%
delle reti opera a livello regionale mentre il restante 26,8% opera a livello multiregionale.
DISTRIBUZIONE DELLE IMPRESE ADERENTI A RETIMPRESA PER REGIONE
Le reti di imprese possono contare, grazie a RetImpresa, su una serie di accordi
istituzionali a favore dei soci, quali ad esempio iniziative per supportare le reti
all’estero attraverso le strutture diplomatiche italiane. Inoltre l’ICE offre servizi a
condizioni agevolate in virtù di un accordo del 2013 e Sace e Simest collaborano
insieme ai principali istituti bancari e assicurativi per promuovere e supportare
le strategie di crescita; in merito la rete non è valutabile da un punto di vista banStrategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
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7. I RISULTATI DEI CASI DI STUDIO SULL’INTERGRAZIONE E SULL’AGGREGAZIONE
cario, ma vi può essere una valutazione indiretta se all’interno della rete ci sono
due o tre imprese con parametri “bancabili - assicurabili”.
Per quanto riguarda specificamente l’agroindustria, le reti di impresa possono
avere accesso a misure di sostegno che hanno come riferimento il Mipaaf per il
sostegno delle reti agroindustriali per prodotti e trasformati, l’Unione Europea –
Horizon 2020 e i progetti specifici predisposti dalle regioni, quali ad esempio il
Bando della Regione Emilia Romagna nell’ambito delle azioni del POR 2014-2020,
per sostenere progetti di promozione dell’export 2016, che prevede fra i soggetti
ammissibili anche le imprese aggregate attraverso il contratto di rete.
Le principali caratteristiche delle reti di impresa sono le seguenti:
• aggregazione su programmi di crescita – la rete deve basarsi su un effettivo
programma imprenditoriale condiviso dai soci e non su obiettivi quali l’ottenimento di incentivi pubblici, altrimenti è destinata alla chiusura;
• superamento del localismo e capacità di rivolgersi ai mercati aggregati;
• governance semplice e privatistica, definita dalle imprese aderenti;
• autonomia imprenditoriale con evidenza verso i terzi;
• contratto di durata, che definisce obiettivi, risorse e strumenti di monitoraggio.
Si prevede che i prodotti realizzati con la rete possano ulteriormente aumentare
in termini di quantità e di assortimento, visto che le aziende sono aperte ad allargare la rete ad altre aziende sia italiane che estere. L’obiettivo è aumentare la
vendita di prodotti italiani nei paesi in cui si apprezza l’integrazione verticale che
caratterizza molti contratti di rete.
Un esempio interessante di operatori cooperativi alleati con una rete di impresa
è MondoBio, formata da quattro importanti aziende agroalimentari emiliano –
romagnole (Apo Conerpo, Alce Nero, Sais sementi e Cesenate Conserve Alimentari). MondoBio ha come obiettivo la fornitura di prodotti ortofrutticoli di alta
qualità a partire dalla qualità delle sementi, dalla programmazione delle tecniche
di coltivazione e dal monitoraggio a garanzia dei prodotti agricoli secondo le pratiche di agricoltura biologica. L’effetto maggiormente positivo della Rete è stato
un aumento delle produzioni. Inizialmente nata con l’obiettivo di produrre minestroni, zuppe, omogeneizzati e latti vegetali, dal 2014 la Rete ha consentito anche
la produzione di ragù vegetali e ragù di carne. Anche in termini occupazionali, si
è verificato un dato positivo, in quanto è stato assunto nuovo personale soprattutto nell’impresa di trasformazione e commercializzazione, per la realizzazione
di questi nuovi prodotti.
Le imprese agroalimentari incontrano una serie di difficoltà nella penetrazione
sui mercati esteri, non solo per gli aspetti commerciali e logistici, ma anche per
vincoli protezionistici, soprattutto in alcuni paesi emergenti; si rende quindi indispensabile fare riferimento a strutture commerciali locali.
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7. I RISULTATI DEI CASI DI STUDIO SULL’INTERGRAZIONE E SULL’AGGREGAZIONE
Una interessante e innovativa esperienza societaria, che ha permesso la penetrazione su un mercato molto chiuso come il Brasile, è sicuramente quella di Eataly,
che passiamo a descrivere di seguito per le riconosciute caratteristiche di eccellenza sotto tutti i profili.
Eataly è sbarcato a San Paolo nel maggio 2015 con il primo negozio in America
Latina, in uno dei principali centri della vita notturna ed è nato principalmente
dalla collaborazione tra Eataly Italia e il gruppo brasiliano St. Marchè.
Nei 4.500 metri quadrati su tre piani, si sviluppa la zona del mercato, che è diviso
in 22 dipartimenti e con un totale di 7.000 prodotti commercializzati. È attiva una
scuola di cucina che può ospitare fino a 18 persone, anche per degustazioni, corsi
e numerose altre attività.
EATALY: VEDUTA INTERNA DEL NEGOZIO
Il modello Eataly si basa sulla novità di valorizzare le produzioni artigianali con
un sistema che enfatizza la qualità del prodotto, ma con una logica distributiva
da grande impresa su larga scala. Sugli scaffali si trova il meglio della produzione
artigianale italiana e brasiliana, con numerosi prodotti di piccole realtà contadine
delle diverse regioni del Brasile, anch’esse caratterizzate da grande attenzione
all’alta qualità, alla manifattura dei prodotti ed alle persone coinvolte.
Delle 7.000 referenze il 65/70% sono italiane, mentre le restanti sono produzioni
locali e l’obiettivo con il tempo è quello di raggiungere le 10.000 referenze, fra
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7. I RISULTATI DEI CASI DI STUDIO SULL’INTERGRAZIONE E SULL’AGGREGAZIONE
prodotti italiani e locali. Il Brasile è un paese molto protezionistico e per quanto
riguarda l’import dei prodotti italiani occorre considerare che le merci che arrivano nel vicino porto di Florianopolis subiscono un ricarico per i costi intermedi –
in particolare dazi di importazione, i costi logistici, ecc. – particolarmente elevato,
al punto che rispetto ad un valore 1 di costo, il prezzo sul banco può raggiungere
valori anche superiori a 8.
Il marchio Eataly dà fiducia al consumatore brasiliano, ed è necessario coltivare
questa fiducia con personale motivato e competente che opera con professionalità. Vi è stata quindi una grande attenzione alla formazione del personale locale,
al quale sono state trasmesse conoscenze sul mix dei prodotti e sulla gestione del
punto vendita. La formazione del personale che opera con pubblico, della durata
di due mesi, è stata effettuata nei negozi Eataly di Roma ed di New York, con rotazione nei corner panetteria, formaggi e ristorazione. Al momento il negozio dà
lavoro a circa 500 persone.
Il pubblico è molto curioso ed ha dimostrato feeling con l’iniziativa, come avvenne a New York con l’apertura del negozio, in quanto, anche in Brasile, una
fetta dei consumatori è sempre più attenta alla qualità ed alla salute. Il negozio è
dedicato agli italo brasiliani – 30 milioni di oriundi concentrati prevalentemente
a San Paolo. Gli italiani, in prevalenza agricoltori, sono emigrati in Brasile dopo
l’abolizione della schiavitù e l’emigrazione dall’Italia è stata agevolata in quanto
paese cattolico. Il legame Italia/Brasile è illustrato con una ricca cartellonistica in
vari spazi del centro e racconta il meglio di come gli italiani si sono espressi in
quel paese, consentendo anche di identificare le regioni italiane di provenienza
con i relativi prodotti tipici.
È molto importante il gioco di squadra fra il personale interno del negozio, che
segue il prodotto, gli operatori che curano la legislazione e l’ufficio acquisti di
Torino che si occupa degli accordi commerciali che assicurano lo standard Eataly.
Dalla sede di Torino viene seguita anche l’organizzazione logistica e negli uffici
lavorano collaboratori dedicati ad ogni paese.
Il referente per il Brasile, sempre in contatto virtuale con la struttura locale, con il
supporto del socio St. Marchè, ricerca i migliori prodotti locali brasiliani e verifica
il gradimento dei prodotti offerti e i ritorni nella commercializzazione.
Per ogni tipo di prodotto è stata effettuata una valutazione sul costo dell’importazione e sulla possibilità di produrre localmente. In proposito sono stati definiti
accordi e specifici disciplinari di produzione, che rendono possibili produzioni tipicamente italiane, quali la mozzarella e la carne di razza piemontese. Tra
i prodotti che vengono importati dall’Italia, vi sono i formaggi e i salumi così
come le farine biologiche, sia per la vendita che per la produzione del pane, che
viene prodotto giornalmente nel negozio, grazie al supporto di maestri panettieri
italiani. Per quanto riguarda il vino, il lavoro è facilitato oltre che dall’esperienza
Eataly nel mondo, anche dal partner brasiliano che già commercializza nel paese
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7. I RISULTATI DEI CASI DI STUDIO SULL’INTERGRAZIONE E SULL’AGGREGAZIONE
oltre 800/900 etichette diverse e che pertanto conosce le abitudini del consumatore brasiliano.
I fornitori aiutano nello sviluppo della comunicazione, nel supporto documentale da presentare, nel packaging adeguato, nell’elasticità del servizio e nell’evitare rotture di stock (a tal fine si organizzano anche consegne urgenti via aereo).
In futuro Eataly si propone di continuare ad offrire prodotti nuovi, illustrandoli
opportunamente al cliente brasiliano; sono analizzati nel tempo i prodotti che
vengono apprezzati rispetto a quelli meno richiesti, valutando di conseguenza il
riassortimento del portafoglio.
Un’altra collaborazione importante di Eataly è rappresentata da Slow Food, che
interviene nella didattica, nell’organizzazione dei corsi ed ha collaborato nella
ricerca dei migliori prodotti brasiliani, con i presidi, permettendo una sinergia
con i migliori prodotti italiani. Il Brasile ha degli ottimi prodotti ma i produttori
locali non sono ancora coscienti del livello qualitativo e anche grazie a Slow Food
stanno imparando come valorizzare i prodotti, acquistarli e commercializzarli al
prezzo giusto. Vengono supportati i piccoli produttori brasiliani che faticano a
gestire le licenze, ad avere un’adeguata struttura e che hanno necessità di ammodernare i sistemi produttivi.
Sotto il profilo delle relazioni con i produttori brasiliani, un grande supporto è
fornito anche dal socio St. Marché che già commercializza con l’Italia e che suggerisce ai produttori come potenziare la logistica e migliorare la qualità delle risorse
umane. St. Marchè (già proprietario di una ventina di supermercati nell’area attorno a San Paolo) è una struttura che commercializza prodotti italiani nella Gdo
brasiliana, realtà completamente diversa da Eataly, con una politica di vendita
focalizzata nel mantenere prezzi competitivi garantendo una qualità superiore e
offrendo un buon servizio.
Per concludere l’analisi di questo caso di eccellenza, si evidenzia che Eataly ha
aperto il primo avamposto in America Latina, terra storica di immigrazione
dall’Italia, in un momento strategico per il paese, che cade dopo la chiusura dei
Mondiali di Calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016, periodo in cui il Brasile ha
calamitato la maggiore attenzione mediatica.
Nel concludere la nostra analisi abbiamo incontrato anche un consorzio di tutela
che ha sviluppato negli anni un’efficace azione di penetrazione della conoscenza
del prodotto sui mercati esteri.
Il Consorzio del Prosciutto di Parma nasce nel 1963 per tutelare e valorizzare in
tutto il mondo il prosciutto locale e offrire ai consumatori garanzie e sicurezze
sulla qualità del prodotto. Da allora è impegnato in numerose attività, tra cui
la gestione e la salvaguardia delle regole produttive, la gestione della politica
economica del comparto, la vigilanza e la tutela delle disposizioni di legge e dei
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
7. I RISULTATI DEI CASI DI STUDIO SULL’INTERGRAZIONE E SULL’AGGREGAZIONE
regolamenti, la protezione del nome “Prosciutto di Parma” e del relativo marchio
(Corona Ducale) attualmente registrato in circa 90 paesi, nonché la valorizzazione
del prodotto in Italia e nel mondo.
CONSORZIO DEL PROSCIUTTO DI PARMA
Può contare su un’organizzazione di 150 aziende che hanno prodotto 8,5 milioni
di prosciutti nel 2015 per 740 milioni di fatturato, con 50.000 persone coinvolte
nella filiera, aziende che continuano a utilizzare e custodire il metodo tradizionale di lavorazione, seguendo il rigido disciplinare produttivo depositato all’Unione Europea.
Il fattore del successo del Consorzio consiste nell’aver fatto sistema, aggregando
i produttori e svolgendo un fondamentale ruolo di supporto alle aziende, molte
delle quali sono poco strutturate sia sull’export che su modelli di marketing; i soci
corrispondono al Consorzio un contributo in base alla produzione che consiste in
poco più di un euro a prosciutto e vendono direttamente sul mercato il proprio
prodotto.
Rispetto ai competitor di riferimento, i produttori italiani di altri prosciutti o quelli spagnoli, Parma è decisamente più forte sui mercati esteri in quanto esporta il
32% della produzione (con performance superiori rispetto alla media del settore
agrario e del segmento dei salumi e insaccati). Ancora più interessanti sono ulteStrategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
49
50
7. I RISULTATI DEI CASI DI STUDIO SULL’INTERGRAZIONE E SULL’AGGREGAZIONE
riori performance, in quanto posto pari a 100 l’export, il 43% risulta rivolto verso
paesi terzi ed è una quota maggiore rispetto a quella dei prodotti similari italiani
o spagnoli (che si attesta invece sul 13/15%); il restante è rivolto verso i paesi
dell’Unione Europea. La capacità di entrare nei paesi terzi deriva dal fatto che
il Consorzio si è strutturato per affrontare le problematiche tipiche di entrata –
barriere sanitarie, regolamentazione da seguire con il supporto delle Ambasciate
e dei Ministeri competenti - e i produttori sono in grado di rispettare le regole
dettate dagli accordi che regolamentano l’entrata del prodotto e la relativa commercializzazione.
Un esempio dell’efficace azione del Consorzio ci è stato descritto dall’ICE di San
Paolo del Brasile che sta supportando il Consorzio, insieme con l’Ambasciata, per
registrare il prosciutto di Parma presso le Autorità sanitarie brasiliane e che ne
ha apprezzato la grande professionalità e costanza nel creare le condizioni per
l’inserimento del prodotto. Grazie a tali modalità, il prosciutto di Parma è stato il
primo ad entrare negli Stati Uniti, Cina, Canada e Singapore. Il Consorzio svolge
inoltre rilevanti attività di promozione e comunicazione nei paesi terzi, per favorire l’introduzione del prodotto.
Il sistema di tracciabilità e sicurezza è all’avanguardia ed è superiore rispetto a
quello degli altri prodotti generici e questo anche grazie alla filiera controllata
della Dop. Un’altra attività a favore dei soci, è rappresentata dall’assistenza delle
imprese socie per le pratiche doganali complesse.
Le scelte di marketing vengono prese in collaborazione fra gli uffici competenti
della struttura, la direzione e il consiglio di amministrazione, che è composto
da 20 produttori eletti dall’assemblea generale. Il consiglio di amministrazione
decide il budget e di conseguenza vengono individuate annualmente azioni da
affrontare: talvolta alcune iniziative partono da indicazioni dei produttori oppure vengono attuate su sollecitazione degli importatori e/o di altri importanti
interlocutori. L’obiettivo è una crescita equilibrata su tutte le grandi aree dove è
possibile esportare il prosciutto e non su uno o due mercati.
Il Consorzio partecipa mediamente a 6/7 fiere l’anno, distribuite tra mercati consolidati e nuovi (come Polonia, Cina, Singapore), facendo da apripista nei nuovi
mercati. Il Consorzio prosegue poi la sua azione fino a quando le aziende associate hanno consolidato le relazioni con gli operatori locali e gli importatori. Per
esempio, anni fa ha operato in Australia ed è riuscito ad accreditare il prodotto sul
mercato; successivamente non ha più partecipato a fiere in tale paese. Nelle fiere,
il Consorzio opera con proprie aree istituzionali che sono a disposizione dei produttori per i loro contatti e per il servizio logistico e di degustazione. Al termine
della fiera, il Consorzio gestisce i contatti raccolti e li distribuisce fra i produttori.
Per le iniziative di marketing nei mercati esteri, il Consorzio si avvale di 6/7 agenzie locali specializzate in comunicazione. Nei paesi terzi si avvale di importatori
per curare la penetrazione nei mercati, mentre in Europa, oltre agli operatori,
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
7. I RISULTATI DEI CASI DI STUDIO SULL’INTERGRAZIONE E SULL’AGGREGAZIONE
si rivolge ai consumatori con iniziative di degustazione nei punti vendita e iniziative sulla stampa.
Il Consorzio collabora con altre strutture aggregate a 360 gradi (come Aicig - Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche di Roma) ed in tal modo
realizza progetti altrimenti difficilmente realizzabili, grazie al sostegno dell’Unione Europea e dello Stato italiano. Da segnalare l’iniziativa negli Stati Uniti,
che è stata attuata in sinergia con i Consorzi San Daniele e Grana Padano, per la
promozione dei prodotti Dop e per l’organizzazione della degustazione nei punti
di vendita. Sono stati previsti fondi per 6 milioni di euro in 3 anni e di grande
importanza è la partecipazione alle fiere di San Francisco e New York. Grazie
all’integrazione con altri produttori, è stato possibile coinvolgere in tali iniziative
testimonial importanti, quali affermati chef, che il Consorzio non sarebbe riuscito
a coinvolgere da solo. Altre iniziative interessanti sono l’attività lobbystica e la
condivisione delle informazioni su sistemi tariffari.
Le relazioni istituzionali più importanti sono tenute con il Ministero della Sanità,
per l’apertura di nuovi mercati e con il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, che talvolta offre al Consorzio la possibilità di sviluppare attività su alcuni
progetti specifici. Per esportare è necessario il certificato veterinario – ogni paese
ha il proprio certificato - redatto in collaborazione con il Ministero della Sanità e
le ASL locali. Il disciplinare e i relativi aggiornamenti alle norme dei nuovi paesi
vengono studiati ed elaborati dal Ministero della Sanità che li trasmette anche alle
aziende produttrici perché adeguino i requisiti del prodotto, come pure ai veterinari e funzionari Asl per gli audit dei servizi esteri.
Lo studio e l’analisi di questi quattro casi di successo, che con caratteristiche e modalità differenti consentono di promuovere e valorizzare l’eccellenza e l’unicità
dei nostri prodotti, ci induce ad una riflessione sulla necessità che il nostro paese
sia in grado di dotarsi di politiche strutturate mirate a sviluppare le potenzialità
del Made in Italy.
In un contesto come quello attuale, di competizione globale, è indispensabile che
le Pmi riescano a dare vita ad aggregazioni e reti di imprese per lo sviluppo di
azioni comuni volte all’internazionalizzazione, prendendo ad esempio i modelli
vincenti già attuati nei vari settori.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
51
52
8. RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA IN
RIFERIMENTO ALLA PARTECIPAZIONE ALL’EXPO
Per analizzare le modalità di partecipazione e le relative strategie di comunicazione che sono state applicate da parte di una serie di paesi nell’ambito di Expo
Milano 2015, si sono realizzati colloqui con operatori e istituzioni che erano presenti ad Expo e si è esaminato il materiale espositivo, tutt’ora disponibile, al fine
di ricavare spunti concreti per le cooperative che intendono affacciarsi soprattutto
ai mercati extra UE.
Al centro di Expo 2015 si trovava la sfida di nutrire un pianeta di oltre 9 miliardi
di persone entro il 2050.
Si possono inquadrare le strategie attuate dai vari paesi partecipanti in alcuni
importanti driver, che costituiscono l’ossatura della seguente mappa di segmentazione, dove sono collocate le singole strategie. Gli assi di questa mappa sono:
• la tendenza ad affrontare e ad approfondire le problematiche della sostenibilità ambientale, alimentare, ecc., rispetto alla tendenza ad esibire e comunicare alcuni aspetti di forza del proprio paese;
• l’importanza attribuita alle proprie dotazioni (in termini di natura, tradizioni, cultura storica e artistica, ecc.), rispetto all’importanza attribuita invece
alle conquiste scientifiche e tecniche.
Si ottengono in questo modo quattro quadranti, descrivibili in questo modo:
1 Paesi che affrontano il problema della sostenibilità nelle sue diverse declinazioni, con strategie basate sulla ricerca scientifica, su metodi tecnologici
avanzati, ecc.;
2 Paesi che evidenziano il problema della sostenibilità soprattutto in termini
di salvaguardia della dotazione ambientale, paesaggistica, alimentare, e di
componente umana;
3 Paesi che evidenziano e rendono disponibili le loro dotazioni di paesaggi,
ambienti, antiche tradizioni, oltre che di esperienze nel settore food;
4 Paesi tesi a porre in risalto le proprie conquiste e capacità in termini scientifici, tecnologici, ecc.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
8. RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA IN RIFERIMENTO ALLA PARTECIPAZIONE ALL’EXPO
Nell’ambito del quadrante 1, sono stati spesso posti in risalto il raccordo fra food
e scienze, le proiezioni delle problematiche di sostenibilità ai prossimi decenni,
la cura del pianeta, il surriscaldamento, il consumo di risorse del sottosuolo e
dell’acqua, i cambiamenti climatici, le emissioni in atmosfera, il rischio di estinzione di tante specie, la perdita delle foreste tropicali, l’incremento demografico.
Gli stand apparivano piuttosto tecnologici, basati sulle capacità imprenditoriali.
L’approccio alle sfide del sistema alimentare, alla sicurezza alimentare e alla sostenibilità avveniva attraverso la scienza, la tecnologia, l’innovazione. Uno degli
elementi più originali era l’orto verticale motorizzato su una superficie di circa
2000 metri quadrati.
I paesi collocati nel quadrante 2 erano centrati sulla salvaguardia delle risorse,
sul rispetto della biodiversità, sulla necessità di investire in un futuro di natura e
uomini in armonia, sul concetto di un pianeta che non è stato ereditato, ma che è
in cura per le future generazioni a cui si dovrà consegnare.
È un concetto di un’agricoltura che rispetta il clima, in contrasto con vicende di
deforestazione, desertificazione, paludi. Le grandi sfide per il futuro si affron-
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
53
54
8. RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA IN RIFERIMENTO ALLA PARTECIPAZIONE ALL’EXPO
tano usando con maggior intelligenza le forze della natura (acqua, suolo, clima,
biodiversità, culture alternate, ecc.) e cercando soluzioni innovative per sostenere
clima, alimentazione, energia, …
Negli stand si riportavano le più avanzate tecnologie sostenibili, le innovazioni in
termini di riciclo dell’acqua e di irrigazione per zone desertiche, l’applicazione di
tecnologie digitali e satellitari alla gestione dei campi.
Si evidenziavano il paradosso dello spreco, la crescita dei rifiuti per lo spreco,
l’inquinamento, lo scioglimento dei ghiacciai, le catastrofi naturali; messaggi relativi alle risorse mondiali, alla loro disponibilità nel tempo, a un uso oculato e
rispettoso. Si promuovevano il consumo responsabile, il benessere animale, la
condivisione.
Apparteneva a questo quadrante il paese Italia, con la stanza del caos e quella dei
disastri ambientali, per passare alla stanza della bellezza, della natura, dell’architettura, degli interni; parallelamente, il “Vivaio Italia” era uno spazio protetto che
aiuta i progetti e i talenti a germogliare, un vivaio di idee, proposte, soluzioni che
il paese Italia offre alla comunità globale. Tutto basato sulla potenza del saper fare
(creatività, eccellenza, innovazione), sulla potenza della bellezza (turismo, qualità della vita, paesaggi d’Italia), sulla potenza del limite (tradizione, gestione delle
risorse, resilienza), sulla potenza del futuro (i semi del futuro, i semi naturali e i
semi imprenditoriali).
I paesi collocati nel quadrante 3 avevano partecipato all’Expo soprattutto allo
scopo di divulgare materiale di tipo turistico, prodotti food e non food, spesso
all’insegna di relax e musica, di una festa di sapori e di colori, di convivialità del
cibo, con gradevoli video turistici in stile “Discover …”. In alcuni casi, si aveva
l’impressione che scelte di questo genere corrispondessero almeno in parte a strategie di green washing.
I paesi del quadrante 4 erano particolarmente orientati a evidenziare le conquiste
della scienza e della tecnica, e la donazione di aiuti e di conoscenze per lo sviluppo dell’intero pianeta. È stata una comunicazione autocelebrativa di potenza
e di intelligenza: Università al top, premi Nobel, culla delle innovazioni, leader
nell’affrontare le sfide e i cambiamenti, ecc.
La filosofia più consona alle imprese cooperative agroalimentari italiane sembra
particolarmente coerente con le logiche del quadrante 2, dove la componente
scientifica non è la leva principale, per lo meno per come sono percepite le cooperative, e dove il progresso si fa con la tecnologia ma anche con il cuore, con
l’immedesimazione e la partecipazione.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
8. RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA IN RIFERIMENTO ALLA PARTECIPAZIONE ALL’EXPO
Le parole chiave sembrano essere il lavoro insieme per migliorare il presente ma
anche il futuro che si intende creare.
La dotazione naturale non è sufficiente, ma si deve abbinare a tradizione e cultura, con una sfaccettatura in più legata alla salvaguardia dell’ambiente.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
55
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA
SU ALCUNI PAESI
56
9.1. Stategie commerciali e di relazioni con il mercato
9.1.1. Polonia
LA SCHEDA PAESE
PRINCIPALI INDICATORI
Popolazione - milioni
38,5
Superficie - km2
312 679
Gdp 2015 - miliardi USD
475
Gdp pro capite – USD
12.338
Capitale
Varsavia
Valuta
zloty polacco
Cambio EUR/PLN al 30/06/16
4,436
Tasso Crescita Gdp 2006 - 2015
46%
Fonte: elaborazioni Ismea su dati di fonti diverse
La Polonia è uno stato, membro dell’Unione Europea, di oltre 300 mila km2 che
confina con Ucraina, Germania, Russia, Lituania, Slovacchia, Repubblica Ceca,
Bielorussia.
La popolazione raggiunge i 38,5 milioni di abitanti, in lieve decrescita rispetto ai
valori toccati negli ultimi anni ‘90.
Le sette principali città, con i rispettivi voivodati di appartenenza, sono
PRINCIPALI CITTÀ
CITTÀ
VOIVODATO
N. ABITANTI
Varsavia
Masovia
1.735.000
Cracovia
Piccola Polonia
762.000
Lodz
706.000
Bassa Slesia
635.000
Poznan
Grande Polonia
546.000
Danzica
Pomerania
462.000
Stettino
Pomerania Occ.
407.000
Lodz
Breslavia
Fonte: elaborazioni Ismea su dati di fonti diverse
e rappresentano una quota inferiore al 15% della popolazione totale del paese.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
57
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
La popolazione ancora per il 40% è residente in zone rurali e i settori agricoltura,
foreste e pesca assorbono ben l’11% della forza lavoro.
La Polonia rappresenta un mercato, il maggiore dell’Europa centro orientale, in
continua crescita da molti anni. Il Pil che nel 2015 si è attestato a 475 miliardi di
dollari (fonte World Bank), dal 2006 ha registrato un incremento del 46%, con una
serie ininterrotta di segni positivi, che non sono venuti meno neppure negli anni
più critici, quali il 2008 e il 2009 o il 2011.
VARIAZIONI % DEL PIL RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE
ANNO
VAR % PIL
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
6,2
7,2
3,9
2,6
3,7
5,0
1,6
1,3
3,3
3,6
Fonte: elaborazioni Ismea su dati World Bank
Consideriamo che l’Italia nello stesso periodo ha visto il Pil declinare nella misura del 5%, ma nonostante ciò mantiene un Pil pro capite pari a 2,5 volte a quello
polacco.
E il rapporto Debito - Pil, molto contenuto, non va oltre il 52%, contro la media
della Unione Europea dell’85%.
Il salario medio lordo nel 2015 si attesta a 3.900 zloty, con un valore di 4.483 per il
settore pubblico e di 3.743 per quello privato.
La presenza italiana è qui di lunga data (si pensi alla Fiat attiva dal 1926) e particolarmente robusta, nel 2105 i dipendenti delle nostre aziende erano circa 90.000.
Gli scambi con l’estero
La Polonia nel 2015 ha esportato prodotti agroalimentari per 23.222 milioni di
dollari, con una crescita del 137% nell’arco di un decennio, mentre le sue importazioni incrementano del 108%. Il saldo della bilancia agroalimentare registra un
attivo pari al 28%.
QUOTA ITALIA SU IMPORT AGROALIMENTARE
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
4,54
4,32
4,5
4,12
4,06
4,02
3,93
4,09
Fonte: elaborazioni Ismea su dati ICE - GTI
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Le esportazioni italiane, in euro, tra il 2008 e il 2015 sono aumentate di oltre il
70%, ma la nostra quota, pur recuperando leggermente nel 2015, ha flettuto di
0,5 punti; l’import polacco è, infatti, più che raddoppiato nel medesimo periodo.
Nella graduatoria dei paesi esportatori, l’Italia è preceduta dalla Germania, con
una quota superiore al 25% e, a seguire, da Paesi Bassi, Spagna, Belgio, Svezia,
mentre la Francia si colloca dietro di noi in settima posizione.
La quota italiana si pone al 4,00% nei prodotti ortofrutticoli e della pesca, al 3,84%
nell’ampia gamma dell’alimentare, mentre sale all’8,54% nelle bevande (sostanzialmente vini e spumanti), dove però cede oltre 1,5 punti nel 2015.
Le esportazioni italiane valgono 677 milioni di euro nel 2015 e hanno segnato
tassi di crescita notevolissimi, con un trend che prosegue nel primo semestre
2016. Al 30 giugno 2016, il mercato polacco rappresenta l’1,91% del totale esportazioni agroalimentari italiane, quota in continuo aumento dal 2008 quando si
poneva all’1,54%.
EXPORT AGROALIMENTARE DELL’ITALIA IN POLONIA – MIGLIAIA DI EURO
ANNO
2008
2014
2015
2015
2016
gen-giu gen-giu
011 - Prodotti di colture agricole non permanenti
012 - Prodotti di colture permanenti
65.648
41.936
49.602
101.077 123.226 110.003
34.408
53.387
35.825
30.337
030 - Pesci ed altri prodotti della pesca; prodotti
acquacoltura
101 - Carne lavorata e conservata e prodotti a base di
carne
102 - Pesce, crostacei e molluschi lavorati e conservati
1.293
2.624
5.122
3.866
3.855
14.021
26.520
37.374
14.534
23.317
1.428
4.407
6.523
2.953
2.896
103 - Frutta e ortaggi lavorati e conservati
37.240
44.508
51.717
22.673
24.458
104 - Oli e grassi vegetali e animali
32.566
55.505
49.347
23.880
25.933
105 - Prodotti delle industrie lattiero-casearie
12.793
36.691
45.733
19.212
22.874
106 - Granaglie, amidi e di prodotti amidacei
19.890
20.279
22.985
10.659
14.153
107 - Prodotti da forno e farinacei
24.550
40.611
46.650
21.874
22.977
108 - Altri prodotti alimentari
77.273 144.390 162.937
65.738
81.212
109 - Prodotti per l'alimentazione degli animali
11010 - Bevande alcoliche distillate
11021 - Vini da tavola e vini di qualità
11022 - Vino spumante e altri vini speciali
11030 - Sidro e altri vini a base di frutta
4.399
2.591
13.034
6.796
54
13.709
3.814
26.217
11.274
55
17.669
3.595
24.983
12.667
95
8.336
1.445
10.508
3.864
28
8.853
935
15.074
5.696
136
11040 - Altre bevande fermentate non distillate
11050 - Birra
7.447
815
9.300
1.640
8.545
1.099
3.979
565
4.076
501
14
2
3
1
1
2.748
2.979
3.953
1.307
2.874
394.437 621.138 676.648
293.183
339.760
1,69
1,91
11060 - Malto
11070 - Bibite analcoliche, acque minerali
TOTALE
QUOTA SU TOTALE EXPORT AGROALIMENTARE ITALIANO
1,54
1,85
1,88
Fonte: elaborazioni Ismea su dati ICE - ISTAT
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
I consumi e le vendite di prodotti alimentari
I consumi alimentari, in termini di volumi, tendono a contrarsi.
CONSUMI PRO CAPITE DI PRODOTTI ALIMENTARI E BEVANDE
PRODOTTI
U. M.
2005
2010
2014
prodotti a base di cereali
kg
119
108
106
patate
kg
126
110
101
ortaggi
kg
110
106
104
frutta
kg
54,1
44
47
carni e frattaglie
kg
71,2
73,7
73,6
grassi animali
kg
6,6
6,3
5,5
burro
kg
4,2
4,3
4,2
lt
173
189
205
unità
215
202
155
kg
40,1
39,9
44,3
lt
2,5
3,2
3,2
vino e idromele
lt
8,6
6,9
6,3
birra da malto
lt
80,7
90,2
98,9
latte vaccino
uova
zucchero
vodka, liquori, bevande
alcoliche
Fonte: elaborazioni Ismea su dati di Ufficio Centrale di Statistica
Resistono bene i consumi di carne, in particolare avicola, burro, bevande alcoliche e crescono quelli di latte, zucchero e birra, mentre cedono un po’ tutte le altre
categorie.
Le vendite al dettaglio nel 2015 si attestano a 677 miliardi di zloty. Un terzo di
queste è rappresentato da prodotti alimentari, bevande, tabacco e vengono veicolate da oltre 100.000 punti vendita, di cui 6.500 supermercati e 600 ipermercati
(Ufficio Centrale di Statistica).
Le vendite del canale catering si stimano a 30 miliardi di zloty e sono realizzate
da circa 18.000 ristoranti, 23.000 bar, 3.900 mense, 22.500 punti diversi di ristoro
(Ufficio Centrale di Statistica).
La distribuzione in Polonia
Il dettaglio si sta notevolmente concentrando e, a fianco delle grandi società, soprattutto straniere, che gestiscono in prevalenza direttamente i loro maggiori
punti vendita, ritroviamo parecchie società che operano attraverso l’affiliazione
di punti vendita medio piccoli.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Queste società, in genere a copertura regionale o interregionale, sono a capitale
locale.
Nonostante ciò, i piccoli punti vendita indipendenti nelle zone rurali stanno tenendo bene, riuscendo a fronteggiare le insegne del dettaglio organizzato con
punti vendita di dimensioni pari o leggermente superiori (convenience).
Le maggiori società del retail sono le seguenti:
DISTRIBUZIONE
INSEGNE
GRUPPO
PAESE
FORMAT
FATTURATO
2014 USD
N. PDV
Jeronimo Martins
PT
convenience e
supermercati
10.000
2.600
Schwarz
DE
discount e
ipermercati
5.340
730
Eurocash
PL
convenience
5.000
5.500
Tesco
UK
supermercati e
ipermercati
2.850
400
Auchan
FR
supermercati e
ipermercati
1.945
120
Carrefour
FR
convenience e
ipermercati
1.885
702
Makro Cash
Metro
DE
cash and carry
1.712
41
Polomarket
Polomarket
PL
supermercati
1.311
439
Penta
CZ
convenience
1.238
3.710
Piotr i Paweł
Piotr i Paweł
PL
supermercati
590
134
Alma Delikatesy
Alma Market
PL
supermercati
200
48
Biedronka
Lidl - Kaufland
Delikatesy Centrum, ABC,
Lewiatan, Groszek, Euro
Sklep
Tesco
Auchan, Simply Market, Real
Carrefour Market, Express,
Iper
Zabka, Freshmarket
Fonte: elaborazioni Ismea da fonti diverse
La presenza dei gruppi stranieri è particolarmente robusta; tra l’altro, oltre alle
società del ranking di cui sopra, registriamo pure quella, di più contenute dimensioni, di Leclerc ed Aldi, mentre, come facile immaginare, nessun retailer
italiano è operativo nel paese.
Biedronka (Coccinella), della portoghese Jeronimo Martins, è in assoluto il retailer di maggiori dimensioni, con copertura distributiva più ampia, con format
che spaziano dal piccolo convenience di quartiere, al superstore dei centro città.
Biedronka viene di frequente definito discounter, ma i suoi punti vendita si
stanno allontanando da questa formula per approdare a quelle convenience e
supermercato.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
DISPENSER CON PRODOTTI PORTOGHESI E SPAGNOLI NELLA CATENA BIEDRONKA,
CONTROLLATA DALLA PORTOGHESE JERONIMO MARTINS
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Biedronka ha pure creato la linea Sottile Gusto, brand ombrello per tanti prodotti
della nostra cultura culinaria, dalla mozzarella, al simil parmigiano (Regio), dal
pesto alle conserve di pomodoro.
CONFEZIONI DI CONSERVE DI POMODORO DELLA LINEA SOTTILE GUSTO DI BIEDRONKA
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Tuttavia Biedronka, da informazioni di ICE Varsavia, sviluppa il suo fatturato per non
meno del 95% con produzioni nazionali.
Notevole sviluppo sta registrando Carrefour, in particolar modo con la formula Express,
piccolo punto vendita di vicinato, mentre le periferie delle grandi città vedono attivi e
con successo i discount Lidl.
Piotr i Pavel e, soprattutto, Alma Delikatesy, rappresentano i due retailer polacchi che
offrono il maggior spazio al prodotto di importazione: francese, italiano, ecc. e che su
questo costruiscono attività promozionali in occasione delle quali entrano in assortimento numerosi prodotti che, salvo eccezioni, a fine periodo vengono dereferenziati.
I retailer maggiori acquistano il prodotto estero prevalentemente da importatori, poi vi
sono eccezioni, come Alma Delikatesy che importa direttamente un elevatissimo numero
di referenze, molte delle quali probabilmente entrano ed escono dall’assortimento con
una certa frequenza.
I buyer delle catene polacche, in base alle impressioni raccolte, non paiono porsi, di fronte al prodotto di importazione, con un approccio ben programmato, nel senso che gestiscono l’assortimento senza precisi criteri che tendano a valorizzare le marche trattate e la
stessa loro offerta, bensì cercando, non di rado, semplici occasioni di acquisto.
La presenza del prodotto italiano nella distribuzione
Il prodotto di importazione lo ritroviamo sufficientemente presente nelle grandi superfici di Carrefour, Tesco, Auchan, mentre nei punti vendita di piccole e medie dimensioni,
affiliati o meno, la presenza è di gran lunga più contenuta.
Le private label sono cresciute notevolmente negli ultimi tempi, anche per il prodotto di
importazione. In specie le catene con i punti di maggiore superficie propongono linee a
loro brand più che incuriosenti, eleganti ed ampie (vedere Finest di Tesco e Terre d’Italia
di Carrefour, ma pure l’ottima Piotr i Pavel).
PRODOTTI IN LINEARE DELLA PRIVATE LABEL PIOTR I PAVEL
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
L’ELEGANTE LINEA FINEST DI TESCO
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
LINEARE UN PO’ CONFUSO PER LA LINEA TERRE D’ITALIA DI CARREFOUR
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
I prodotti italiani maggiormente presenti nei punti vendita delle catene sono olio
extravergine d’oliva, normale o aromatizzato, pasta di semola secca e fresca, sughi rossi, pesto, polpe e pelati, formaggi Dop e mozzarelle, vini, con una buonissima evidenza di prosecco, anche se il tipo più presente sulle tavole polacche è il
rosso, fermo.
FORMAGGI ITALIANI SEMPRE IN BELLA EVIDENZA
Nel comparto olio d’oliva, il prodotto italiano è in assoluto il più diffuso: numerose marche, numerosi formati (lt 1 - 0,75 - 0,50), parecchi tipi di aromatizzato (lt 0,25), confezioni
ben curate. Il prodotto spagnolo (ben distribuita la marca Borges) non regge certamente
il confronto.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
LA MASSICCIA PRESENZA DI MARCHE ITALIANE DI OLIO
Nel comparto pasta, le marche italiane detengono la quasi esclusiva tra quelle di importazione, le dirette concorrenti sono quelle polacche (Lubella, con stabilimento anche in
Romania, è tra queste leader) a cui viene assegnato molto spazio in scaffale e a prezzi
decisamente inferiori, fino al 60%.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
MARCHE ITALIANE E POLACCHE DI PASTA SECCA
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
MA PURE UNA BUONA PRESENZA DI PASTA FRESCA
Nella mozzarella, che gode di ottimo spazio in tutte le superfici a libero servizio, la produzione italiana non ha il predominio, emergono tante marche locali e la ormai famosa
tedesca Zottarella.
Il prodotto ortofrutticolo proposto sia dalla moderna distribuzione che dai mercatini appare di qualità non elevata, senza particolare cura per il calibro, con pochissimo confezionato e presentazione complessivamente poco vivace e colorata.
Le marche italiane rilevate nella visita ai punti vendita della moderna distribuzione di
Varsavia e dintorni sono:
MARCHE ITALIANE RILEVATE IN PUNTI VENDITA DELLA GDO
MARCA
PRODOTTO
MARCA
PRODOTTO
Agnesi
pasta
Dentamaro
derivati del pomodoro
Agrifom
formaggi
Fatti Bene (Fontaneto)
pasta fresca
Alce Nero
biologico
Galbani
mozzarella
Alegra
ortofrutta kiwi
Gancia
vino prosecco, asti
Arrighi
pasta semola
Il Pastaio
pasta fresca
Barilla
pasta, sughi
Mionetto
vino prosecco
Bauli
dolci da ricorrenza
Monini
olio oliva, aromatizzato, aceto
Berio
olio oliva
Mutti
derivati del pomodoro
Biraghi
formaggi
Olearia Chianti
olio oliva
Castelli
formaggi
Olitalia
olio oliva, aceto
vino sangiovese toscano
Patarò (Il Pastaio)
gnocchi
derivati del pomodoro
Ponti
aceto, glassa
Colavita
olio oliva
Rana
pasta fresca
Coricelli
olio oliva
Reggia
pasta semola
Costa d'Oro
olio oliva
Salvadori
olio oliva
pasta semola
Soresina
formaggi
Valsoia
yogurt di soia
Chiantigiane
Cirio
De Cecco
Fonte: rilevazioni Ismea
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
L’elenco non è esaustivo. Certamente non lo è nel comparto vino dove a scaffale
si osservano molte marche a nome italiano, spesso non corrispondenti con la ragione sociale del produttore.
Salvo che nel reparto olio e pasta, le quantità di ogni referenza italiana, referenze
spesso numerose, sono limitate: parecchie marche, ma pochi volumi.
Preme pure sottolineare che, in occasione della visita ai punti vendita, il prosecco
Mionetto era in ottima evidenza presso numerose insegne, in promozione e presentato in un ricco floor stand personalizzato.
LA COSTANTE PRESENZA DEL PROSECCO ITALIANO, QUI IN UN PIACEVOLE FLOOR STAND
I prezzi al pubblico rivelano l’ottimo posizionamento dei nostri prodotti, considerando pure il potere di acquisto del paese e il confronto con le marche locali
che presidiano gli stessi comparti. Di seguito proponiamo un quadro sinottico dei
prezzi (in zloty al cambio di giugno 2016 di 4,4 per euro) rilevati per i prodotti più
frequentemente ritrovati. Naturalmente, la differenze tra il minimo e il massimo è
da imputarsi a numerosi fattori, tra cui la marca e il tipo di format.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
PREZZI DI ALCUNI PRODOTTI ITALIANI IN PUNTI VENDITA DELLA GDO (IN ZLOTY)
COMPARTO
PRODOTTO
FORMATO
PREZZO MIN
PREZZO MAX
pelati
gr 400
3,19
3,99
formaggi
Grana Padano
gr 200
20,79
24,99
formaggi
Grana Padano grattugiato
gr 150
9,69
9,69
formaggi
mozzarella
gr 125
4,99
5,39
formaggi
Parmigiano Reggiano grattugiato
gr 100
9,39
9,39
formaggi
Parmigiano Reggiano
gr 200
22,99
26,99
olio
aromatizzato
lt 0,25
19,79
19,79
olio
Bitonto dop
lt 0,75
32,99
32,99
olio
extra vergine
lt 0,50
19,99
23,59
olio
extra vergine
lt 1,00
25,95
31,95
olio
Umbria dop
lt 0,75
33,59
33,59
olio
Riviera Ligure dop
lt 0,50
43,99
43,99
kiwi sfuso
kg 1,00
5,99
5,99
pasta
semola
kg 0,50
4,65
5,79
pasta
fresca (pappardelle, cappelletti)
gr 250
8,29
11,69
sughi
pesto
gr 190
12,99
14,99
vino
Asti spumante
lt 0,75
13,99
33,99
vino
Chianti dogc
lt 0,75
14,99
29,89
vino
Prosecco doc
lt 0,75
20,90
25,69
conserve pomodoro
ortofrutta
Fonte: rilevazioni Ismea
È poi opportuno osservare che a fianco di prodotti indiscutibilmente italiani si
trovano frequentemente prodotti che di italiano hanno il solo nome che evoca
una ricetta o una modalità produttiva (sugo Arrabiata, sugo Tomato e Mascarpone, sugo Puttanesca, formaggio grattugiato Spaghettino o da Pasta, ecc.) o riferimenti geografici o di colore. Al riguardo ci ha incuriosito la linea di surgelati
Eccellente (pizza prosciutto, pizza 4 sery, lasagne bolognese, ecc.), private label
della maggiore catena polacca e il riscontrare, in un punto vendita Carrefour in
pieno centro della capitale, che la pizza surgelata era solamente della società tedesca Dr. Oekter.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
GRATTUGGIATO SIMIL GRANA CON NOMI DI FANTASIA
NOMI ITALIANI, O QUASI, PER VINO CALIFORNIANO E SURGELATI POLACCHI
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Le catene sul prodotto di importazione confezionato ricaricano notevolmente;
dalle dichiarazioni raccolte, fino al 100% del prezzo di cessione, includendo l’aliquota Iva, pari al 5, 8, 23% in riferimento alle differenti merceologie.
Gli importatori e i grossisti
Il prodotto italiano, oltre che dalle catene distributive, soprattutto nei loro format
medio grandi, e da delicatessen, è proposto da piccole reti di negozi specializzati
proprio in prodotti italiani.
Sono reti che nascono di frequente come diversificazione dell’attività di importatori di prodotti italiani specializzati nell’horeca. Ad esempio, a Varsavia Piccola
Italia – Caterteam dispone di dieci bei punti vendita, mentre Prestige di Bielsko
ha attivato due negozi (Varsavia e Bielsko) e altri due sono di prossima apertura
(Cracovia e Katowice).
INSEGNA DEI PUNTI VENDITA PICCOLA ITALIA
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Questi importatori dispongono di un ricco portafoglio di offerta (fino a 2.500 referenze) funzionale ad offrire un servizio completo a ristoranti, bar, pizzerie. Su
queste basi si allargano al retail, gestendo direttamente il negozio. I prodotti sono
disponibili a magazzino e quelli sotto scadenza possono rientrare nel circuito horeca; non rimane che affittare e arredare il locale, formare il personale, in particolare nel taglio dei salumi e dei formaggi, poi si può beneficiare del passaparola tra
i frequentatori dei ristoranti loro clienti.
Caterteam si attiva con le aziende fornitrici o i consorzi di tutela, vedi prosciutto
di Parma, per dare vita ad eventi finalizzati a promuovere il prodotto italiano ed
insegnare a gustarlo nel modo migliore. Ad esempio, pare che il consumatore
polacco non apprezzi il grasso del prosciutto, elemento invece essenziale per gustare questo salume, quindi è opportuno insegnare a consumarlo al meglio, così
come per altri prodotti è necessario insegnare a lavorare e conservare.
Caterteam ricerca con attenzione prodotti sfiziosi, anche delle aziende di più piccole dimensioni e talvolta propone ai fornitori proprie ricette, come il pesto o la
salsa di pomodoro al peperoncino piccante. Tra le marche presenti abbiamo ritrovato tra le altre: Iris bio, Petti, Del Verde, Pineta, Olitalia, Calvi, Granarolo pasta,
Orogiallo, Santa Tea, Leonardi, Farnese, Cilento.
PRODOTTI ITALIANI NEGLI SCAFFALI DI PICCOLA ITALIA
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Altri importatori, come Mille Sapori, anziché proporsi al consumatore finale
attraverso punti vendita, si stanno dedicando, con la loro ampia gamma, all’ecommerce.
L’e-commerce non è ancora decollato in Polonia, soprattutto nel food, ma alcune
aziende hanno iniziato a percorrere questa strada, anche se inizialmente, senz’altro, con obiettivi contenuti.
Il prodotto italiano confezionato destinato al consumo viene gestito prevalentemente da importatori, parecchi dei quali richiedono l’esclusiva ai fornitori in portafoglio.
Parecchi di questi importatori svolgono una capillare distribuzione, gestendo direttamente l’organizzazione di vendita e logistica o, più spesso, nelle aree maggiormente lontane dalla sede, avvalendosi di grossisti e basi logistiche di terzi.
Ogni importatore grossista ha una propria specializzazione merceologica e di canale, alcuni, inoltre, gestiscono loro linee che indirizzano sia al mercato polacco
che a quello estero, in prevalenza paesi baltici, Ungheria, Slovacchia, Slovenia,
Bielorussia.
Ecco, ad esempio, il profilo di un importante importatore di caseari di Varsavia
che abbiamo incontrato:
• 263 prodotti acquistati e importati;
• 65 prodotti a proprio marchio;
• 17 paesi europei in cui acquista, con prevalenza in Germania e Paesi Bassi;
• 17.000 punti vendita serviti in Polonia.
Questa azienda propone pure la mozzarella a proprio marchio, con fornitore non
italiano, bensì tedesco.
Mentre il leader nella distribuzione dei prodotti biologici in Polonia con un
fatturato 2015 di 86 milioni di zloty e un rilevantissimo catalogo fornitori, tra
cui gli italiani Alce Nero, Biolevante, Fiorentini, Francia, oltre a farsi confezionare alcune referenze a proprio brand, distribuisce in ben dieci paesi, tra cui
Austria e Germania.
E a proposito di biologico, osserviamo che in Polonia rappresenta ancora una
vera nicchia (150 – 170 milioni di euro), ma segna tassi di crescita superiori al
10% annuo, anche se le grandi superfici di vendita, che detengono una quota del
60%, non offrono un contributo rilevante al suo sviluppo, a differenza dei negozi
specializzati, quali Organic Farma Zdrowia.
Il rapporto con i grandi retailer è generalmente gestito dall’importatore, soprattutto per scelta dei retailer stessi, che si sentono meglio garantiti in termini di continuità di fornitura, buona logistica, buona programmazione e disponibilità ad investire.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Nel contratti con la Gdo non è consentito il listing fee, ma il retailer riesce sempre
a trovare le modalità per addebitarlo sotto altre voci.
L’importatore, che generalmente opera con un listino unico applicando sconti
cliente, deve essere disponibile ad investire, soprattutto in attività promozionali,
ma richiede all’esportatore di contribuire ai costi che l’inserimento e il mantenimento nel lineare comporta.
Numerose società importatrici sono legate in qualche modo all’Italia, in quanto
costituite da italiani o controllate da gruppi italiani o da persone vicine al mondo
italiano.
Ad esempio, una robusta società di Varsavia nata nel 1992, che si è data come
mission la diffusione della dieta mediterranea in Polonia, è controllata da un
gruppo lombardo, presente in Polonia e attivo in tutt’altro settore, quello dei
motori elettrici.
Mentre un’altra, con sede in prossimità della capitale e primaria importatrice di
caseari, è controllata da alcuni mesi da una importante società del settore di Reggio Emilia, a sua volta entrata nell’orbita di un fondo di investimento. E la sopracitata Organic Farma Zdrowia (38 punti vendita) è passata nel luglio 2016 sotto il
controllo di Ecor Naturasì.
Quelle specializzate nell’horeca dispongono di un ricco portafoglio, finalizzato
ad offrire un servizio il più possibile completo al cliente e tendono a gestire un
rapporto meno vincolato da esclusive con i fornitori.
Mentre gli importatori che si indirizzano al retail dispongono di un assortimento
limitato a uno o a pochi settori e, nel contempo, con un buon grado di profondità.
I ristoranti
I ristoranti con offerta in tutto o in parte italiana e che non di rado di italiano hanno soltanto nome, colori, qualche menù, sono, alle spalle di quelli polacchi, i più
numerosi in Varsavia.
Il gestore di uno dei più importanti ristoranti italiani di Varsavia, ritiene che a
fronte di centinaia di esercizi che si ispirano a menù, atmosfere del nostro paese,
nella capitale quelli veramente italiani non siano in numero superiore a dieci.
Naturalmente si concentrano nelle grandi città, ma non mancano neppure nei
medi centri urbani.
Non tutti i ristoranti italiani, soprattutto quelli considerati nell’accezione allargata, acquistano prodotti di qualità e del nostro paese, in quanto tendono a ricercare
spesso il basso prezzo.
I ristoranti si rapportano a più fornitori, in genere ad uno principale, specializzato nel canale horeca, che offre un ricco portafoglio e un buon servizio di consegna
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
(sono in discreto numero nelle principali città) e ad alcuni altri di complemento,
di più ridotte dimensioni, in grado di offrire prodotti particolari (vedi pesce fresco) o occasioni di prezzo.
Non di rado, poi, gli esercizi che esprimono buoni volumi si attrezzano per acquistare direttamente in Italia, una o due volte l’anno, prodotti con una buona shelf
life come il vino o l’olio d’oliva.
Nel caso del vino, ad esempio, l’acquirente invia al fornitore italiano le fascette
attestanti il pagamento dell’imposta, che da questo vengono applicate.
È generalmente lo chef che offre gli input circa i prodotti da utilizzare nei
menù, poi il proprietario o il gestore decidono il fornitore a cui rivolgersi. Per
esempio, per la pasta si possono utilizzare anche più marche, scelte in base ai
diversi formati.
L’ortofrutta
Come già accennato, le catene non offrono una qualità elevata, non prestano particolare attenzione al calibro e presentano merce sfusa e a peso.
Di prodotto estero nei reparti della moderna distribuzione se ne trova in buona
quantità, in particolare quando viene a mancare quello locale di stagione, d’altra
parte se ne importa per circa tre miliardi di dollari, ma non è immediatamente
distinguibile da quello locale, per la qualità o lavorazione.
Nonostante ciò, l’ortofrutta polacca vanta ben dieci denominazioni Dop e Igp, su
un totale complessivo di circa trenta, tra cui due varietà di fragole e due di mele.
Ogni retailer esprime la propria politica di acquisto, ma pare che la maggioranza
preferisca, per il prodotto estero, fare riferimento ad importatori (talvolta avvalendosi dell’opera di un agente), anziché attivarsi direttamente presso l’esportatore.
I tempi dei loro pagamenti, in base alle informazioni raccolte, oscillano dai 15 ai
60 giorni, oltre non vanno.
Gli operatori dei mercati ortofrutticoli, come quello di Bronizse, il maggiore del
paese, 300 grossisti e produttori agricoli e circa 1,5 milioni di tonnellate anno transitanti, soltanto in numero limitato sono attivi con grandi retailer.
Si tratta delle realtà più robuste e strutturate, come Targeban che sviluppa un fatturato di 200 milioni di zloty, importa da molti paesi nel mondo (Europa, centro
e sud America, Turchia, Marocco), dispone di quattro magazzini nella regione di
Varsavia, esporta in diversi paesi dell’est Europa ed è specializzata nella distribuzione delle banane con una quota del 30% nel moderno dettaglio.
Gli altri grossisti e i tanti produttori agricoli, con postazioni scoperte all’interno
del mercato, operano con il piccolo e medio dettaglio, la ristorazione commerciale
e collettiva.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
PRODUTTORI AGRICOLI NELLE POSTAZIONI SCOPERTE AL MERCATO DI BRONIZSE
Pochi di costoro sono organizzati per le consegne al cliente, un esempio è costituito dalla società Frutta, che dispone di una flotta di automezzi per il servizio a
Varsavia e aree limitrofe, mentre è quasi la norma che il cliente si faccia carico dei
costi e dell’organizzazione del trasporto.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
BRONIZSE: AUTOMEZZO PER LA CONSEGNA A RISTORANTI E PICCOLI PUNTI VENDITA
La produzione italiana, principalmente uva, insalate, cocomeri, pomodori e kiwi
è ben presente in Bronisze, mentre per le albicocche e pesche è preferita l’offerta
spagnola e turca.
Presso quasi tutti i grossisti si osservano confezioni provenienti da regioni del
nostro paese. E due società italiane operano nel mercato.
Un argomento a cui sono particolarmente sensibili gli operatori ortofrutticoli polacchi è quello delle certificazioni. Con ogni probabilità sentono che vi è terreno
da recuperare, soprattutto se si vuole migliorare il rapporto con la grande distribuzione, garantendo la qualità e l’origine, troppo spesso incerta delle produzioni.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
I suggerimenti degli importatori e i punti di forza e debolezza dell’offerta italiana
L’importatore, al fine di costruire un proficuo rapporto, avanza essenzialmente
quattro richieste al fornitore:
• garantire elevati e costanti standard qualitativi;
• essere in grado di innovare (pack, formulazioni, comunicazione, ecc.);
• presentare prezzi adeguati al mercato;
• dimostrarsi disponibile ad investire congiuntamente sui grandi retailer.
Poi, viene considerata fondamentale la serietà, espressa, forse più che dall’azienda, dall’interlocutore diretto, cioè colui con cui ci si interfaccia e si costruiscono i
programmi di lavoro.
E i principali suggerimenti offerti ai fornitori, in particolar modo italiani, sono di:
• acquisire una buona conoscenza del mercato polacco;
• non pensare di disporre sempre del prodotto migliore;
• non proporsi con prezzi fuori mercato;
• conoscere sufficientemente bene le lingue, almeno l’inglese.
Le aziende italiane, salvo rare eccezioni, sono considerate partner seri e affidabili,
alla stregua di quelle di altri paesi, quali Paesi Bassi, Germania, Francia. Ma a
nostro favore sembra giocare una punta in più di creatività, che si riverbera nella
maggiore piacevolezza e vivacità delle confezioni.
I punti di forza del prodotto italiano si riscontrano nell’elevata qualità e nell’ottima
immagine di cui gode presso i consumatori polacchi, almeno quelli più evoluti.
Le aziende italiane, d’altra parte, sembrano ben intenzionate a lavorare sull’immagine e disponibili a partecipare alle numerose attività di promozione. Per tutte
vale il caso di una primaria azienda olearia, fortemente impegnata in campagne
di comunicazione su una rete televisiva di ottima copertura, che senza dubbio
contribuiscono a rafforzarne l’immagine.
Nessun disservizio viene segnalato a carico dei nostri fornitori, se non qualche
problema che talvolta si crea per le consegne nel periodo delle ferie.
Il vissuto di cooperativa
Il concetto di cooperativa in Polonia, a differenza di quanto avviene in altri paesi
dell’est Europa, è sufficientemente ben accettato.
La cooperativa non viene vissuta come negativo retaggio di un regime non
amato, ma non crea neppure particolari emozioni, per cui spendere il termine e
i suoi valori in comunicazione o nelle confezioni viene ritenuto non particolarmente utile.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Tutti gli intervistati ritengono che ad oggi non vi siano le condizioni per creare un
convincente rapporto di comunicazione tra la forma cooperativa e il consumatore; pare, infatti, che i polacchi siano indifferenti rispetto alla azienda, cooperativa
o meno, da cui proviene il prodotto.
Nel mondo agricolo polacco, oggi il fulcro è costituito dalla piccola e media azienda
privata, impegnata in tutti in modi a raggiungere direttamente il mercato (in primis
quello domestico) e che si rivolge alla cooperativa solamente come seconda alternativa.
Le cooperative stanno però un po’ per volta riprendendo vita nell’ortofrutta fresca, e in melicoltura in particolare, mentre nei settori della trasformazione sono
assenti, salvo qualcuna attiva nella raccolta del latte.
I responsabili economici dell’Ambasciata hanno raccontato che un paio di anni fa la
regione Emilia Romagna ha presentato alle istituzioni e associazioni polacche una
proposta di modello cooperativo, ma gli imprenditori agricoli polacchi sono rimasti un po’ freddi: tendono ancora a privilegiare il rapporto diretto con il mercato.
Le prospettive a medio termine
Le prospettive a medio termine del paese sono certamente buone e pure per le importazioni dei prodotti agroalimentari, non solamente dall’Italia, si prevedono trend positivi.
Il reddito è destinato ancora ad aumentare e stanno rientrando gli emigrati che
riportano in patria modelli di consumo acquisiti nei paesi di emigrazione e che
tendono a fare cultura.
Inoltre, la fascia più ricca, acculturata e più giovane della popolazione è curiosa e
vuole sperimentare il nuovo. Le ferie all’estero che stanno coinvolgendo un numero
sempre maggiore di polacchi, molti dei quali (oltre un milione l’anno) si indirizzano verso l’Italia, contribuiscono a far conoscere il cibo e l’arte culinaria di altri paesi.
Vi sono però due fattori che stanno creando inquietudine: il nuovo governo e
l’embargo russo.
Un po’ in tutti gli ambienti si temono le scelte economiche che il nuovo governo, in
carica dal novembre 2015 e con buon consenso nelle aree rurali, sta compiendo, non
tanto per valutazioni strettamente politiche, bensì per la loro sostenibilità futura.
Uno dei provvedimenti maggiormente discussi è l’assegno mensile di 500 zloty
per ogni figlio, oltre il secondo, fino al 18° anno di età: si teme che non vi siano
le risorse per mantenerlo nel tempo. Ma si nutrono pure perplessità circa la tassazione di banche e società straniere che potrebbe allontanare i capitali esteri che
fino ad oggi si sono riversati copiosi nel paese.
Anche l’embargo dichiarato dal governo russo sta creando tensioni, in particolare
nel settore delle mele in quanto i produttori polacchi trovavano qui un ottimo
mercato di sbocco: nel 2014 la Russia valeva oltre il 40% dell’export polacco.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
81
82
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
9.1.2. Regno Unito
LA SCHEDA PAESE2
PRINCIPALI INDICATORI
Popolazione – milioni
64,6
Superficie - km
242 521
2
Gdp 2015 – miliardi USD
2.849
Gdp pro capite – USD
44.102
Capitale
Londra
Valuta
sterlina britannica
Cambio EUR/GBP al 30/06/16
0,826
Tasso Crescita Gdp 2006 – 2015
13%
Fonte: elaborazioni Ismea su dati di fonti diverse
Il Regno Unito (di Gran Bretagna e Irlanda del Nord) è una monarchia parlamentare costitutiva, divisa in quattro nazioni interne: Inghilterra, Scozia, Galles e
Irlanda del nord.
È membro fondatore dell’ONU e della NATO, ed è membro dell’Unione Europea
dal 1973 ad oggi, ma nel 2017, in seguito al referendum svolto nel mese di giugno
2016, si avvierà il processo di uscita dall’Unione Europea.
La lingua ufficiale è l’inglese ma si parlano altre lingue: per esempio, gallese, irlandese, scozzese.
Nella capitale Londra vivono circa 8,6 milioni di abitanti su un totale di 64,6 milioni di abitanti. La comunità italiana si colloca sui 220 mila abitanti.
Il quadro economico
Il Regno Unito rappresenta la quinta economia mondiale, dopo Stati Uniti, Cina,
Giappone e Germania, trainata soprattutto dal settore dei servizi che contribuisce
ai 4/5 del Pil nazionale. Londra è la prima città europea per i mercati finanziari.
Il Regno Unito è un paese con uno degli indici di sviluppo umano più elevati del
mondo.
Elaborazioni Ismea su dati di diverse fonti, tra cui Ambasciata Italiana a Londra, Italian Trade Commission, The Italian Chamber of Commerce and Industry for the UK; Francesca Buttaro, L’export e l’impatto dei prodotti del Made in
Italy agroalimentare sul mercato del Regno Unito, tesi di laurea presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, Aprile
2015; Simona Di Cianni, Strategie di comunicazione di marketing e settore vitivinicolo italiano: un confronto fra realtà
operanti nel Basso Piemonte, Tesi di laurea presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, Dicembre 2015.
2
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Le variazioni del Pil nazionale negli ultimi dieci anni sono state sempre positive,
ad esclusione dei ridimensionamenti avvenuti nel 2008 e soprattutto nel 2009. In
particolare, negli ultimi tre anni il Regno Unito ha registrato un buon andamento
del Pil, con percentuali annue di incremento sempre superiori al 2%, mentre per
il 2016 si stima un’espansione limitata. Attualmente, il Pil pro capite si colloca su
un valore medio di 44,1 migliaia di dollari. La disoccupazione è sul 4,9%.
A metà ottobre 2016 una sterlina equivaleva a 1,135 euro (quindi, un euro equivale a 0,881 sterline).
VARIAZIONI % DEL PIL RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE
ANNO
VAR % PIL
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2,7
2,6
-0,5
-4,2
1,5
2,0
1,2
2,2
2,9
2,3
Fonte: elaborazioni Ismea su dati World Bank
L’economia britannica è stimolante ed è caratterizzata da un’organizzazione semplice, affidabile, priva di lungaggini burocratiche. Aprire una società è facile ed
economico (20 sterline). Si può aprire anche online.
Gli scambi con l’estero
Il Regno Unito è una della realtà europee più aperte ai prodotti esteri. La sua conformazione geografica ha abituato a importare dall’estero ciò che non può o che
non sarebbe conveniente produrre sul suo territorio. È quindi un mercato molto
ricettivo anche nei confronti delle innovazioni.
Il Regno Unito è uno dei maggiori mercati di sbocco per le produzioni alimentari del nostro paese. Si nota infatti un particolare atteggiamento positivo verso il
prodotto italiano. Le importazioni di prodotti agroalimentari da parte del Regno
Unito si collocano sui 60 miliardi di euro, di cui circa il 6% di provenienza italiana.
QUOTA ITALIA SU IMPORT AGROALIMENTARE DEL REGNO UNITO
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
5,58%
5,92%
5,75%
5,43%
5,29%
5,44%
5,86%
5,98%
Fonte: elaborazioni Ismea su dati ICE - GTI
Da un export agroalimentare dell’Italia nel Regno Unito di 2,4 miliardi di euro
del 2008 si è passati a 3,2 del 2015, con un’ulteriore crescita nel primo semestre
del 2016.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Le voci più importanti dell’export agroalimentare dell’Italia nel Regno Unito sono
prodotti da forno e farinacei, frutta e ortaggi lavorati e conservati, vini.
Ci sono sostanzialmente due categorie di importatori, specializzati per paese o
specializzati per merceologia. I prodotti italiani trattati dal singolo importatore
possono essere anche oltre il migliaio.
EXPORT AGROALIMENTARE DELL’ITALIA NEL REGNO UNITO – MIGLIAIA EURO
ANNO
2008
2014
2015
2015
2016
gen-giu
gen-giu
011 - Prodotti di colture agricole non permanenti
101.648
102.962
104.659
59.466
64.093
012 - Prodotti di colture permanenti
160.529
140.478
152.103
59.958
63.131
7.666
2.553
2.027
1.081
680
155.649
212.969
227.614
98.528
102.168
5.549
6.654
7.926
3.453
3.736
431.886
453.996
460.313
230.148
216.545
030 - Pesci ed altri prodotti della pesca; prodotti
acquacoltura
101 - Carne lavorata e conservata e prodotti a
base di carne
102 - Pesce, crostacei e molluschi lavorati e
conservati
103 - Frutta e ortaggi lavorati e conservati
104 - Oli e grassi vegetali e animali
105 - Prodotti delle industrie lattiero-casearie
106 - Granaglie, amidi e di prodotti amidacei
84.339
60.433
67.867
34.538
36.894
177.595
218.358
226.878
107.406
127.894
70.669
79.083
88.966
44.026
43.398
107 - Prodotti da forno e farinacei
288.028
354.150
391.643
185.162
174.427
108 - Altri prodotti alimentari
319.976
436.639
482.022
212.356
221.200
109 - Prodotti per l'alimentazione degli animali
11010 - Bevande alcoliche distillate
11021 - Vini da tavola e vini di qualità
11022 - Vino spumante e altri vini speciali
11030 - Sidro e altri vini a base di frutta
4.859
34.931
400.698
104.584
186
12.101
78.211
377.284
281.125
215
12.092
75.451
378.669
367.534
647
6.363
29.800
179.590
143.660
99
8.469
31.953
174.569
162.257
146
11040 - Altre bevande fermentate non distillate
11050 - Birra
10.702
11.198
8.114
51.806
7.052
56.925
2.962
26.431
2.821
27.573
11060 - Malto
11070 - Bibite analcoliche, acque minerali
6
1
2
1
0
12.022
37.633
50.257
24.743
24.561
2.382.720
TOTALE
QUOTA SU TOTALE EXPORT AGROALIMENTARE
ITALIANO
9,30%
2.914.765 3.160.647
8,68%
8,78%
1.449.771 1.486.515
8,36%
8,36%
Fonte: elaborazioni Ismea su dati ICE - ISTAT
Il quadro della distribuzione
Un fattore importante è costituito dal fatto che nel Regno Unito il retail è molto
più concentrato che in Italia: con poche grandi catene si è coperto tutto il mercato,
tranne le nicchie.
Le prime quattro catene della Gdo britannica controllano circa l’80% della spesa
complessiva delle famiglie per i prodotti alimentari che transita per le moderne
superfici.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Tesco è al secondo posto nella classifica mondiale dei più grandi dettaglianti, dopo
Wal-Mart (con Asda). È presente in 12 paesi tra Europa, nord America ed Asia.
Una quota compresa fra il 50% e il 60% delle vendite dei supermercati inglesi
(relativamente alle categorie di interesse per le imprese italiane) proviene dalle
private label, quota che per alcune tipologie di prodotti raggiunge il 70-80%. Le
grandi catene distributive hanno lanciato anche linee di prodotto private label
con posizionamento premium.
A completare il panorama ci sono da una parte i discount (Aldi, Lidl e altri gruppi
minori), dall’altra le catene rivolte a un pubblico di profilo elevato. È soprattutto
nell’area di Londra e nel sud del paese che si trovano boutique del formaggio e
altri negozi specializzati.
La presenza del prodotto italiano nella distribuzione
Il mercato britannico dei prodotti alimentari è molto affollato e caratterizzato da
una selezione forte, perché tanti vogliono provare a entrare. In modo specifico,
Londra è un micromondo, una specie di New York europea.
Nella famiglia dei derivati del pomodoro e sughi, l’Italia raggiunge circa un quinto del lineare; in questo caso, prodotti competitors sono le referenze realizzate
genericamente in Unione Europea e quelle britanniche.
Nell’ambito dei formaggi, la quota dei prodotti italiani in termini di lineare si
colloca sul 10-15%. La presenza italiana è prevalentemente focalizzata su mozzarella, Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, mascarpone e ricotta in
diversi formati e con diverse fasce di prezzo.
Competitors sono altri paesi dell’Europa occidentale, fra cui anche il Regno Unito
stesso. Per fare un confronto di prezzi, il Cambozola (Germania) ha fatto riscontrare un prezzo medio di 11,40 euro/kg, di poco inferiore al Gorgonzola. Superiore è la differenza relativa alla mozzarella, con un prodotto private label di origine
ceca a 5,20 euro/kg e la mozzarella tedesca grattugiata a 6,70 euro/kg.
Come accennato, il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano sono presenti fondamentalmente in tutte le principali catene, che in molti casi hanno anche la versione private label. Per l’intero settore lattiero-caseario, emerge una diffusione
rilevante di marche commerciali, per le quali è il prezzo a rappresentare un parametro fondamentale.
Sugli scaffali del vino, la quota dell’Italia è collocata fra il 10 e il 15%, con Francia
e Spagna nel ruolo di principali competitors. La produzione interna del Regno
Unito è praticamente nulla. I vini italiani sono in gran parte considerati prodotti
di qualità, ma in genere la tendenza verso prodotti da prezzo è piuttosto forte.
Rilevante è il lineare di Pinot e Prosecco, che sembrano trainare l’intero settore
dello spumante italiano. All’interno dell’Unione Europea, uno dei mercati magStrategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
giormente in crescita per il Prosecco è proprio quello del Regno Unito, grazie
all’apprezzamento delle caratteristiche di vino leggero adatto a cocktail e a momenti di convivialità.
Sono presenti alcuni prodotti britannici con tocchi italianeggianti e alcune imitazioni importanti, come il Bel Lambrusco.
Per la pasta, molte sono le referenze italiane, ma ancora più numerosi sono i prodotti a private label (con prezzi sensibilmente inferiori).
L’olio extravergine presenta gamme limitate rispetto ai paesi mediterranei. I
prodotti italiani dominano rispetto a Spagna e Grecia che sono i principali competitors dell’Italia, e hanno un prezzo medio ben superiore ai prodotti spagnoli.
La media riscontrata per le referenze italiane è leggermente superiore agli 8
euro per litro.
Per i salumi, la presenza italiana sugli scaffali della Gdo è prevalentemente focalizzata sui prodotti crudi. Per i salumi diversi dai prosciutti cotti, la quota dei
prodotti italiani in termini di lineare si colloca sul 20%, e i principali competitors
dell’Italia sono Regno Unito, Spagna, Germania. I prezzi dei prodotti italiani sono
piuttosto elevati. A titolo di confronto con i prezzi italiani (si veda la tabella sotto riportata), il salame tedesco ha prezzi sugli 11 euro/kg, quello francese sui 23
euro, il Chorizo sui 18. Rispetto al crudo italiano, il Serrano si posiziona su medie
più contenute (30 euro/kg).
Nel caso dell’ortofrutta, il prodotto italiano si scontra con la produzione britannica; in questo caso, la provenienza locale è posta bene in evidenza. Se un prodotto
è realizzato anche in loco, solitamente si privilegia il prodotto locale, anche per
sostenere il piccolo produttore e l’economia; dall’estero, si apprezzano le specialità.
In riferimento ai prezzi dei prodotti italiani, si sono esaminate 236 referenze nell’ambito di quattro insegne tra quelle assolutamente più diffuse: Tesco,
Sainsbury, M&S, Asda.
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
MARCHE ITALIANE RILEVATE IN PUNTI VENDITA DELLA GDO
PRODOTTI
PREZZO MEDIO (€/KG O LT)
Gorgonzola
12,60
Grana Padano
16,30
Grana Padano grattugiato
19,10
Parmigiano Reggiano
22,00
Parmigiano Reggiano scaglie
28,00
Parmigiano grattugiato
21,80
Mascarpone
6,30
Mozzarella brand azienda
10,10
Mozzarella PL
8,10
Mozzarella di bufala
18,00
Mozzarella grattugiata
7,30
Pecorino Romano
12,20
Ricotta
4,90
Olio brand azienda
8,10
Olio extravergine PL
8,20
Pasta di semola di grano duro brand azienda
2,60
Pasta di semola di grano duro PL
1,80
Antipasto misto
32,60
Bresaola
48,40
Cotto
24,50
Crudo Parma
47,30
Mortadella
26,60
Salame
28,80
Crudo San Daniele
48,70
Asti spumante
11,20
Barolo
21,50
Chianti
10,10
Lambrusco
3,80
Marsala
15,10
Moscato
10,50
Pinot Grigio
7,40
Prosecco
11,40
Sangiovese
6,80
Valpolicella
8,30
Verdicchio
7,20
Fonte: rilevazioni Ismea
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
SUPERMERCATO TESCO, LONDRA: PARMIGIANO REGGIANO LINEA TESCO
SUPERMERCATO TESCO, LONDRA: FORMAGGIO TIPO GRANA PRODOTTO IN UNGHERIA E
CONFEZIONATO IN ITALIA
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
SUPERMERCATO TESCO, LONDRA: VINO LAMBRINI, PRODOTTO NEL REGNO UNITO
“IL SEMAFORO ALIMENTARE”
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
“PRODOTTI ITALIAN STYLE E ITALIAN INSPIRATION”
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
La Gdo nel ruolo di esportatore
Alcune insegne della Gdo si stanno proponendo nel ruolo di aggregazione dell’alimentare nazionale da destinare ai retailer internazionali. È un ruolo di soggetto
facilitatore che permette all’operatore al dettaglio di un altro paese di conoscere
e provare la produzione italiana; è quindi un supporto a questi retailer nello sviluppo di una gamma italiana.
L’obiettivo è quello di esportare un prodotto italiano all’estero e di collocarlo nella grande distribuzione (punti vendita consociati o con cui si sono raggiunti accordi commerciali) a un prezzo più competitivo rispetto a quello che si ottiene
dal sistema tradizionale di esportazione, ovvero con l’appoggio di importatori
e buyer di insegne estere, i quali inevitabilmente comportano un aggravio sul
prezzo finale del prodotto. Queste catene sostengono di riuscire a dare qualità
a prezzi ragionevoli (a prezzi corrispondenti ai propri acquisti in Italia), mentre
con i circuiti commerciali tramite importatori, i prezzi a volte sono molto elevati.
I punti di forza di iniziative di questo tipo sono la capacità di ingaggiare una
produzione italiana molto articolata, l’esperienza nella selezione di aziende e
prodotti, la rete di negozi di proprietà o collegati in svariati paesi in un network. I fornitori si trovano praticamente a vendere in Italia, è infatti l’insegna
della Gdo che esporta.
Questa strategia parte dal presupposto che la logistica è fondamentale, e in Italia molti produttori non hanno la capacità per poter spedire i prodotti in altri paesi proprio a causa della logistica. Queste insegne forniscono un servizio
completo, con sdoganamento, trasporto, ecc., evitando una serie di problematiche al produttore.
Per esempio, nel mercato del Regno Unito i vini sono soggetti ad accise (peraltro
particolarmente elevate). L’immissione del prodotto sul mercato può avvenire
solo su prova dell’avvenuto pagamento delle imposte menzionate. Essere registrati e in possesso di un numero di accisa è necessario, per questo è molto complicato operare direttamente sul mercato.
Molti fornitori di queste catene sono piccole o medie aziende, in quanto le grandi
avanzano con le proprie risorse.
Esempi di questo genere di strategie sono Coop Italian Food, oggi con 1500 prodotti grocery realizzati da 250 aziende, e Auchan, che ha iniziato nel 2009 ma per
diversi anni ha realizzato solo la settimana dell’Italia in altri paesi presso i punti
vendita Auchan (circa 1000 nel mondo). Auchan oggi si basa su un servizio di
groupage a Verona, e ha raggiunto 22 paesi a livello mondiale, con 1200 prodotti
e una crescita del 100% ogni anno.
Coop sviluppa un’offerta di consulenza gratuita finalizzata ad aiutare il retailer
estero a diventare un esperto del Made in Italy nella sua area geografica.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
I fattori chiave sono un efficiente sistema informativo sull’intera filiera, l’adozione
di soluzioni sostenibili dal punto di vista economico e logistico.
In genere, vengono realizzate campagne di educazione verso le consociate, accrescendo la cultura sui prodotti italiani e cercando di motivare la superiorità dei
prezzi. Per esportare la tipicità italiana occorre spiegare bene l’origine e la cultura
d’origine.
È fondamentale fare assaggiare il prodotto, fare iniziative in store, presentando
anche le aziende fornitrici.
Il quadro dei consumi
Nel Regno Unito si sta diffondendo la richiesta di prodotti alimentari sani, con un
ridotto contenuto di sostanze conservanti, prodotti non troppo ricchi di zuccheri
e grassi, ecc. In altri termini, prodotti con un migliore profilo nutrizionale. È un
trend che sembra riguardare seppur in misura variabile il 69% della popolazione.
Il Ministero inglese della salute fa molta pubblicità sui benefici salutistici di un
opportuno consumo alimentare.
Si parla di introdurre la Sugar Tax (chiamata anche Soft Drink Tax) sulle bevande
gassate e zuccherate, ma per ora la potenziale normativa è in stand-by.
Si sta facendo una informazione più approfondita anche sul semaforo alimentare, spiegando che va interpretato alla luce dei quantitativi di consumo. Classico
esempio è quello dell’olio extravergine, che ovviamente si utilizza a piccole dosi.
In crescita è pure la domanda di bio, di eco-solidale e di prodotti etici. Anche
la richiesta di prodotti locali è in ascesa (così sostiene il 42% degli scozzesi e
34% dei consumatori britannici in complesso). L’importanza del prodotto locale scozzese è particolarmente elevata (nell’ordine) per carni rosse, pesce, carni
bianche, salumi, formaggi, ortofrutta. L’importanza cresce poi al crescere dell’età del consumatore.
Quella italiana resta la cucina maggiormente apprezzata nel Regno Unito: la ristorazione italiana svolge un ruolo essenziale nella promozione delle produzioni italiane verso segmenti selezionati di consumatori; tanti programmi televisivi
stimolano la dieta mediterranea e anche il turismo inglese nel nostro paese gioca
un discreto ruolo.
La domanda di prodotti alimentari italiani proviene soprattutto da un pubblico
britannico che apprezza la cucina italiana ed è quindi sensibile alla qualità del
cibo e degli alimenti Made in Italy.
Il consumatore dei grandi centri è più consapevole dei plus del prodotto italiano.
Londra è poi un caso particolare, dove la sensibilità è particolarmente elevata e
l’apertura verso costumi alimentari diversi è superiore.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
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Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Nella maggior parte dei casi, si nota nella percezione del consumatore una delimitazione piuttosto chiara fra un’origine italiana e il richiamo a una ricetta o a
uno stile italiano.
Il vissuto di cooperativa
Il consumatore inglese non ha chiaro il concetto di cooperativa, anche perché
esistono cooperative di tipologia del tutto diversa. È un plus da spendere maggiormente con il buyer. La cooperazione italiana dovrebbe puntare sulla valenza
della tracciabilità, sul controllo della filiera, sulla vicinanza alla produzione, sulla
specificità del territorio, sulla genuinità del prodotto.
In riferimento proprio al settore agroalimentare, il trend in atto nel paese si concretizza verso un’agricoltura più sostenibile, nella consapevolezza che questo abbia ripercussioni positive per l’intera popolazione.
I temi etici e ambientali sono sempre più sentiti, il commercio equo e solidale cresce a ritmi sostenuti, così come gli acquisti di prodotti biologici.
Le prospettive a medio termine
Dopo il voto del referendum sulla permanenza del Regno Unito all’interno
dell’Unione Europea, svoltosi il 23 Giugno 2016, è inevitabile che l’analisi delle
prospettive sia focalizzata sull’effetto Brexit.
Il referendum si è caratterizzato per una spaccatura tra Inghilterra e Galles favorevoli ad uscire, Scozia e Irlanda del Nord favorevoli a rimanere.
La reazione principale e immediata è stata sulla sterlina, che è crollata rispetto al
dollaro e all’euro, finendo ai livelli più bassi da trent’anni a questa parte. A metà
ottobre 2016 una sterlina equivaleva a 1,13 euro, mentre un anno prima ne valeva
1,35. Nel contempo, molte azioni si sono deprezzate sensibilmente.
L’aspetto certo è che il governo intende rispettare l’esito del referendum. Il parlamento ha discusso la petizione, firmata da 4 milioni di cittadini, che chiede di
tenere un secondo referendum sulla Brexit, ma il governo si è già espresso contro
questa soluzione: si potrebbe provocare una sequenza infinita di referendum.
I negoziati devono protrarsi al massimo per due anni, tranne accordi specifici tra
le parti. Inizieranno nei primi mesi del 2017, quando si dovrà tradurre in pratica
l’uscita tramite l’articolo 50 del Trattato di Lisbona.
Attualmente, si rileva un consistente impatto derivante dall’incertezza. Gli indici di fiducia sono scesi; gli investimenti produttivi si sono rallentati. Le imprese
e i consumatori tendono a rimandare spese o investimenti finché non ci sarà
maggior chiarezza, e le aziende preferiscono non impegnarsi in assunzioni a
lungo termine.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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94
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Molti sono gli interrogativi. Trattandosi di un fenomeno ancora molto recente
non è possibile comprendere con effettiva certezza quali saranno gli effetti a lungo termine, dal momento che i mercati e l’economia mutano continuamente.
L’impatto di questa decisione sull’economia dipenderà dai passi che saranno effettuati a livello politico e dai nuovi accordi che caratterizzeranno le relazioni tra
Regno Unito e Unione Europea. Si dovrà per lo meno capire se gli accordi del Regno Unito verranno presi con l’Unione Europea in complesso o con i singoli stati.
Parte dei politici vorrebbe mantenere un libero accesso al mercato unico e propende per una soft Brexit, altri sono più restrittivi, in modo da vietare la libera
circolazione delle persone.
Tra le diverse ipotesi che si delineano, vi è la creazione di un sistema simile
a quello utilizzato in Australia per consentire l’ingresso solo all’immigrazione
qualificata.
Si parla però spesso di altri possibili tipi di accordo che si potrebbero creare, come
il modello Norvegia che si basa sull’accesso all’accordo sullo Spazio Economico
Europeo e sulla libera circolazione di merci e persone. Esistono dazi doganali non
trascurabili, come per esempio: prosciutto crudo intero 2,50 euro/kg, a fette 12
euro/kg; Parmigiano Reggiano 2,80 euro/kg. Se poi si supera il tetto massimo del
quantitativo di import ammesso, allora il dazio diventa pari al valore del prodotto. Ci sono inoltre tasse sui rifiuti, che l’importatore deve sostenere (es. 1 corona
per bottiglia, 0,30 corone per vaschetta).
Un tipo di accordo diverso è il modello Canada. Tale modello si basa su un accordo di libero scambio commerciale che consentirebbe al Regno Unito di non accettare alcuni obblighi del diritto europeo, come ad esempio la libera circolazione
delle persone. Di contro, il Regno Unito avrebbe un accesso molto più limitato al
mercato unico.
Esempi di associazione all’Unione Europea senza membership esistono già, come
per esempio la Svizzera, la Norvegia, l’Islanda e la Regione Groenlandia. La Svizzera ha negoziato un accordo bilaterale che la rende parte del mercato unificato per
quasi tutti i prodotti, con l’eccezione dei servizi, tramite accordi settore per settore.
Non si esclude comunque un modello ex-novo rispetto a quelli esistenti.
Il problema del cittadino/consumatore è legato alla forte incertezza: si è indetto
il referendum senza avere preparato un piano per l’uscita. Non si sa nemmeno
in quale direzione si stia andando, fra proposte di una uscita soft (ma questo
non bloccherebbe la libertà di movimento delle persone) e proposte di una uscita
hard, con isolamento globale dall’Unione.
Questa generale incertezza attualmente non provoca per ora modifiche nell’atteggiamento dei consumatori britannici verso i prodotti stranieri; per il futuro però
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
le previsioni anche in riferimento a questo aspetto sono incerte, sembra probabile
che si troveranno soluzioni per proseguire questi acquisti, anche perché nel settore alimentare il Regno Unito si colloca sul 55% dell’autosufficienza, per cui il
mercato dei prodotti di importazione non può interrompersi.
Potrebbero emergere nuove barriere commerciali di natura tariffaria, doganale e
ostacoli non tariffari, ad esempio standard normativi per la salute e la sicurezza.
Queste barriere renderebbero il commercio oltremanica più oneroso rispetto al
periodo precedente. Ma è probabile che si troveranno strategie per fronteggiare
questi problemi: nel caso del vino, si potrebbe decidere una diminuzione dell’accise per compensare la problematica dei dazi.
Pure da parte delle aziende italiane si manifesta incertezza, anche se il mercato
alimentare del Regno Unito resta un mercato di grande interesse. Alla luce di
questa incertezza, pure le iniziative delle istituzioni italiane si sono fermate, se
non per quanto riguarda le code dei finanziamenti degli anni precedenti.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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96
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
9.1.3. Belgio
LA SCHEDA PAESE3
PRINCIPALI INDICATORI
Popolazione - milioni
11,2
Superficie - km2
30.536
Gdp 2015 - miliardi USD
454
Gdp pro capite – USD
40.536
Capitale
Bruxelles
Valuta
euro
Tasso Crescita Gdp 2006 - 2015
12%
Fonte: elaborazioni Ismea su dati di fonti diverse
Il Belgio è uno stato federale suddiviso in tre regioni: a nord le Fiandre, di lingua
olandese, a sud la Vallonia, di lingua francese, e Bruxelles, capitale bilingue, entrambe lingue ufficiali.
Nell’ambiente economico è universalmente diffusa la lingua inglese, in particolare nelle Fiandre.
Le Fiandre hanno come caratteristica importante un alto potere d’acquisto mentre
la Vallonia, che ha rappresentato una delle principali destinazioni della nostra
emigrazione storica, si caratterizza per la presenza di molti discendenti degli italiani emigrati nel secondo dopoguerra, nati in Belgio e in tanti casi alla guida di
aziende familiari, commerciali o industriali.
Bruxelles è sede delle istituzioni europee, della Nato e di numerose altre istituzioni internazionali. Si posiziona al secondo posto al mondo per numero di diplomatici ed è una interessante rete di relazioni ed affari.
Come i Paesi Bassi, il Belgio ha saputo sfruttare al meglio la sua posizione geografica trasformandosi in uno dei maggiori nodi logistici mondiali, grazie alla
buona rete autostradale, ferroviaria, fluviale e aeroportuale. Il porto di Anversa
si posiziona al secondo posto in Europa, dopo Rotterdam, e risulta in crescita in
termini di volumi movimentati.
Il paese ha saputo adattarsi alla crescente integrazione dei mercati trasformando
la propria economia in uno dei mercati più aperti e concorrenziali, in particolare
Elaborazioni Ismea su dati di diverse fonti, tra cui Camera di Commercio Belgo-Italiana, Ambasciata d’Italia in
Belgio, Agence Italienne pour le Commerce Exterieur.
3
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
in logistica, information technologies, biotecnologie ed energie rinnovabili, oltre
ai tradizionali settori dell’automotive, dell’industria pesante e del chimico- farmaceutico.
Il Belgio ha adottato provvedimenti legislativi che favoriscono l’imprenditorialità
e la fiscalità per le imprese, con un particolare sostegno alla ricerca e sviluppo. Per
tale campo è da segnalare anche la creazione di parchi scientifici presso i grandi
centri universitari e gli snodi di comunicazione, aperti anche ad aziende straniere
ad alta tecnologia, per facilitare la transazione economica dai settori tradizionali
a quelli più innovativi.
In questo paese non vi sono notevoli rischi economici od operativi; solamente i
rischi di attentati potrebbero incidere negativamente sull’ economia.
Negli anni 2014 e 2015 il Belgio ha registrato un buon andamento del Pil, trend
positivo confermato nell’anno in corso.
VARIAZIONI % DEL PIL RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE
ANNO
VAR % PIL
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2,5%
3,4%
0,7%
-2,3%
2,7%
1,8%
0,2%
0,0%
1,3%
1,4%
Fonte: elaborazioni Ismea su dati World Bank
Tra i punti di debolezza rientrano la rigidità del mercato del lavoro, l’alto costo
del capitale umano e l’elevata pressione fiscale, che si attesta su una quota del
45% del Pil.
Gli scambi con l’estero
Il Belgio, malgrado le sue dimensioni, secondo i dati della World Trade Organisation, si colloca a livello di decima potenza commerciale nel mondo.
Il Belgio esporta complessivamente oltre 359 miliardi di euro e importa per 339
miliardi – con un saldo della bilancia commerciale positiva di circa 20 miliardi. (in
costante crescita negli ultimi quattro anni).
I primi 15 paesi clienti del Belgio rappresentano oltre l’80% del valore totale
dell’export. L’Italia è il sesto paese di destinazione con oltre 18 miliardi di export
e 13 di import, mentre solo tre paesi fra i top 15 sono extra europei, ossia Stati
Uniti, India e Cina.
Esiste un servizio pubblico federale che accoglie gli investitori stranieri (Invest in
Belgium) e l’Agenzia per il commercio estero si occupa di missioni commerciali,
diffusione di informazioni e studi riguardanti i mercati esteri.
Quanto all’import, i principali fornitori sono i paesi confinanti, quali i Paesi Bassi,
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
la Germania e la Francia. Seguono gli Stati Uniti, il Regno Unito. L’Italia si colloca
su una quota del 4%.
Nell’ambito dell’import belga nell’agroalimentare, l’Italia pesa per oltre il 3%. Il
Belgio è, non solo un valido punto di riferimento, ma anche una base di partenza
per sviluppare affari a livello europeo e internazionale.
QUOTA ITALIA SU IMPORT AGROALIMENTARE
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
3,11
3,39
3,24
3,05
3,13
3,19
3,25
3,31
Fonte: elaborazioni Ismea su dati ICE - GTI
EXPORT AGROALIMENTARE DELL’ITALIA IN BELGIO – MIGLIAIA EURO
ANNO
2008
2014
2015
2015
2016
gen-giu
gen-giu
011 - Prodotti di colture agricole non permanenti
94.197
105.119
104.884
71.698
80.011
012 - Prodotti di colture permanenti
64.009
71.868
91.409
34.357
36.412
901
1.466
2.658
1.212
1.789
84.371
94.388
105.084
50.440
53.939
8.238
8.222
9.281
4.840
5.911
77.155
109.809
116.916
57.434
59.516
030 - Pesci ed altri prodotti della pesca; prodotti
acquacoltura
101 - Carne lavorata e conservata e prodotti a
base di carne
102 - Pesce, crostacei e molluschi lavorati e
conservati
103 - Frutta e ortaggi lavorati e conservati
104 - Oli e grassi vegetali e animali
25.344
36.924
37.826
17.767
17.717
105 - Prodotti delle industrie lattiero-casearie
71.477
106.674
102.454
50.986
52.473
106 - Granaglie, amidi e di prodotti amidacei
70.600
53.980
58.150
30.137
32.772
107 - Prodotti da forno e farinacei
57.468
82.393
82.303
42.381
42.924
108 - Altri prodotti alimentari
106.990
147.006
160.129
76.712
79.400
109 - Prodotti per l'alimentazione degli animali
11010 - Bevande alcoliche distillate
11021 - Vini da tavola e vini di qualità
11022 - Vino spumante e altri vini speciali
11030 - Sidro e altri vini a base di frutta
14.914
10.827
51.380
13.471
175
21.028
19.583
64.510
36.420
712
19.987
19.218
69.515
37.758
742
10.738
7.596
32.835
18.999
367
6.305
8.071
30.323
17.600
553
11040 - Altre bevande fermentate non distillate
11050 - Birra
4.586
156
7.927
298
8.281
2.829
4.608
2.385
6.091
306
11060 - Malto
11070 - Bibite analcoliche, acque minerali
1
2
-
-
-
6.435
16.380
36.971
19.804
19.098
984.709 1.066.395
535.296
551.211
3,08%
3,09%
762.695
TOTALE
QUOTA SU TOTALE EXPORT AGROALIMENTARE
ITALIANO
2,98%
2,94%
2,96%
Fonte: elaborazioni Ismea su dati ICE - ISTAT
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Il quadro del retail
Il Belgio ha un’elevata densità di supermercati per numero di abitanti, come sottolinea ICE nei suoi report. Sono però da evidenziare per gli ultimi anni i risultati
positivi dei canali distributivi alternativi e della filiera corta.
Il commercio elettronico fa segnare degli aumenti, in termini sia di fatturato che del numero di acquirenti e, nell’ambito dei prodotti alimentari, la sua quota raggiunge il 6%.
Il mercato retail è dominato da tre grandi gruppi che, insieme, rappresentano tre
quarti delle vendite: Delhaize, Colruyt, Carrefour. A questi, si affiancano i supermercati della catena olandese Albert Heijn e i discount di matrice tedesca (Aldi
e Lidl) che hanno costantemente aumentato la rete vendita, proponendosi come
supermercati di vicinato.
Le private label erodono progressivamente le quote dei marchi del produttore, e
questo è un fenomeno comune a tutti i segmenti del settore alimentare. Si assiste
alla creazione di nuovi marchi del distributore con un posizionamento elevato: in
certi casi, il prezzo è superiore a quello del leader di mercato.
Interessanti sono il mercato alimentare d’Alsemberg in località Uccle (quartiere
benestante vicino a Bruxelles), con primizie italiane e un’ottima scelta di frutta, e
il Marché Du Midi, il più grande mercato cittadino di prodotti alimentari del Belgio, il 50% dei quali è costituito da frutta e verdura. Si vedano a questo proposito
i risultati della rilevazione compiuta, più avanti riportati.
Gli importatori distributori di prodotti italiani non sono numerosi; tra questi si
segnalano Sita e Italia Autentica, che servono retailer e ristoratori.
Italia Autentica svolge attività di importazione di prodotti destinati a svariate catene della Gdo e gestisce direttamente quattro negozi di circa 450 mq. In questi ultimi
tende a inserire prodotti legati ai singoli territori, con un buon contenuto di tipicità.
Spesso, l’introduzione di nuovi prodotti o di un fornitore avviene con l’intervento di una Regione o di un Consorzio, senza i quali le piccole aziende che non
hanno mai affrontato problematiche relative all’export non sarebbero in grado
di gestire l’iniziativa e non darebbero le opportune garanzie. Si realizza una
sorta di test introduttivo, con presentazioni e degustazioni, da cui si deducono
le reazioni del consumatore. Si parte quindi con piccoli quantitativi e il fornitore deve essere disponibile a consegnare questi volumi iniziali. Deve anche
essere disposto, se il periodo test fornisce un risultato positivo, ad apportare
eventuali accorgimenti e adattamenti.
Italia Autentica organizza i trasporti a partire da un centro logistico nel nord Italia, e soprattutto le aziende piccole o medie del sud Italia incontrano difficoltà a
convogliare i prodotti su questa piattaforma.
La presenza del prodotto italiano nella distribuzione moderna
Il prodotto italiano ha una presenza non trascurabile sugli scaffali dei supermercati, con quote però differenti tra un settore e l’altro. Spesso, si trovano prodotti
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
con il marchio della catena, ma realizzati in Italia e con materia prima italiana.
I salumi italiani sono presenti in tutte le catene della Gdo belga. Sono particolarmente diffuse le tipologie più note, come Prosciutto di Parma, Prosciutto di San
Daniele, mortadella, salami. In svariati casi, la gamma è completata da Speck
dell’Alto Adige, Coppa di Parma, pancetta e altri. In media, l’incidenza del prodotto italiano in termini di lineare si colloca sul 7-10%.
Accanto ai prodotti italiani si rilevano referenze locali, olandesi, francesi, spagnole, tedesche e altre.
Il prezzo medio del prodotto italiano è più elevato rispetto a quello degli altri paesi concorrenti; in certi casi, questa media è caratterizzata da una notevole variabilità per tipologia di prodotto, brand, insegna della Gdo, format e sua ubicazione.
Sono molto rari i punti vendita che dispongono anche del banco salumi o banco
gastronomia in genere.
Nell’ambito dei formaggi, il lineare delle referenze a pasta dura è in genere quello
più consistente, seguito dai formaggi a pasta molle. Discreto anche il lineare della
mozzarella, con brand importanti, come Galbani e Casa Azzurra (Granarolo).
Anche in questo caso, la variabilità dei prezzi per lo stesso prodotto è rilevante.
Per il Parmigiano Reggiano si arriva a 50 euro/kg (a 53 per il grattugiato).
Sempre in questo settore, si notano svariati nomi assonanti come Pamesello o Paesano. La presenza di referenze italiane è molto più debole nei discount, rispetto
ai supermercati. In questi ultimi, si stima un 10% in media.
Per quanto riguarda l’olio, si nota in tanti punti vendita che l’extravergine (che è soprattutto italiano) ha un’estensione solo di poco superiore al normale olio di oliva.
Lo scaffale della pasta vede una forte presenza del prodotto italiano (Barilla, De Cecco, ecc.), presenza che è chiaramente osservabile anche nell’ambito delle private label
(tutt’altro che trascurabili). L’origine italiana viene posta bene in evidenza sulle confezioni. In alcuni punti vendita, colpisce l’estensione riservata alla pasta senza glutine.
Pure tra i sughi e i derivati del pomodoro, l’Italia ha una presenza notevole (oltre
il 40% del totale).
Il prezzo medio di vendita del vino italiano è superiore di circa il 15% rispetto alla
media della Gdo, quest’ultima stimabile sui 5,20 – 5,50 euro al litro. Il prezzo di
molte bottiglie italiane è ormai di poco inferiore al vino francese.
La Francia è il principale fornitore del mercato belga (l’Italia si posiziona come
terzo fornitore), per la vicinanza delle zone di produzione, ma anche per la politica promozionale che ha favorito un’immagine positiva del prodotto. Importanti
quote sono guadagnate dalla Spagna (anch’essa realizza campagne promozionali
di rilievo) e da alcuni paesi extra europei (come il Sudafrica e il Cile).
In forte incremento è la presenza di spumanti italiani.
Prescindendo dalla nazionalità, discreta è l’estensione di vino in bag in box sugli
scaffali, stimabile fra il 10 e il 15% a seconda del tipo di punti vendita.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
A fianco dei frizzanti, si nota anche la presenza non indifferente di bevande analcoliche o a ridotto grado di alcol; per esempio, nei negozi Delhaize di Bruxelles si
rilevano: vino e succo di pesca (o di mela) a meno di 1 grado; vino e succo di frutti
di bosco a 5 oC; vino e succo di pera a 2oC; sidro da mela a 4,5 oC; vino e succo
di uva a 0,5 oC. Nella maggior parte dei casi, il prezzo va da 2,50 a 4,50 euro per
bottiglia da 0,75 litri.
Per quanto riguarda i prezzi dei prodotti italiani sugli scaffali, sono state rilevate
169 referenze in otto punti vendita (delle insegne Carrefour, Delhaize, Mark and
Spencer, Lidl, Aldi e Spar) ubicati nelle città di Gand, Bruxelles, Anversa.
PREZZI MEDI DI ALCUNI PRODOTTI ITALIANI IN PUNTI VENDITA DELLA GDO
PRODOTTI
PREZZO MEDIO (€/KG O LT)
Gorgonzola
14,50
Grana Padano
20,30
Grana Padano grattugiato
17,90
Parmigiano Reggiano
28,40
Parmigiano Reggiano grattugiato
37,10
Ricotta
6,30
Mozzarella italiana
9,80
Mozzarella tedesca
3,50
Mozzarella di bufala
12,20
Olio extravergine
8,40
Pasta di semola di grano duro
2,80
Passata pomodoro
1,00
Pesto genovese
19,50
Sugo bolognese o basilico
4,70
Prosciutto crudo generico
30,20
Prosciutto crudo Parma
29,00
Prosciutto crudo San Daniele
39,60
Mortadella
14,60
Salame
22,10
Antipasto misto
37,00
Vino italiano in genere
6,60
Vino italiano bag in box
4,10
Reggiano Rosso
7,10
Montepulciano d'Abruzzo
5,90
Prosecco
9,80
Uva
3,60
Fonte: rilevazioni Ismea
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
È interessante la composizione degli scaffali di Mark and Spencer di Bruxelles,
con un ampio spazio dedicato alle private label, e in generale a prodotti realizzati
(o quantomeno impacchettati) nel Regno Unito: si va dalle fette di melone al pane
confezionato. Numerosi sono i prodotti pronti refrigerati, classici del mercato britannico, con etichette scritte in inglese ma anche nelle due lingue del Belgio.
SUPERMERCATO CARREFOUR, BRUXELLES, GRATTUGIATO PAESANO DI GALBANI, PRODOTTO IN ITALIA
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
SUPERMERCATO SPAR, GAND: SECONDO PIATTO STILE ITALIANO,
PRODOTTO DAL GRUPPO OLANDESE ZWAN
DISCOUNT ALDI, GAND: SUGO ITALIANO
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
SUPERMERCATO SPAR, GAND: BUSTA DI AFFETTATO ITALIANO
DISCOUNT LIDL, BRUXELLES: SALUMI BRAND DULANO DEL GRUPPO TEDESCO KEMPER
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
SUPERMERCATO DELHAIZE, BRUXELLES: SALAME PRODOTTO IN ITALIA E CONFEZIONATO IN BELGIO
SUPERMERCATO DELHAIZE, BRUXELLES: PROSCIUTTO DEL GRUPPO BELGA GREGA
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
DISCOUNT LIDL, BRUXELLES: PRODOTTO ITALIANO A BRAND NONNA MIA
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
SUPERMERCATO M&S, BRUXELLES: PRIMO PIATTO STILE ITALIANO, PRIVATE LABEL
SUPERMERCATO SPAR, GAND: PROSCIUTTO CRUDO PARMA
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
I prodotti italiani nel mercato al minuto Marchè du Midi, Bruxelles
Il mercato è caratterizzato da molti gestori nordafricani (che trattano anche prodotti italiani come nel caso dell’ortofrutta).
Forte è la presenza italiana nell’ambito dei formaggi e dei salumi. Alcuni gestori,
in questo caso, sono italiani.
Secondo le interviste a questi gestori, non è difficile fare arrivare in Belgio i prodotti italiani, in certi casi anche direttamente dai produttori (molti brand esposti
appartengono a grandi aziende italiane o multinazionali).
Si rileva una certa approssimazione nell’utilizzo di alcuni termini: per esempio,
Parmesan per indicare il Grana Padano (proposto con questo temine a 12,90 euro
al kg, sia intero, sia grattugiato). Oppure, Parmiggiano, o Parmigiano Regano.
BRUXELLES, MARCHET DU MIDI, FORMAGGI DURI O SEMIDURI ITALIANI
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
PREZZI MEDI DI ALCUNI PRODOTTI ITALIANI NEL MERCATO AL MINUTO
MARCHET DU MIDI - BRUXELLES
PRODOTTI
PREZZO MEDIO (€/KG O LT)
Mortadella
14,40
Prosciutto crudo San Daniele
33,80
Prosciutto crudo tipo Parma
22,00
Prosciutto crudo Parma
25,00
Coppa
22,90
Caciospianata
23,90
Salame Genova
14,90
Salame Milano
18,90
Cotto
18,90
Bresaola
37,90
Speck
21,50
Spianata romana
18,90
Pecorino grattugiato
12,90
Caciocavallo
18,90
Gorgonzola
16,20
Montasio
16,90
Pecorino Sardo
18,80
Pecorino Siciliano
13,40
Fontina
13,90
Provolone
20,90
Grana Padano
18,30
Pecorino Romano
18,90
Taleggio
19,50
Parmigiano Reggiano
22,80
Fontina Valle d’Aosta
22,50
Acerto Balsamico Igp
23,80
Olio extravergine
22,90
Arance
1,60
Uva
1,80
Pere
1,50
Mele
1,50
Susine
1,60
Pesche
1,50
Fagiolini
2,50
Fichi d'India siciliani
2,50
Pomodori
1,40
Peperoni
1,30
Pinot Nero
13,20
Lambrusco
6,00
Pasta di semola di grano duro
1,90
Fonte: rilevazioni Ismea
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110
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
I prodotti italiani nella ristorazione
I ristoratori italiani in Belgio sono molti, non solo a Bruxelles, ma anche in molte
altre città. Ci sono pure situazioni di imitazione dei ristoranti italiani.
Nell’ambito dell’indagine svolta, sono stati intervistati una serie di gestori di ristoranti italiani o con caratteristiche italiane, e sono stati rilevati prezzi e caratteristiche di portate (soprattutto in termini di proposte al cliente e politiche di comunicazione) per un totale di 24 esercizi su 3 città di diverse aree: Gand, Bruxelles,
Anversa. I prezzi dei piatti di questi locali sono piuttosto elevati, in confronto ai
prezzi medi del settore.
Si sono spesso rilevati comportamenti forzatamente italianeggianti, come il saluto da parte di personale che poi parla un italiano molto stentato. Si è notata anche
una certa prudenza nel rispondere alle domande dell’intervistatore.
Dall’indagine è comunque emersa una casistica piuttosto vasta. Ci sono ristoranti
il cui proprietario ha aperto alcuni decenni indietro, poi ha venduto a proprietari
belgi o di altre nazionalità, mantenendo nome, colori e stili italiani.
In altri casi, il proprietario dopo alcuni anni è ritornato in Italia e ora dirige dall’Italia, magari diversi ristoranti, delegando quasi in toto le decisioni a collaboratori
locali.
Ci sono locali dove il proprietario ha lasciato il posto di comando a figli o nipoti,
magari nati in territorio belga, i quali ora realizzano uno stile misto.
Oppure, il proprietario non è assolutamente italiano, né ha ascendenti italiani,
semplicemente utilizza colori e nomi evocativi dell’Italian style. Tra le diverse
nazionalità del proprietario, dalle interviste svolte affiorano in modo particolare
quella pakistana e turca. È una strategia analoga a quella di alcuni supermercati,
che nel reparto gastronomia denominano “panino Italia” un determinato panino
fatto al momento, con mozzarella e pesto.
Naturalmente, non mancano ristoranti o nuove gestioni realmente e completamente italiani. Qualcuno li chiama “Very Italian”.
A questa varietà di situazioni gestionali, corrisponde una altrettanto ampia casistica relativamente agli acquisti.
A un polo, ci sono i ristoranti che impiegano solamente o quasi solamente prodotti di provenienza locale.
Al polo opposto, ci sono i ristoranti che utilizzano prodotti in buona parte italiani,
caratterizzati da buoni contenuti di tipicità, acquistati con canali diretti da propri
fornitori o da un importatore. È una strategia finalizzata a dare al cliente belga
un’idea più precisa sul prodotto italiano.
A fianco di questi, ci sono ristoranti che impiegano prodotti italiani da mass market (per esempio, acquistati su canali come cash and carry).
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Nelle posizioni intermedie, ci sono svariate soluzioni, come l’acquisto di prodotti
in parte locali, in parte italiani da mass market o tipici. Oppure, l’acquisto di prodotti soprattutto locali, tranne alcuni, più critici, italiani.
Seppur l’indagine non avesse finalità quantitative, si ipotizzano comunque alcune proporzioni: un 20-25% di tutti i locali che a prima vista appaiono come italiani
o che comunicano una tipicità italiana, corrisponde a locali veramente italiani.
Un altro 20-25% è costituito da locali che nulla hanno a che vedere con l’Italia. Il
restante 50-55% presenta legami più o meno forti con l’Italia, per via del passato,
per una discendenza da gestori italiani, ecc.
Per quanto riguarda gli acquisti delle materie prime o comunque dei prodotti alimentari poi impiegati in cucina o serviti, si può stimare che i prodotti italiani abbiano una penetrazione del 40-45% di tutti gli esercizi dell’universo considerato.
La loro incidenza, tuttavia, in termini di volumi sulle quantità complessivamente
acquistate dagli esercizi considerati, potrebbe collocarsi intorno al 10-15%. Una
barriera all’espansione di questa quota è data dalla volontà di risparmiare in fase
di acquisto, soprattutto in un momento contingente come l’attuale caratterizzato
da un deciso calo di clientela.
GRADO DI PENETRAZIONE DEI PRODOTTI ITALIANI NELL’AMBITO DEI RISTORANTI
ITALIANI O ITALIAN SOUNDING
Fonte: stime Ismea
Una parte di questi prodotti viene acquistata direttamente da produttori italiani
(non sono state segnalate particolari difficoltà nel trasporto, su rotaia o su gomma). Un’altra parte arriva dall’Italia a grossisti belgi, e dal centro logistico dei
grossisti viene smistata ai ristoranti. Parte degli esercenti di Bruxelles, per esempio, acquista presso il Centre Europeen de Fruits et Legumes, annesso a MaBru.
Per un piccolo produttore italiano, l’approccio diretto alla ristorazione può comportare anche un rischio per le insolvenze, perché dopo gli attentati si è verificato
un calo del settore turistico e nell’horeca (-30% in un mese).
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
BRUGES, RISTORANTE ITALIANO
BRUXELLES, RISTORANTI ITALIANI
GAND, RISTORANTI ITALIANI
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
GAND, AMBULANTI ITALIANI
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Le tendenze dei consumi
Il consumatore belga è generalmente ricco e, viaggiando, conosce gli altri paesi e
i relativi prodotti alimentari. L’Italia è tra le nazioni europee meglio conosciute.
La provenienza estera non desta problemi di patriottismo; ci sono iniziative a
favore del km zero, ma il Belgio è prima di tutto un paese con un’economia tradizionalmente aperta. Ciò è avvalorato dalla forte presenza di persone di origine
non locale (a Bruxelles, una persona su tre non è belga, considerando le seconde
generazioni).
Nel corso degli anni, è cresciuta la tendenza del consumatore belga verso la ricerca di alimenti sani, di buona qualità, autentici, ma anche facili da consumare e
veloci da preparare. Oggi, si presta maggiore attenzione ai metodi di produzione
rispettosi dell’ambiente e degli animali, e una parte dei consumatori tende a sostituire, almeno in parte, la carne con le alternative vegetariane disponibili.
Secondo i report di ICE, la frequenza degli acquisti e la penetrazione dei prodotti biologici continuano ad aumentare; all’interno del settore biologico, gli
ortofrutticoli freschi occupano la posizione leader, seguiti da carne, pesce, uova
e lattiero-caseari. Sono le Fiandre e Bruxelles le regioni dove l’attenzione al biologico è più forte.
Sulla base dei focus group appositamente svolti con consumatori e responsabili
degli acquisti alimentari per il proprio nucleo familiare, i prodotti italiani godono
di un ottimo apprezzamento. Per una parte dei consumatori interpellati, sono i
migliori al mondo (anche meglio di quelli francesi). Gli aggettivi attribuiti ai prodotti italiani sono: freschi, colorati, buoni, gustosi, semplici, di qualità.
La principale barriera a un acquisto più frequente è però costituita dal prezzo: “sono
troppo costosi per poterli comprare ogni giorno”. Il prezzo elevato viene attribuito
al numero di passaggi commerciali che i prodotti devono compiere per arrivare in
Belgio, ma sono anche intrinsecamente collegati alla loro qualità e rifinitura. Forte
apprezzamento emerge per la pasta, un prodotto semplice che ha pure un prezzo
accessibile per un consumo quotidiano o quasi. La pasta abbina le ottime capacità
delle aziende italiane in materia di food e un prezzo alla portata di tutti.
Per la maggior parte dei prodotti che si propongono come italiani, i consumatori
sono abbastanza sicuri dell’origine ma ammettono che non sempre le etichette
sono sufficientemente chiare. Non si esclude che la dicitura “Prodotto in Italia”
possa comparire su un prodotto in realtà non italiano: si sostiene tuttavia che questa situazione possa verificarsi soprattutto per i prodotti che compiono molti passaggi, almeno uno dei quali in Italia. In questo caso, non ci si vuole porre troppi
problemi, se il prodotto è di buona qualità: non si è disposti a fare troppe ipotesi,
per esempio sul fatto che la Mozzarella di Bufala Campana si chiami in questo
modo in virtù della località di allevamento, del luogo di trasformazione del latte
oppure del sito di confezionamento.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Si è consapevoli che esistono denominazioni abusive e contraffazioni (“per lo più
tedesche”, è stato sostenuto). Si è anche convinti che i veri ristoranti italiani (di
qualità) siano pochi, in confronto a tutti quelli che “spuntano come funghi”. Il
ristorante veramente italiano è quello che trasmette la classe, la famiglia, la tradizione tipica dell’Italia.
Fra i prodotti non italiani che imitano quelli italiani, affiorano come esempi la
pasta fatta in Polonia e l’olio d’oliva tunisino spacciato per italiano (riportante la
scritta “italiano”). Sono tentativi, a volte anche molto forzati, di vendere il prodotto come italiano, con nomi e colori fuorvianti.
Ma gran parte dei consumatori, grazie a una crescita di diffusione della cultura
alimentare in genere, sembra in grado di discernere correttamente fra originale
e imitazione. Se trova un prodotto con un nome che richiama l’Italia a un prezzo
dimezzato rispetto al prodotto veramente italiano, si rende conto che non può essere il vero italiano. Tra una lasagna a 1,50 euro e una a 4,50 euro, il consumatore
ha chiaro che si tratta di prodotti ben diversi.
È lampante che il Pamesello non è Parmigiano Reggiano e potrebbe provenire da
qualunque paese al mondo; da parte di alcuni viene ritenuto un nome legale ma
fuorviante. Il Parmesan non può invece provenire da un paese che non sia l’Italia,
è stato sottolineato.
Una provenienza indicata con precisione è giudicata molto positivamente, tanto
che la dicitura “proveniente dalla Unione Europea” risulta un punto a sfavore: significa che la fabbricazione è avvenuta dove costava meno. Anche la private label
su un prodotto tipico italiano a volte rende meno forte la sensazione di italianità.
L’indicazione della regione italiana di provenienza darebbe una fiducia ancora
superiore rispetto alla sola indicazione dello stato; una affermazione che risulta
confermata dai colloqui svolti con i testimoni privilegiati, secondo cui si assiste
oggi a una forte regionalizzazione del prodotto italiano (polenta veneta, grappa
trentina, …), tanto che anche il consumatore belga inizia a conoscere la carta geografica dell’Italia.
Infine, il classico prodotto alimentare italiano è in genere immaginato proveniente da una piccola azienda tradizionale, e questa attribuzione è per la maggior
parte dei consumatori assolutamente positiva, sia in termini di qualità, sia per
una gratificazione emotiva.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
I PRODOTTI MOSTRATI AI FOCUS GROUP
MOZZARELLA ITALIANA
SUGO
SUGO MIRACOLI,
MIRACOLI, PRODOTTO
PRODOTTO NELL’UNIONE
NELL’UNIONE EUROPEA
EUROPEA (PRECISAMENTE
(PRECISAMENTE IN
IN ITALIA)
ITALIA)
PAMESELLO, PRODOTTO IN BELGIO
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Il vissuto di cooperativa
Il concetto di cooperativa, secondo quanto emerso dai focus group con i consumatori, evoca diverse sensazioni, tra cui:
• l’idea di produttori che si accordano per affrontare meglio il loro mercato;
• la gestione di tutta la filiera, rapportandosi con i lavoratori in maniera etica e
rispettando (secondo alcuni) il metodo biologico.
La produzione da parte di una cooperativa genera un impatto positivo, molti
consumatori belgi pensano a una provenienza da piccoli produttori e quindi a
una migliore qualità. È tornata di moda proprio la piccola dimensione produttiva, attenta alla qualità e alla genuinità dei prodotti: “è importante aiutare i piccoli
produttori”.
Pur non mancando chi ritiene che il concetto di cooperativa sia ormai superato,
nella maggior parte dei casi una eventuale dicitura “proveniente da una cooperativa” provocherebbe quindi sensazioni positive, ma anche una spia d’allarme
relativamente al prezzo, che si immagina piuttosto elevato.
Per parte dei consumatori interpellati, sarebbe sorprendente trovare in Belgio
prodotti provenienti da cooperative italiane, perché si pensa alla cooperativa
come un’entità che normalmente vende al mercato locale, principalmente al consumatore del luogo, e non produce grandi quantità.
I fattori chiave per esportare in Belgio
Considerando che il mercato belga è aperto e concorrenziale, ma nello stesso tempo piuttosto saturo (non è facile riuscire a guadagnare nuove quote di mercato)
ed esigente, i requisiti indispensabili per esportare in Belgio, secondo le istituzioni e gli operatori interpellati, sono:
• una buona organizzazione e strutturazione interna: una gestione cooperativa
o privata in sé non è un fattore sufficiente, occorre che l’azienda possieda una
struttura e sia attrezzata per poter fronteggiare le barriere linguistiche e altre
barriere di mercato;
• una capacità di instaurare relazioni stabili (basate su situazioni non precarie)
e di dare risposte tempestive;
• un rigore professionale e un impegno nel risolvere i problemi del rapporto
con il cliente;
• la disponibilità ad effettuare qualche adattamento al mercato; per esempio,
in Belgio sono obbligatorie per legge le due lingue ufficiali, e quindi si deve
impostare una etichetta o confezione ad hoc.
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Gli importatori sono molto rigidi sul rispetto delle clausole contrattuali, in particolare quelle che riguardano i termini di consegna, la conformità e la qualità dei
prodotti, il servizio post-vendita.
La Gdo impone requisiti di qualità e condizioni rigorose in termini di logistica,
tempistica delle consegne, etichette, ecc.
Il produttore deve pensare che il prodotto in sé non è sufficiente. Anche diversi
piccoli imprenditori riescono a ritagliarsi uno spazio sul mercato belga, ma devono essere bene organizzati. Spesso, è stato affermato, nelle piccole imprese manca
una struttura interna che consenta almeno una comunicazione in inglese. In tanti
casi, i clienti belgi che telefonano a produttori italiani non trovano un interlocutore che parli inglese.
Se manca una buona organizzazione, difficilmente si sopravvive su un mercato
affollato come quello belga.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
9.1.4. Paesi Bassi
LA SCHEDA PAESE4
PRINCIPALI INDICATORI
Popolazione – milioni
16,8
Superficie - km
41.543
2
Gdp 2015 - miliardi USD
753
Gdp pro capite – USD
44.821
Capitale
Amsterdam
Valuta
euro
Tasso Crescita Gdp 2006 - 2015
10%
Fonte: elaborazioni Ismea su dati di fonti diverse
I Paesi Bassi sono una monarchia costituzionale, membro dell’Unione Europea,
la cui lingua ufficiale è l’olandese, ma l’inglese ha raggiunto lo stato di seconda
lingua (è stato reso ufficiale nel comune di Amsterdam). Il 90% della popolazione
è in grado di utilizzare abbastanza bene o molto bene l’inglese.
È un paese con una popolazione di 16,8 milioni di abitanti e una densità tra le più
alte dell’Unione Europea. La massima concentrazione è nel sistema urbano della
Randstad Holland. Per il suo respiro internazionale e in relazione agli importanti
rapporti con i territori facenti parte del vasto impero coloniale, i Paesi Bassi sono
uno dei paesi europei con la più alta percentuale di immigrati, secondi solo alla
Svizzera.
I Paesi Bassi sono uno dei paesi del mondo dove si vive meglio, dopo Svizzera
e alcuni paesi del nord Europa; hanno un reddito medio pro capite tra più alti
nell’Unione Europea e rappresentano uno dei paesi più ricchi del mondo.
Le variazioni del Pil nazionale risentono dell’andamento ciclico dei paesi occidentali e hanno un trend in aumento negli ultimi dieci anni, pari a circa il 10%.
VARIAZIONI % DEL PIL RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE
ANNO
VAR % PIL
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
3,5%
3,7%
1,7%
-3,8%
1,4%
1,7%
-1,1%
-0,5%
1,0%
2,0%
Fonte: elaborazioni Ismea su dati World Bank
4
Elaborazioni Ismea su dati di diverse fonti, tra cui ICE e Ambasciata d’Italia nei Paesi Bassi
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
120
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Nel settore del commercio e dei servizi particolare importanza rivestono le imprese di trasporto e distribuzione, le banche e le assicurazioni e molto sviluppato
è anche il settore della progettazione architettonica ed urbanistica. Le industrie
più sviluppate sono quella chimica, quella alimentare, il settore elettrico ed elettronico e quello delle costruzioni.
Nonostante le ridotte dimensioni, i Paesi Bassi presentano una forte concentrazione delle attività per area geografica: le attività connesse alla distribuzione e
all’immagazzinamento delle merci si concentrano in prossimità dell’imbocco delle principali vie d’acqua del paese. Nella zona di Rotterdam sono localizzate le
principali raffinerie del paese così come le più importanti società di trasbordo.
Nel province settentrionali e orientali si concentrano le attività agricole, con numerose piccole imprese e alcune aziende di grandi dimensioni.
Gli scambi con l’estero
I Paesi Bassi sono un piccolo paese europeo con una posizione strategica che si
caratterizza per i grandi flussi commerciali di import-export.
Il totale export del paese ha raggiunto livelli di grande rilievo (oltre 426 miliardi
di euro) e colloca i Paesi Bassi in quinta posizione mondiale fra i paesi esportatori,
dopo Cina, Stati Uniti, Germania e Giappone (con l’Italia in decima posizione).
Grazie al suolo fertile e a una serie di soluzioni intelligenti, i Paesi Bassi sono in
vetta al ranking mondiale dell’export di prodotti agroalimentari (81,4 miliardi di
euro nel 2015, al secondo posto come esportatore mondiale di prodotti agroalimentari, dopo gli Stati Uniti). Le importazioni agroalimentari hanno superato i
55 miliardi; l’incidenza del settore agroalimentare sul totale dell’import è pari al
15% nel 2015.
I prodotti agroalimentari olandesi hanno diverse destinazioni fra cui spiccano i
paesi europei per oltre l’80%. Tra i primi paesi extra europei, si segnalano gli Stati
Uniti e Cina. Un decimo dei prodotti esportati in valore è rappresentato da piante
e fiori, poco meno dalla carne, dai prodotti lattiero-caseari e dagli ortaggi.
I Paesi Bassi sono il quarto esportatore mondiale di frutta, nonostante siano qui
presenti produzioni prevalentemente di mele, pere, prugne, ciliege, fragole e
frutti di bosco. Oltre il 60% dell’export di frutta deriva da prodotti importati da
Stati Uniti, Spagna e Cile.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
121
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Export agroalimentare dei Paesi Bassi: top 10 categorie
merceologiche - miliardi di euro
Fonte: elaborazioni Ismea su dati CBS Internationalisation Monitor 2016 II
Venendo ad analizzare il fenomeno della riesportazione a cui si è accennato, che riguarda nel settore agroalimentare un quarto del prodotto esportato, va evidenziata
l’importanza del settore logistico, del porto di Rotterdam, dell’Aeroporto di Schiphol.
In merito alle relazioni con il nostro paese, il surplus commerciale olandese è a
livelli robusti (l’export olandese è infatti ben superiore al loro import). L’incidenza dei Paesi Bassi nelle esportazioni italiane è passata dal 3% del 2008 al 3,6% del
primo semestre 2016.
I Paesi Bassi possono insomma svolgere un ruolo di ponte per andare oltre il
mercato europeo.
Se si trovano canali opportuni, ci sono possibilità concrete poi di sbarcare anche
su mercati svariati, proprio perché gli operatori olandesi intrattengono costanti
rapporti con molti paesi al mondo.
QUOTA ITALIA SU IMPORT AGROALIMENTARE
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2,25%
2,44%
2,49%
2,38%
2,29%
2,29%
2,48%
2,52%
Fonte: elaborazioni Ismea su dati ICE - GTI
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
122
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
EXPORT AGROALIMENTARE DELL’ITALIA NEL REGNO UNITO – MIGLIAIA EURO
ANNO
2008
2014
2015
2015
2016
gen-giu
gen-giu
011 - Prodotti di colture agricole non permanenti
95.408
119.938
128.397
71.800
88.562
012 - Prodotti di colture permanenti
61.514
69.915
78.265
32.788
34.038
4.229
5.934
5.874
3.001
2.830
69.380
131.095
144.502
72.187
66.422
5.717
4.981
5.978
2.896
3.032
98.333
135.668
154.731
79.695
85.227
030 - Pesci ed altri prodotti della pesca; prodotti
acquacoltura
101 - Carne lavorata e conservata e prodotti a
base di carne
102 - Pesce, crostacei e molluschi lavorati e
conservati
103 - Frutta e ortaggi lavorati e conservati
104 - Oli e grassi vegetali e animali
39.254
27.508
29.877
14.909
17.956
105 - Prodotti delle industrie lattiero-casearie
50.235
125.535
128.330
65.009
72.001
106 - Granaglie, amidi e di prodotti amidacei
37.981
40.615
39.424
20.384
21.038
107 - Prodotti da forno e farinacei
91.349
94.251
96.886
47.695
50.284
108 - Altri prodotti alimentari
108.395
227.153
213.750
98.362
108.670
109 - Prodotti per l'alimentazione degli animali
11010 - Bevande alcoliche distillate
11021 - Vini da tavola e vini di qualità
11022 - Vino spumante e altri vini speciali
11030 - Sidro e altri vini a base di frutta
13.105
10.157
55.119
38.060
16
20.008
14.160
84.881
35.882
2.527
20.562
18.668
92.225
36.749
2.589
10.737
7.993
43.684
16.233
1.388
11.633
10.861
49.708
15.539
1.061
11040 - Altre bevande fermentate non distillate
11050 - Birra
3.866
2.428
3.470
6.756
2.986
10.040
1.357
6.060
2.870
661
11060 - Malto
11070 - Bibite analcoliche, acque minerali
65
92
12
5
8
5.086
9.930
9.052
5.074
4.268
1.160.299 1.218.897
601.257
646.669
3,46%
3,63%
789.697
TOTALE
QUOTA SU TOTALE EXPORT AGROALIMENTARE
ITALIANO
3,09%
3,46%
3,38%
Fonte: elaborazioni Ismea su dati ICE - ISTAT
Il quadro del retail
I Paesi Bassi sono caratterizzati da un numero particolarmente alto di supermercati
per abitante e da livelli di prezzo abbastanza contenuti. Per esempio, l’80% circa del
vino transita per supermercati. Poche catene hanno un vero e proprio oligopolio.
Nel canale della Gdo sono richieste grandi quantità e costanza delle forniture: il
piccolo produttore può quindi trovarsi in difficoltà.
Quanto alla solvibilità, i Paesi Bassi non presentano grossi problemi, e i tempi di
riscossione sono più brevi di quelli che caratterizzano il mercato italiano.
La Gdo olandese tratta un buon assortimento di prodotti italiani; vi sono poi i
negozi specializzati (delicatessen) che trattano varietà più ampie di prodotti di
buona qualità.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Sono numerosi i negozi italiani gestiti in alcuni casi da olandesi, in altri da italiani
stessi. Ci sono anche negozi pseudo-italiani. In altri casi, ci sono grandi negozi
con sezioni dedicate all’Italia. Anche i punti vendita Albert Heijn realizzano settimane di promozione dei prodotti italiani.
I gestori dei punti vendita specializzati sostengono che i prodotti italiani arrivano facilmente nei Paesi Bassi, ma il trasporto è piuttosto costoso. In zona ci sono
commercianti all’ingrosso che vendono tutto, ma è preferibile rivolgersi a fornitori italiani conosciuti, con cui si è costruito un rapporto diretto. Bisogna però sottolineare che questi rapporti richiedono tempo. I clienti cercano sempre proposte
nuove, di conseguenza anche ai fornitori viene fatta questa richiesta (oppure, si
cercano nuovi fornitori).
Per le tipicità italiane, può essere opportuno seguire soprattutto strade diverse
dalla distribuzione moderna. Intanto, cresce costantemente il commercio elettronico. Poi l’horeca è un terreno potenzialmente fertile. Interessante il PLMA
di Amsterdam (una delle manifestazioni fieristiche a livello mondiale nell’area
delle private label), frequentato da operatori di tutto il mondo, soprattutto arabi
e giapponesi. Sono proprio i giapponesi ad essere particolarmente interessati a
prodotti di nicchia come aceto balsamico tradizionale o alcuni vini. (precisiamo
che si tratta della manifestazione più importante o una delle più importanti nel
mondo per le pl).
La presenza del prodotto italiano nelle grandi superfici
Nelle categorie merceologiche di maggiore interesse per i produttori italiani, un
35-40% dei lineari è occupato da prodotti private label.
Per i salumi, il numero medio di referenze per punto vendita supera i 150, e la
quota dei prodotti italiani in termini di lineare è inferiore al 10%; piuttosto forte è
la presenza di prodotti degli stessi Paesi Bassi.
Nel caso dei formaggi, il supermercato medio ha circa 35 referenze di grattugiati
e 200 referenze di formaggio intero, e la quota dei prodotti italiani in termini di
lineare si colloca sul 10%.
Il formaggio duro a scaglie o grattugiato vede referenze prodotte nei Paesi Bassi
o in paesi confinanti, alcuni con tricolore italiano. Il prezzo medio di queste referenze è di 16,80 euro.
Per il vino, il numero medio di referenze si colloca su 250, la quota di prodotti
italiani è anche in questo settore intorno al 10%.
L’olio extravergine presenta gamme limitate rispetto ai paesi mediterranei (intorno a 10-12 referenze in media); la quota del prodotto italiano si colloca oltre il
50% del lineare complessivo, la restante quota è appannaggio di Spagna e Grecia.
Anche nella famiglia dei sughi, l’Italia raggiunge quote elevate del lineare.
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Ai fini di individuare un ordine di grandezza del prezzo di vendita dei prodotti
italiani, si sono rilevate 94 referenze in due punti vendita (Albert Heijn e Jumbo).
PREZZI MEDI DI ALCUNI PRODOTTI ITALIANI IN PUNTI VENDITA DELLA GDO
PRODOTTI
PREZZO MEDIO (€/KG O LT)
Gorgonzola
13,70
Grana Padano
19,30
Grana Padano grattugiato
14,90
Mozzarella
10,10
Parmigiano Reggiano
26,10
Parmigiano Reggiano grattugiato
30,40
Pecorino Romano
19,50
Olio extravergine
6,50
Arance
3,30
Mele
3,30
Pasta di semola di grano duro
2,10
Salse e sughi
4,70
Crudo Parma
40,40
Crudo generico
24,20
Mortadella
17,50
Fonte: rilevazioni Ismea
SUPERMERCATO JUMBO, L’AIA: FORMAGGIO A SCAGLIE GROZETTE CON
TRICOLORE ITALIANO, PRODOTTO NEI PAESI BASSI
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
SUPERMERCATO JUMBO, L’AIA: GRATTUGIATO GROZETTE CON TRICOLORE ITALIANO,
PRODOTTO NEI PAESI BASSI
SUPERMERCATO JUMBO, L’AIA: PARRANO, PRODOTTO NEI PAESI BASSI
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
SUPERMERCATO JUMBO, L’AIA: GRATTUGIATO PRODOTTO IN POLONIA
Il quadro dei consumi
La cucina olandese è molto variegata, e ha in genere un’apertura mentale verso le
cucine estere. Il consumo di vino, per esempio, è costantemente aumentato e oggi
supera il livello dei 20 litri pro capite: è un mercato alimentato quasi solamente
dalle importazioni.
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
I prodotti biologici sono in ascesa, anche se si collocano sul 2-3%. Attualmente, sia
la Gdo, sia grandi produttori hanno inserito prodotti biologici nella loro gamma
di prodotti. Ci sono poi le catene di negozi bio, come Ekoplaza.
Pure il km zero riscuote crescenti consensi, in modo particolare nel settore ortofrutticolo. Il concetto di km zero viene ovviamente superato nel caso di prodotti
di eccellenza, che hanno qualcosa di speciale.
Le percezioni dei consumatori: l’Italian sounding
L’Italian sounding non ha una particolare diffusione. Al massimo, si impiega il
concetto di Italian style: prodotti stile italiano, ma che chiaramente evidenziano
che si tratta di una produzione locale. D’altra parte, il consumatore olandese è un
consumatore piuttosto consapevole.
Di fronte al formaggio Parrano, per esempio, ci sono consumatori che ritengono
che questo prodotto sia italiano, ma molti pensano che si tratti di un falso italiano.
È interessante sottolineare che, quando il prodotto italiano viene proposto come
private label, si riduce l’intensità della percezione della reale provenienza italiana. “Forse, solo la ricetta è nata in Italia”.
Il vissuto di cooperativa
Se garantisce una vicinanza al produttore primario e se testimonia una solidarietà
fra produttori, la cooperativa può offrire una garanzia in più.
È insomma un concetto dotato di alcune valenze potenziali, che corrispondono a
trend esistenti nel consumatore e che devono essere poste bene in evidenza.
Alcuni importanti accorgimenti commerciali per esportare nei Paesi Bassi
Il cliente (Gdo o importatore) olandese vuole efficienza e tempestività. È importante che la fase operativa sia fluida, altrimenti non si sopravvive in un mercato
efficiente come questo.
Eventuali fallimenti di iniziative per entrare in questo mercato sono dovuti solitamente a differenze di cultura (gli olandesi vanno subito “al sodo”, gli italiani
tendono a tergiversare), a una mancata condivisione dei problemi, a incomprensioni (a volte determinate dalla lingua). E, se il 90% della popolazione olandese
può facilmente sostenere una conversazione in inglese, è anche vero che la comunicazione non raggiunge lo stesso livello di emotività come con l’uso della lingua
madre.
Le aziende fornitrici devono comunque padroneggiare l’inglese. L’aspetto linguistico può rappresentare un ostacolo reale; in alcuni casi, la cooperativa è rappreStrategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
sentata solo dal presidente, che interpreta tutti i ruoli e deve prendersi cura anche
degli aspetti di marketing.
È importante avere un sito web mirato, efficace, chiaro e in inglese. La scelta della
lingua inglese anziché olandese è ovviamente legata a scelte economiche: vale
la pena investire in una traduzione olandese solo se i Paesi Bassi diventano un
cliente molto importante.
Dal punto di vista culturale è fondamentale adattare i prodotti ai diversi stili di
vita. Per esempio, in Italia si beve vino durante i pasti, mentre nei paesi del nord
Europa si beve vino dopo cena, dal momento che di solito si cena presto. In generale nei Paesi Bassi i salumi vengono consumati maggiormente a colazione e a
pranzo; il consumatore olandese è solito consumare per colazione fette di pane
con salumi, formaggi o altro. A volte, i produttori italiani tendono ad essere piuttosto autoreferenziali, secondo i pareri raccolti, senza considerare con sufficiente
attenzione queste diversità.
9.2. Un’analisi in dettaglio dell’Italian sounding
Con il termine Italian sounding intendiamo il fenomeno teso a far percepire come
italiani prodotti che tali non sono, tramite svariate strategie di comunicazione,
di packaging, ecc. Si tratta di una problematica di rilievo, di cui non è semplice
tracciare dimensioni e confini precisi.
Il prodotto di imitazione gioca soprattutto sulla leva del prezzo, inferiore (in certi
casi anche in misura marcata) rispetto all’originale.
È un fenomeno che assume maggiore importanza sui mercati dove la cucina italiana è più apprezzata e quando il prodotto è in grado di catalizzare un forte
interesse da parte dei consumatori.
L’indagine svolta ha posto bene in evidenza la complessità e le tante sfaccettature
dell’Italian sounding, che a volte sfocia in una vera e propria contraffazione. La
stessa normativa incontra molte difficoltà nel controllare e proteggere la provenienza, in un’epoca di delocalizzazioni, joint ventures internazionali, contoterzismo, step di lavorazioni in aree mondiali diverse, ecc.
L’ampiezza dell’indagine effettuata, sia tramite rilevazioni nei punti vendita, sia
con focus group con i consumatori, non consente di quantificare con precisione
il fenomeno dell’Italian sounding e delle contraffazioni, i cui confini peraltro non
sono univocamente tracciabili. Si vuole tuttavia dare qualche generico ordine di
grandezza, se non altro per delineare le diverse tipologie, i relativi impatti sul
mercato e le conseguenti strategie che possono essere adottate dalle cooperative
italiane.
Si vuole sottolineare che non si è inclusa nell’analisi la produzione di multinazionali o di grandi imprese nazionali che hanno effettuato importanti strategie di
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
delocalizzazione, di diversificazione dei siti produttivi, ecc. Le logiche, in questo
caso, assumono caratteristiche molto particolari e di difficile individuazione, rispetto a quella che si considera la problematica legata all’Italian sounding.
La multinazionale può infatti avere stabilimenti in Italia come in tanti altri paesi,
e applicare scelte piuttosto complesse di localizzazione della produzione rispetto
all’ubicazione dei mercati di sbocco. Anche la grande azienda nazionale può avere acquisito stabilimenti di produzione (e/o brand esistenti) all’estero o avviato
personalmente siti produttivi all’estero (in certi casi, si tratta di scelte obbligate
dalla normativa o da altre condizioni strutturali del mercato di sbocco); anche per
questa tipologia di impresa, le dinamiche produttive, logistiche e commerciali tra
i vari stabilimenti possono essere alquanto composite e variabili nel tempo.
A livello di Europa in complesso, si può stimare che il consumo di prodotti italiani
autentici rappresenti un 32-35% dell’intera area costituita da prodotti realmente
italiani, Italian sounding e contraffazioni. Da questa quota si è escluso l’export di
produzione realizzata in Italia che può essere considerata in ambito contraffazione o Italian sounding, in quanto imitazione di prodotti italiani tipici e blasonati.
Una quota intorno al 35-38% è attribuibile ai prodotti che richiamano la cucina e
lo stile italiano, in modo trasparente e leggibile dal consumatore. Sono queste le
tipologie di concorrenti che affrontano con chiarezza la competizione con le autentiche referenze italiane. Si stimola l’evocazione dello stile alimentare italiano
senza generare la convinzione che si tratti di una produzione autentica italiana
(Italian style o Italian inspiration). Si evita di parlare di matrice italiana, ma si
sottolinea che si sono seguiti canoni della tradizione italiana.
In queste situazioni, dai focus group condotti è spesso risultata evidente la capacità di scelta e di discernimento del consumatore, il quale sceglie il prodotto in
questione consapevole che non è italiano e che magari fornisce un certo vantaggio
in termini di risparmio.
Se la competizione è trasparente e ben delineata, questi prodotti possono rappresentare un’importante opportunità per le imprese italiane, le quali devono sensibilizzare il compratore valorizzando le caratteristiche di qualità del proprio prodotto ed evidenziando il concetto di italiano autentico. L’Italian styling di questo
tipo può fare da cassa di risonanza e da trampolino di lancio, contribuendo a
diffondere atmosfera e cultura alimentare italiana. Sicuramente, la dichiarazione
implicita che l’origine italiana è una valenza non può che diffondere un apprezzamento dell’Italian food.
Non è raro che il consumatore inizi ad acquistare l’Italian style, per poi inserire
tra i suoi acquisti anche l’autentico italiano.
Maggiori sono le caratteristiche distintive del prodotto italiano autentico e minore è il divario di prezzo, più elevate saranno le probabilità di seguire questo
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
apripista e diffusore di emozioni italiane, conquistando quote di mercato non
indifferenti. Occorre che i consumatori abbiano chiare le motivazioni per cui gli
originali sono caratterizzati da un prezzo superiore.
Le cooperative possono avere buone carte da giocare sul piano dell’appeal, della
qualità, dello spessore narrativo che il prodotto riesce ad esprimere, della caratterizzazione territoriale e della tipicità.
Tra i diversi esempi, si possono citare alcune imprese che stanno iniziando ad
abituare i consumatori cinesi all’utilizzo di formaggi dolci. Il passo successivo
può essere il posizionamento dei formaggi grana italiani su un livello superiore.
Il budget dei produttori di grana non consentirebbe sicuramente una diffusione
del proprio prodotto ex-novo nel mercato cinese, innestando da zero un’attitudine di consumo.
Diversa è la situazione dei prodotti che potremmo fare rientrare nell’area dell’Italian sounding equivoco (corrispondente a un 26-30%). In questo caso, il produttore tenta di convincere che il proprio prodotto è realmente italiano. Sulla
confezione non figura scritto “Italian style”, ma solamente “Italian”; oppure, la
comunicazione avviene con codici non verbali (immagini, colori, ecc.). In certi
casi, il consumatore è realmente convinto di trovarsi di fronte a un prodotto autenticamente italiano; in altri casi nella sua sfera razionale sorgono tanti dubbi,
ma in quella emotiva non si pone il problema.
È importante ricordare, come sopra accennato, che parte dell’Italian sounding
equivoco è realizzato da aziende italiane (si stima circa un caso su 6-7 casi complessivi di Italian sounding equivoco).
Le Istituzioni, italiane ed europee, devono indubbiamente attivarsi per contenere
gli effetti deleteri di un fenomeno che crea una confusione nella percezione del
consumatore. Questo è a maggior ragione vero nell’area della vera e propria contraffazione (di marchi Dop, Igp, ecc.), quantificabile intorno al 2% del totale.
All’interno del perimetro dell’imitazione equivoca, comunque, solo una parte
rappresenta una reale sottrazione di spazio di mercato per il prodotto realmente
italiano. Si possono infatti identificare due tipi di situazioni:
• i consumatori, se avessero la consapevolezza che si tratta di una imitazione,
sarebbero indotti ad interrompere l’acquisto o a renderlo meno frequente,
per passare al prodotto autentico;
• i consumatori acquistano l’imitazione percependola come italiana, ma non
acquisterebbero comunque il prodotto autentico italiano perché su una fascia
di prezzo troppo diversa: è un altro tipo di mercato che quasi non s’interseca
con il vero italiano.
Su tutto il volume dei prodotti corrispondenti all’imitazione non trasparente, il
passaggio all’autentico italiano può essere stimato nel 24-27% sugli acquisti, nel
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
65-70% sui consumatori (una quota importante di consumatori slitterebbe all’autentico italiano, ma solo in determinate occasioni, per certe funzioni d’uso, ecc.).
Per le cooperative, il valore da comunicare è quello che questo gruppo di produttori può curare e seguire il proprio prodotto fino dall’origine, offrendo così
garanzie maggiori e risultando più semplice e credibile rispetto ad altri.
A livello mondiale, è probabile che le proporzioni fra export italiano e Italian
sounding non siano molto differenti da quelle relative all’Europa; in diversi paesi
extra UE, invece, le proporzioni interne all’Italian sounding fra soluzioni trasparenti e soluzioni equivoche sono maggiormente sbilanciate in direzione dei casi
equivoci; inoltre, i casi di contraffazione sono proporzionalmente superiori.
Anche a livello mondiale, solo una parte dell’Italian sounding equivoco può essere realmente conquistata dai prodotti autentici italiani. Si pensi, per esempio,
che una punta di Parmigiano Reggiano da 1 kg costa in alcuni paesi americani
l’equivalente di un quarto dello stipendio mensile medio.
Mercato europeo: proporzioni quantitative all’interno dell’area costituita
da prodotti italiani autentici, Italian sounding e contraffazioni
Fonte: stime Ismea
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
9.3. Strategie logistiche e distributive: analisi di alcuni casi
Negli ultimi anni, visto l’aumento del commercio mondiale via container, il sistema logistico è stato caratterizzato dalla crescita della flotta per il trasporto merci,
che in cinque anni ha segnato un incremento del 37%.
Le società armatoriali hanno acquistato navi di dimensioni enormi, larghe 60 metri, grazie pure ai bassi tassi di interesse e alla finanza generata da banche pubbliche cinesi, dalla finanza islamica o da fondi sovrani di paesi che hanno interesse
a finanziare la loro cantieristica, e il boom dell’offerta ha fatto crollare prezzi e
redditività.
Oggi sono rimaste una quindicina di grandi società a dividersi il mercato mondiale, spesso con bilanci in rosso da anni, e la nave, quindi, si sta rivelando sempre meno uno strumento del commercio e sempre più un puro asset finanziario.
In relazione allo stato di salute del settore del trasporto via mare con container, si
cita la crisi della flotta coreana Hanjin Shipping, che naviga in mare aperto senza
che nessun porto la accolga, nel timore che i servizi non siano pagati (ottobre
2016). Nei suoi container vi sono anche prodotti alimentari deperibili europei
destinati ai mercati asiatici.
Nell’analizzare il sistema logistico italiano, in particolare per quanto riguarda il
settore agroalimentare, va evidenziato il nuovo Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica (PSNPL), che il governo italiano ha approvato nel
luglio 2015 per rafforzare la competitività e fare fronte alle conseguenze della
concorrenza mondiale.
Le infrastrutture portuali e le dimensioni dei nostri porti non consentono infatti
l’ingresso delle megaship e non esiste in Italia un mercato in grado di garantire
il carico adeguato per queste navi. Inoltre, le grandi compagnie di navigazione
non prevedono scalo in Mediterraneo, se non occasionalmente a Malta, pertanto
le grandi navi provenienti dall’Estremo Oriente, si dirigono soltanto verso i porti
del nord Europa. Per l’Italia, ciò si traduce in un aumento dei costi di trasporto,
a cui si può porre parziale rimedio soltanto con lo sviluppo delle reti logistiche a
terra, ed in particolare con un efficiente trasporto ferroviario abbinato ai porti, in
un’ottica di intermodalità.
Nel prosieguo si analizzerà il sistema logistico olandese con le sue competenze,
con le sue eccellenze – si veda il porto di Rotterdam – e con le sue specializzazioni – Flora Holland, leader nel commercio dei fiori e The Greenery, in quello dei
prodotti ortofrutticoli.
Infine, si analizzerà un paese emergente, al centro delle grandi rotte portuali
mondiali, gli Emirati Arabi Uniti.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione
dimensione
sui mercati
sui mercati
nazionali
nazionali
ed internazionali
ed esteri
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Italia
Nell’indagine sulla logistica agroalimentare elaborata da Ismea nel 20145 sono
emersi ritardi ed inefficienze infrastrutturali del nostro paese che causano un rilevante gap competitivo e l’indice di competitività globale del Word Economic
Forum (WEF), così come l’indicatore di performance della World Bank (Logistic
Performance Index - LGI), offrono elementi di riflessione importanti (indici aggiornati agli ultimi report emessi).
Il WEF pubblica un rapporto con una serie di indicatori di performance: l’ultimo
report 2015-16 colloca complessivamente l’Italia alla 43a posizione, sul totale di
140 paesi considerati.
Le infrastrutture rappresentano, per il WEF, uno dei dodici pilastri della competitività e l’Italia si posiziona al 26° posto, posizione migliore rispetto a quella ottenuto in altri pilastri, ma inferiore rispetto a quella di paesi europei, come Francia,
Germania, Belgio e Paesi Bassi. Colpisce in particolare il 49° posto nelle infrastrutture stradali (primi gli Emirati Arabi Uniti) ed il 32° in quelle ferroviarie (primo
il Giappone e con i paesi europei di nostro riferimento tutti nei primi dieci) o il
56° del ranking mondiale complessivo (primi i Paesi Bassi, seguiti da Singapore e
Emirati Arabi Uniti), e superata da molti paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
Il Logistic Performance Index - LGI della World Bank è un indicatore di qualità
logistica, risultato di una vasta indagine presso operatori e prezioso strumento di
benchmarking per misurare le performance della supply chain nei 160 paesi considerati. L’Italia si posiziona al 21° posto, mentre i più alti standard di efficienza e
competitività sono riscontrabili in Germania, Paesi Bassi e Belgio (in ordine nelle
prime cinque posizioni mondiali).
Il modesto risultato complessivo italiano è causato dalla scarsa qualità delle nostre infrastrutture e dalla ridotta efficienza nei trasporti internazionali. L’Italia
mostra i maggiori problemi nelle procedure doganali (27° posto), mentre la sua
migliore posizione è ottenuta nella puntualità delle spedizioni, grazie soprattutto
alle minori distanze da percorrere per raggiungere i porti.
Il trasporto di merci su strada continua ad essere preferito rispetto ad altre modalità (ferrovia aereo o nave). Ciò è vero soprattutto in Italia, dove, con particolare riferimento ai prodotti del largo consumo alimentare in genere, raggiunge
percentuali assai elevate rispetto alle altre modalità di trasporto e superiori alla
media europea.
Per contro, il congestionamento delle strade, i costi energetici in crescita, l’impatto ambientale hanno spinto e stimolato nuovi processi di cambiamento ed hanno
indotto il nostro paese a portare l’attenzione degli ultimi anni al tema del “riequilibrio modale”.
5
“La logistica agroalimentare in Italia fra limiti e opportunità” - Ismea- luglio 2014
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Il trasporto marittimo è stato a lungo trascurato in Italia, o comunque ne è stato sottovalutato il ruolo strategico che avrebbe potuto assumere per il paese, in
un’ottica di “piattaforma logistica mediterranea” di collegamento fra la sponda
sud del Mediterraneo e l’Europa, oltre che di crocevia dei traffici mondiali verso
l’Asia e le Americhe lungo l’asse est-ovest del globo. L’Italia non partirebbe da zero
perché i suoi porti sono importanti e, nel calcolo complessivo dei container trasportati, l’Italia occupa - dati 2014 - il sesto posto a livello europeo, con il 10,4% del totale
Unione Europea, dopo Germania (17,1%), Spagna (16,8%), Paesi Bassi (14,2%), Belgio (12,2%) e Regno Unito (10,6%). L’hub italiano più importante è il porto di Gioia
Tauro in Calabria, che si colloca all’ottavo posto tra quelli europei, con un volume
di container nel 2015 di oltre 3,5 milioni di Teu6, seguito da Genova e La Spezia.
Ma i porti del nord Europa sono di gran lunga più importanti e meglio organizzati e la merce diretta in Europa che transita da Suez preferisce la via “Lunga”,
quella del passaggio da Gibilterra ai porti del nord, piuttosto che fermarsi a Gioia
Tauro o altrove nel Mediterraneo. Mentre dal punto di vista ambientale questo
traffico è paradossale per l’allungamento del tragitto permette per contro di poter
contare su minori tempi di lavorazione logistica delle merci e su migliori servizi,
offerti dalla grande rete di imprese che ruota intorno ai porti di Rotterdam (11,5
milioni di Teu), Anversa (9,3 milioni, in forte crescita), Amburgo (8,8 milioni),
Brema (5,4 milioni ) e Valencia (4,6 milioni).
I principali porti europei - Volumi (in TEU) di container gestiti
Fonte Eurostat
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Il Teu (twenty foot equivalent unit) è l’unità di misura del container utilizzata a livello internazionale.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Con il Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica, che intende
favorire la crescita economica del paese attraverso il rafforzamento della competitività del sistema portuale e logistico italiano, è stata delineata una strategia
integrata, con azioni da compiere sia nei porti sia sulla loro accessibilità – da
mare e da terra – al fine di potenziare il ruolo del paese nel Mediterraneo e negli
scambi internazionali. Tra gli strumenti individuati per la definizione di un Sistema Mare efficace e per l’incremento dei traffici delle merci e della navigazione
di passeggeri, sono previste numerose azioni per la semplificazione amministrativa, l’efficienza dei controlli e delle procedure di sdoganamento, la promozione
dell’intermodalità e dei collegamenti di ultimo miglio, nonché l’attrazione di nuovi investimenti per la modernizzazione delle infrastrutture portuali.
La logistica agroalimentare, analizzata nel documento Ismea sopra richiamato, è
segnata da forti specificità che si manifestano in tutti gli anelli della supply chain
e sono riconducibili alla natura dei prodotti (freschi, secchi e surgelati) o alla complessità delle catene produttive a monte (dalla agricoltura labour intensive, alle
sempre più complesse trasformazioni altamente specializzate).
A questi fattori occorre aggiungere la crescente globalizzazione dei mercati, con
distanze crescenti fra bacini produttivi e aree di consumo, nonché la forte articolazione dei canali di vendita, che si estendono dal mercato ambulante all’ecommerce, passando per la grande distribuzione e l’horeca.
All’interno della supply chain, le scelte organizzative ed i modelli di business
sono condizionati anche dai difficili equilibri nei rapporti di forza fra le diverse
tipologie di produttori e di clienti.
L’offerta di servizi logistici dedicati al settore agroalimentare è in forte evoluzione in questi ultimi anni, anche se permangono notevoli criticità quali la frammentazione dell’autotrasporto, a fronte della crescita dei grandi gruppi nazionali
e internazionali logistici.
Un altro importante tema è costituito dalla razionalizzazione delle scorte lungo
le fasi a valle della supply chain, che ha enormi ripercussioni sugli attori, sia
nel groupage che nelle attività di cross docking, tanto che si pone con forza
la questione centrale della gestione in forma multicliente/multifornitore delle
piattaforme logistiche.
Un tema di attualità è quello della sostenibilità e dell’intermodalità, ed in particolare della intermodalità terrestre, che in Italia è condizionata da ritardi infrastrutturali. Una delle difficoltà è la mancata aggregazione dell’offerta a monte per fare
massa critica ai fini del trasporto, particolarmente per il trasporto dalle regioni
meridionali d’Italia verso il nord e per l’export.
Le difficoltà di politiche per la logistica agroalimentare sono in gran parte legate
a quelle di attuare politiche trasversali, sia territoriali che infrastrutturali, che tengano conto dei temi operativi dell’agroalimentare e dei suoi scenari competitivi.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Dal confronto tra il sistema logistico italiano per il settore agroalimentare con
quelli di altri paesi europei, si evidenzia che all’estero è presente una superiore
qualità del trasporto a costi inferiori, accompagnata da una migliore pianificazione del territorio, con infrastrutture più sviluppate e sistema integrato dei trasporti. Inoltre, i CeDi - centri di distribuzione - della Gdo hanno personale in numero
adeguato, sono meglio dislocati sul territorio, spesso in punti strategici, e tutto ciò
si concretizza in una maggiore programmazione delle consegne.
Inoltre, la burocrazia all’estero è meno pesante e le procedure amministrative
sono più snelle. Secondo uno studio di Confcommercio, i ritardi logistici costano
all’Italia 42 miliardi di euro l’anno di Pil. Ad esempio, solo il 35% dei due milioni
di tonnellate di merci che l’Italia esporta per via aerea partono da un aeroporto
italiano; il restante 65% è auto-camionato, cioè prosegue su strada e parte da un
hub mitteleuropeo. Un altro dato che denota la complessità del nostro sistema, è
relativo ai tempi per le operazioni di import/export: in Italia, tra procedure amministrative, controlli doganali e movimentazioni, occorrono mediamente 18,5
giorni, il triplo dei Paesi Bassi e il doppio di Belgio, Germania e Spagna.
Paesi Bassi
I Paesi Bassi sono un’economia aperta in quanto il paese ha una lunga tradizione
di leadership nel commercio internazionale, si pensi che nel 1602 venne fondata
la Compagnia delle Indie Orientali. Inoltre, l’impostazione calvinista della cultura olandese fece in modo che buona parte dell’ingente ricchezza accumulata,
grazie al commercio, venisse investita per migliorare le infrastrutture in modo da
potenziare la funzione di porta sul mare dell’Europa continentale.
Tuttora il paese è un importante gateway per l’Europa, in virtù della sua posizione unica - completamente affacciata su uno dei tratti di mare più trafficati - e della
presenza di tre centri logistici internazionali, strettamente coordinati, quali i porti
di Rotterdam e di Amsterdam e l’aeroporto Schiphol, collegati ad una efficiente e
capillare rete stradale, ferroviaria e di navigazione interna.
Secondo il LGI della World Bank, il sistema logistico olandese, per quel che riguarda le infrastrutture ICT, l’efficienza delle dogane e dei controlli di confine,
la qualità dei trasporti e il livello di professionalità del comparto logistico, si
classifica sempre nelle primissime posizioni, dietro Germania ed in competizione con Singapore e Svezia. Tale sistema facilita altresì ed incoraggia molte
imprese a realizzare i loro headquarters nei Paesi Bassi, consentendo loro di
diventare partner logistici in tutti i flussi mondiali delle merci. Oltre 1.000 imprese americane e asiatiche hanno centralizzato la loro distribuzione europea
installandosi nei Paesi Bassi.
Grande è l’impegno del governo nel sostenere con la propria politica industriale il settore. D’altra parte, il settore logistica e trasporti vale nei Paesi Bassi circa
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
42 miliardi di euro l’anno, concorre per il 7,5% al Pil nazionale e dà lavoro a
813.000 addetti.
Il paese si è dato l’obiettivo di raggiungere entro il 2020 la leadership nella logistica europea, sfruttando fino in fondo i vantaggi accumulati nel tempo. Parallelamente, vista la grande attenzione ai temi ambientali, le autorità competenti stanno cercando di porre rimedio all’aumento del traffico stradale e delle emissioni
inquinanti con uno shifting modale, dalla strada verso le forme di trasporto meno
inquinanti. Vengono incentivati gli spedizionieri verso altre forme di trasporto,
tramite benefici fiscali e vengono investite molte risorse, sia pubbliche sia private,
in programmi di ricerca.
In primo luogo è stata posta grande attenzione all’integrazione funzionale di tutte le risorse presenti nel territorio del cosiddetto Delta (Amsterdam-RotterdamEindhoven). Per quanto riguarda il porto di Rotterdam, l’obiettivo è di triplicare
la capacità di traffico containerizzato e consolidare un polo portuale con Amsterdam che dispone di alcune specializzazioni importanti, come il settore degli sfusi
(primo porto al mondo per il traffico di semi di cacao, ad esempio) e dei prodotti
petroliferi. Contemporaneamente, si stanno preparando le condizioni per realizzare una grande area attrezzata per la logistica intorno all’aeroporto di Schiphol
(al terzo posto in Europa per traffico merci e cargo, dopo Francoforte e Parigi fonte Ministry of Foreign Affairs - Holland), che già dispone di ampi magazzini
sia per gli spedizionieri, sia per i centri europei di distribuzione.
Accanto a porto e aeroporto, si sta poi definendo il cosiddetto greenport, che
coordina, concentra e sviluppa le esistenti attività e attrezzature focalizzate sulla
logistica agroalimentare (come quelli di Westland e Venlo) e del florovivaistico
(ad Aalsmer con la cooperativa Flora Holland – si veda nel prosieguo).
Peraltro, per potere utilizzare le opportunità del trasferimento modale, non è sufficiente disporre di infrastrutture, ma occorre agire a monte, sulla struttura stessa
della offerta, in modo da enfatizzare i vantaggi anche economici consentiti da
forme di trasporto come navigazione e ferrovia.
I Paesi Bassi dispongono, inoltre, di infrastrutture stradali eccellenti, di una rete
di canali per la navigazione interna, di una ferrovia con una linea dedicata esclusivamente al traffico merci che arriva al confine tedesco. Va detto che la navigazione interna olandese concentra il 54% del commercio di navi nell’Europa occidentale e la flotta olandese, che conta 7.000 battelli, è la più grande e moderna del
continente.
Una vasta parte delle esportazioni olandesi consiste in riesportazioni ed è in corso un aumento esponenziale della quantità e delle tipologie di prodotti agroalimentari che provengono da tutto il mondo per essere successivamente esportati:
le rose via aerea dall’Africa, le banane in containers refrigerati via mare dal centro
America, l’olio di semi di palma via nave dall’Asia.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Importante è la consapevolezza che, con il crescere della distanza fra i produttori
primari e i consumatori e della diversità di prodotti offerti, anche il numero di
chilometri di viaggio è in costante aumento. In venti anni, l’ammontare dei prodotti agroalimentari trasportati su strada è raddoppiato e, se questo trend prosegue, raddoppierà ancora nel corso dei prossimi venti anni, con il risultato di
congestionare le città e le autostrade.
A fronte di ciò, si presta una grande attenzione all’ottimizzazione del fattore logistico, ed il problema è stato affrontato con la creazione di una “Piattaforma
Agrologistica”, che mette insieme tutti gli operatori del settore (produttori agricoli, industria alimentare, distribuzione e imprese di logistica) con i “fornitori di
conoscenza - knowledge providers”, quali l’università e gli istituti di ricerca, al
fine di trovare soluzioni innovative che elevino l’efficienza.
Si tratta di una iniziativa governativa che prevede di supportare le buone idee
non con sostegni economici, bensì offrendo “buoni consigli”. I progetti approvati
sono assegnati a dei mentori che supportano i partecipanti al progetto, offrendo
aiuto per il superamento degli ostacoli (quali, ad esempio, regolamenti contradditori), in modo che le buone idee riescano a produrre buoni frutti.
Si elencano di seguito alcuni esempi di progetti, tra i quali spicca “Clustering”,
volto al coordinamento delle attività per minimizzare la necessità di trasportare
lungo la filiera. È importante pure il concetto della “ecologia industriale”, ovvero il ri-uso reciproco del sottoprodotto o del prodotto di scarto da parte delle
imprese, il tutto nell’ottica di utilizzare mezzi di trasporto, come i treni, battelli o
gasdotti, e minimizzare i chilometri per mezzo. Inoltre, tenuto conto che i flussi
di prodotti agricoli non necessariamente passano dai Paesi Bassi, si migliorano le
tecnologie di comunicazione ed informazione.
Parco caseario
Una cooperativa che lavora latte per la produzione di formaggi ha trasferito la
propria attività in un’area adiacente all’autostrada per ottimizzare tutti gli aspetti
logistici, concentrando presso il sito le attività connesse, come taglio e confezionamento. Ha così ridotto la necessità di trasporto e ottenuto risultati dal punto
di vista ambientale in quanto il nuovo insediamento ottimizza l’uso dell’energia,
mediante un cogeneratore.
Agriport A7
Le imprese coinvolte in questo progetto hanno raggruppato le loro attività con
l’obiettivo di selezionare e impacchettare i prodotti coltivati nei terreni e nelle
serre limitrofe e trasportarli ai distributori “just in time”, minimizzando i tempi
tra ordine e consegna, e ottimizzando la gestione degli imballi (riduzione dei trasporti del 20% e significativo calo del numero dei mezzi su gomma).
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Flora Holland
L’organizzazione del mercato dei fiori Flora Holland, di cui si dirà in seguito, ha
quattro sedi, di cui una a Eelde nell’ovest dei Paesi Bassi, e i produttori, dislocati
nel nord dei Paesi Bassi e in Germania, hanno condotto uno studio per ottimizzare il carico dei mezzi su gomma nel rientro, in collaborazione con fornitori e
clienti che lavorano con prodotti non agricoli.
La rete logistica per i prodotti freschi
Il progetto della “rete logistica di prodotti freschi” alimentari ha lo scopo di rafforzare il ruolo dei Paesi Bassi nel settore e di migliorare l’efficienza del trasporto.
Per incrementare l’efficienza, verranno sviluppati dei “centri di consolidamento”,
localizzati sia nelle regioni produttive che nei mercati di consumo, ove i prodotti
possono essere conservati, anche in celle frigorifere, impacchettati, graduati per
qualità e ispezionabili.
Il battello dell’olio
Per l’approvvigionamento dell’olio di colza, utilizzato dalla Unilever per la produzione di margarina, si faceva ricorso a mezzi su gomma, ma dal 2005 è operativo un battello che consegna due volte alla settimana, attracca nella banchina
e scarica in due depositi, della capacità di 250 tonnellate, ubicati presso il sito
dell’impianto di margarina.
Tracciabilità e rintraccibilità quality oriented
Per ridurre lo spreco durante il trasporto dei prodotti freschi da produttore a consumatore, stimato nella misura del 10%, il progetto di tracciabilità e rintracciabilità Quality Oriented, sta esplorando l’uso di etichette elettroniche con tecnologia
di radio frequenza RFID. Il progetto prevede un’unica etichetta RFID, applicata
agli imballi, che permette di conteggiare i tempi di trasporto, tenendo traccia delle deviazioni e del traffico stradale. Viene, inoltre, registrato e analizzato il livello
di temperatura e umidità ai quali il prodotto è stato esposto e i tempi di esposizione, in quanto queste variabili contribuiscono a determinare la shelf life dei freschi. Insieme all’analisi dei colli di bottiglia nella supply chain, il progetto mira a
sviluppare un programma computerizzato, utilizzato per monitorare le quantità
di prodotto caricato nei punti vendita.
Altri progetti riguardano metodi di ispezione intelligente, basata sui profili di rischio per fronteggiare la presenza di insetti, funghi ed altri agenti patogeni nell’allevamento avicolo. Ad esempio, si punta ad accorciare la catena di produzione,
concentrando le attività in uno stesso sito, in modo da minimizzare il trasporto e
aumentare il benessere degli animali. Oppure, nell’allevamento dei maiali viene
proposta la creazione di un unico business park, nel quale gestire l’intero processo, dalla riproduzione alla ingrassatura, al fine di contenere la necessità di
trasporto e sviluppare opportunità per la trasformazione del letame.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Altri progetti hanno lo scopo di ottimizzare e coordinare le varie forme di trasporto, per ridurre i danni ambientali, con accorgimenti quali la concentrazione
di siti produttivi lungo le linee autostradali, la creazione di un terminal ferroviario correlato a nuove aree per la coltivazione in serra e lo sviluppo di un parco del
cibo fresco dove i prodotti vengono trasformati e distribuiti.
Di particolare importanza per i deperibili è l’efficace gestione della catena del freddo, sia in fase di movimentazione sia di stoccaggio. Sono state progressivamente
organizzate delle piattaforme logistiche secondo una logica di temperatura, che si
estende a tutte le fasi che vanno dalla produzione alla vendita al dettaglio.
Nei sistemi più tradizionali, l’organizzazione è centrata attorno a una logica di prodotto. Il raggruppamento dei prodotti in base alla temperatura, invece, propone una logica notevolmente diversa che si traduce, fra l’altro, nel
ricorso ad automezzi multiprodotto. In questo modo, il passaggio dei prodotti attraverso le piattaforme del freddo consente di ottenere economie di scala e fare fronte ai bisogni di continuità e flessibilità dei flussi dei distributori.
Porto di Rotterdam
Rotterdam è situata all’estuario del fiume Rhine e Maas, e le navi sono la modalità
di trasporto ideale e a basso costo per i grandi volumi di merci da e verso i Paesi
Bassi e altri paesi quali Belgio, Germania, Francia e quelli dell’Europa centrale.
Ha un’ottima accessibilità sia via mare che via terra, le portarinfuse e le navi cisterna possono entrare 24 ore al giorno, a prescindere dalla taglia e peso morto,
senza essere limitate dalle maree o sbarramenti. Il porto è anche il punto di partenza e di arrivo della ferrovia Betuweroute: 160 km dedicati al trasporto merci
fra Rotterdam e la Germania, con una connessione diretta al network ferroviario
europeo.
L’area del porto si sviluppa su 12.500 ettari (fra coste e bacino, di cui 6.000 per le
aree operative) e la sua lunghezza è di 40 chilometri. Vi transitano ogni anno oltre
30.000 navi d’alto mare e 100.000 navi polivalenti.
Nel 2015 il porto di Rotterdam ha movimentato oltre 466 milioni di tonnellate di
merci e oltre 11,5 milioni di (container). Questi traguardi lo pongono in testa alla
classifica dei porti europei, davanti ad Anversa e Amburgo. È l’unico porto europeo che compete con i giganti cinesi e in generale con quelli asiatici – Singapore,
Malaysia e Corea del Sud – e si colloca in nona posizione prima di Port Hedland
in Australia e South Louisiana negli Stati Uniti, unici porti non asiatici fra i primi
venti nel mondo.
Il porto riceve merci in entrata per 327 milioni di tonnellate – prevalentemente oli
crudi e minerali, containers, ferro e minerali metallici e carbone – mentre quelle in
uscita ammontano 139 milioni – di rilievo gli oli minerali e i containers.
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Per quanto riguarda le merci agroalimentari, si può trovare una selezione di servizi per il trasporto e stoccaggio dei prodotti (mais, grani, soia, oli di soia e di
palma, ecc.) e terminali multifunzionali, con numerose opzioni di trasferimento
delle derrate in quanto il trasporto può essere effettuato ship to shore – da nave a
terra – o ship to ship – da nave a nave. Inoltre, nella regione di Rotterdam hanno
sede le principali imprese di commercio e trasformazione del settore. Il porto di
Rotterdam rappresenta un punto chiave per i produttori di commodities.
Il porto offre 300.000 m3 di capacità di stoccaggio in silos o stoccaggi flat e sono
attive società di stivaggio. Si trovano laboratori di analisi, oltre 500 fornitori specializzati di servizi logistici ed è presente una piattaforma digitale che collega
operatori logistici di tutto il mondo.
Il porto, nonostante la crisi generale, continua a crescere, tanto che è ormai la
porta d’ingresso privilegiata della frutta contro stagione in Europa, efficiente in
particolare per lo scarico e smistamento rapido della frutta in container proveniente dal Sudafrica, ma soprattutto dal Sudamerica (Brasile, Cile e Argentina). In
questi ultimi paesi, infatti, è cresciuta sia la dimensione delle aziende produttrici
di frutta in contro stagione, con superfici di 1.000/2.000 ettari, sia la dimensione
delle navi portacontainer, con unità in grado di caricare oltre 1.000 pallet per volta (ovvero l’equivalente di 30 e più camion).
Gli operatori europei che più utilizzano questi servizi dello hub di Rotterdam
sono, oltre ovviamente quelli dei Paesi Bassi e Belgio, della Scandinavia, della
Francia e del Regno Unito, anche gli importatori italiani di ortofrutta fuori stagione, tramite le società olandesi di import-export che da Rotterdam in soli altri 2
giorni, via gomma, portano la frutta fresca sulla nostra tavola.
Il prodotto maggiormente importato via Rotterdam è rappresentato dai meloni,
in particolare quelli gialli del tipo honeydew provenienti dal Brasile. In ogni caso
tutta la gamma dei meloni in contro stagione è ben rappresentata. Seguono gli
agrumi, soprattutto dal Cile, il quale è pure un grosso esportatore di uva da tavola (assieme al Perù) e di tutta la frutta con nocciolo (stonefruit), ovvero pesche,
nettarine, prugne e susine. L’Argentina, invece, è molto importante soprattutto
per le pere, come lo è il Sudafrica, assieme a un’eccellente uva da tavola, che pure
usa Rotterdam come hub per l’Europa. Non manca tutta la gamma della frutta
esotica, in particolare mango, ananas, papaya e lime.
Qualche anno fa le autorità territoriali e governative insieme all’autorità portuale
e alle associazioni imprenditoriali hanno adottato un’agenda definita Port Vision
2030 in quanto le dinamiche esigenze economiche richiedono un permanente monitoraggio e la capacità di anticipare i nuovi sviluppi.
L’Italia ha un rapporto molto stretto con i Paesi Bassi. Ci lega il fatto di essere alle
due estremità (Genova e Rotterdam) del Corridoio 24 della rete TEN-T europea,
considerato il più importante in quanto innerva la cosiddetta blue banana, che
comprende le più forti aree economiche del continente europeo.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Flora Holland
Gli olandesi sono grandi produttori di fiori, numero uno al mondo, e Flora Holland, fondata nel 1910 per la vendita dei fiori recisi, è la struttura di riferimento
con 4,6 miliardi di euro di fatturato nel 2015. A fronte di un calo delle aree destinate alla produzione locale, i Paesi Bassi sono diventati oggi l’hub globale della
floricoltura e ogni settimana vanno all’asta oltre 100 milioni di rose e tulipani,
attraverso 100.000 transazioni.
Il paese ha quindi assunto il ruolo di leader delle tecnologie del settore. Ha, infatti, i maggiori operatori logistici, la fiera più importante del mondo e addirittura
un tribunale specializzato, il tutto in un grande gioco di squadra. Si pensi che i
lavoratori impiegati nella filiera sono circa 250.000.
Il fatturato di Flora Holland è in crescita, nonostante l’impatto dell’embargo russo, ed è composto da 2,6 miliardi di euro di fiori (6,7 miliardi di pezzi di rose,
crisantemi e tulipani pesano per oltre il 50%), 1,6 di piante da interno (un terzo
composto da orchidee) e il resto da piante per esterno. Ha oltre 6.000 fornitori di
cui oltre 4.400 sono soci - il 60% olandesi e il 40% esteri - e 2.500 clienti nel mondo.
Esporta in tutto il mondo, ma principalmente in Germania (1,56 miliardi di euro),
nel Regno Unito (925 milioni), in Francia (753 milioni) e in Italia (304 milioni, in
aumento rispetto al 2014). Il raggio di azione sul quale lavora maggiormente con
circa il 90% dell’export, dista 1.000/1.200 km dai Paesi Bassi ed è raggiungibile via
gomma. Russia e Stati Uniti sono le principali aree di sbocco extra europee.
Oltre l’importante produzione locale, i fiori provengono da 65 stati diversi, prevalentemente da quelli a clima tropicale, quali Kenia, Etiopia e Israele, ma pure
dai paesi europei, tra cui l’Italia. Le importazioni complessive ammontano a 755
milioni di euro (di cui 450 di rose). Molte imprese all’estero sono state costituite
dai grandi produttori di rose, coltivatori emigrati dai Paesi Bassi negli anni 80.
L’HANGAR DI AALSMEER
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Nei quattro siti di Flora Holland lavorano 3.000 persone (6.000 nei periodi di punta), di cui ben il 52% part time.
Flora Holland si pone come intermediario fra i coltivatori e i clienti, attraverso la
vendita mediante aste, garantendo ai primi il pieno collocamento delle loro produzioni. Lo spirito che anima le attività di Flora Holland è “all’olandese”, nel senso che si tiene presente il benessere della collettività prima di quello dei singoli.
È organizzata sotto forma di cooperativa e i profitti vengono reinvestiti in ricerca
e sviluppo. Si fa garante della qualità del prodotto e del prezzo, ponendosi l’obiettivo di offrire il giusto utile a chi coltiva. La commissione che Flora Holland
percepisce sulle transazioni è mediamente pari all’1,6%.
Il suo successo deriva da tre fattori: un ampio assortimento, un buon sistema di
logistica e la velocità di azione: la mattina i fiori vengono posti all’asta, il pomeriggio spediti e la mattina dopo consegnati. Ogni astatore è responsabile della
creazione di un file elettronico che contiene tutte le informazioni sul prodotto,
inclusa la sua valutazione qualitativa, che comunque sono analizzate a campione
dai controllori o dagli acquirenti. La fiducia è un valore imprescindibile e se un
operatore commette irregolarità viene declassato.
FLORA HOLLAND: VEDUTA DELLA SALA ASTA
Le aste iniziano dal primo mattino in stanze simili ad aule di università, dove
ogni compratore ha il suo computer e decide gli acquisti visionando immagini
del prodotto. L’asta funziona con prezzo al ribasso - il sistema detto “dell’orologio” -dove su uno schermo gigante appare un quadrante con l’immagine del fiore
e la cifra richiesta, che scende finché qualcuno non la blocca. Lo spirito che anima
la vendita si basa sul concetto che il fiore prima viene venduto, prima può partire
per la destinazione finale. Poiché la discesa del prezzo è velocissima, premere il
pulsante subito significa aggiudicarsi il prodotto, mentre l’attesa rappresenta un
rischio. Ogni acquisto non dura mai più di qualche secondo e il passaggio da un
prodotto all’altro non è facile da cogliere per i non addetti ai lavori.
Le vendite si indirizzano per il 50% al retail (Gdo e piccolo specializzato) e per
l’altro 50% a grossisti specializzati. Nel tempo si sta assistendo ad una crescita della vendita diretta dal coltivatore agli esportatori, che oggi rappresenta il 50/52%.
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Le imprese fornitrici sono di diversa dimensione. Questo crea dei problemi, in
quanto la cooperativa ha delle regole generali e ovviamente i soci di maggiori
dimensioni hanno bisogni diversi rispetto a quelli piccoli. I soci della cooperativa
(in continua crescita) sono impegnati a conferire tutto il loro raccolto e possono
vendere direttamente soltanto in casi particolari.
I soci sono organizzati in piccoli gruppi che si incontrano con frequenza, come
gli “advise groups” per i fiori (6-8 volte l’anno), mentre i “product groups” si occupano di qualità e prezzi. Per quanto riguarda la gestione, vi è un management
molto specializzato; il direttore generale, ad esempio, esperto di logistica globale,
è approdato dal gigante danese del trasporto cargo Maersk.
Per quanto riguarda l’innovazione, le nuove varietà prodotte vengono proposte al
centro di ricerca di Flora Holland, che attua programmi d’introduzione - capability tests - per valutare se sono migliori di quelle esistenti. Le nuove specie di fiori
e piante che transitano da Aalsmeer, prima di essere ammesse passano nell’area
test, dove vengono sottoposte a simulazioni di trasporto per 4 giorni (sballottate
in contenitori a 6°C) e di vendita per 3 (abbandonate a se stesse a 20°C).
FLORA HOLLAND: IL CENTRO DI RICERCA
Tra i prodotti nuovi immessi sul mercato in questi anni, ci sono le rose blu, molto richieste da Australia e Giappone. Nel 2009 un gruppo di ricercatori olandesi
è riuscito a modificare il gene che produce il pH5: se si diminuisce l’acidità del
petalo, la sua colorazione vira naturalmente verso il blu. Va, poi, verificato l’impatto sulle regole europee che sono molto severe per quanto riguarda le piante
transgeniche. Alcune delle nuove proposte sono interessanti per i coltivatori e
permettono di creare degli spin off utilissimi anche per il sostegno economico
delle ricerche stesse.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Sul fronte dei trasporti siamo di fronte ad una vera eccellenza e Flora Holland,
assieme alle organizzazioni di produttori, ai fornitori di servizi logistici e alle amministrazioni locali, sono alla ricerca di modalità per rendere più efficiente il trasporto, da e verso il nord del paese - si veda sopra lo specifico progetto. Vengono
utilizzate società di logistica olandesi, molto affidabili, che garantiscono le consegne nell’orario prestabilito, con le quantità e i prezzi definiti. Per il trasporto aereo,
trenta Boeing 747 trasportano 80 milioni di fiori alla settimana. Le compagnie aeree
(soprattutto KLM e la sua partner Martinair) caricano i fiori in Colombia, Ecuador,
Kenia e li trasportano alla temperatura rigorosamente controllata di 4°C. Quando
atterrano, i doganieri olandesi gestiscono celermente la parte burocratica e di controllo sicurezza, tanto che i fiori arrivano ad Aalsmeer (o su automezzi per le vendite dirette) nel giro di una, due ore massimo, senza subire traumi.
Per quanto concerne il futuro, la cooperativa è consapevole che la produzione è
sempre più internazionalizzata e che il ruolo dei Paesi Bassi come produttore sta
diminuendo. Inoltre, un numero sempre crescente di coltivatori vende direttamente ai grandi retailers, riducendo quindi l’importanza dell’asta come sistema
di determinazione dei prezzi.
Per prepararsi a questi eventi futuri Flora Holland ha redatto nel 2014 un piano –
Flora Holland 2020 – che prevede un nuovo tipo di asta già attivo, computerizzato per la condivisione di informazioni, richieste e proposte (l’equivalente digitale
di quanto avviene attualmente durante la pausa caffè nel corso delle contrattazioni) e una strategia di marketing per incrementare il consumo mondiale di fiori.
The Greenery
The Greenery offre una gamma di oltre 200 prodotti ortofrutticoli ai grandi retailer, grossisti, horeca e all’industria di trasformazione. Offre prodotti di qualità
ad un prezzo attrattivo, consegnati dalla sua esclusiva flotta di automezzi e per
disporre di una gamma completa nell’arco dell’anno, Greenery acquista anche da
produttori e cooperative esteri.
È stata fondata nel 1997 come aggregazione di 9 aste ortofrutticole olandesi ed è
controllata dalla cooperativa Coforta, i cui soci sono oltre 650, in prevalenza produttori di ortofrutta e funghi. Il gruppo occupa 1.800 dipendenti e commercializza, importando ed esportando, con oltre 60 paesi.
La controllata italiana, The Greenery Italia, opera attualmente attraverso due uffici: uno a Verona, con piattaforma presso l’Ortomercato, che gestisce il rapporto
con i clienti italiani e uno nei Paesi Bassi che cura gli acquisti e la logistica verso
la piattaforma italiana.
La cooperativa Coforta produce insalata belga e cavolo a nord di Amsterdam e
gestisce a Bleiswijk il centro logistico che raccoglie in particolare il pomodoro in
serra confezionato in cartoni di 5 kg.
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Vi sono due modalità di trasporto: quella di massa, con mezzi su gomma lenti e
viaggi giornalieri - per il pomodoro e insalata iceberg - e quella veloce, tramite
6/7 automezzi che partono da Bleiswijk e che arrivano in 24 ore sul punto di vendita - per prodotti di piccola quantità, con ridotta shelf life, come l’insalata belga,
pomodori e insalata speciali, crescioni per ristorazione di alto livello. Due anni fa
si è iniziato a sperimentare, per le consegne a Verona, il trasporto di un rimorchio
sul treno che scende da Duisburg in Germania a Melzo in Italia e successivamente
procede via gomma per la destinazione.
Le produzioni d’oltre mare, che si integrano con quelle della cooperativa, sono
gestite da una società a parte, la AG 10.58, operante in tutto il mondo. Vanno
segnalate anche le iniziative imprenditoriali dei soci della cooperativa per produrre pomodori in contro stagione rispetto ai Paesi Bassi ed a costi minori, grazie al contenimento dei costi di riscaldamento; in proposito un socio ha creato
la prima serra in Tunisia.
Sono state sviluppate alcune collaborazioni nel sud Italia ed in particolare in
Puglia con C.I.A.O. Italia (Consorzio Internazionale Agro-Ortofrutticolo Italia)
composto da organizzazioni di produttori di Puglia, Basilicata e Calabria al fine
di creare un network in grado di soddisfare la domanda della Gdo italiana ed europea. Il progetto prevedeva collaborazioni relative anche al trasporto attraverso
il porto di Taranto, in modo da canalizzare le produzioni del Consorzio tramite
Greenery, ma purtroppo il progetto sta andando a rilento, nonostante il grande
impegno profuso, per la difficoltà di mettere a disposizione la merce con continuità. L’iniziativa era inquadrata nel progetto Fresh Port, finalizzato a sfruttare le
potenzialità del porto di Taranto.
Con il nord Italia, Greenery ha in corso varie iniziative ed in particolare un contratto con un’importante cooperativa emiliano-romagnola per lo sviluppo di un
brevetto su una pera, che assomiglia ad una decana con colorazione rossa. È un
processo lungo, ma Greenery confida che porti risultati interessanti. L’accordo
prevede che in 6 anni vengano piantati 100 ettari; nei Paesi Bassi se ne sono già
prodotte 4.000 tonnellate, 2.000 in Belgio, 400 in Francia, 100 nel Regno Unito.
Oltre all’Italia, Greenery è presente con proprie filiali nel Regno Unito, in Francia,
Spagna (mercato minore) e Cina, mentre tutti i paesi del nord Europa e la Germania sono gestiti direttamente dalla sede centrale.
La programmazione delle consegne (giornaliere) del pomodoro viene fatta una
volta alla settimana, mentre l’insalata iceberg viene ordinata ogni giorno – e, di
conseguenza, si decide quanti automezzi inviare dai Paesi Bassi, ma anche direttamente dalla Danimarca, dove opera un grande produttore di iceberg che, dopo
avere soddisfatto le esigenze del mercato interno, consegna il surplus a Greenery.
La programmazione dei trasporti cosiddetti veloci, è giornaliera, dalle 7 del mattino alle 11,30 e pertanto la sede di Bleiswijk alle 12 ha il quadro chiaro, ed entro le
18 tutti gli automezzi sono partiti per le destinazioni. Sono attivi due reparti, uno
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
cura Italia, Francia, Svizzera e Spagna ed uno gli altri paesi – Germania, Regno
Unito e Scandinavia. Greenery ha in programma un nuovo centro a Breda per i
piccoli frutti – fragole e ribes prodotti in serra – che costituiscono un mercato in
forte espansione. Le consegne per il nord Italia sono giornaliere, mentre per il
centro sud bi o trisettimanali.
Tutta la struttura è di proprietà di Greenery, che finanzia autonomamente i propri
investimenti, mentre la cooperativa si occupa del rapporto con i soci. Gli accordi
fra la cooperativa e Greenery, il cui fatturato è di 1,1 miliardi di euro, prevedono
il pagamento del conferito in 8 giorni.
In media, Greenery incassa in Italia a 60 giorni, con tempi negli ultimi anni accorciati: prima si raggiungevano i 90/120 giorni. In Scandinavia e nei Paesi Bassi
incassa a 30 giorni, in Germania a 45.
In Cina e Stati Uniti porta pomodori, peperoni, ecc. con trasporto via aerea da
Schiphol. Era attivo un ufficio negli Stati Uniti, ma è stato chiuso.
I maggiori competitor di Greenery sono le imprese spagnole.
Emirati Arabi Uniti
La Federazione degli Emirati Arabi Uniti (EAU) è composta da sette Emirati Abu Dhabi, Dubai, Sharjah, Ajman, Ras al-Khaima, Fujaira, Umm al-Qaywayn
- ed è stata istituita il 2 dicembre 1971, dopo aver ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito. Ciascuno dei sette Emirati, oltre a formare coi propri rappresentanti il
governo federale, ha un proprio governo locale. Gli Emirati Arabi rappresentano
una fra le maggiori e dinamiche realtà della regione, sono il quinto produttore al
mondo di petrolio e gas naturale e occupano il terzo posto per riserve di petrolio.
Sono un’economia stabile, con incoraggianti segnali di ripresa dopo la flessione
degli anni 2008/2009 e con una crescita particolarmente intensa nel periodo compreso fra il 2005 e il 2008 e dal 2013. Sono un paese in posizione alta nella classifica
mondiale del Doing Business 2015 della World Bank: si collocano al primo posto
in materia fiscale e in quarta posizione per l’ottenimento dei permessi di costruzione e registrazione della proprietà.
Il suo importante Pil rappresenta oltre un quarto di quello del GCC - Gulf Cooperation Council, organizzazione dei sei stati arabi del golfo Persico e il tasso di
crescita negli ultimi dieci anni (2006 – 2015) ha superato il 42%.
Sono il secondo paese più popoloso dell’area del Golfo dopo l’Arabia Saudita. La
popolazione è composta per l’88% da stranieri, per una metà asiatici - lavoratori
provenienti principalmente dal sub-continente indiano e dal sud est asiatico – e
per l’altra metà dell’area del Golfo ed europei, fra cui i cosiddetti expat, soprattutto
professionisti e manager di aziende occidentali con occupazioni ben remunerate.
Gli Emirati Arabi Uniti basano la loro crescita economica su una forte capacità di
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
programmazione, che tende ad individuare le aree che richiedono una strategia
di attrazione degli investimenti dall’estero.
Tale programmazione ha come riferimento il Dubai Plan 2021 e l’Abu Dhabi – Economic Vision 2030, documenti che delineano i pilastri dello sviluppo in termini
economici, sociali e produttivi. A questo si devono aggiungere i programmi specifici per lo sviluppo di specifici settori, come quello marittimo che si basa sul Dubai
Maritime Vision 2030, dove Dubai si pone come centro del commercio mondiale
del mare. Un altro elemento che caratterizzerà il paese nel prossimo futuro è l’eventuale rimozione dell’embargo verso l’Iran, nei cui confronti le esportazioni nel 2014
ammontavano a oltre 34,7 miliardi di dollari, contro 1,5 miliardi di import.
Tutti questi fattori contribuiscono a sviluppare un interscambio commerciale del
paese di oltre 631 miliardi di dollari (dato 2014 quattro volte superiore a quello del
2004), che lo colloca al primo posto tra i paesi del Middle East and North Africa
(MENA). Il suo interscambio, composto da 359 miliardi di export e 272 di import
e pari al 163% del Pil, lo pone tra i paesi più aperti al commercio internazionale .
Nell’ambito dei flussi commerciali e marittimi, il paese è caratterizzato dall’attività di riesportazione, che coinvolge oltre un terzo delle sue importazioni e lo
colloca al terzo posto in Asia, dopo Hong Kong e Singapore. I principali partner
commerciali sono i vicini paesi asiatici. India, Giappone e Cina rappresentano circa un terzo dell’interscambio, mentre l’Italia, insieme a Germania e Regno Unito,
è fra i principali partner europei.
Gli Emirati Arabi costituiscono il principale mercato di sbocco delle esportazioni italiane nell’area MENA. Nel 2015 l’interscambio con Italia ha registrato un
andamento molto positivo: il nostro export è cresciuto del 16% rispetto al 2014,
superando quota 6 miliardi di euro.
Nel settore agroalimentare gli Emirati Arabi dipendono dalle importazioni per
circa il 90% dei loro consumi e sono autosufficienti solo per alcuni prodotti, quali
datteri e pesce, visto anche il costo delle produzioni locali, 3-4 volte più elevato rispetto a quello del prodotto importato. Per non rimanere esposto alla fluttuazione
globale dei prezzi, il governo, fin dal 1994, ha realizzato investimenti nel settore
ed ora si contano nel paese oltre 150 impianti di trasformazione alimentare.
Il mercato del food è qui controllato in gran parte da aziende d’importazione e distribuzione con sede a Dubai. Si stima, infatti, che circa l’80% delle importazioni
alimentari entri nel paese attraverso il porto di Dubai. Il 30% delle importazioni
totali è poi riesportato, soprattutto in Russia, India e Pakistan. Con riferimento
alle importazioni, i prodotti meno costosi provengono da India, Pakistan, Libano,
Siria, Giordania, Egitto e Sudafrica, mentre quelli di fascia alta da Paesi Bassi,
Australia, Nuova Zelanda, Estremo Oriente e Stati Uniti.
I generi alimentari, così come per ogni altro bene importato negli Emirati Arabi e
negli altri paesi del GCC, sono soggetti ad un dazio doganale con un’aliquota fisStrategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
sa del 5%. Fa eccezione il vino, sottoposto ad un’aliquota del 50% (fatto salvo un
eventuale altro 30% di tassa municipale per la vendita al dettaglio). Negli Emirati
Arabi, il settore della ristorazione è più importante di quello retail, dato il rilievo
che assumono il turismo e i viaggi d’affari. La ristorazione conta su oltre 10.000
ristoranti e bar, di cui oltre 5.000 a Dubai e 3.000 ad Abu Dhabi.
Dal 2008 l’esportazione dei prodotti agroalimentari italiani è quadruplicata raggiungendo la cifra di 322 milioni di euro nel 2015, con una situazione stabile al
30 giugno 2016. I prodotti italiani più apprezzati sono l’ortofrutta e i formaggi,
mentre i prodotti che registrano maggiori difficoltà sono l’olio di oliva e il vino, in
particolare per le limitazioni e le imposte.
Il grado di apertura del paese evidenzia un’elevata propensione ad un regime di
libero scambio. In linea generale, è infatti liberamente consentito vendere direttamente agli utilizzatori finali, tramite un rivenditore; è possibile inoltre costituire
joint ventures o autorizzare una società locale a vendere i propri prodotti con contratti in franchising. Secondo la vigente normativa in materia di diritto societario,
agli investitori stranieri non è consentito, però, possedere una quota superiore al
49% del capitale di una società (con eccezione delle Free Trade Zones).
La concorrenza in aumento e i miglioramenti nei trasporti e nelle comunicazioni
hanno convinto molti operatori ad espandersi verso altri mercati del CCG, come
Bahrain, Oman e Qatar e occasionalmente verso mercati ancora più distanti, quali
Azerbaigian, Libano e Giordania.
La presenza imprenditoriale italiana negli Emirati Arabi è altamente qualificata
ed è rappresentata da oltre 500 aziende, tra unità con propria filiale o che operano tramite agenti locali. Anche alcune nostre cooperative si sono avvicinate a
questi territori, anche grazie a un’interessante iniziativa di CSO - Freshness from
Europe - progetto finanziato da Unione Europea, Stato Italiano e CSO Italy, con
i soci Apo Conerpo (Alegra e Naturitalia), Apofruit, Assomela, Ceradini, Made
in Blu, Cico/Mazzoni, Conserve Italia, Origine Group, Oranfrizer, Opera. Questo
progetto è finalizzato alla promozione della conoscenza dei prodotti ortofrutticoli
europei in Cina, Stati Uniti, Canada, Giappone ed Emirati Arabi Uniti.
La fornitura di prodotto estivo avviene unicamente tramite trasporto aereo dall’Italia a Dubai, riuscendo a garantire la freschezza dell’offerta. Secondo dati Eurostat, il flusso di esportazione di ortofrutta dall’Italia agli Emirati Arabi Uniti, negli
ultimi 3 anni, ha vissuto una continua crescita sia per quanto riguarda la frutta
invernale (kiwi, mele, pere) sia per la frutta estiva ed autunnale come susine, albicocche, ciliegie, uva.
Gli Emirati Arabi hanno lo status di centro commerciale per il Golfo, che deriva
dalla storia del paese. Nel 1960 lo sceicco dell’epoca, infatti, adottò un’aggressiva politica di sviluppo delle infrastrutture e iniziò a costruire strade, aeroporti
e impianti portuali.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Costituiscono un mercato ricco, aperto agli scambi e agli investimenti internazionali, con un’economia diversificata e un sistema infrastrutturale e logistico di
prim’ordine. In pochi anni sono diventati il quinto paese al mondo in termini di
apertura commerciale e si collocano al 13° posto nella graduatoria mondiale del
Logistics Performance Index 2016 (davanti a potenze come la Francia e l’Italia)
per la competenza internazionale, la qualità delle infrastrutture, l’alto livello di
innovazione e il forte supporto delle istituzioni. Rappresentano il principale centro degli affari e hub commerciale della regione Med-Gulf, il primo nella regione
MENA per valore del commercio con l’estero e il primo mercato per l’export italiano nel mondo arabo.
Gli Emirati Arabi svolgono oggi la funzione di piattaforma di riesportazione e
distribuzione ad ampio raggio verso il Medio Oriente, l’Africa e l’Asia e un ruolo
importante viene sviluppato dalle zone franche.
Il sistema logistico è tra i più competitivi a livello globale, in quanto dispone di
estese infrastrutture stradali, aeree e marittime di buona qualità. I trasporti sono
principalmente stradali, non essendo presenti collegamenti ferroviari e aerei interni. Nelle principali aree urbane la rete stradale è molto sviluppata, in maniera particolare ad Abu Dhabi e Dubai, con un sistema metropolitano che collega
il centro di Deira, l’aeroporto internazionale di Dubai, il distretto finanziario di
Sheikh Zayed e Jebel Ali.
Il commercio si basa ampiamente sul traffico verso le 27 infrastrutture portuali.
Oltre ai due principali impianti terminali gemelli dell’Autorità dei Porti di Dubai,
di Jebel Ali - primo al mondo per produttività dei container e nono per movimentazione, con le più alte crescite a livello globale - e di Port Rashid, ci sono altri
due porti a Sharjah, di cui il più importante è Khor Fakkan sulla costa orientale.
Lavori di dragaggio sono stati eseguiti nelle vicinanze del porto di Fujairah per
incentivarne i traffici.
La Dubai Airport Freezone e la Jebel Ali Free Zone (Jafza) figurano ai primissimi
posti tra le “Top 25 Middle East Free Zones of the Future” (in totale negli Emirati
Arabi si contano oltre trenta free zones).
Il cluster logistico ha subito diverse trasformazioni prioritariamente dovute alle
esigenze della crescita della domanda del mercato domestico, ma successivamente anche per lo sviluppo dei mercati esteri, in particolare per le riesportazioni già
citate. A Dubai operano 1.600 imprese di logistica e 170 compagnie navali che
giocano un ruolo di rilievo nel commercio internazionale.
Nel futuro, gli Emirati Arabi si attendono importanti ritorni dal raddoppio del
Canale di Suez, inaugurato dal governo egiziano nell’agosto del 2015, si prevede
la duplicazione del traffico delle navi - un quarto delle merci che passano da Suez
oggi sono dirette o provengono dal Golfo - e riduzione dei tempi di percorrenza.
Si attendono pure investimenti manifatturieri e logistici nella zona del canale.
L’importanza del canale è legata anche al fatto che non ha problemi ad accoglieStrategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
re le navi di ultima generazione – le cosiddette megaship di 18/20.000 Teu – ed i
porti del Golfo, Dubai in particolare, sono fra i primi al mondo per produttività
dei terminal.
L’Aeroporto Internazionale di Dubai è il principale aeroporto che serve Dubai,
negli Emirati Arabi. È il più grande ed importante del Medio Oriente ed è situato
a 4 km a nord-est della città. L’aeroporto è gestito dalla Dubai Airports Company
ed è l’hub di Emirates Airlines, Emirates SkyCargo e della compagnia low cost
Flydubai. Grazie ad Emirates, è il più grande hub del Medio Oriente in quanto
la compagnia aerea di bandiera gestisce il 64% del traffico passeggeri e il 50% di
tutti i movimenti di aeromobili presso l’aeroporto. L’aeroporto è anche, dall’aprile
2013, la base di Qantas, dopo un importante accordo di collaborazione con Emirates, come principale punto di sosta per i voli verso l’Europa.
L’aeroporto è in vetta a tutte le classifiche mondiali, sia per numero di passeggeri
(in terza posizione dopo Atlanta e Pechino con oltre 78 milioni, in crescita di oltre
il 10% rispetto al 2014). Si colloca pure al 6° posto per traffico merci con 2,5 milioni di tonnellate di merci– in crescita del 4,5% rispetto al 2014 . È l’aeroporto con
maggior traffico, davanti a Londra Heathrow, e rappresenta un nodo di transito
da est a ovest, ma pure da nord al sud.
La sua area cargo è una delle maggiori al mondo e la quota più rilevante delle
merci che transita è destinate all’Asia e Africa. Le previsioni agli inizi del 2000
indicavano una crescente domanda di merci, infatti è stato necessario creare nuovi servizi di movimentazione per soddisfare le richieste: il mega terminal cargo,
entro il 2018, potrà gestire 3 milioni di tonnellate.
L’aeroporto di Dubai ha costruito un apposito “centro del fiore” per gestire le
importazioni e le esportazioni di fiori. Data l’importanza di questa tipologia
merceologica, l’aeroporto ha fatto realizzato una struttura specializzata dedicata. Il centro offrirà un più elevato livello di automazione per la lavorazione e,
una volta completato e funzionante, avrà una superficie di circa 100.000 m², tra
cui diverse aree di esportazione e uffici. Il centro, a regime, potrà gestire oltre
300.000 tonnellate di prodotto l’anno e verrà mantenuto ad una temperatura
compresa tra 2°C e 4°C.
Il Dubai Duty Free costituisce la più grande zona franca del mondo, superando
gli aeroporti di Londra Heathrow e Seoul. Oltre ad una vasta gamma di duty-free
shop e negozi alimentari, l’aeroporto dispone di due aree giardino all’aperto e
numerosi centri commerciali intorno all’aeroporto.
Il trasporto dei prodotti deperibili italiani verso gli Emirati Arabi avviene attraverso linee aeree cargo specializzate, in container refrigerati.
Per contro, si stanno progettando corridoi pilota. Questi corridoi verranno implementati prossimamente attraverso il progetto Fresh Food Corridors, cofinanziato dall’Unione Europea nell’ambito del Programma Connecting Europe FaciStrategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
lity Transport, teso ad istituire un’innovativa catena logistica dedicata ai prodotti
deperibili che dal Medio Oriente arriveranno ai mercati dell’Europa centrale e
settentrionale attraverso i tre porti core mediterranei di Venezia, Capodistria e
Marsiglia. Il progetto prevede, inoltre, uno studio di fattibilità che dovrà analizzare le potenzialità del corridoio Cipro - La Spezia.
Il progetto creerà una piattaforma integrata per il trasporto intermodale di container reefer, attraverso la connessione delle Autostrade del Mare provenienti
da paesi extra UE con i collegamenti ferroviari presenti nei tre porti mediterranei e diretti verso i mercati di consumo finale. Si creerà, così, una perfetta integrazione tra le diverse modalità di trasporto (nave, rotaia, gomma) in un’ottica
di sostenibilità ambientale ed economica, garantendo la freschezza ai prodotti.
9.4. Il caso Paesi Bassi: l’attività di ricerca e di innovazione
Premessa
Il World Economic Forum nel 2015 ha collocato i Paesi Bassi nella quinta posizione fra le economie più competitive – alle spalle di Svizzera, Singapore, Stati Uniti
e Germania. Tale risultato è dovuto al grande sforzo del sistema imprenditoriale,
della ricerca e università e del governo, in particolare per i progetti di collaborazione pubblico - privati.
Il governo, per rafforzare la competitività delle imprese e sfruttare le opportunità
della globalizzazione, ha selezionato nove “settori trainanti” (top sectors), sulla
base del peso nell’economia olandese e del potenziale di crescita: la trasformazione alimentare, in particolare l’orticoltura, l’agricoltura e l’alimentazione, l’acqua,
le alte tecnologie, le scienze della vita, la chimica, l’energia, la logistica e le attività
creative, ai quali si aggiungono i “centri decisionali” per le società internazionali.
Fra i nove cosiddetti “Top sectors”, due sono collegati all’agricoltura - Agri-food
e Agricolture - e grande incidenza ha quello della logistica, non solo in campo
agricolo, ma anche a sostegno degli altri settori.
Il settore agroalimentare, e in particolare dell’orticoltura, è un punto di riferimento: un quarto della produzione mondiale in serra è sviluppata sui territori olandesi. I Paesi Bassi giocano, inoltre, un ruolo di leadership nel commercio mondiale
dei fiori e dei bulbi. L’innovazione del settore orticolo include serre intelligenti che galleggiano sull’acqua, piattaforme mobili, robot, luci innovative, riciclo
dell’acqua e dei rifiuti e generazione di energia in quantità superiore a quella
consumata, contribuendo alla riduzione del CO2.
Gli obiettivi affidati dal governo al “top sector” agroalimentare sono i seguenti:
• “Più con meno”: per evitare future carenze alimentari ed effetti dannosi
all’ambiente è necessario rendere duraturo il processo di produzione alimen-
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
tare. Questo significa che il settore dovrà produrre il doppio del valore aggiunto con metà dell’input;
• aumento del valore aggiunto: il settore agroalimentare dovrà contribuire
maggiormente all’economia ed alla sanità pubblica, tramite prodotti più sani
e sicuri, uso di tecnologie di produzione avanzate e sostenibili e sviluppo di
nuovi prodotti in linea con le richieste dei consumatori;
• leadership a livello internazionale. Il settore vanta un elevato tasso di innovazione. Delle 40 più importanti imprese mondiali di alimentari e bevande, 12
hanno attività R&D o uno stabilimento nei Paesi Bassi.
Fra i top sectors troviamo anche quello della logistica in quanto il paese può vantare sia il primo porto europeo e il nono mondiale – quello di Rotterdam - sia l’aeroporto Amsterdam Schiphol, che dispone di collegamenti diretti con i principali
scali mondiali, sia per passeggeri che per merci. Inoltre il paese è caratterizzato
dalla prima rete di navigazione interna europea e dal terzo posto nel mondo per
densità della rete stradale. In relazione agli attesi effetti della Brexit, i Paesi Bassi
ed in particolare Amsterdam ambiscono ad attrarre sedi di prestigiose multinazionali oggi presenti a Londra, anche grazie all’aeroporto, a primari collegamenti
stradali e navali, a una tassazione favorevole e all’uso diffuso della lingua inglese.
Nel paese hanno sede alcune delle principali multinazionali del settore agroalimentare (Unilever – joint olandese/inglese – Heineken, FrieslandCampina, Dsm
e Vion). L’industria agroalimentare olandese vanta una produttività 5 volte superiore rispetto alla media europea, grazie anche alla rete di imprese attive nella
ricerca agroalimentare, della genomica, della nutrizione e della salute, prevalentemente situate nell’area attorno a Wageningen. Le principali imprese coinvolte
sono FrieslandCampina, Heinz, Nutrico, Hero e Aviko.
Da segnalare che i Paesi Bassi hanno la più alta incidenza in Europa di investimenti privati nella ricerca nel settore – circa l’1% del fatturato rispetto allo 0,3%
della media europea ed allo 0,1% dell’Italia (fonte OECD - Stan and Eurostat - rielaborato da FoodDrinkEurope).
Si riscontra pure una forte presenza delle cooperative – ogni olandese è in media
socio di due cooperative - e la prima cooperativa risale ben al 1795 (assicurazione
contro i danni). Le cooperative hanno sviluppato nel 2015 un fatturato di oltre 111
miliardi di euro, di cui il 70% nel settore agroalimentare. Attualmente operano
circa 500 cooperative, di cui 50 con un fatturato superiore a 10 milioni di euro e, in
relazione alla loro anzianità, sei sono definite “Reali”: FrieslandCampina, Cosun,
Fruitmaster, CR Delta, Horticoop e Flora Holland.
Nel settore lattiero caseario domina il gruppo cooperativo FrieslandCampina che
nel 2015 ha espresso un fatturato di oltre 11 miliardi e anche nel settore saccarifero domina la cooperazione (opera, invero, una sola cooperativa).
I Paesi Bassi sono, inoltre, un leader nella impiantistica per le produzioni agroStrategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
alimentari, specializzati, in particolare nel settore avicolo e caseario. L’industria
agroalimentare è il primo settore per addetti nel paese e sviluppa un fatturato di
oltre 62 miliardi di euro (dato 2013 - FoodDrinkEurope).
Nel corso della recente visita nei Paesi Bassi, abbiamo avuto modo di incontrare
esponenti del governo e della ricerca che hanno illustrato le peculiarità del loro
modello e gli importanti risultati raggiunti.
Il governo olandese: ruolo del Ministero Affari Economici - Dipartimento
Agricoltura & Natura e della “diplomazia economica”
Dal 2013 il Ministero dell’Agricoltura è stato unificato con il Ministero degli Affari Economici, diventando un dipartimento del nuovo Ministero. Il responsabile
politico è il Sottosegretario, che svolge anche funzioni di Ministro dell’Agricoltura presso l’Unione Europea. Dopo un’iniziale fase di rodaggio, l’unione fra i
due ministeri si è rivelata positiva, in quanto la crescita delle dimensioni ha reso
possibile un maggiore potere e un budget più significativo.
Alcuni dirigenti del Ministero sono responsabili anche del business all’estero, in
quanto vengono incaricati di seguire le relazioni con determinati paesi: il Ministero si occupa di partecipare alle principali fiere insieme alle imprese, così da aprire
la via alle stesse, anche attraverso seminari e business match makings.
Anche sul fronte del supporto istituzionale all’export, l’impostazione olandese si
basa sulla capacità di prevedere e prevenire e, in termini di sostegno alle imprese
e di esportazione, privilegia non più una politica di sovvenzioni, ma il cofinanziamento: le imprese giocano un ruolo attivo, aggregandosi e organizzandosi opportunamente.
In termini di strategia, le risorse si concentrano su quei paesi in cui lo stato esercita un ruolo importante, che presentano un elevato potenziale economico e offrono le migliori opportunità per le imprese in settori prioritari: Cina, India, Paesi del Golfo, ecc. Inoltre, la componente economica è un elemento chiave della
politica di aiuto allo sviluppo e gli aiuti allo sviluppo sono stati sostituiti da una
cooperazione economica bilaterale che offra opportunità per le aziende olandesi,
in particolare nelle aree della gestione delle acque e sicurezza alimentare.
Lo strumento preferito per l’attuazione di questa strategia è quello della “diplomazia economica”, che consiste nel privilegiare strutturalmente la componente
economica del lavoro diplomatico. Questa impostazione è diventata una priorità
dal 2011, anche in un’ottica di restrizioni di budget e di revisione della dislocazione delle sedi diplomatiche, in considerazione del potenziale economico dei vari
paesi. Per dare efficacia alle azioni va, inoltre, citato il dispositivo Partners for
International Business (PIB), un programma pubblico-privato che permette alle
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
imprese dei 9 settori prioritari di entrare su un mercato insieme, facendo riferimento alla rete diplomatica estera.
Per il supporto all’estero, il Ministero si avvale di 35 collaboratori che operano
presso le ambasciate dei paesi più importanti e di assistenti agricoli in quelle di
altri. I collaboratori presentano progetti al Ministero che ne valuta l’utilità e li
finanzia. La strategia è di individuare dei Pilot Projects da seguire e sostenere
per alcuni anni. Raggiunti i risultati, ci si rivolge a nuove iniziative. Il Ministero
organizza pure seminari e trade missions e si occupa di regulations anche con
l’ausilio di specialisti.
Per quanto riguarda più specificamente il settore agricolo, va evidenziato che la
metà della superficie del paese è destinata a colture agricole – oltre 2,2 milioni di
ettari – di cui 1 milione per prati e pascoli, 230.000 per foraggi, 530.000 per seminativi e 100.000 per orticoltura (sia a campo aperto che in serra). La partecipazione del settore agroalimentare olandese, incluso trasformazione e distribuzione,
al Pil, come alla forza lavoro, è pari al 10%. E un camion su tre trasporta prodotti
agroalimentari.
Il grande sviluppo dell’agricoltura è anche dovuto al cosiddetto “Golden Triangle”, basato sulle strette relazioni tra governo, mondo dell’agribusiness e dell’educazione; le imprese del settore sono per lo più di piccola - media dimensione,
ben organizzate, aperte a diverse forme di collaborazione e ai mercati esteri.
Per essere finanziate possono fare affidamento al Ministero, ma sono sostenute
pure da una rete di organizzazioni intermedie. Data la riduzione dei budget, il
Ministero ha scelto di lavorare soltanto con le imprese innovative e di erogare un
limitato finanziamento esclusivamente per l’avvio del progetto.
Il governo si avvale anche di un’agenzia, la Netherlands Enterprise Agency, che
supporta la “diplomazia”, anche per mezzo di pubblicazioni e di attività a favore
delle imprese.
Per quanto riguarda la ricerca, abbiamo visitato la Food Valley Region, una regione dove sono concentrate multinazionali agroalimentari, istituti di ricerca e
l’Università di Wageningen RU, uno dei centri di ricerca per la nutrizione più
autorevoli in Europa. Nell’area operano oltre 15.000 professionisti e scienziati,
dell’agroalimentare e dello sviluppo tecnologico, 70 imprese con competenze
scientifiche e 20 istituti di ricerca.
In particolare, abbiamo incontrato i dirigenti di Lei Wageningen UR, istituto vicino al governo olandese, e quelli della Food Valley NL, organismo che facilita le
relazioni fra le imprese e la ricerca. Infine, ci siamo recati presso la sede principale dell’università di Wageningen, in particolare presso il Department of Agrotechnology and Food Sciences e presso la sede distaccata di Bleiswijk, denominata Wageningen Plant Research.
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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LEI Wageningen UR
LEI Wageningen UR è un istituto indipendente con 250 addetti, che si occupa di
ricerca applicata sociale ed economica nel settore agroalimentare. LEI offre appoggio ai governi, nazionale e locale, e alle aziende del settore. Fa parte dell’European Research Program ed ha in corso progetti con la Commissione Europea.
Opera con forme di partnership tra settore pubblico e privato e con progetti di
ricerca che vedono la partecipazione delle industrie in qualità di sponsor, vista la
riduzione del budget governativo.
L’agricoltura registra la diminuzione del numero imprese: negli anni 50 ne erano
attive 300.000, mentre oggi ne sono rimaste circa 60.000; la capacità di produzione
è, però, rimasta più o meno stabile, in quanto le imprese hanno sono crescite nella
dimensionale e si sono specializzate al fine di incrementare la produttività, grazie
pure al contributo della tecnologia.
Il modello della creazione del valore nell’agricoltura si basa sulle condizioni specifiche
geografiche, del territorio fisico e del clima. Questo contesto porta ad un vantaggio
competitivo, che a sua volta genera risultati con cui è possibile fare investimenti. In
questo modo si conclude il ciclo, migliorando costantemente le condizioni specifiche.
Molti sono i fattori che contribuiscono al successo olandese: il buon livello di
istruzione, l’alto livello di conoscenze, l’efficiente mercato dei capitali, il costo
competitivo dei trasporti, l’offerta completa di produzione/distribuzione diversificata, il dinamico mercato di consumo.
Importante è anche il supporto del governo, che favorisce l’educazione, la ricerca
e le infrastrutture. Gli agricoltori sono consapevoli della utilità di lavorare assieme e di stimolare il governo, affinché favorisca il loro settore, caratterizzato
sempre più da accordi tra il settore pubblico e privato. Va detto che il governo –
regionale, nazionale ed europeo – ha sostenuto l’agribusiness per vari anni, ma le
nuove politiche privilegiano il supporto all’innovazione.
Food Valley NL
Food Valley NL è un organismo che favorisce lo sviluppo innovativo nel food, stimolando la collaborazione fra le imprese agroalimentari, gli istituti scientifici e il governo.
Opera nel campo della nutrizione e della salute, insieme a un network di più di 140
soci, attivi nel business internazionale e tecnologico. Inoltre, stimola spin off e start up e
aderisce a Food Innovation Network Europe e all’EFA European Food Alliance.
È stato costituito nel 2004 quale struttura indipendente - quando ancora non si
parlava di triple helix (relazioni fra università, industria e governo, asse delle
attuali attività di sviluppo nei Paesi Bassi) - nella consapevolezza di dover sostenere le imprese e la ricerca, ma anche, in misura minore, il governo centrale a
trovare nuovi modi per migliorare le relazioni.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
L’Università di Wageningen è un grande riferimento, ma serviva un’organizzazione che potesse ascoltare i bisogni di una impresa, collegarla al canale di ricerca
giusto e connetterla al resto del mondo.
Food Valley NL dà priorità alle imprese, ma agisce in modo che anche il governo
e la ricerca traggano un vantaggio, tenendo conto che non sempre innovazione
significa creare lavoro, anzi, di frequente significa toglierlo. Mentre le istituzioni
spesso sono al di sopra delle parti, Food Valley NL si colloca nel mezzo. Nel tempo, governo e università hanno apprezzato la capacità di interazione che riesce ad
esprimere. Il suo posizionamento permette alle imprese di non doversi affidare
esclusivamente alle università e ai loro canoni, bensì di trovare soluzioni innovative, non solamente nei Paesi Bassi, in quanto i knowledge suppliers (fornitori
di conoscenza) si ritrovano anche in altre località e operano allo stesso livello
dell’università.
Food Valley supporta in particolare le piccole imprese, che spesso necessitano di
un punto di partenza nella ricerca, in quanto non potrebbero permettersi di partecipare e di finanziare molti progetti.
Food Valley non fa ricerca direttamente, ma utilizza conoscenze già presenti, talvolta incontrando difficoltà. Opera nei Paesi Bassi, ma non solo. Ad esempio, cerca di connettere le imprese olandesi con il più avanzato sistema del packaging
belga, oppure attiva contatti con imprese giapponesi o tailandesi che vogliono
collaborare con quelle europee per l’innovazione.
Serve una certa autonomia per fare tutto ciò e serve anche la fiducia delle imprese
ma, per conseguire il risultato, le imprese stesse devono sostenere le sue attività.
I costi di Food Valley sono, infatti, sostenuti per un terzo da contributi delle imprese, per un terzo da management fees, derivanti dai progetti a cui Food Valley
partecipa e per la restante quota dal governo. La policy è di diminuire nel tempo
i contributi forniti dal governo.
Food Valley lavora con l’industria per la riduzione dell’uso dell’energia e dell’acqua, per la creazione di nuove fonti di proteine, la riduzione dello spreco alimentare e l’aumento della produttività.
Organizza eventi in occasione di manifestazioni e fiere e sviluppa missioni in vari
paesi denominate Food Tours. Offre corsi di formazione, specifici report di mercato e sviluppa continuamente nuove forme di collaborazione.
Università di Wageningen
È un’università pubblica, articolata su tre livelli (laurea, Master e PhD), con annesso un istituto di ricerca, ed è l’unica università nei Paesi Bassi che concentra la
sua ricerca su problemi scientifici, sociali e commerciali nel campo delle scienze
della vita e delle risorse naturali. È stata fondata nel 1918, conta oggi circa 8.000
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dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
studenti provenienti da oltre 100 paesi e a loro è assicurata una guida personale
per tutta il percorso di studi, con un rapporto docente-studente di 1 a 7. Il Wageningen Campus si estende su una superficie di 70.000 mq.
UNIVERSITÀ WAGENINGEN, LA SEDE CENTRALE
Nel campo delle scienze agrarie, l’università è considerata la seconda a livello
mondiale, subito dopo la University of California a Davis, anch’essa specializzata
in studi agroalimentari e zootecnici, con la quale nell’ottobre 2011 ha firmato un
accordo di collaborazione. Realizza una formazione Master congiunta con l’Università Nanyang Technological University (NTU) di Singapore e partecipa alla
rete universitaria Eurolega di Scienze della Vita (ELLS).
I corsi sono tenuti in lingua inglese. In quelli specialistici gli studenti olandesi
sono meno del 50%, mentre elevata è la quota di studenti asiatici nei corsi per
la laurea specialistica o il master. Queste relazioni internazionali permettono di
incrementare le relazioni nel corso del tempo, in quanto gli studenti rimangono
molto legati all’università e sono preferenzialmente assunti da aziende olandesi,
nelle loro diverse sedi nel mondo.
Department of Agrotechnology and Food Sciences
Va premesso che i Paesi Bassi sono un paese molto orientato all’innovazione. Gli
olandesi sono attratti dalle novità e hanno una mentalità diversa dalla nostra. Nei
Paesi Bassi l’innovazione non è solo la soluzione di un problema, ma si traduce in
progetti proiettati sul medio termine.
Un progetto di grande rilevanza, tra quelli innovativi seguiti dall’Università di
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Wageningen, riguarda la ricerca genomica, che ha permesso di ottenere produzioni in maggiori quantità e frutti più resistenti alle malattie, con sapore e forme
migliori. Il progetto è finanziato dal governo olandese attraverso il “Programma
Nazionale di Genomica”.
Uno dei temi più importanti è quello di affrontare da un punto di vista nutrizionale la crescita della popolazione mondiale, che, dagli attuali 7,5 miliardi di
abitanti, passerà ai 9 miliardi nell’arco di pochi decenni. Diversi progetti si concentrano sullo sviluppo di prodotti con proteine, in quanto le attuali produzioni
non saranno in grado di offrire risposta alla crescita della popolazione.
Le proteine sono principalmente presenti nella carne, ma non si può produrre di
più in quanto l’acqua e altri fattori produttivi non sono incrementabili, pertanto
si ricercano proteine alternative, esplorando la produzione di micro alghe iperproteiche. La problematica del cibo per i 9 miliardi di abitanti, riguarda anche
l’alimentazione per gli animali domestici.
Un progetto famoso dell’Università di Maastricht è la produzione di hamburger
con sintesi di cellule staminali di mucca o maiale. Un altro progetto di ricerca consiste in una macchina che, attraverso l’estrusione di proteine di soia, ottiene una
bistecca con una consistenza molto simile a quella della carne.
Altri progetti dell’Università di Wageningen riguardano la riduzione degli sprechi e
la consegna del pasto a casa. Non si tratta del classico take away, ma di una modalità
che si sta diffondendo nei Paesi Bassi, che prevede la consegna a domicilio degli ingredienti per preparare i pasti per i tre giorni successivi. È un’attività che richiede un
grande impegno dal punto di vista logistico e della gestione dei diversi ingredienti.
Un’esperienza diffusa nei Paesi Bassi è legata alla start up berlinese HelloFresh
che sta portando nuovi impulsi al commercio alimentare online. In un anno, HelloFresh spedizioniere di pacchi-cucina è riuscito a quintuplicare il suo fatturato e
a consolidare il ruolo leader. La giovane impresa spedisce già quattro milioni di
pasti ogni mese, assicurandosi di diritto il titolo di start up di successo in Europa.
HelloFresh riceve tutti i prodotti da fornitori regionali, riducendo così i tragitti e
i tempi di trasporto al minimo. La consegna ai clienti avviene in un giorno; i prodotti refrigerati - ottenuti in siti di Germania, Austria, Regno Unito, Paesi Bassi,
Belgio, Australia e Stati Uniti - sono trasportati in scatole speciali.
Un altro oggetto di studio, è costituito dai comportamenti quantitativi e qualitativi
dei consumatori, che vengono rilevati quotidianamente in più di 600 negozi olandesi.
In questa ottica, nel campus dell’Università di Wageningen, è situato il “Ristorante del Futuro”, che sembra un locale come tanti altri, ma, varcando la soglia, si
viene avvisati del fatto che si entra in un enorme esperimento in progress: telecamere piazzate sul soffitto catturano ogni reazione al cibo, bilance nel pavimento
pesano chi si avvicina alla cassa, sensori piazzati sulle sedie registrano il battito
cardiaco. Ci si accomoda, mentre al piano di sotto scienziati e psicologi studiaStrategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
no ogni mossa ed espressione facciale. In più, in un laboratorio “orale” i clientivolontari vengono perfino studiati mentre masticano ogni boccone. Il locale è in
realtà un centro di ricerca d’avanguardia, nato da una partnership tra l’ateneo ed
aziende (Sodexho, catering, Noldus, Information Technology e Kampri, apparecchiature da cucina), per dare risposta ad un quesito fondamentale per la scienza
e l’industria del cibo, ovvero che cosa ci spinge a scegliere determinati alimenti e
bevande e a rifiutarne altri.
È un modo per raccogliere dati dal valore immenso, che potranno essere utili non
solo per svelare il mistero dell’attrazione per il cibo, ma anche per studiare un’adeguata politica per combattere obesità ed altri disturbi dell’alimentazione. Oppure
per capire come eliminare i rifiuti in modo intelligente, convertendoli in biogas.
L’Università di Wageningen collabora con grandi aziende, come FrieslandCampina, cooperativa leader nel lattiero caseario, per sviluppare nuove tecniche. Ad
ottobre 2013, ha inaugurato un centro di ricerca su terreno dell’università che
comprende uffici, laboratori ed una fabbrica per gli esperimenti, con 450 dipendenti, di cui 350 ricercatori. Un’innovazione di FrieslandCampina è il “Milk Prism”, una tecnica per separare i vari componenti del latte tramite membrane. Con
questo processo si separano la caseina, il lattosio ed il latticello direttamente dalla
fonte principale, consentendo un ottimale mantenimento dell’attività biologica
delle sostanze. Questi componenti vengono utilizzati per arricchire omogeneizzati per neonati, integratori alimentari ed alimenti in generale.
A Leeuwarden è inoltre attiva l’iniziativa “Dairy Campus”, una collaborazione
tra l’Università di Wageningen, la Provincia di Friesland, l’Associazione di imprenditori agricoli LTO ed alcuni istituti di istruzione, che svolge ricerca e formazione in un centro che, oltre ad uffici e sale riunione, accoglie 500 mucche da latte
su un’area di 300 ettari. Il Dairy Campus svolge ricerca in vari ambiti: ottimizzare
il mangime, combattere il problema del letame, ottimizzare il pascolo, fare “smart
farming” (applicazione di ICT e sensori per la gestione del bestiame) e, in generale, massimizzare la produzione con il minimo di mezzi e di scarti.
Per fornire alternative alimentari, è nata una collaborazione tra l’azienda di catering Appèl, alcuni grossisti e “Bugs Originals”, impresa olandese - assistita
dall’Università di Wageningen - specializzata nella fornitura di insetti commestibili allevati nei Paesi Bassi. L’obiettivo è lo sviluppo di prodotti alimentari a base
di proteine provenienti da insetti. Infine, la multinazionale Coca-Cola sta collaborando con l’istituto scientifico TNO per formulare un metodo di valutazione della
sicurezza degli ingredienti utilizzati nei suoi prodotti (per esempio il colorante).
Wageningen Plant Research di Bleiswijk
Nell’ambito delle attività dell’università, di particolare interesse sono gli studi
relativi alle coltivazioni in serra, seguiti da un apposito dipartimento, il WageninStrategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
gen Green house, che ha riunito 10 anni fa tutti gli enti di ricerca che si occupavano di serre, dal punto di vista della fisiologia delle piante, fino alla gestione aziendale. In una prima fase, l’integrazione è stata una necessità legata alla riduzione
dei fondi e, dal finanziamento diretto, si è passati al finanziamento su progetto.
In relazione allo sviluppo di progetti sempre più impegnativi e multidisciplinari
si sono costituiti gruppi strutturati che esprimono una forza formidabile; si tratta
infatti del maggior gruppo mondiale nel campo dell’orticoltura in serra, composto da circa 100 ricercatori interni, oltre ai dottorandi e ricercatori da tutto il mondo. Due terzi dei ricercatori lavorano a Bleiswijk, a stretto contatto con l’attività
operativa presso le serre, mentre un terzo opera a Wageningen, a 100 km, per le
attività con l’Università e le facility sperimentali.
I componenti principali sono legati alla fisiologia, con sviluppo di metodi gestione della serra, del clima o del sistema colturale per abbassare i costi di gestione,
dell’energia o delle emissioni. I costi che incidono maggiormente sono quelli legati all’ammortamento del capitale, all’energia e al lavoro – più o meno un terzo ciascuno, mentre molto più limitata è l’incidenza degli altri fattori (piantine,
concimi fitofarmaci, ecc.). Un altro ambito di ricerca è legato alla crop protection
(applicazioni chimiche) e a nuovi disegni di serre innovative.
L’Università di Wageningen sviluppa anche vari progetti all’estero, alcuni di consulenza, per esempio per la creazione di un centro di ricerca in Cile, oppure progetti ad Abu Dhabi, in Arabia Saudita o in Iran. La partecipazione delle imprese
può essere indiretta, mettendo a disposizione beni, forza lavoro o facility, ma in
alcuni casi è richiesto l’apporto di capitale.
UNIVERSITÀ WAGENINGEN: LE SERRE DI BLEISWIJK
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Ai progetti legati alle nuove tecnologie nelle costruzioni di serre, oltre ai produttori, possono partecipare altre università, in relazione alle loro competenze; per
esempio, Heindoven, una delle tre università tecnologiche nei Paesi Bassi. Tale
nuovo metodo di partecipazione deriva anche da una pressione dell’Unione Europea che con l’Horizon 2020, a seguito di analisi, si è resa conto che i programmi
quadro precedenti hanno espresso limitati risultati.
Nei Paesi Bassi le produzioni in serra sono di grande rilevanza, non tanto per i
10.000 ettari di superficie, sostanzialmente stabili negli ultimi 20 anni, contro i
30.000 della Spagna e i 10.000 della Sicilia, ma per la dimensione delle imprese
che, molto ridotte nel numero, esprimono la produttività più alta del mondo. 10
anni fa l’impresa media disponeva di un ettaro, ora di 2,5.
PAESI BASSI: PRODUZIONI ORTAGGI, FIORI E ORNAMENTALI
PRODOTTI
ETTARI
IMPRESE SPECIALIZZATE
produzioni in serra (greenhouse)
9.205
5.099
ortaggi
4.752
1.516
fiori e ornamentali
3.915
2.791
orticoltura a cielo aperto (in the open)
87.101
10.110
ortaggi
25.339
2.879
bulbi di fiori
24.481
1.551
alberi da frutta
19.769
2.284
alberi ornamentali
17.715
3.261
2.799
1.147
fiori
Fonte: elaborazioni su dati CBS Internationalisation Monitor 2016 II
quanto riguarda il pomodoro, le serre permettono di ottenere 60/70 chilogrammi
al mq con ciclo annuale, con trapianto attorno a Natale e prime produzioni in
marzo, per giungere fino a novembre, mentre nelle serre illuminate si produce
anche tutto l’anno. Viene fatto presente che in Sicilia si attua un ciclo opposto,
in quanto l’estate è troppo calda, pertanto si pianta in agosto e si raccoglie fino a
maggio, mentre nella pianura padana viene seguito il ciclo all’olandese.
I 10.000 ettari di serre sono utilizzati per circa la metà a fiori e piante ornamentali
e per il restante a ortaggi, pomodoro in primis, peperoni, cetrioli, melanzane,
zucchine e lattuga.
Per quanto riguarda i fiori, le produzioni sono di altissima qualità per via degli
alti costi, in quanto le rose di qualità inferiore vengono importate dal Kenia o
dall’Etiopia. Va evidenziato che il mercato dei fiori è molto diverso dal nostro: è
consuetudine acquistarli per uso quotidiano, a prezzi ragionevoli, mentre in Italia le vendite sono legate a specifiche ricorrenze e i prezzi elevati.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
9. I RISULTATI DELL’INDAGINE SVOLTA SU ALCUNI PAESI
Le primissime serre sono state costruite all’inizio del 1900 ed erano utilizzate per
le viti, mentre le altre produzioni si sono sviluppate probabilmente per cercare
produzioni a maggiore reddito. L’investimento nelle serre è elevato: il costo si
aggira sui 150/200 euro al mq e le imprese, oggi, realizzano almeno 4 ettari, con
un investimento minimo di 600.000 euro.
I produttori olandesi esportano avvale dosi di organizzazioni tipo cooperative.
Abbiamo Agro Care, giovane e dinamica società specializzata nella produzione di pomodori, in particolare a grappolo, con sedi nei Paesi Bassi e in Tunisia.
Un’altra struttura è Red Star, ufficialmente una cooperativa, ma di fatto gestita da
due fratelli, con sedi in Inghilterra (per il buy british), oltre che in Spagna e nei
Paesi Bassi, con produzione in 100 ettari di serre, 700 dipendenti in piena stagione
e oltre 9 varietà di pomodori di alta qualità. Sul fronte della logistica, le grandi
strutture come The Greenery hanno una loro gestione diretta, altre si appoggiano
a strutture specializzate come Vema-Trans per i fiori o altre ancora per i prodotti
orticoli. Esistono anche organizzazioni specializzate che costruiscono il pacchetto
su misura e si caratterizzano come intermediari: per esempio ricevono un ordine
dall’Italia, composto di vari prodotti orticoli o ornamentali, hanno i loro fornitori
di riferimento, acquistano e organizzano la consegna.
I margini non sono elevati in quanto i costi di produzione sono molto robusti –
anche se il prodotto a lotta integrata consente di spuntare buoni prezzi – e a tal
fine è stato finanziato un progetto dal Ministero dell’Economia e dalle cooperative per studiare colture più redditizie, tipo la vaniglia. Viene evidenziato che
oramai il pomodoro consumato nel mondo è essenzialmente di serra, con formati
e colori regolari, anche se vi sono studi e ricerche per differenziare le varietà, in
quanto il consumatore gradisce anche il vecchio pomodoro cuore di bue o costoluto. Della produzione orticola, i 2/3 vengono esportati in Germania e nei paesi
più vicini, fra cui l’Italia. Anche la produzione olandese ha risentito recentemente
dell’embargo verso la Russia.
Uno degli obiettivi degli studi è il miglioramento dell’efficienza sia in pieno campo, che in serra, avendo come parola d’ordine la “sostenibilità”. Innanzitutto ci
si propone l’azzeramento entro il 2025 dei consumi energetici, quindi anche delle
emissioni di CO2 (obiettivo che il governo sta finanziando con il programma “La
serra come produttrice di energia”, invece che consumatrice di energie fossili);
poi la riduzione al minimo del consumo idrico (obiettivo di lungo termine: solo 1
litro di acqua irrigua per chilogrammo di prodotto!), il ciclo chiuso integrale, con
azzeramento della dispersione di fertilizzanti nelle acque superficiali e di falda
(già in gran parte realizzato) e l’eliminazione dei pesticidi di sintesi (programma
in collaborazione con la Germania).
Anche la gestione dell’intero ciclo dei rifiuti è all’avanguardia e si ha l’ambizione
di raggiungere un’economia circolare con supporto del governo, tramite il progetto del 2014 “da rifiuti a materie prime”.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI E LINEE GUIDA PER
PICCOLE E MEDIE COOPERATIVE, E IPOTESI DI
LAVORO PER LE ASSOCIAZIONI DI RIFERIMENTO
Queste sintetiche linee guida non hanno la pretesa di essere esaustive, ma di fornire qualche suggerimento alla piccola o media cooperativa che intenda approcciare i mercati esteri. Una parte di questi spunti può essere utilizzata anche per le
relazioni commerciali sul mercato nazionale, più semplici rispetto all’esportazione ma ugualmente caratterizzate da complessità e frequente turbolenza.
10.1. Strategie di profilazione del prodotto e di comunicazione
Il primo passo
L’assunzione di una corretta impostazione mentale può essere considerata il primo elemento a cui prestare la massima attenzione. Adottare una forma mentale
che non sia autoreferenziale e che sia invece il più possibile obiettiva è un esercizio in certi casi difficoltoso, ma anche inevitabile per analizzare con un’ottica
equilibrata i limiti e gli elementi forti della cooperativa, su cui fare leva.
È autoreferenziale il produttore forte estimatore del proprio prodotto, che si
aspetta di incontrare ovunque un atteggiamento analogo e un apprezzamento, e
che non riesce a identificare i motivi di un eventuale rifiuto da parte dei potenziali clienti.
Le indagini svolte hanno ulteriormente confermato che, per fare proposte tarate sulle esigenze dei diversi mercati, occorre passare da un pensiero classico
da produttori italiani a dinamiche di pensiero corrispondenti a quelle del
cliente obiettivo.
Senza andare dall’altra parte del mondo, anche in Europa è evidente che i momenti di consumo alimentare all’interno di una giornata tipo sono in tanti casi
diversi da quelli del nostro paese. E anche i gusti e le preferenze sono differenti,
sulla base di abitudini radicate nel tempo, di aspetti culturali profondi, delle condizioni climatiche, degli stili di vita e di altri aspetti ancora.
Sulla base di queste differenze, nell’ambito dello stesso tipo di vino, in alcuni paesi è prediletto il secco, in altri il morbido, in altri ancora l’abboccato. L’estensione
del bag in box e del brik sugli scaffali passa da percentuali irrisorie in alcuni mercati a quote anche superiori al 35% in altri paesi, e magari a fianco dei frizzanti la
presenza di prodotti analcolici o a ridottissimo grado di alcol (sidro, vino e succo)
è tutt’altro che indifferente.
Si passa poi da paesi in cui le superlative caratteristiche organolettiche della salumeria italiana possono essere valorizzate nell’immancabile banco gastronomia,
ad altri in cui i punti vendita che dispongono di questo banco sono una rarità.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Conoscere e comprendere le differenze culturali di un mercato obiettivo
è ormai un requisito fondamentale. Stili di vita, tradizioni, mentalità,
stereotipi, sono determinanti nelle scelte di consumo.
Il presidente o il dirigente della cooperativa non può affacciarsi a un mercato
senza sapere se questo paese è fortemente centrato sulla comunicazione verbale e
sul contratto (come nel caso del nord Europa) oppure sulla relazione interpersonale (per esempio, in molti paesi asiatici). Non può ritenere corretto approcciare
la questione tergiversando all’italiana, se si trova in paesi orientati ad affrontare
immediatamente il centro del problema.
Una struttura organizzativa
La piccola dimensione di una cooperativa può rappresentare un limite, per esempio in riferimento alla ridotta mole di risorse disponibili.
Ma i pareri raccolti nell’indagine sembrano convergere su una superabilità di
questo limite, se si è in presenza di determinati fattori chiave. Anzi, come vedremo più avanti, una taglia contenuta può essere anche un punto di forza se
intervengono altri requisiti: primo fra tutti una struttura organizzativa adeguata,
nell’ambito delle funzioni commerciali ma non solo.
In altri termini, anche la piccola cooperativa può riuscire a ritagliarsi uno spazio
sul mercato estero, ma deve essere bene organizzata.
L’approccio all’export richiede decisioni relative a clienti lontani, con lingue, abitudini e culture diverse, come sopra si è affermato. Esportare è in generale più
complicato rispetto ad operare sul mercato interno, proprio per la presenza di
barriere di varia tipologia.
Per seguire percorsi decisionali efficaci, è opportuno investire in formazione tecnica, commerciale e soprattutto manageriale, e costruire una seppur ridotta ma
efficiente strutturazione.
Un’organizzazione che consenta di fronteggiare le barriere di mercato,
di dare risposte tempestive, di mantenere un rigore professionale sui
termini di consegna, sulla conformità dei prodotti, sul servizio post-vendita, sull’effettuazione di eventuali adattamenti del prodotto al mercato.
Tutte le fasi operative devono essere fluide e i meccanismi decisionali devono essere velocizzati, altrimenti non si sopravvive in mercati efficienti, come per esempio quelli nord americani o europei.
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Il solo aspetto linguistico può rappresentare un ostacolo reale, e in alcuni casi la
cooperativa è rappresentata esclusivamente dal presidente, che interpreta tutti i
ruoli e deve prendersi cura anche degli aspetti di marketing. Quando la cooperativa non delega ai responsabili di funzione, diventa piuttosto difficile dialogare: questa convinzione è risultata diffusa in molti dei paesi analizzati.
Approcci intuitivi e poco organizzati al mercato non funzionano in aree a forte
competizione, dove il prodotto in sé non è assolutamente sufficiente, ma deve
essere affiancato da altri fattori, in primo luogo un servizio impeccabile.
La compagine sociale
Buona organizzazione ed efficace delega alla dirigenza presuppongono un lavoro di formazione e informazione rivolto al socio. Tra questo e la cooperativa si
dovrebbe mantenere vivo il rapporto umano, per evitare che la relazione si riduca
ad alcuni momenti formali, con il rischio di una lontananza cognitiva ed emotiva.
Occorre verificare la disponibilità dei soci a investire per sviluppare il mercato, anche
se le ricadute economiche non arriveranno subito, spiegando in modo trasparente i
motivi di determinate strategie e i dati su cui si basano le decisioni prese. Decisioni
che potrebbero anche portare ad ampliare il portafoglio prodotti con acquisti dall’esterno, sbloccando la cooperativa dalla sola produzione conferita dai soci.
La dimensione
Si è accennato al fatto che una dimensione contenuta della cooperativa può costituire anche un punto di forza. In effetti, su tanti mercati l’alternativa tra una
azienda piccola e una di grande dimensione vede preferenze crescenti a favore
della piccola, grazie alla percezione di maggior cura, qualità e genuinità.
Non solo: il prodotto tipico italiano è in genere immaginato proveniente da
una piccola azienda tradizionale, e questa attribuzione è per la maggior parte
dei consumatori assolutamente positiva, in termini di attenzione alla qualità, di
buone proprietà organolettiche, di genuinità, ma pure per i valori simbolici e per
una gratificazione emotiva.
Anche il concetto di prodotto locale in tanti casi evoca più una dimensione contenuta del produttore che non un corto raggio di provenienza. Le piccole e medie
cooperative italiane possono insomma vantare una dimensione che risulta per
diversi aspetti attrattiva rispetto alla grande impresa o alla multinazionale.
I trend in corso
Oltre alla tendenza sopra esposta, altri trend in atto vedono una propensione maggiore verso i canali distributivi alternativi, la filiera corta, il rispetto
dell’ambiente e degli animali, i prodotti etici.
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Questi trend naturalmente non coinvolgono la totalità dei consumatori, ma in
buona misura i target più coerenti con le caratteristiche organolettiche e percettive di molti prodotti delle cooperative italiane, soprattutto di quelle con dimensione media o ridotta. Ma occorre evidenziare incisivamente queste caratteristiche.
Tipicità e territorio
Anche il forte legame del prodotto della cooperativa con il territorio rappresenta un vantaggio competitivo nei confronti delle grandi imprese e favorisce
una migliore percezione della qualità. È un vantaggio che va sfruttato appieno,
dato che emerge la ricerca di prodotti legati ai singoli territori e con un buon
contenuto di tipicità.
Si parla di Country of origin effect, per indicare l’impatto esercitato dalla zona
di origine e dalla sua immagine sull’atteggiamento verso il prodotto. La percezione dell’Italia nel caso dei prodotti alimentari è senz’altro positiva, e quella
italiana resta una delle cucine maggiormente apprezzate. Gli aggettivi attribuiti
dai consumatori ai prodotti italiani sono: freschi, colorati, buoni, gustosi, semplici, di qualità.
Una piccola o media cooperativa può avere qualche carta in più per porre
correttamente in evidenza la propria vicinanza ai concetti di tipicità e
caratterizzazione territoriale italiana.
Inoltre, una provenienza indicata con precisione è giudicata positivamente,
perché accresce la sensazione di garanzia e riduce il timore che la produzione
sia avvenuta dove i costi sono inferiori. È per questo che l’indicazione della
regione italiana di provenienza può favorire una fiducia ancora superiore,
soprattutto oggi che i consumatori di molti paesi iniziano a conoscere la carta
geografica dell’Italia.
Accentuare il significato della tipicità genera nel consumatore una gratificante
percezione legata alla rappresentazione della cultura e delle tradizioni di un’area precisa.
Se il legame tra prodotto e territorio è stretto e il territorio gode di positiva fama,
allora la cooperativa dovrebbe fare il possibile per evidenziare questo link (sul
sito, sulle confezioni, ecc.); se invece il legame del prodotto al territorio è piuttosto lento e il territorio è ben conosciuto, la cooperativa dovrebbe stringere questa
associazione, magari partecipando a iniziative di marketing territoriale e affiancando le organizzazioni e le istituzioni del territorio stesso.
Diversa è la situazione in cui il territorio sia poco conosciuto: se il prodotto è strettamente legato a questo territorio, la cooperativa dovrebbe fare il possibile per
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
stimolare le imprese a realizzare combinazioni di iniziative con produttori di altri
settori che insistono su quel territorio e con gli enti che promuovono il territorio
stesso nella sua interezza; se la percezione del prodotto è invece sostanzialmente
svincolata dal vissuto del territorio, allora conviene che la cooperativa realizzi
strategie proprie, in un certo senso avulse dal territorio a cui appartiene.
STRATEGIE OPPORTUNE IN BASE ALLA NOTORIETÀ DI CUI GODE IL TERRITORIO E
ALL’INTENSITÀ DEL LEGAME FRA PRODOTTO E TERRITORIO
INTENSITÀ DEL LEGAME FRA PRODOTTO E TERRITORIO
NOTORIETÀ DEL TERRITORIO
DIFFUSA E POSITIVA
SCARSA
FORTE
Stringere il legame per
mezzo di partecipazioni
a strategie di marketing
territoriale
Evidenziare il legame (sito,
confezioni, ecc.)
Realizzare strategie
proprie, avulse dal
territorio
Stimolare iniziative con
produttori di altri settori e
con gli enti che
promuovono il territorio
SCARSAMENTE DIFFUSA
La valorizzazione della cooperativa
Sono molteplici i valori potenziali che una cooperativa può cercare di valorizzare
sui mercati esteri, corrispondenti a trend esistenti nel consumatore.
La cooperativa rappresenta il territorio, testimonia una solidarietà fra produttori,
si identifica con tante piccole aziende agricole radicate nel territorio. Estendendo
il concetto, le cooperative possono rappresentare l’espressione reale del Made
in Italy.
Prendendo spunto dai messaggi comunicati all’Expo, la piccola e media cooperazione italiana può inserirsi sulle tematiche della sostenibilità ambientale,
affiancando la valorizzazione di tradizioni e di cultura rurale ai concetti di immedesimazione e partecipazione. È una sorta di barriera al sempre più diffuso
“greenwashing”, marketing ecologico di facciata, per acquisire una reputazione
ecologica senza incidere realmente sul’ambiente.
Sempre potenzialmente, le cooperative possono avere tra i punti di forza una
fidelizzazione basata non solo su garanzie fredde come le certificazioni (che comunque risultano importanti nell’ufficializzare i vari plus), ma anche su garanzie
emotivamente coinvolgenti.
Su un piano più razionale e riferendoci al cliente intermedio (il distributore, l’importatore), la cooperativa italiana deve puntare sulla valenza della tracciabilità,
sulle garanzie di controllo di tutta la filiera, sulla continuità del portafoglio prodotti nel tempo, sulla vicinanza alla produzione.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Un interessante valore da comunicare è quello che questo gruppo di produttori
può curare e seguire il proprio prodotto fin dall’origine, in un’ottica di corrispondenza tra la zona di lavorazione e quella di produzione agricola o zootecnica.
La qualità intrinseca
Nulla relega comunque a un ruolo di secondo piano il requisito della qualità organolettica, che resta fondamentale.
In sintesi, il profilo di prodotto che la cooperativa presenta al mercato deve condensare in sé una serie di caratteristiche: proviene da solidi valori etici; è un prodotto tipico, genuino e tradizionale; contemporaneamente, è coerente con l’obiettivo della sostenibilità a lungo termine; da ultimo ma assolutamente non meno
importante, presenta parametri organolettici di eccellente qualità.
Deve cioè essere assicurata una buona qualità del prodotto all’arrivo,
altrimenti, un concorrente di pari o superiore qualità sarà preferito,
anche in presenza di minori valenze di origine, etica, tradizione.
E qui possono intervenire precise politiche di incentivazione dei soci conferenti in
direzione di un livello di qualità buono e continuo nel tempo.
Strategie nei confronti dell’Italian sounding
Dopo aver considerato i valori potenzialmente comunicabili al mercato, occorre
affrontare il tema delle strategie e delle modalità di comunicazione da adottare.
Prima, però, conviene dare un’occhiata alla problematica dei prodotti di imitazione, che caratterizza la maggioranza dei mercati esteri.
Una quota rilevante di Italian sounding è attribuibile ai prodotti che richiamano la cucina italiana, diffondendo implicitamente un apprezzamento dell’origine
italiana, in modo trasparente e leggibile dal consumatore. È una importante opportunità che le aziende italiane possono sfruttare, valorizzando le caratteristiche di qualità del proprio prodotto, evidenziando il concetto di italiano autentico, comunicando un’atmosfera e una cultura alimentare realmente italiana.
Si può fare leva sul fatto che, nella maggior parte dei casi, nella percezione del
consumatore si trova una delimitazione piuttosto chiara fra un’origine italiana e
il richiamo a una ricetta o a uno stile italiano.
Maggiori sono le caratteristiche distintive del prodotto della cooperativa, più
elevate saranno le probabilità di seguire questo diffusore di emozioni italiane.
Magari, cercando di diffondere una percezione di insostituibilità. Occorre naturalmente spiegare con chiarezza le motivazioni per cui il prezzo è superiore.
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Più difficile è sottrarre spazio ai prodotti corrispondenti all’Italian sounding equivoco e non trasparente, perché il passaggio all’autentico italiano avverrebbe in
un contesto poco fluido e soprattutto perché una quota importante di consumatori slitterebbe all’autentico italiano solo in determinate occasioni, oppure non
slitterebbe affatto perché troppo complicato da raggiungere (nel caso di ridotta
penetrazione nei canali di vendita), o perché troppo costoso per il suo potere
economico.
Una delle più frequenti barriere all’acquisto del prodotto autentico è infatti costituita dal prezzo; anche se si motiva efficacemente la superiorità di prezzo, molti
consumatori riterrebbero comunque troppo costosi i prodotti tipici italiani per
poterli comprare ogni giorno. Questo rappresenta un indubbio freno, un fattore
di compressione dei volumi potenzialmente vendibili. Per la piccola o media cooperativa, tuttavia, i volumi in questione potrebbero comunque essere sufficienti
per stimolare la formulazione di una corretta strategia di ingresso.
Strategie di comunicazione
Ci sono obiettive difficoltà nel conquistare uno spazio di mente adeguato e nel
diffondere le dovute conoscenze sulle caratteristiche del prodotto, sulle modalità
di impiego, ecc.
Si può insegnare al consumatore come apprezzare e come distinguere il prodotto
da denominazioni abusive, da contraffazioni o semplicemente da prodotti imitativi di qualità inferiore. Ma una vera e propria simmetria informativa è impensabile, è un traguardo irraggiungibile anche per strategie istituzionali. Si può
però migliorare il livello di conoscenza dei consumatori e ci sono strategie che
anche la piccola cooperativa può attuare.
Occorre comunicare in modo incisivo, anche solo attraverso il sito e il packaging,
i fattori che possono alzare la qualità percepita del prodotto (la tipicità, l’ambiente
di produzione, i valori simbolici, ecc.).
È quindi importante che la cooperativa dedichi impegno a curare la confezione e
l’etichetta, al di là di quelle che sono le indicazioni normative. Anche presentando
al mercato l’identità dei singoli produttori.
L’obiettivo non è soltanto quello di informare, ma di creare emozioni. Il prodotto deve essere arricchito con simboli e immagini, per raccontare la storia, il
territorio, le origini, le tradizioni. Questo non vale solo per la confezione, ma a
maggior ragione per il sito web, per la partecipazione a fiere, per le occasioni di
comunicazione personale.
Anche utilizzando i mezzi che internet rende oggi disponibili, si deve incentivare
la visita da parte di clienti e di testimoni privilegiati. È un’occasione in cui si può
fare una comunicazione coinvolgente, nell’ambito di un rapporto diretto. Un’oc-
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
casione che può coincidere con periodi di soggiorno di potenziali clienti in Italia
per scopi turistici o di business. Le strategie di incoming consentono al visitatore
di verificare di persona la bontà del processo produttivo, dell’ambiente di produzione, ecc.
La cooperativa può poi partecipare a iniziative in cui si possono degustare prodotti di una certa area, o ad altre iniziative del genere.
Pure le fiere sono un momento di incontro e scambio importante per conoscere i
mercati, per incontrare operatori e consumatori, per controllare la concorrenza.
La partecipazione deve essere però ben preparata, con un piano che consenta di
approfondire i rapporti avviati.
Il sito web
Anche le imprese più piccole, con internet, hanno la possibilità di comunicare
con i mercati internazionali. È necessario disporre di un sito aziendale efficace,
chiaro, ricco di informazioni e di immagini, ben curato e sempre aggiornato.
Il sito rappresenta un’importante vetrina, per cui la traduzione in più lingue può
essere importante per acquisire visibilità, ma è anche impegnativa. Può essere
sufficiente l’utilizzo dell’inglese come lingua franca. In fondo, è l’inglese che
vanta il primato tra le persone che parlano una lingua diversa dalla propria: il
95% del business internazionale avviene in inglese.
Ma occorre evitare che la versione inglese sia una traduzione letterale se non meccanica della pagina italiana, senza utilizzare nessun adattamento nella lingua di
arrivo. Tradurre un sito significa anche utilizzare parole chiave che permettano di
posizionarsi bene all’interno dei motori di ricerca.
La scelta dell’area
La scelta del paese deve essere affrontata con molta attenzione, valutando opportunità e minacce dei paesi a cui si sta pensando, anche al fine di non trovarsi
troppo esposti a situazioni problematiche o a clienti poco solvibili.
In riferimento agli aspetti commerciali e di marketing, la cooperativa che intende
avviare l’export di un suo prodotto si trova di fronte all’alternativa fra un mercato lontano (non ci si riferisce solo alla distanza geografica) e uno più vicino.
Per vicinanza intendiamo, per esempio, la presenza di almeno una delle seguenti
caratteristiche:
• una discreta conoscenza del prodotto che si vuole esportare, la quale implica
una maggiore abilità nel riconoscerne ed apprezzarne la qualità;
• un modello alimentare non troppo dissimile da quello italiano, stili di vita
comparabili, contesti culturali non troppo diversi;
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
• la presenza di significativi segmenti di consumatori aperti al mondo e affluenti;
• una diffusione ormai consolidata del prodotto che si intende esportare, in
quanto da tempo altri operatori lo hanno reso disponibile;
• una produzione interna con caratteristiche simili.
Alla vicinanza, così come la abbiamo definita, corrisponde solitamente un mercato accessibile con difficoltà più contenute, per esempio perché la similitudine
della cultura alimentare crea un terreno più ricettivo e la possibilità di dialogare
sullo stesso piano; oppure, perché non si deve affrontare la difficile fase di introduzione di un concetto di prodotto nuovo.
Nello stesso tempo, tuttavia, spesso ci si scontra con barriere distributive, commerciali e di marketing. Queste barriere possono essere collegate a un sovraffollamento, a una competizione spesso molto accesa, a un processo di selezione forte
(come avviene a Londra), per cui diventa difficile trovare importatori disponibili
a trattare il prodotto, se questo non ha delle specificità pronunciate.
Se è robusta la produzione locale (come nel caso dell’ortofrutta in molti paesi
europei), il consumatore tenderà a privilegiare il prodotto del luogo, anche per
sostenere l’economia; ovviamente, di quello estero si apprezzeranno le specialità.
Un mercato con caratteristiche di lontananza è un terreno solitamente più vergine, ma che può presentare ostacoli di notevole spessore, per esempio in riferimento a normative poco delineate ed estremamente mutevoli, oppure ad usi e
consuetudini che possono risultare sorprendenti.
Tra le tante barriere da considerare, rientra quella linguistica. Ci sono alcune lingue che per la loro profonda diversità rendono alquanto difficile qualsiasi forma
di dialogo, in quanto caratterizzate da differenti regole fonetiche e semantiche.
Anche le diversità nelle modalità di comunicazione possono condizionare la relazione: la rapidità del discorso, l’enfasi nel parlare e nell’ascoltare, ecc. Una non
corrispondenza di alfabeto può costringere ad adottare strategie di branding e
naming apposite.
Occorre poi ponderare attentamente le variabili sociali e politiche, oltre a quelle
specifiche sulla domanda del prodotto che si intende esportare. Per esempio, nel
settore alimentare il Regno Unito si colloca sul 55% dell’autosufficienza, ma con
l’uscita dall’Unione Europea potrebbero emergere nuove barriere commerciali e
ostacoli non tariffari, oltre che condizioni oggi difficili da prevedere.
È quasi superfluo evidenziare che, in riferimento alla mappa sotto riportata, occorre prestare particolare attenzione al quadrante 3. Ma non sono molti i mercati
qui collocati: sono solitamente quei paesi che, per qualche avvenimento politico o
sociale, hanno da poco abbattuto una parte importante delle barriere normative,
diplomatiche, ecc. Oppure, sono i paesi che stanno vivendo un’accelerazione nel
processo di avvicinamento alla cultura e allo stile di vita occidentale.
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Nella scelta dei paesi, non è da trascurare anche l’esistenza di alcuni gangli interessanti che consentono di conquistare aree più vaste. Per esempio, il mercato danese rappresenta un punto critico per iniziare una prima penetrazione commerciale nel mercato del nord Europa. Gli importatori di Hong Kong sono impiegati
come chiavi di accesso al mercato cinese. I Paesi Bassi possono svolgere un ruolo
di ponte per andare ben oltre il mercato europeo. Il Sudafrica è una importante
porta di ingresso in diversi mercati africani.
La fase di introduzione
Poste tutte queste premesse, è evidente che capire il paese e il suo contesto è il primo fondamentale passo: conoscere le differenze linguistiche e culturali, i parametri socio economici, le abitudini alimentari, le barriere all’entrata, la consistenza
della produzione locale, ecc.
Sotto l’aspetto operativo, specialmente per molte imprese agroalimentari di ridotte dimensioni, la strategia di ingresso in un nuovo mercato passa per lo step della
partecipazione a fiere internazionali e/o per la ricerca di intermediari.
In diversi casi, la ristorazione è una chiave di accesso per diffondere la conoscenza del prodotto. È un canale che non si deve trascurare, ma nemmeno sopravva-
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
lutare. È vero che la presenza di ristoranti italiani è favorevole per entrare in un
mercato, ma occorre prima fare una stima di quanto questi esercizi utilizzano il
prodotto realmente italiano.
Per l’importatore o il distributore estero, l’introduzione di un nuovo fornitore
avviene in tanti casi con una sorta di test introduttivo, con presentazioni e degustazioni. Se la cooperativa non ha mai affrontato problematiche relative all’export, potrebbe essere determinante il supporto di una struttura di sostegno, di un
consorzio o di un altro organismo associativo.
Il produttore deve essere disponibile alla fornitura iniziale di piccoli quantitativi e deve anche essere disposto ad apportare eventuali accorgimenti e adattamenti, se si renderanno necessari, al fine di posizionarsi correttamente sul mercato.
Una volta identificato un posizionamento, infatti, è difficile e costoso cambiarlo.
Si veda il vino Lambrusco, conosciuto nella maggior parte dei mercati esteri, ma
con una percezione da basso prezzo, mentre il Prosecco viaggia su prezzi ben
più elevati.
Il portafoglio prodotti
Come già accennato, ogni cooperativa deve trovare di volta in volta il corretto
posizionamento tra le classiche due alternative che riguardano l’ampliamento del
mercato all’estero: adattare il prodotto alle esigenze di ogni paese con opportune
modifiche, oppure mantenerlo immutato limitandosi a intervenire solo sulle caratteristiche che per normativa devono essere adattate.
Quando si parla di adattare il prodotto non si intende snaturalizzarlo rispetto
alle sue vesti tradizionali, ma intervenire sul packaging, sulla pezzatura, sul
contenuto di servizio, sui modi di proporlo, ecc. Sono tutti parametri in riferimento ai quali occorre cercare di trovarsi il più possibile in sintonia con le attese
del mercato. Si può insomma adattare il prodotto ai differenti stili di consumo e
di utilizzo, senza comprometterne la filosofia e la qualità.
Una standardizzazione consente un abbassamento dei costi di produzione, mentre adattarsi alle esigenze del singolo paese implica una tendenziale maggiore
soddisfazione del cliente ma nel contempo un incremento dei costi, per cui può
essere ragionevole seguire questa via solo se la domanda è piuttosto grande, oppure quando un mercato è ritenuto importante, e senza una sorta di personalizzazione diventerebbe inconquistabile. Per esempio, ci sono paesi che richiedono
una carne più grassa e saporita rispetto a quella gradita al consumatore italiano.
In certi casi, i margini di crescita sono maggiormente legati a prodotti diversi da
quelli ritenuti storici dai soci, per i quali l’attenzione al prezzo è troppo spinta.
Nei punti vendita di alcuni paesi, per esempio, colpisce l’estensione riservata alla
pasta senza glutine.
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Per raggiungere nuovi mercati, si deve poi prendere in esame anche la leva della
produzione per private label, dato che queste erodono progressivamente le quote
dei marchi del produttore. Si assiste peraltro alla creazione di nuovi marchi del
distributore con un posizionamento ben più elevato rispetto al passato.
Con la produzione per private label ci si espone al problema della facile sostituibilità ma si possono ottenere margini soddisfacenti, dato che solitamente si tratta
di grandi volumi.
Ma la private label su un prodotto tipico italiano, a volte, rende meno intensa la
percezione della reale provenienza italiana, e l’immagine del prodotto è meno
delineata.
10.2. Strategie commerciali e di relazioni con il mercato
Alcune osservazioni relative al rapporto con il mercato
Le cooperative stanno reagendo meglio delle altre aziende in questa critica fase
economica, infatti:
• sono impegnate a ritrovare ogni spazio per mantenere una buona remunerazione del socio, anche del più debole e in questo la pratica della mutualità le aiuta;
• sono più vicine al prodotto;
• esprimono maggiore concretezza e meglio di altri sanno motivare i prezzi
con le variazioni (positive o negative) del costo della materia prima.
Dopo anni di attenzione dedicata soprattutto all’estero, anche le cooperative riprendono interesse al mercato italiano, in considerazione pure del leggero recupero dei consumi nella seconda metà del 2015.
Quelle tra le minori più efficienti e flessibili si stanno muovendo bene sul mercato
domestico, ma sono naturalmente gracili e qualora perdano un buon cliente corrono il rischio di sbilanciarsi ed entrare in seria difficoltà.
Sotto l’aspetto del servizio (gestione ordini, consegne, ecc.) le piccole cooperative
sono nella maggior parte dei casi meno efficienti delle grandi aziende (cooperative incluse) in quanto meno strutturate e organizzate.
Il loro pricing non le rende sempre appetibili e concorrenziali.
Il prezzo non è, infatti, un punto di forza, ma d’altra parte riescono a ben argomentarlo in quanto, esprimendo buona conoscenza della loro parte di filiera
e del processo produttivo, lo pongono maggiormente in relazione ai costi della
materia prima e di lavorazione e lo sfrondano da numerose voci non strettamente
collegate agli ambiti produttivi. E questo viene apprezzato da numerosi retailer.
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Non riescono però a comunicare e raccontarsi adeguatamente, anche se, comprensibilmente, sui temi della loro comunicazione (un mix di valori, quali la qualità della materia prima e organolettica, la cura del prodotto, la sua salubrità, il
legame profondo con il socio e con il territorio, il controllo stretto della propria
quota di filiera) vi è da ricercare ed approfondire alquanto.
Raccomandazioni relative a canali e prezzi
Per porsi in condizione di competere adeguatamente, la cooperativa di minori dimensioni è necessario che presti attenzione, tra l’altro, al rapporto con i soci, alle
modalità di governarsi e a quelle di presentarsi sui mercati.
Va ricercata la massima efficienza nella gestione per rendere fluidi gli aspetti
organizzativi, soprattutto al fine di essere in grado di offrire risposte rapide e
soddisfacenti ai clienti (evasione ordini, trasporti, ecc.) ed in particolare va sviluppato un ancor più puntuale controllo dei costi, sia per contenerli, quando possibile, sia per allocarli nei giusti centri di competenza, disponendo così di situazioni puntuali sui costi dei prodotti e sulla loro composizione.
Senza una visione chiara e condivisa tra le diverse funzioni aziendali del rapporto con il mercato, si navigherà a vista, alla ricerca di volta in volta di spazi di
manovra e di opportunità da cogliere, convinti pure di risparmiare sui necessari
investimenti in area commerciale, mentre alla fin fine si saranno impegnate più
risorse rispetto a quelle richieste da un’allocazione ben programmata.
Mettere a fuoco obiettivi e strumenti, partendo dalla piena consapevolezza del
valore e caratteristiche della propria offerta, è tanto più opportuno quando si
approcciano quei canali e quelle nuove aree che richiedono scelte meditate ed
investimenti dei cui ritorni si beneficerà soltanto nel medio periodo.
Anche la cooperativa minore dovrà, quindi, dedicare risorse aggiuntive al marketing e alle vendite, non privilegiando in modo esclusivo gli ambiti produttivi. È
una cultura nuova che deve permeare l’azienda, una cultura che, pur mantenendola ben radicata nel territorio e nel rapporto con gli ambiti produttivi, la veda
accendere i riflettori sui valori immateriali dell’offerta, sulle migliori tecniche
di gestione dei clienti, sulle modalità di comunicarsi.
Per la cooperativa minore diviene un fattore non soltanto di successo, ma talvolta
di sopravvivenza riuscire a svincolarsi, grazie alla propria offerta e alla scelta di
ben definiti canali, dalla battaglia sul prezzo. Ciò al fine di ottenere ricavi unitari
più elevati, che consentano di superare lo svantaggio dovuto alla impossibilità,
implicita nelle ridotte dimensioni, di conseguire le necessarie economie di scala.
Una struttura con costi generali e costi fissi di lavorazione e commercializzazione
riversati su volumi esigui e di valore unitario risibile avrà, infatti, sempre difficoltà a sostenersi.
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Anche nelle Dop e Igp, oltre a curare nel migliore dei modi la qualità,
i materiali e la grafica della confezione, si dovrebbe osare,
andare oltre gli standard dei disciplinari, per ottenere prodotti esclusivi
e carichi di valore aggiunto.
È un’operazione tutt’altro che semplice. Si tratta infatti di riuscire, da una parte
a individuare prodotti vincenti, in sintonia con le attese di precisi segmenti di
consumatori, ma specialmente di ottenere le necessarie autorizzazioni dai consorzi di tutela.
In particolare nelle grandi Dop, mantenendosi legati agli standard o non differenziando in qualche modo il prodotto, per i piccoli produttori non c’è molto
spazio di manovra e si corre il rischio di vedere il prezzo tendere verso il costo
dei produttori o commercializzatori di grandi dimensioni. Il prodotto si propone
così, pur in ambiti premium, come una commodity, di conseguenza il gioco competitivo si orienta soprattutto sui costi e sulle economie di scala e qui i produttori
minori escono perdenti nel confronto con i player di maggiore taglia.
Circa il prezzo, nella misura in cui si riesce a creare una cesura con il costo, andrà
configurato in relazione all’apprezzamento che i diversi mercati, i diversi segmenti di consumatori esprimono.
Si deve però considerare che sul mercato domestico, in particolare laddove vi è
buona copertura distributiva, trasparenza e i clienti sono in grado di realizzare
efficaci rilevazioni e confronti, la cooperativa si impegnerà per politiche di pricing trasparenti e lineari, mentre soprattutto nei mercati esteri in cui la presenza
è più a macchia di leopardo e, in ogni caso, laddove le possibilità di confronto
si attenuano, disporrà di maggiori margini di manovra e potrà esprimere un
pricing più tattico.
Con riferimento al mercato italiano, si è osservato che i gruppi distributivi apprezzano nelle piccole cooperative la propensione verso il prezzo netto, non
appesantito da caricamenti che in fase di trattativa vanno annullandosi attraverso
sconti, premi di fine anno o altre concessioni contrattuali, apprezzano quindi la
trasparenza e la semplicità della loro offerta.
Ciò non significa che i listini debbano essere del tutto correlati al costo industriale
del prodotto, ma che è preferibile non gonfiarli in modo artificioso per sostenere
il confronto contrattuale. I valori anche immateriali dell’offerta possono essere,
perciò, giustamente accolti dal listino, ma debbono essere riconosciuti e apprezzati dai destinatari a cui prioritariamente si indirizzano.
E questi valori, per venire pienamente apprezzati, saranno in sintonia con il vissuto della piccola realtà sociale, radicata nel suo territorio.
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Poi, vi sono regole da rispettare in ogni settore, come, in quello del vino, il presentare, per canali distributivi diversi, etichette alternative e prezzi ben differenziati
riferiti a prodotti in buona misura simili.
Non tutti i clienti, sia nel mercato domestico che in quello estero, esprimono lo
stesso interesse per ogni tipo di offerta, è perciò opportuno che la cooperativa valuti quelli che sono in grado di meglio apprezzare la propria proposta e di conseguenza remunerarla adeguatamente, senza stressare troppo sul versante prezzo.
In linea di massima, le catene di discount, che in questa fase sono le più performanti e quelle della più importante Gdo non sono da assumere come obiettivi
prioritari.
Il cliente che approccia il discount molto probabilmente non sta ricercando una
esperienza d’acquisto costruita sui valori di cui è portatrice la piccola cooperativa,
mentre il rapporto con le seconde si basa spesso su strutture contrattuali complesse, su contributi, su logiche finanziarie che i piccoli fornitori non sempre sono
in grado di gestire al meglio. È, perciò, preferibile evitare di investire in listing
pesanti, correndo il rischio di venire poi dereferenziati in breve tempo.
In ogni caso, qualora la cooperativa approcci insegne della Gdo a dimensione
nazionale o internazionale, alcune delle quali stanno iniziando a dare spazio ai
piccoli fornitori e al prodotto locale, cercherà di accreditarsi con cautela, partendo
dai punti vendita più prossimi.
E con riferimento ai diversi format si evidenzia che in Italia i superstore e i piccoli
negozi a libero servizio (questi secondi pur con costi di gestione elevati) stanno
rispondendo sufficientemente bene in questa fase economica delicata. Mentre gli
iper vivono un periodo molto complesso e l’alternativa principale per loro pare il
downsizing.
Rispetto alla cooperativa di taglia superiore, quella minore con i clienti può
sviluppare un rapporto più fluido, più intenso e offrire risposte veloci: in questo
l’organizzazione essenziale aiuta.
Per quanto concerne gli altri canali distributivi, ogni cooperativa farà le proprie
scelte in base alle esperienze maturate, ai rapporti in essere, al programma di lavoro che intende realizzare.
Ve ne sono però alcuni che possono considerarsi più in sintonia con le cooperative
minori in quanto richiedono gestioni contrattuali più semplici, le loro dimensioni
consentono un approccio sulla base di rapporti di forza più equilibrati, permettono di giungere più direttamente al consumatore o utilizzatore finale.
Si tratta dei GAS (Gruppi di Acquisto Solidali), dell’e-commerce, della vendita
diretta gestita in propri spazi.
Chiaramente la quota di mercato attribuibile a questi canali è piuttosto contenuta,
in media non supera il 5%. Quindi nella maggioranza delle situazioni le cooperaStrategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
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tive non possono limitarsi ad essere attive soltanto su questi, ma devono ampliare
lo spettro ad altri. Si tratta però di canali in crescita e la presenza su almeno uno
di essi andrebbe prevista.
La vendita diretta può offrire buone soddisfazioni, ma va valutata con attenzione, non come avveniva con il vecchio spaccio, investendo per l’allestimento dello
spazio di vendita e per una buona formazione del personale; inoltre si devono
gestire con accortezza l’assortimento, l’ampiezza, la profondità e la coerenza dei
prodotti acquistati con i valori espressi dalla cooperativa.
Numerose cooperative considerano l’e-commerce un canale di indubbio
interesse, ma veramente poche stanno investendo in misura apprezzabile.
Al più si inserisce qualche applicazione all’interno del sito che consente di presentare il catalogo, il listino, di raccogliere gli ordini e gestire le modalità di pagamento, poi si effettuano le consegne avvalendosi di corrieri. E i risultati non
sempre esprimono volumi elevati.
Altre cooperative considerano invece l’e-commerce come la mera cessione del prodotto a piattaforme dedicate che assemblano prodotti di un territorio (ad esempio,
una regione) o di un settore (di frequente i vini), quindi come un canale che, senza
particolare impegno, può consentire di spuntare qualche vendita in più.
Riflessioni e soluzioni di più ampio respiro al momento non si riscontrano facilmente, mentre potrebbe essere questo un ambito in cui lavorare in prospettiva,
vedendo coinvolti gruppi di piccole cooperative all’interno di strutture societarie
promosse anche dalle Centrali.
È certo, infatti, che lo sviluppo pieno di attività di e-commerce comporta
investimenti seri, competenze robuste su più versanti e capacità di
gestire le evoluzioni che un ambito così nuovo e dinamico richiede.
Certamente la cooperativa non può dedicare le proprie attenzioni ai soli GAS,
però, sviluppando attorno ad essi competenze e specializzazioni organizzative,
può ritrarre buone soddisfazioni a livello nazionale e estero.
Sussistendo le necessarie condizioni, la media distribuzione italiana non di rado
tende a privilegiare il fornitore locale e medio piccolo, quindi anche la cooperativa minore. Vi è, infatti, il convincimento che così si crea ricchezza nel territorio,
che viene riversata pure nei punti vendita delle catene stesse.
Poi, la dimensione del fornitore assume valenze diverse con riferimento ai settori
merceologici: si privilegia il fornitore minore in alcuni, mentre in altri (vedi libero
servizio confezionato) non si può prescindere dalla grande azienda. In particolare si concede spazio al fornitore minore in tutte le situazioni (panetteria, pasticceria, formaggi, carni, salumi, ecc.) nelle quali si ritrova valore aggiunto per il tipo
di lavorazione e per l’aderenza alla tradizione locale.
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Per elevare la distintività dell’insegna, ad esempio nella carne bovina, ci si può
affidare al piccolo macellatore in grado di proporre tagli e lavorazioni particolari,
mentre nel Parmigiano Reggiano si va alla ricerca di ben determinate matricole di
caseifici e non ci si rivolge ai soli grandi stagionatori.
Il piccolo fornitore locale non di rado rappresenta una delle armi su cui un
gruppo distributivo di medie dimensioni può fare leva per fronteggiare i grandi retailer, che raramente sono in grado, per struttura organizzativa e cultura
aziendale, di calarsi adeguatamente nel rapporto con la cultura del territorio. Il
prodotto proposto come locale, correttamente miscelato nell’assortimento, spesso
esprime una buona rotazione e migliora le prestazioni del punto vendita.
Inutile sottolineare che per le cooperative attive in ambito biologico un canale di
indubbio interesse è rappresentato dalle sempre più numerose catene specializzate che stanno sviluppandosi in Italia come in tantissimi altri paesi (da NaturaSì, Almaverde Bio Market, CuoreBio in Italia, fino all’olandese Ekoplaza e alla
polacca Organic Farma Zdrowia, recentemente passata sotto il controllo di Ecor
- NaturaSì).
Sarà poi cura della cooperativa ricercare clienti la cui dimensione degli ordini non
la sbilanci, creando difficoltà alla capacità di evaderli.
Un’ultima annotazione, che scaturisce dai colloqui svolti nel corso dell’indagine,
riguarda l’impegno ad improntare il rapporto con i gruppi distributivi storicamente e culturalmente più vicini, quali Coop e Conad, ad un maggiore livello di
fiducia, superando diffidenze che in alcuni casi si riscontrano. E quindi aprirsi
ancora di più al confronto, valutando gli stimoli e i suggerimenti che questi clienti
talvolta propongono.
Al di là della scelta dei canali, assumono notevole rilievo le modalità di gestione
dei clienti stessi, da improntare ad un buon livello di professionalità e a tempi di
risposta veloci e in ciò le cooperative minori, pur favorite da un’organizzazione
per forza di cose più semplice e flessibile, non sempre riescono a rendere più fluidi i percorsi decisionali anche in ambito commerciale, dove non di rado la parola
ultima è posta in capo al consiglio di amministrazione.
Aspetti organizzativi
Per ottenere i risultati migliori nella relazione con il cliente sarà utile fare leva su
una specializzazione dei ruoli, su una più spiccata professionalità, che oggi non
paiono potersi includere tra i punti di forza delle piccole cooperative. Quindi,
possono essere necessari interventi organizzativi e formativi che consentano al
personale commerciale di gestire al meglio tutti gli aspetti che, partendo dalla
rigorosa definizione del portafoglio prodotti e delle strategie di canale, giungano
a mettere bene a fuoco i canoni di una efficace gestione relazionale e contrattuale
del cliente.
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
Sintesi dei risultati dello studio svolto nel 2015-2016 e linee guida
10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Ma è altresì importante continuare ad esprimere persone eclettiche, flessibili, con
una visione ampia della realtà aziendale, che sappiano giocare più ruoli, quando
necessario. Per questo aspetto e per la buona conoscenza della loro filiera, dei
processi di coltivazione, di allevamento, produzione e lavorazione le cooperative
minori stano ritrovando l’apprezzamento dei loro interlocutori. E più che mai
dovrebbero, quindi, essere vissute come le botteghe artigiane di un tempo.
Poi, in alcune situazioni la cooperativa può scegliere di non investire direttamente in area commerciale, concentrandosi sul versante produttivo. In questo modo
dedica le energie e le risorse ad ottimizzare questo ambito, conferendo o vendendo il prodotto a strutture preposte ad interfacciarsi con il mercato.
Secondo alcuni intervistati, è una scelta del tutto condivisibile, anzi in alcuni settori
come il vino e in determinate situazioni, quasi obbligata, in quanto la realtà di minori dimensioni sia per i maggiori costi produttivi dovuti ai ridotti volumi lavorati,
sia per i volumi non sempre a dimensione dei maggiori clienti italiani ed esteri, non
sono nelle condizioni di competere con i competitori di più robuste dimensioni.
In questo caso, i ricavi unitari saranno certamente inferiori rispetto a quelli che
si ottengono interagendo direttamente con il mercato, i clienti, i consumatori, ma
si sarà risparmiato non poco, avendo azzerato o quasi i costi della gestione commerciale e avendo delegato a strutture maggiori, che esprimono buone economie
di scala, la lavorazione o l’imbottigliamento del prodotto.
Ci si colloca così in un’ottica che delega a terzi l’intelligenza di mercato, ma che
può offrire ritorni soddisfacenti ai soci, soprattutto se ben meditata e resa coerente nel tempo.
I rapporti con i mercati esteri
Nei rapporti con l’estero, ancora di più rispetto a quelli che si
intrattengono sul mercato domestico, si rivela importante costruire
programmi di lavoro ben strutturati. Ci si trova, infatti, in situazioni
meno sperimentate e consolidate, per cui la determinazione di linee
guida aiuta a tenere la barra in equilibrio.
Senza scelte chiare circa i paesi, i canali, gli intermediari (importatori ed agenti), le risorse da dedicare, ecc. si naviga a vista. Si possono ottenere risultati nel
breve, ma successivamente sarà indispensabile costruire un programma di lavoro
ben definito, un piano marketing che fissi degli obiettivi rapportati ad un tempo
preciso per il conseguimento.
Gli obiettivi saranno misurabili, verificabili e possibilmente riproducibili. Oltre
agli obiettivi, all’indicazione dei canali da privilegiare, ai possibili volumi e prezStrategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
zi, sarebbe opportuno mettere in evidenza anche i fattori critici di successo, i punti di forza e di debolezza, osservando le best practice dei migliori concorrenti.
Per quanto riguarda gli obiettivi, è utile suddividerli su due fasi temporali, a breve termine e a medio/lungo termine.
L’acquisizione del primo cliente può essere frutto di una casualità, di un contatto
occasionale, strada facendo, però, la cooperativa deve razionalizzare i percorsi
di crescita, compiere scelte meditate e precise, non proponendosi a 360° in ogni
parte del mondo, rincorrendo potenziali clienti o cercando di dare risposte alle
tante richieste che possono pervenire sui suoi tavoli.
È opportuno fare le giuste scelte rispetto ai clienti, indirizzarsi verso quelli più in
sintonia con l’offerta della piccola o media cooperativa e ciò è più che mai vero
nei mercati esteri dove si corre il rischio di entrare in balia di numerose diverse
sollecitazioni. Quindi, si devono valutare attentamente in ciascun paese le priorità: horeca, delicatessen, supermercati upgrade o maggiormente specializzati
in prodotti di importazione, GAS, catene di negozi di prodotti italiani (come la
polacca Caterteam con i dieci punti vendita ad insegna Piccola Italia), ecc.
È certo che le insegne maggiori rappresentano un obiettivo improbo, per le riflessioni sopra espresse e per di più si deve considerare che nessun importante
retailer italiano, se si eccettuano i punti vendita Eataly e pochi altri, è attivo oltre
confine. Per quanto riguarda l’Europa, sono sostanzialmente tedesche, francesi,
britanniche e olandesi le catene distributive che travalicano in misura consistente
i confini nazionali.
Si deve, inoltre, decidere se gestire i rapporti con i clienti direttamente o attraverso importatori, oppure avvalendosi di agenti, pur cercando di mantenere sempre
il monitoraggio sul cliente finale.
La scelta prevalente è quella dell’importatore, uno o più per paese, a seconda delle dimensioni del paese, degli obiettivi di copertura dell’esportatore, della
struttura organizzativa dell’importatore stesso.
Quest’ultimo può essere specializzato per canale e può essere strutturato per la
gestione diretta dei clienti, consegne incluse, su territori più o meno ampi, così
come può, invece, avvalersi di strutture terze (distributori) nei territori che la sua
organizzazione non gli consente di coprire.
La scelta dell’importatore implica la scelta del canale distributivo a valle e, in
una certa misura, pure quella dei segmenti di consumatori a cui ci si rivolge,
quindi non è inopportuna una prioritaria riflessione sui canali a cui indirizzarsi e
la successiva individuazione della figura meglio in grado di dare le risposte, che
naturalmente dovrà essere seria, affidabile, solvibile.
La capacità dell’esportatore di incidere sul modus operandi dell’importatore è
data, con ogni evidenza, dalla rispondenza del suo portafoglio di offerta al mer-
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
cato, dai rapporti di forza e dall’intelligenza commerciale che le due controparti
riescono a mettere in campo.
È certo, però, che un piccolo medio esportatore, come le nostre cooperative minori, non riesce ad affrontare la maggioranza dei paesi extra UE senza tutta la
necessaria assistenza e conoscenza del mercato dell’importatore.
In alcuni casi, soprattutto in mercati difficili o lontani, può essere opportuno avvalersi anche di un agente, cioè di una figura che aiuti a coordinare i diversi clienti all’ingrosso, al dettaglio o horeca.
La scelta del canale distributivo è importante in quanto può determinare la capacità di penetrare più o meno agevolmente il mercato, ma non si possono estrapolare regole definite al riguardo.
Non sarebbe inopportuno, poi, ipotizzare la creazione di un centro che
divenga sede di confronto per le politiche commerciali e le attività per
l’estero delle piccole e medie cooperative agroalimentari. E che, strada
facendo, si possa proporre pure come stimolo per le cooperative a
ricercare ulteriori forme di collaborazione, realisticamente possibili,
che consentano loro di giocare un ruolo più importante sul mercato.
La proposta può essere sostenibile in quanto nell’attività con l’estero:
• vi sono problematiche più articolate e complesse rispetto a quelle relative al
mercato nazionale e gli aspetti commerciali si intrecciano maggiormente con
quelli fiscali, doganali, logistici, ecc.;
• essendo il mercato il mondo, è più improbabile che si crei una stretta concorrenza tra le aziende. Quindi vi può essere maggiore disponibilità da parte
delle cooperative ad aderire al centro. Ogni cooperativa è più portata a vivere
le altre come partner di progetti, non come concorrenti diretti;
• vi sono attività, dai trasporti, all’esplorazione di nuovi clienti, alla partecipazione a fiere, ecc., per le quali il ritrovare economie di scala è molto importante;
• vi sono fonti e linee di finanziamento (a diversi livelli: regionale, nazionale,
europeo) a cui soltanto un buon livello di specializzazione consente di accedere.
Per di più, non è da trascurare il fatto che i clienti talvolta sarebbero ben felici
di ritrovare un punto di riferimento che presenti un’offerta, sufficientemente
omogenea, coprente più settori.
Il centro lavora raccogliendo le istanze delle cooperative di settori e regioni diverse e i costi potrebbero essere ripartiti in base all’attività sviluppata dal centro
stesso a favore delle singole cooperative.
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Le cooperative possono usufruire dei servizi che il centro mette a disposizione e
nel contempo ritrovare una sede di confronto per costruire iniziative di gruppo.
È consigliabile in ogni caso evitare, almeno in fase iniziale, ipotesi di lavoro che
tendano verso un marchio collettivo o denominatori comuni riconoscibili sulle
confezioni.
Il centro può intervenire, sempre in modo ben calibrato e concreto, su molteplici
aspetti, in base ai programmi di lavoro concordati, ad esempio:
• contattare e selezionare importatori e/o agenti per gruppi di aziende non
concorrenziali tra loro;
• proporre progetti per strutture commerciali, tipo società di rappresentanza o
società in joint venture con operatori locali;
• proporre attività ben strutturate di e-commerce, eventualmente anche in accordo con retailer esteri;
• ricercare clienti che possano meglio valorizzare l’identità cooperativa e meglio veicolare i prodotti, ad esempio catene specializzate di piccolo dettaglio,
GAS, cooperative con attività di retail;
• svolgere attività di incoming che veda coinvolti buyer del retail e dell’horeca;
• analizzare le soluzioni migliori di trasporto che, in particolare, consentano di
ottimizzare i carichi verso clienti comuni e/o paesi lontani;
• stipulare convenzioni con società di assicurazione crediti a cui le cooperative
interessate possano accedere;
• organizzare, se e quando richiesto, la partecipazione collettiva a fiere all’estero, rapportandosi con enti preposti a promuovere e sostenere le attività sui
mercati esteri (ICE, Camere di Commercio italiane e internazionali, ecc.);
• assistere singole cooperative o gruppi nella ricerca di finanziamenti pubblici
e nella stesura di progetti e di piani di fattibilità.
Le possibili forme di aggregazione
La cooperativa può operare direttamente sui mercati oppure fare riferimento a
consorzi (o cooperative maggiori) a cui delegare in parte o in toto il rapporto con
i clienti, consapevole che da sola potrebbe incontrare sempre notevoli difficoltà.
Sono, infatti, molteplici gli investimenti da affrontare e non sempre a dimensione
delle sue disponibilità, in particolare nella gestione delle aree e dei clienti più
impegnativi e complessi.
La scelta dipende da come interpreta la propria mission, come configura i programmi di lavoro a medio lungo termine e dalle logiche competitive all’interno
del proprio settore.
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
È certo che operare attraverso strutture consortili significa non accumulare esperienze piene sul versante commerciale, cedere quote di sovranità in alcuni ambiti
aziendali, ma, nel contempo, sentirsi parte di un sistema, di una rete all’interno
della quale ogni snodo svolge un ruolo preciso, acquisendo via via forme più
spinte di specializzazione. Rete che, se bene oliata ed impostata su chiare e condivise strategie, può offrire soddisfazioni, in termini di dimensioni di crescita, in
tempi relativamente brevi.
Operare autonomamente, qualora sortisca i risultati desiderati, comporta, viceversa, l’impegno su più fronti, con percorsi di crescita che richiedono tempi certamente più lunghi, ma nel contempo consente l’accrescimento di esperienze, di
immagine e di credibilità all’interno del perimetro aziendale.
Pur non sussistendo regole definite, qualora la cooperativa intraprenda la strada
dell’aggregazione consortile, sarà preferibile che ricerchi collaborazioni partendo
dai territori più prossimi, che andranno ampliandosi parallelamente al potenziamento della rete.
Il network offrirà riposte in termini di complementarietà dell’offerta, ma
pure di valorizzazione delle specificità delle cooperative partecipanti.
All’interno dei consorzi sarebbe, infatti, opportuno ritrovare le modalità per concedere spazio ai prodotti e ai marchi più interessanti delle cooperative aderenti.
Quindi, a fianco delle linee e dei brand consortili, si tenderà a mantenere e sviluppare
quelli più incuriosenti e rappresentativi degli aderenti che costituiscono una ricchezza, una varietà di offerta che potrà rendere più attrattiva la proposta consortile.
Il network si porrà inoltre l’obiettivo di una gestione complessiva efficiente, integrando ed armonizzando il ruolo degli aderenti e del consorzio, conseguentemente si centralizzeranno le funzioni e si creeranno i servizi comuni più idonei
(dalla lavorazione, al marketing e vendite, alla logistica, fino al cash pooling di
tesoreria), non limitandosi a dar vita a meri centri di rifatturazione, che non offrono valore aggiunto e non godono dell’apprezzamento dei clienti.
A proposito di integrazione delle funzioni, sarebbe opportuno vedere i responsabili commerciali delle cooperative ricoprire i ruoli chiave all’interno della struttura consortile, in tal modo si concorre a fare lievitare lo spirito di collaborazione e
si apportano le sensibilità e le esperienze espresse dalle cooperative, una ricchezza culturale e professionale che arricchisce la proposta consortile.
Le cooperative possono aderire al consorzio, conferendo in toto o in parte la produzione, gestendo così direttamente alcuni canali e clienti.
In questo secondo caso è di fondamentale importanza definire con chiarezza le
esclusive, di area e di canale, per le cooperative e il consorzio, al fine di evitare
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
incresciose situazioni di confusione nelle quali il cliente viene contattato contemporaneamente dall’una o dall’altro. E, in termini molto sommari, è preferibile che
i clienti di maggiore taglia e le aree meno prossime, quindi tutti o parte dei paesi
esteri, siano di competenza centrale, in quanto di indubbia, più complessa gestione.
Il rapporto con i soci
Per esprimere efficacia competitiva è indispensabile per la cooperativa improntare il rapporto con i soci a correttezza ed equilibrio, liquidando il conferito a prezzi
di mercato, senza forzature per mantenere legata la base sociale.
È infatti evidente che, se il conferito entra in cooperativa, a parità di standard
qualitativi, a costi superiori a quelli di mercato, viene meno la possibilità di lavorare sul versante prezzo in modo flessibile ed incisivo.
Di converso la cooperativa dovrà fare comprendere ai soci che soltanto il prodotto che esprime buone prospettive di mercato va conferito e non accettare tutto
ciò che viene portato in conferimento.
Le indicazioni colturali e produttive, gli standard qualitativi vanno inseriti nel regolamento a cui attenersi senza troppa indulgenza, altrimenti, accettando anche
le produzioni di scarso pregio, si danneggiano quelle migliori e i soci più virtuosi.
Per di più, una piccola realtà con costi generali e fissi riversati su volumi esigui e
di valore unitario risibile avrà nel tempo difficoltà a reggere.
Per ottenere buoni risultati necessita perciò, da parte degli organi responsabili,
di capacità gestionale, coraggio e disponibilità di strumenti che consentano di
valorizzare il prodotto conferito, quali i premi di qualità a cui sarebbe opportuno
attribuire maggiore peso.
D’altra parte, i soci si debbono sentire parte di un’ampia famiglia e i frutti del
loro lavoro tradursi in motivo di orgoglio, ad esempio, evidenziando, quando
possibile, sulla confezione l’azienda del socio da cui la materia prima o il prodotto
proviene.
Alcuni presidenti riescono in questa operazione, poi succede talvolta che si identificano troppo nella cooperativa e la vivono come una loro proprietà.
La patrimonializzazione
Anche il grado di patrimonializzazione della cooperativa concorre a fare la differenza rispetto alla capacità di competere.
Una buona patrimonializzazione consente, infatti, di investire con vincoli
minori, attraverso l’utilizzo di risorse proprie, piuttosto che ricorrendo al
sistema creditizio in modo più agevole, grazie ad una maggiore affidabilità.
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Non di rado la cooperativa minore deve purtroppo superare il gap di una ridotta
patrimonializzazione e dovrà di conseguenza attivarsi sempre più per richiedere
ai soci l’apporto di risorse sotto forma di capitale sociale o di prestito.
E qui si gioca l’autorevolezza e la credibilità del gruppo dirigente, oltre che l’andamento gestionale. Se la cooperativa funziona, i soci intravedono la prospettiva,
si convincono e si rendono disponibili a rafforzarla patrimonialmente.
Una soluzione, scaturita come suggerimento nei colloqui, può ritrovarsi nel vincolare il socio a destinare annualmente una quota della liquidazione a capitale
sociale, anche remunerandolo e attivando il voto plurimo in assemblea, da uno a
cinque voti per socio ad esempio, in base al capitale sociale sottoscritto.
Tutti i soci vengono così stimolati, attraverso il confronto e una forma di implicita
competizione, a lavorare al meglio.
Articolo 62
Anche al fine di consentire spunti per una verifica e un confronto, forniamo alcune valutazioni, emerse nel corso dei colloqui con importanti cooperative e gruppi
della Gdo, circa il grado di applicazione dell’articolo 62, “Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari” del
Decreto Legge sulle liberalizzazioni del 24 gennaio 2012, a circa quattro anni dalla
sua entrata in vigore.
Secondo le cooperative l’articolo 62 viene applicato, in modo pieno, soltanto dai
più importanti retailer, che rispettavano i tempi di pagamento concordati anche
precedentemente alla sua entrata in vigore.
Chi lavora con questi grandi clienti non ha perciò rilevato grossi cambiamenti,
salvo qualche difficoltà in fase iniziale per adeguare le procedure amministrative
ed informatiche.
Le altre categorie di clienti, dal piccolo dettaglio, alla ristorazione, dai grossisti,
alle aziende di imbottigliamento o di lavorazione, lo rispettano parzialmente.
In ogni caso, alcune catene hanno cercato di mitigare gli effetti negativi sui loro
margini dell’articolo 62, operando sulla data di emissione delle fatture o, quando
possibile, facendo inserire prodotti a 30 giorni in fatture a 60.
Una cooperativa del settore ortofrutticolo ha visto ridursi di ben 35 - 40 giorni i
tempi di incasso, con una situazione variegata:
• le insegne maggiori rispettano perfettamente i tempi (media 45 giorni);
• la piccola Gdo cerca spesso soluzioni per allungare;
• la ristorazione collettiva non sempre è adempiente, assumendo come motivazione i notevoli ritardi dei pagamenti degli enti pubblici a cui fornisce i
servizi.
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Vi è infine l’opinione che non sempre sia opportuno l’intervento pesante del legislatore nel rapporto tra soggetti privati. Il legislatore, quando necessario, deve
legiferare in modo chiaro e semplice, per evitare interpretazioni diverse sulla medesima prescrizione.
Anche secondo i gruppi della distribuzione l’articolo 62 ha trovato nel mondo
Gdo un’applicazione parziale, che varia principalmente in relazione alla dimensione del retailer, la Gd e la grande Do rispettano la normativa, i piccoli operatori
sono meno ottemperanti e nel centro nord questa normativa ha trovato un’applicazione più ampia rispetto al centro sud, pur essendovi parte dell’ingrosso tradizionale non di rado inadempiente.
Certamente l’entrata in vigore ha creato difficoltà finanziarie un po’ a tutti i gruppi, in specie ai più piccoli e gracili, ma la Gdo ha recuperato margini operando
sui contratti, ad esempio caricando sulla voce sconto o mettendo direttamente in
fattura i premi di fine anno, al fine di incassare il corrispettivo nel corso dell’anno
e non all’inizio di quello successivo.
Anche per rendere meno complesso l’iter amministrativo, in accordo con i fornitori di prodotti che prevedono due scadenze, a 30 e a 60 giorni, di frequente si
sono portati tutti i pagamenti a 30 giorni, addebitando un fee a compensazione
del maggiore onere finanziario.
Certamente il fornitore è più tutelato: incassa in tempi più rapidi e rimane
meno esposto nei confronti dei clienti, per cui nel caso che un cliente entri in
forte difficoltà (procedura di concordato o di fallimento), l’importo a rischio sarà
certamente più contenuto.
L’articolo 62 ha anticipato i pagamenti di settimane e i fornitori hanno beneficiato
di un flusso finanziario continuo; alcune catene, ad esempio pagavano l’ortofrutta anche a 180 giorni, quindi portare a circa 50 giorni effettivi ha significato molto.
È certo che, a fronte di clienti inadempienti, il fornitore in situazione di debolezza
non reagisce per timore di vedere interrompersi il rapporto, ma si osserva pure
che gli uffici competenti del Ministero delle Finanze non sanzionano in mancanza
di denuncia da parte di quest’ultimo, anche qualora da verifiche nella contabilità
del cliente emerga la non rispondenza alle prescrizioni dell’articolo.
È poi normale che la sua entrata in vigore, per di più in una fase di mercato complessa, abbia creato difficoltà a qualche retailer.
L’articolo 62 ha portato di certo miglioramenti ai fornitori, ma i gruppi distributivi
devono avere ora l’accortezza di non stressarli troppo con le clausole contrattuali
penalizzanti, finalizzate a recuperare punti di margine, altrimenti potrebbero non
essere più in grado di offrire la giusta qualità.
Ai grandi retailer, l’articolo 62 ha creato qualche difficoltà sotto l’aspetto organizzativo ed informatico, non tanto sotto quello finanziario, mentre i piccoli han-
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
no incontrato certamente difficoltà finanziarie dovute pure al fatto che, in più
di un’occasione, si sono trovati stretti tra fornitori che richiedevano il rispetto
dell’articolo 62 e molti punti vendita loro aderenti non in grado di far fronte a
tempi di pagamento ridotti.
Si osserva infine che taluni fornitori, i più robusti, hanno approcci diversi a seconda del cliente, nei confronti dei più deboli sono incalzanti e intransigenti, e non
di rado, nel caso di ritardi eccessivi, sospendono le consegne, al fine di esercitare
pressione e di cautelarsi, rimanendo esposti con cifre inferiori, mentre si dimostrano più disponibili verso gruppi con i quali sviluppano rilevanti fatturati.
10.3. Strategie per affrontare le barriere logistiche e distributive
Le cooperative agroalimentari, in particolare quelle di piccola e media dimensione, incontrano non di rado delle difficoltà di tipo logistico distributivo nell’esportazione sia nei paesi tradizionali acquirenti di prodotti italiani (anche se questi ultimi presentano minori barriere rispetto ad altri, almeno dal punto di vista
normativo e burocratico), sia soprattutto nei paesi emergenti.
La logistica agroalimentare è segnata da forti specificità che si manifestano in
tutti gli anelli della supply chain e sono riconducibili alla natura dei prodotti
(freschi, secchi e surgelati) o alla complessità delle catene produttive a monte
(dalla agricoltura labour intensive, alle sempre più complesse trasformazioni
altamente specializzate).
A questi fattori occorre aggiungere la crescente globalizzazione dei mercati, con
distanze crescenti fra bacini produttivi e aree di consumo, nonché la spinta articolazione dei canali di vendita, che si estendono dal mercato ambulante all’e-commerce, passando per la grande distribuzione e l’horeca, in un contesto di forte
competizione internazionale. Di conseguenza negli ultimi anni l’offerta di servizi
logistici dedicati al settore agroalimentare è in forte evoluzione pure nel nostro
paese, anche se permangono notevoli criticità quali la frammentazione dell’autotrasporto e il ritardo nel ricorso ad altri canali.
La logistica come chiave di accesso ai mercati internazionali
L’accesso ai mercati internazionali richiede di dotarsi di strumenti in grado
di sostenere lo sviluppo e di conseguenza anche le piccole e medie
cooperative italiane debbono ricercare una specifica dotazione logistica,
tarata sulle loro esigenze, con rapporti di collaborazione, network di
imprese, in grado di saper leggere la loro realtà e rispondere ai loro bisogni, che sono differenti rispetto a quelli delle imprese medio-grandi.
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Queste ultime, per affrontare la penetrazione dei mercati si sono dotate in un primo tempo di una funzione logistica interna e successivamente si è assistito, anche
in Italia, allo sviluppo di imprese di servizi logistici.
Le piccole e medie cooperative hanno un approccio molto prudente e ci si rivolge
all’esterno solamente per i trasporti veri e propri, ma non per l’impostazione, la
gestione del magazzino, ecc., e quindi con una domanda di servizi esterni ancora
ridotta, se confrontata con altri paesi, e che si limita alla gestione dei trasporti,
della distribuzione e, talvolta, dei magazzini.
Molte imprese, che operano già da anni sui mercati esteri, pongono sempre
maggiore attenzione agli aspetti logistici, all’assistenza al cliente, al rispetto
dei tempi delle consegne, all’accrescimento del servizio, alle tecniche just in
time al fine di aumentare la competitività e conquistare nuovi spazi di mercato. Di conseguenza anche le cooperative che vogliono operare sui mercati esteri
dovranno valutare gli impatti di queste evoluzioni, ovviamente adattandole alle
proprie caratteristiche e peculiarità, in modo da cogliere il positivo ritorno economico dell’innovazione logistica e dell’outsourcing della logistica con gli ulteriori
processi innovativi connessi.
In particolare, si assiste alla creazione di strutture di aggregazione, organizzazioni collettive della funzione logistica (nel senso di trasporti e stoccaggio),
integrazioni orizzontali tramite accordi fra imprese, ruoli di groupage, ecc. ma
troppo spesso i quantitativi limitati di prodotto che la singola cooperativa è in
grado di rendere disponibili, non sono sufficienti per rendere economicamente
sostenibile l’iniziativa. Quanto alle aggregazioni trasversali tra cooperative di settori diversi, con riferimento agli aspetti logistici, talvolta le caratteristiche merceologiche dei prodotti hanno reso difficile l’adozione di strategie unitarie, mentre in
altri casi è stato possibile dimostrare ai clienti l’esistenza di vantaggi in termini
di ampiezza o completezza di gamma.
Un altro importante tema è costituito dalla razionalizzazione delle scorte lungo
le fasi a valle della supply chain, che ha enormi ripercussioni sugli attori, sia nel
groupage che nelle attività di cross docking, tanto che si pone con forza la questione centrale della gestione in forma multicliente/multifornitore delle piattaforme logistiche.
Occorre pertanto identificare le strategie opportune per affrontare le
barriere logistiche e distributive esistenti e la soluzione va ricercata
prioritariamente analizzando le esigenze del prodotto commercializzato, facendo una valutazione delle caratteristiche delle diverse filiere
produttive e della localizzazione territoriale dell’impresa.
Per esempio, quando il prodotto ha una shelf life particolarmente ridotta, può essere necessario percorrere canali il più possibile diretti, per evitare allungamenti
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dei tempi e le relative ripercussioni sulla qualità. Ma in certi settori, quale l’ortofrutta il canale lungo ha comunque un notevole rilievo, e di conseguenza un
operatore esterno, come il grossista e l’importatore, può svolgere un ruolo distributivo e logistico spesso fondamentale.
I vantaggi che una logistica ben organizzata permette sono riassumibili principalmente nella riduzione dei costi e nel recupero in efficienza e, di conseguenza, una maggiore soddisfazione dei clienti. A ciò si può aggiungere, in alcuni
casi, un incremento della flessibilità e la trasformazione di costi fissi in costi variabili. È necessario fare un’analisi dei costi - benefici, diretti ma anche indiretti, per
esempio le movimentazioni di alcune produzioni locali, che devono transitare
per i centri distributivi (come mercati all’ingrosso) e tornare sui mercati locali,
creano evidenti diseconomie. Ulteriori inefficienze si riscontrano nell’utilizzo di
imballi a perdere, con creazione di enormi volumi di rifiuti di cui le catene della
Gdo non si occupano.
All’interno della supply chain, le scelte organizzative ed i modelli di business
sono condizionati anche dai difficili equilibri nei rapporti di forza fra le diverse
tipologie di produttori e di clienti, in quanto, per esempio, la Gdo impone requisiti di qualità e condizioni rigorose in termini di logistica, confezionamento del
prodotto e tempistica delle consegne.
In questo contesto il ruolo del fornitore logistico è sempre più prossimo a quello
dell’intermediario che si occupa, per conto del proprio cliente, della gestione esecutiva della movimentazione della merce, dell’organizzazione dei magazzini e
anche delle pratiche doganali. Gli intermediari internazionali, come alcuni importatori, svolgono una capillare distribuzione, gestendo direttamente l’organizzazione di vendita e logistica o, più spesso, nelle aree maggiormente lontane dalla sede,
avvalendosi di grossisti e basi logistiche di terzi; gestiscono inoltre il rapporto con i
grandi retailer, oltre a supportare nella scelta degli stessi rispetto alle caratteristiche
della cooperativa, in modo da dare garanzie in termini di continuità di fornitura,
buona logistica, buona programmazione e disponibilità ad investire.
L’introduzione di nuovi prodotti o di un fornitore presso una insegna della Gdo
avviene con l’intervento di una Regione o di un Consorzio, senza i quali le piccole aziende, che non hanno mai affrontato problematiche relative all’export, non
sarebbero in grado di gestire l’iniziativa e non darebbero le opportune garanzie.
Si realizza quindi una sorta di test introduttivo, con piccoli quantitativi e la cooperativa deve essere disposta, se il periodo di test fornisce un risultato positivo,
ad apportare eventuali adattamenti. L’importatore organizza poi i trasporti e la
distribuzione a partire da un centro logistico in Italia.
Lo sviluppo dell’e-commerce comporterà una vera sfida per la scelta degli
operatori logistici e il confronto con i giganti del settore. Nella politica dei
“piccoli passi”, è opportuno affidarsi ad un partner logistico che già
Strategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
dimensione sui mercati nazionali ed internazionali
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
collabora con la cooperativa e creare un conto deposito,
definendo le modalità di spedizione. In prospettiva sarà necessaria una
piattaforma facile da gestire, che controlli lo stock, e occorrerà definire
le modalità di preparazione e spedizione dei prodotti, senza snaturare
l’immagine della cooperativa.
Nei processi di internazionalizzazione, gli operatori logistici, sia italiani che stranieri, hanno per lo più perseguito strategie di ampliamento del mercato, puntando sulle aree su cui più si sono concentrate le imprese manifatturiere loro clienti.
La logistica dei prodotti agroalimentari in Italia
Per quanto riguarda il nostro paese occorre misurarsi anche con i ritardi e le
inefficienze infrastrutturali che causano un rilevante gap competitivo rispetto
a quella di paesi europei, come Francia, Germania, Belgio e Paesi Bassi. Il trasporto di merci su strada continua ad essere preferito rispetto alle altre modalità
(ferrovia, aerea o via mare), in particolare nel largo consumo alimentare dove
raggiunge percentuali assai elevate rispetto alle altre modalità di trasporto e superiori alla media europea.
Il trasporto marittimo è stato a lungo trascurato in Italia, o comunque ne è stato sottovalutato il ruolo strategico che avrebbe potuto assumere per il paese, in
un’ottica di “piattaforma logistica mediterranea” di collegamento fra la sponda
sud del Mediterraneo e l’Europa, oltre che di crocevia dei traffici mondiali verso
l’Asia e le Americhe lungo l’asse est-ovest del globo. Assume invece importanza
sempre maggiore la via verso i porti del nord Europa, che dal punto di vista ambientale è paradossale per l’allungamento del tragitto ma, per contro, permette di
poter contare su minori tempi di lavorazione logistica delle merci e su migliori
servizi, offerti dalla grande rete di imprese che ruota intorno ai grandi porti del
nord Europa.
Il governo italiano intende favorire la crescita economica del paese attraverso il
rafforzamento della competitività del sistema portuale e logistico italiano ed ha
recentemente delineato una strategia integrata, con azioni da compiere sia nei
porti sia sulla loro accessibilità – da mare e da terra – al fine di potenziare il ruolo del paese nel Mediterraneo e negli scambi internazionali. Tra gli strumenti
individuati sono previste numerose azioni per la semplificazione amministrativa, l’efficienza dei controlli e delle procedure di sdoganamento, la promozione
dell’intermodalità e dei collegamenti di ultimo miglio, nonché l’attrazione di nuovi investimenti per la modernizzazione delle infrastrutture portuali.
Una delle difficoltà che le cooperative agroalimentari riscontrano è anche la
mancata aggregazione dell’offerta a monte per fare massa critica ai fini del trasporto, particolarmente per il trasporto dalle regioni meridionali d’Italia verso il
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
nord e per l’export. Le difficoltà di politiche per la logistica agroalimentare sono
infatti in gran parte legate a quelle di attuare politiche trasversali, sia territoriali
che infrastrutturali, che tengano conto dei temi operativi dell’agroalimentare e
dei suoi scenari competitivi.
Casi di successo esteri relativi all’organizzazione logistica e distributiva
Dal confronto tra il sistema logistico italiano per il settore agroalimentare con quelli
di altri paesi europei, si evidenzia che all’estero è presente una superiore qualità del trasporto a costi inferiori, accompagnata da una migliore pianificazione
del territorio, con infrastrutture più sviluppate e sistema integrato dei trasporti.
Inoltre, i CeDi - centri di distribuzione - della Gdo hanno personale in numero adeguato, sono meglio dislocati sul territorio, spesso in punti strategici, e tutto ciò si
concretizza in una maggiore programmazione delle consegne. Inoltre, la burocrazia all’estero è meno pesante e le procedure amministrative sono più snelle.
Nell’indagine svolta durante le interviste con operatori e istituzioni esteri si sono
tratti spunti da casi di successo sull’organizzazione logistica e distributiva da applicare al mondo delle cooperative italiane e nella ricerca della possibilità di miglioramento in termini di supporto istituzionale alle esigenze delle cooperative
italiane meno organizzate e strutturate.
Abbiamo analizzato in proposito le caratteristiche di eccellenza dei Paesi Bassi,
paese con una lunga tradizione di leadership nel commercio internazionale, se si pensa che nel 1602 venne fondata la Compagnia Olandese delle Indie
Orientali. Tuttora il paese è un importante gateway per l’Europa, in virtù della
sua posizione unica - completamente affacciata su uno dei tratti di mare più trafficati - e della presenza di tre centri logistici internazionali, strettamente coordinati,
quali i porti di Rotterdam e di Amsterdam e l’aeroporto Schiphol, collegati ad una
efficiente e capillare rete stradale, ferroviaria e di navigazione interna.
Accanto a porti e aeroporti, si sta poi definendo il cosiddetto greenport, che coordina, concentra e sviluppa le esistenti attività e attrezzature focalizzate sulla
logistica agroalimentare e del florovivaistico. Una vasta parte delle esportazioni
olandesi consiste in riesportazioni ed è in corso un aumento esponenziale della
quantità e delle tipologie di prodotti agroalimentari che provengono da tutto il
mondo per essere successivamente esportati, rendendo il sistema logistico del
paese sempre più evoluto.
Si riscontra pure una forte presenza delle cooperative – ogni olandese è in media
socio di due cooperative – le quali hanno sviluppato nel 2015 un fatturato di oltre
111 miliardi di euro, di cui il 70% nel settore agroalimentare. Attualmente operano circa 500 cooperative, di cui 50 con un fatturato superiore a 10 milioni di euro,
molte per aggregazione di realtà più piccole.
Nella ricerca dell’ottimizzazione del fattore logistico dei prodotti agroalimentari
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
si è creata la “Piattaforma Agrologistica”, che mette insieme tutti gli operatori
del settore (produttori agricoli, industria alimentare, distribuzione e imprese
di logistica) con i “fornitori di conoscenza - knowledge providers”, quali l’università e gli istituti di ricerca, al fine di trovare soluzioni innovative che elevino
l’efficienza.
Si tratta di una iniziativa governativa che prevede di supportare le buone idee
non con sostegni economici, bensì offrendo “buoni consigli”. I progetti approvati
sono assegnati a dei mentori che supportano i partecipanti al progetto, offrendo
aiuto per il superamento degli ostacoli (quali, ad esempio, regolamenti contradditori), in modo che le buone idee riescano a produrre buoni frutti.
Si passa da iniziative volte al coordinamento delle attività, per minimizzare la necessità di trasportare lungo la filiera, al concetto della “ecologia industriale”, ovvero il ri-uso reciproco del sottoprodotto o del prodotto di scarto da parte delle
imprese, il tutto nell’ottica di utilizzare mezzi di trasporto, come i treni, battelli o
gasdotti, e minimizzare i chilometri per mezzo all’ottimizzazione di tutti gli aspetti
logistici, concentrando presso i vari siti produttivi tutte le attività connesse.
Altri progetti hanno l’obiettivo di selezionare e impacchettare i prodotti coltivati nei terreni e nelle serre limitrofe e trasportarli ai distributori “just in
time”, minimizzando i tempi tra ordine e consegna, e ottimizzando la gestione
degli imballi (riduzione dei trasporti del 20% e significativo calo del numero dei
mezzi su gomma) oppure incrementare l’efficienza, attraverso dei “centri di consolidamento”, localizzati sia nelle regioni produttive che nei mercati di consumo,
ove i prodotti possono essere conservati, anche in celle frigorifere, impacchettati,
graduati per qualità e ispezionabili.
Per ridurre lo spreco durante il trasporto dei prodotti freschi da produttore a
consumatore, stimato nella misura del 10%, il progetto di tracciabilità e rintracciabilità Quality Oriented, sta esplorando l’uso di etichette elettroniche con tecnologia di radio frequenza RFID, applicata agli imballi, che permette di conteggiare i
tempi di trasporto, tenendo traccia del traffico stradale e determinare la shelf life
dei freschi.
Altri progetti hanno lo scopo di ottimizzare e coordinare le varie forme di trasporto, per ridurre i danni ambientali, con accorgimenti quali la concentrazione
di siti produttivi lungo le linee autostradali, la creazione di un terminal ferroviario correlato a nuove aree per la coltivazione in serra e lo sviluppo di un parco del
cibo fresco dove i prodotti vengono trasformati e distribuiti.
Di particolare importanza per i deperibili è l’efficace gestione della catena del
freddo, sia in fase di movimentazione sia di stoccaggio. Sono state progressivamente organizzate delle piattaforme logistiche secondo una logica di temperatura, che si estende a tutte le fasi che vanno dalla produzione alla vendita al dettaglio. Nei sistemi più tradizionali, l’organizzazione è centrata attorno a una logica
di prodotto mentre il raggruppamento dei prodotti in base alla temperatura proStrategie commerciali e di marketing, potenzialità di espansione delle cooperative agroalimentari di piccola e media
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10. CONSIDERAZIONI DI SINTESI
pone una logica che si traduce, fra l’altro, nel ricorso ad automezzi multiprodotto.
In questo modo, il passaggio dei prodotti attraverso le piattaforme del freddo
consente di ottenere economie di scala e fare fronte ai bisogni di continuità e
flessibilità dei flussi dei distributori.
Il sistema olandese fa affidamento anche sulla competenza di locali società di
logistica, molto affidabili, che garantiscono le consegne nell’orario prestabilito,
con le quantità e i prezzi definiti. Per quanto riguarda le merci agroalimentari,
si può trovare una selezione di servizi per il trasporto e stoccaggio dei prodotti
(mais, grani, soia, oli di soia e di palma, ecc.) e terminali multifunzionali, con numerose opzioni di trasferimento delle derrate. Per il trasporto aereo le compagnie
del paese si sono organizzate con specifiche aree cargo attrezzate e aerei che trasportano prodotti deperibili alla temperatura rigorosamente controllata di 4°C.
Quando atterrano, i doganieri olandesi gestiscono celermente la parte burocratica
e di controllo sicurezza, tanto che le merci sono disponibili nel giro di due ore
massimo, senza subire traumi.
Abbiamo infine analizzato il sistema degli Emirati Arabi Uniti, piattaforma di
distribuzione ad ampio raggio verso il Medio Oriente, l’Africa e l’Asia.
Nel settore agroalimentare gli Emirati Arabi dipendono dalle importazioni per
circa il 90% dei loro consumi e sono autosufficienti solo per alcuni prodotti, visto che il costo delle produzioni locali è molto più elevato rispetto a quello del
prodotto importato. Il mercato del food degli Emirati Arabi, è controllato in gran
parte da aziende d’importazione e distribuzione con sede a Dubai, che gestiscono
il trasporto dei prodotti deperibili verso gli Emirati Arabi, in forte crescita, attraverso linee aeree cargo specializzate, in container refrigerati.
Anche alcune nostre cooperative si sono avvicinate a questi territori, anche grazie
a un’interessante iniziativa di CSO - Freshness from Europe - progetto finanziato da Unione Europea così come risulta interessante un altro progetto europeo
- Fresh Food Corridors – per istituire un sistema logistico dedicato al trasporto
dei prodotti deperibili che dal Medio Oriente arriveranno ai mercati dell’Europa
centrale e settentrionale attraverso i tre porti gateway mediterranei di Venezia,
Capodistria e Marsiglia, con una modalità di trasporto combinata strada-mare.
La rete trans-europea delle Autostrade del Mare, provenienti da paesi extra Ue
attraverso una piattaforma integrata di trasporto di container frigorifero, sarà
connessa con i collegamenti ferroviari presenti nei tre porti mediterranei e diretti
verso i mercati del nord Europa, garantendo così la freschezza dei prodotti in
un’ottica di sostenibilità ambientale ed economica.
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