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Adempimento unico: il notaio paga l’imposta di registro a titolo di “integrazione”?
di Barbara Denora, 6 marzo 2017
(Corte di Cassazione, Sezione V civile, sentenza n. 10215 del 18 maggio 2016)
1 (Corte di Cassazione, Sezione V civile, sentenza n. 2403 del 31 gennaio 2017)
La sentenza n. 10215 del 18 maggio 2016 della Corte di Cassazione avrebbe potuto impensierire non poco il
settore notarile dato che in essa veniva chiaramente affermato che, relativamente alla procedura unificata
telematica di registrazione, il c.d. adempimento unico previsto dagli artt. 3-bis e ss. del D.Lgs. n. 463/1997 –
che, com’è noto, implica da parte del notaio la trasmissione del c.d. MUI (modello unico informatico) previo
versamento delle imposte autoliquidate dallo stesso notaio e che sostituisce, oltre che gli adempimenti in
materia di registrazione, anche quelli inerenti alla trascrizione, iscrizione, annotazione e voltura degli atti relativi
a diritti sugli immobili – “il controllo dell’amministrazione finanziaria sulla regolarità dell’autoliquidazione
notarile effettuata mediante inoltro del modello unico informatico” non è “di ordine esclusivamente formale; né
si qualifica la maggiore imposta di registro liquidata come principale ovvero complementare”.
In realtà, ai sensi dell’art. 3-ter del D.Lgs. n. 463/1997 gli uffici controllano la regolarità dell’autoliquidazione e
del versamento delle imposte effettuati dal notaio e “qualora, sulla base degli elementi desumibili dall’atto,
risulti dovuta una maggiore imposta, notificano, anche per via telematica, entro il termine di sessanta giorni
dalla presentazione del modello unico informatico, apposito avviso di liquidazione per l’integrazione dell’imposta
versata”. Tale imposta è stata anche definita come “principale postuma” in quanto, tra l’altro, l’art. 42 del TUR
(D.P.R. n. 131 del 1986) dispone espressamente che l’imposta richiesta dall’ufficio è principale se “diretta a
correggere errori od omissioni effettuati in sede di autoliquidazione nei casi di presentazione della richiesta di
registrazione per via telematica” (in tema sia consentito rinviare, anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici,
a B. DENORA, Adempimento unico - c.d. esito di pagamento negativo - Conseguenze in tema di imposte e
sanzioni, risposta a quesito 10-2009/T del CNN, in Studi e Materiali, 2009, 860; si vedano inoltre M. NASTRI, La
liquidazione delle imposte effettuata dal notaio nel regime dell’adempimento unico, in Notariato, 2012, 463; V.
PAPPAMONTEFORTE, Avviso di liquidazione di principale postuma e legittimazione a ricorrere, in Notariato, 2016,
81).
Nonostante il chiaro quadro normativo di riferimento, però, nella citata sentenza n. 10215 del 2016 – che,
peraltro, riguardava una fattispecie piuttosto complessa nella quale l’ufficio, ai fini dell’imposta di registro e
sulla base dell’art. 20 del TUR, aveva “riqualificato” un atto di trasferimento di beni immobili in una cessione di
complesso aziendale e, quindi, un’ipotesi che esulava, per definizione, dal novero degli errori e/o delle
omissioni tipicamente rilevabili ictu oculi sulla base degli elementi desumibili dall’atto – la Suprema Corte aveva
ritenuto che il controllo dell’Agenzia delle Entrate sulla correttezza della procedura di registrazione telematica
avesse carattere sia formale che sostanziale. In altri termini, a quanto è dato comprendere, secondo i giudici
poiché il controllo attiene alla “regolarità dell’autoliquidazione e del versamento delle imposte”, l’ufficio
impositivo sarebbe legittimato a svolgere, entro il termine di decadenza previsto dal citato art. 3-ter, una
valutazione anche “di merito” e procedere, quindi, “alla notificazione al notaio di apposito avviso di liquidazione
per il recupero della “maggiore imposta” dovuta e, dunque, a titolo di “integrazione” di imposta”, a prescindere
dalla qualifica dell’imposta in termini di principale, complementare o suppletiva.
In questo senso, infatti, i giudici di legittimità, pur affermando espressamente che “l’unico presupposto della
richiesta telematica di versamento della maggiore imposta – avente natura sostanzialmente accertativoimpositiva – è dalla legge individuato nella circostanza che tale imposta integrativa sia evincibile sulla base degli
elementi desumibili dall’atto”, hanno concluso che “il discrimine del potere di liquidazione integrativa non
discende dunque dalla natura della maggiore imposta dovuta (principale o complementare)” e che l’ufficio è
2 tenuto al controllo del corretto esplicarsi di questa particolare funzione notarile e, precisamente, “della
regolarità di esercizio di tale funzione; anche in vista dell’eventuale necessità di procedere, con la notificazione
nel breve termine dell’avviso di liquidazione, al più rapido recupero (in sintonia con la telematizzazione
dell’intera procedura) della maggiore imposta” (per approfondimenti del ruolo del notaio nell’ambito del c.d.
adempimento unico, si vedano G. TABET, Spunti critici sulla figura del notaio nel sistema di registrazione
telematica, in Rass. trib., 2013, 94; P. PURI, Note a margine di un recente contributo sulla figura del notaio nel
sistema di registrazione telematica, in Rass. Trib., 2013; ID., Il mandato nell’interesse del fisco, Roma, 2013,
passim; ID., Il ruolo del notaio nel sistema di autoliquidazione delle imposte, Studio n. 855-2014/T del CNN).
Più recentemente, la Corte di Cassazione sembra però essere tornata sui suoi passi relativamente ad una
diversa – e ben più semplice – vicenda, attinente al disconoscimento di agevolazioni fiscali indicate nell’atto
sottoposto a registrazione. Infatti, con la sentenza n. 2403 del 31 gennaio 2017, la Suprema Corte ha, in via
generale, sottolineato l’importanza basilare della distinzione, contenuta nell’art. 42 del TUR, tra imposta
principale, suppletiva e complementare e ha precisato che “ad esempio è “complementare” la maggiore
imposta derivante dall’attività di accertamento sostanziale sugli atti di trasferimento di beni immobili o sulle
cessioni d’azienda volta a rettificare il valore dichiarato nell’atto”.
In tale prospettiva, i giudici di legittimità hanno evidenziato che il riconoscimento o meno di una determinata
agevolazione fiscale implica ex se “un giudizio inerente all’insussistenza dei presupposti per l’applicabilità delle
agevolazioni non risultante puramente e semplicemente dall’esame dell’atto, ma conseguito all’esito di una
valutazione di natura squisitamente giuridica che comporta una sorta di mediazione culturale che costituisce un
filtro rispetto alla mera rilevabilità, sulla base degli elementi desumibili dall’atto - da intendersi come errori o
omissioni di immediata percettibilità, ovvero elementi di natura oggettiva di indiscutibile portata - della debenza
di una maggiore imposta”.
Con tale pronuncia, quindi, la Corte di Cassazione ha chiarito che ogni qualvolta occorra procedere ad una
“valutazione giuridica” dell’atto sottoposto a registrazione l’ufficio dovrà far valere l’eventuale pretesa
impositiva, di natura complementare, ai sensi dell’art. 76, comma 2, del TUR e, cioè, “con apposito atto di
imposizione tributaria entro il termine di decadenza di tre anni, da ritenere decorrente - in applicazione del
principio generale desumibile dall’art. 2964 c.c. - dalla data della registrazione”.
In conclusione, “la natura complementare dell’imposta richiesta” non consente “di emettere l’avviso nei
confronti del notaio rogante, in quanto, pur essendo indicato tra i soggetti obbligati in solido al pagamento
dell’imposta principale, la sua responsabilità non si estende, tuttavia, così come stabilito dall’art. 57, comma 2,
del TUR al pagamento dell’imposta complementare e suppletiva di registro”.
Si auspica che quest’ultima pronuncia della Suprema Corte possa considerarsi risolutiva della questione.