Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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Civile Sent. Sez. 5 Num. 2882 Anno 2017
Presidente: TIRELLI FRANCESCO
Relatore: CAIAZZO ROSARIO
SENTENZA
sul ricorso n. 12184/12, proposto da:
Agenzia delle entrate in persona del direttore pro tempore, elettivamente
domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura dello Stato,
che la rappresenta e difende come per legge;
RICORRENTE
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Cesas s.r.I., in persona del legale rappres. p.t., rappres. e difesa dagli avv.ti
Michele Tiengo, Marcello Poggioli e Francesco d'Ayala Valva, elett.te domic. in
Roma, al viale Parioli n.43, presso quest'ultimo, con procura a margine del
controricorso;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza n. 127/2011 della Commissione tributaria regionale del
Veneto, depositata 1'8/11/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/1/2017 dal
consigliere dott. Rosario Caiazzo;
udito l'avv. Tiengo per la parte controricorrente;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. Sergio Del
Core, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
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Data pubblicazione: 03/02/2017
FATTI DI CAUSA
La Cesas srl impugnò la cartella esattoriale notificata il 19.4.2010, riguardante
il recupero di un credito IVA, per l'anno d'imposta 2006, eccedente quello
spettante alla stessa società, cui l'ufficio aveva ascritto l'indebita l'utilizzazione
del medesimo credito in compensazione del debito del contribuente a titolo di
secondo acconto IRES per il 2006 e ritenute alla fonte.
del maggior saldo Ires, pur dimostrando la buona fede del contribuente, non
fosse idoneo in ogni caso a trasformare l'errore commesso dal contribuente da
sostanziale a formale, risultando applicabili al caso concreto le norme di cui agli
artt. 10-bis e quater, del d.lgs. n. 74/2000.
La Cesas srl propose appello avverso la suddetta sentenza, accolto dalla CTR,
esponendo che: il maggior credito iva, pur riportato negli anni successivi, non
sarebbe stato di fatto utilizzato, né chiesto a rimborso (né ciò avrebbe potuto
verificarsi); era stato violato l'art. 10 della legge n. 212/2000 poiché l'ufficio
fiscale non aveva accolto l'istanza in autotutela di annullamento della cartella;
era erroneo il richiamo all'art.
10-quater del d.lgs. n. 74/2000, in quanto
afferente alla diversa fattispecie del mancato versamento di imposte per
effetto della compensazione con crediti inesistenti o non spettanti, laddove, nel
caso concreto, il contribuente era effettivamente titolare di un credito iva e non
vi era stato alcun omesso versamento d'imposte.
Avverso tale sentenza l'agenzia delle entrate ha proposto ricorso per
cassazione, formulando tre motivi.
Con il primo, l'agenzia ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione
dell'art. 36-bis, d.p.r. n. 600/73, dell'art. 38 d.p.r. n. 602/73, dell'art. 17 del
d.p.r. n. 435/2001 e dell'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 462/97, in relazione
all'art. 360, n.3, c.p.c.
Al riguardo, parte ricorrente ha rilevato che la condotta del contribuente,
consistita nell'aver riportato nella dichiarazione del 2006 e in quelle successive
il credito iva per somma superiore a quella spettante (dopo l'utilizzazione dello
stesso credito al fine della compensazione con debiti tributari), configurava non
un errore formale, ma una fattispecie di evasione fiscale relativa a quell'anno
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La CTP di Treviso respinse il ricorso, argomentando che l'erroneo versamento
d'imposta, con esclusione della possibilità di compensazione con un debito del
contribuente, considerando altresì che il preteso credito iva, non dichiarato, era
superiore al maggior saldo Ires non dovuto.
Con il secondo motivo è stata prospettata l'omessa motivazione su un punto
decisivo e controverso del giudizio, in relazione all'art. 360, n.5, c.p.c., in
ordine alla questione del maggior importo del credito iva compensato rispetto
Con il terzo motivo, l'agenzia delle entrate ha lamentato violazione e falsa
applicazione degli artt. 10, comma 1, legge n. 212/2000, e 13 del d.lgs. n.
471/97, in relazione all'art. 360, n.3, c.p.c., in quanto era da escludere l'errore
formale del contribuente, configurabile solo nel caso in cui quest'ultimo avesse
provveduto a rimuovere la contestata irregolarità in occasione della
dichiarazione successiva.
Resisteva la Cesas srl. mediante il deposito del controricorso, eccependo
l'inammissibilità e l'infondatezza del primo e terzo motivo, nonché
l'infondatezza del secondo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Preliminarmente, va respinta l'eccezione d'inammissibilità del primo motivo,
secondo cui le varie violazioni di legge lamentate non sarebbero inerenti alla
fattispecie in esame.
Al riguardo, va osservato che l'agenzia delle entrate ha addotto, in particolare,
la violazione dell'art. 36-bis del d.p.r. n.600/73 e dell'art. 38 del d.p.r. n.
602/73, rispettivamente in ordine all'erroneo calcolo della compensazione del
credito iva, come effettuata dal contribuente, e all'omessa richiesta di rimborso
del credito d'imposta in conformità della procedura di legge.
La prospettazione di tali violazioni di legge è, pertanto, del tutto chiara ed
inerente alla fattispecie oggetto del giudizio.
Parimenti da rigettare è l'istanza d'inammissibilità del terzo motivo, afferente
alla prospettata violazione delle norme sopra richiamate, considerata la
genericità della stessa eccezione, neppure motivata (parte controricorrente ha
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al credito Ires.
fatto un generico riferimento ad un'asserita e non meglio precisata carenza
d'interesse specifico).
Premesso ciò, i primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente,
considerato che essi riguardano questioni connesse.
L'agenzia delle entrate ha lamentato che la sentenza impugnata avrebbe
violato le norme richiamate, in quanto il contribuente avrebbe dovuto
2007, l'errore in cui era incorso nella dichiarazione per l'anno 2006 (non
dichiarando il minor credito iva, ridotto per avvenuta compensazione a seguito
dell'utilizzo avvenuto per l'anno d'imposta 2006); invece, è accaduto che il
contribuente ha continuato ad esporre, nelle dichiarazioni relative agli anni
successivi, un credito maggiore di quello spettante.
La parte ricorrente ha altresì dedotto da tale argomentazione che la condotta
omissiva del contribuente non potrebbe essere qualificata in senso formale, ma
sarebbe bensì da ritenere sostanziale, alla stregua di una condotta foriera di
determinare un'evasione fiscale, con possibile sottrazione di liquidità a danno
dell'erario nel caso di ulteriori indebite compensazioni.
Pertanto, la ricorrente ha argomentato dalla legittimità della cartella esattoriale
attraverso cui fu recuperata a tassazione, per l'anno d'imposta 2006, la somma
pari al credito iva eccedente quello ritenuto effettivamente spettante,
considerato che, appunto, nella dichiarazione per lo stesso anno e in quelle
relative agli anni successivi, la Cesas s.r.l. aveva riportato un importo
superiore del medesimo credito, pur dopo l'avvenuta utilizzazione al fine di
compensazione con il debito tributario afferente al secondo acconto Ires 2006
ed a ritenute alla fonte.
In ordine a tale argomentazione, l'agenzia ricorrente ha addotto anche il difetto
di motivazione della sentenza impugnata.
Orbene, va osservato che in coerenza con il principio di neutralità che ispira il
sistema IVA, qualora venga definita l'obbligazione tributaria mediante il
pagamento delle somme richieste dall'ufficio e il credito, ancorché non
dichiarato, risulti effettivamente spettante, il contribuente ha diritto di essere
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correggere, in occasione della dichiarazione successiva, per l'anno d'imposta
ammesso al rimborso dell'eccedenza medesima, oppure di scomputare
direttamente quest'ultima dalla somma spettante al fisco.
Al riguardo, è principio affermato da questa Corte quello per cui il diritto alla
detrazione dell'eccedenza iva deve essere tutelato in modo sostanziale ed
effettivo, e va riconosciuto a fronte di una reale operazione sottostante,
essendo a tal fine poco rilevante l'osservanza di obblighi dichiarativi (Cass.,
Da tali principi è dato desumere che nel caso, come quello in esame, in cui il
contribuente abbia dichiarato un credito iva superiore a quello effettivamente
spettante- a seguito di un'utilizzazione parziale a fini compensativi- non è
possibile configurare una violazione equiparabile sostanzialmente a quella
afferente all'indebito o fraudolento uso del medesimo credito.
Invero, non può essere condiviso il rilievo espresso dalla parte ricorrente
secondo cui aver riportato un credito iva superiore a quello spettante
comporterebbe la possibilità di utilizzarlo ulteriormente, con la conseguenza
giuridica dell'equiparazione di tale condotta ad una concreta attività d'evasione
fiscale.
Tale configurazione della dichiarazione del maggior credito iva non è conforme
al quadro normativo in tema d'iva, in quanto la condotta ascritta al
contribuente, seppure formalmente non corretta, non ha integrato alcun illecito
fiscale, né ha cagionato un pur temporaneo ammanco di liquidità nelle casse
erariali.
Pertanto, la mera irregolarità relativa alla dichiarazione del credito iva non può
concretizzare un effettivo illecito avente ad oggetto il mancato versamento di
imposte, occorrendo che esso sussista effettivamente e che abbia causato un
concreto danno erariale.
Né può ipotizzarsi un tentativo di illecito fiscale (amministrativo), considerato
che non è dubbia la condotta in buona fede del contribuente che ha utilizzato
un reale credito iva al fine di compensarlo con un debito tributario, non
essendo altresì emerso il compimento di atti diretti ad utilizzare il maggior
credito, erroneamente annotato nelle dichiarazioni successive a quella del
2006, come rilevato dal giudice d'appello.
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S.U., n. 17757/2016).
Per quanto esposto, va respinto anche il secondo motivo, avente ad oggetto un
vizio relativo all'omessa motivazione.
Il terzo motivo è da ritenere parimenti infondato, non essendo ravvisabile la
violazione delle norme richiamate dalla parte ricorrente.
In particolare, come correttamente motivato dal giudice d'appello, non sussiste
violazione dell'art. 10-quater della legge n. 212/2000, in quanto è certo che il
compensazione crediti non spettanti o inesistenti.
Inoltre, non viene in rilievo l'art. 6 del d.lgs. n. 462/97, poiché, data
l'insussistenza di illeciti fiscali non sono configurabili cause di non punibilità.
Tenuto conto della particolarità della fattispecie, essendo essa connessa alla
dibattuta e non sopita questione della compensabilità dei crediti iva, sussistono
i presupposti per compensare le spese del grado di giudizio.
P.Q.M.
rigetta il ricorso, compensando le spese del giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio del 9 gennaio 2017.
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contribuente non ha omesso alcun versamento d'imposte, né ha utilizzato in