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09 marzo 2017 delle ore 11:03
Il lapislazzulo e la concretezza di una banca
Parla Mike Nelson. L’occasione è il progetto realizzato per la galleria Noero. Un’installazione
complessa che parte da lontano e arriva al nostro presente
Poesia e un senso di nostalgia si mescolano
nell’intesa installazione realizzata da Mike
Nelson presso la Galleria Franco Noero a
Torino (fino al 25 marzo). Cloak of rags è un
concentrato di pittura, scultura e architettura;
un’installazione che prende le mosse dal
precedente intervento realizzato dall’artista nel
2016 presso la sede di una prestigiosa banca di
Montecarlo, la UBS di Monaco. Cloak progetto commissionato dal Nouveau Musée
National de Monaco e realizzato con la
collaborazione della Galleria Franco Noero era stato realizzato come intervento site
specific, all’interno dei nove piani dell’edificio
della banca in attesa di ristrutturazione. Un vero
e proprio rendering in blu che non ha
risparmiato nemmeno i particolari e gli oggetti
più minuti, trasformando un ambiente
architettonico in un’opera suggestiva ed
evocativa. Il blu oltremare, ricavato dal
lapislazzulo, diviene uno dei principali punti di
una riflessione in grado di creare complesse
connessioni, implicazioni e rimandi storici e
culturali. Queste riflessioni trovano seguito
nello spazio della Galleria Franco Noero che
inaugura la seconda personale di Mike Nelson
e la prima mostra realizzata per lo spazio di Via
Mottalciata a Torino, dove il recupero dei resti
- in seguito allo smantellamento dell’installazione
di Montecarlo - è proposto sotto una nuova luce,
come reperti evocativi che fanno leva
sull’immaginazione del visitatore.
Iniziamo dall’installazione di Montecarlo che
precede cronologicamente quella attualmente
allestita alla Galleria Franco Noero. Che cosa
ha ispirato la realizzazione del progetto? «Dire
che una mostra a Monaco abbia un pubblico
raffinato è probabilmente un eufemismo,
comunque la proposta di usare la sede centrale
di una banca da parte dei musei di arte
contemporanea di Monaco è sembrata
un'opportunità interessante. In ogni caso, il
contesto e la mia intesa con esso - nell’atto
stesso di accettazione - hanno sollevato alcuni
problemi, nello specifico su come si possa fare
un lavoro riguardante l'arte, il denaro e la loro
rispettiva diffusione senza essere maldestri e
moralisti. Il secondo problema è stato come
poter utilizzare un intero edificio con un budget
e un tempo a disposizione relativamente
modesti. La mia risposta è stata qualcosa di
apparentemente abbastanza astratto: usare il
colore. La mia prima educazione artistica è
riaffiorata in me, ricordandomi le differenti
valute di un pigmento e più nello specifico
l'ultramarine, con la sua relazione con le rotte
commerciali orientali e la pittura rinascimentale,
così questo è diventato il mio punto di partenza
». Il titolo dell’installazione alla Galleria Franco
Noero di Torino è Cloak of rags. (Tale of a
dismembered bank rendered blue).Che tipo di
racconto è? «È un racconto che penso sia
profondamente radicato sia nelle storie dell'Est
che dell'Ovest e le loro rispettive relazioni di
commercio e avarizia, ed i loro potenziali esiti
al contempo mostruosi e meravigliosi. In vari
modi ho pensato a questo come parte di una
meta narrativa, una quasi analoga a quelle
presenti in "Mille e una notte" – pensando ad
Aladino circumnavigante le camere dei tesori
per raggiungere quelle ancora più lontane, oltre
la sua portata. Il racconto conduce inoltre dentro
la progressione del lavoro, dalla sua originale
incarnazione come lavoro immersivo all'interno
della banca, alla mostra frammentata di oggetti
dentro la galleria di Torino».
Il titolo dell’opera di Montecarlo, Cloak, è
emblematico quanto il colore dominante e
protagonista dell’installazione, il blu, che non
è un blu qualsiasi ma il blu oltremare. Associato
all’identità del luogo emerge ancor più forte il
valore materiale ed economico del pigmento,
ma potrebbe anche alludere a un valore
religioso, o morale? «Si, si potrebbe guardare
a ciò in molto modi, uno stato quasi di trance
come lo stato di immersione in un mare di blu
- che l’opera probabilmente ha indotto potrebbe essere connesso a qualcosa che
potrebbe essere descritto come spirituale,
religioso o differente. Comunque, lo stesso
problema nella propria visione della realtà
potrebbe anche essere attribuito ad uno stato
mentale indotto dalle droghe, da un fervente
credo politico o persino dalla dipendenza dai
video giochi. L'aspetto religioso e la sua
potenziale moralità sono pertanto ambigui,
decisamente ambigui, dato che le storie che
sorreggono il pigmento e la sua estrazione sono
piene di contraddizioni. Gli oggetti in galleria,
in diversi modi, agiscono come reliquie e
reliquari, le loro origini come atto di devozione
o vandalismo». Per quanto riguarda il valore
economico del pigmento, è interessante vedere
associato un luogo simbolo dell’economia e del
mercato finanziario - la banca - con l’arte. C’è
un riferimento sottinteso al mercato dell’arte e
alle dinamiche economiche connesse? «Si,
certo. Una triste battuta su se stesso».
L’installazione realizzata a Montecarlo è
concomitante proprio ad un report investigativo
pubblicato dall’organizzazione Global Witness
a proposito degli effetti sociali, economici e
militari derivanti dall’estrazione - dalle miniere
dell’Afghanistan - e dal commercio di
lapislazzuli nelle mani dei Talebani. Si parla
addirittura di business war. L’origine orientale
del pigmento è un’allusione alla situazione
politico-culturale in Afghanistan? «Per quanto
mi riguarda sì, ma potrebbe essere in qualche
modo arbitrario affermarlo per gli altri. Avevo
già realizzato un lavoro che investigava la
relazione tra oppio, Afghanistan e Occidente
(attraverso la sua controcultura) in The
Pumpkin Palace nel 2003. Perciò il fatto che la
seconda fonte di reddito per i Talebani derivi
dai lapislazzuli era di grande interesse per me,
quasi come il percorso hippy degli Anni 60 al
contrario. Considero che la via della seta e il
suo commercio abbiano aggravato un ciclo di
baratto che manipola materia e mitologie che
continua ancora oggi. La natura umana sembra
rimanere alquanto costante così come per molti
versi i nostri sistemi di scambio. Quelli che
rappresentano gli estremi limiti di credo o
umanità e quelli che aspirano al successo
all’interno di queste medesime strutture di
scambio non possono esistere gli uni senza gli
altri e sono spesso collegati in modi
particolarmente intricati. ».
Le tue opere si muovono tra passato e presente,
lasciando quasi presagire il futuro. Spesso, si
ha contemporaneamente la sensazione di
un’evoluzione della storia, di un confronto con
il passato e di un’attualizzazione. Il tempo
sembra fondamentale nelle tue opere e molte di
esse continuano e riprendono precedenti lavori.
In questo senso qual è la tua idea
nell’installazione Procession, process. Progress,
progression. Regression, recession. Recess,
regress realizzata sempre alla Galleria Franco
Noero? «Sembrava il momento giusto per rifare
questo lavoro. L’opera del 2009 è quasi il
prequel di un lavoro che non ho mai realizzato,
ma che avevo proposto alla Biennale di Istanbul
nel 2003. Allora cercavo di ritrovare il
modernismo Kemalista del passato che in
qualche modo non si è mai evoluto. Mi colpiva
che un regime così incredibilmente modernista,
che ha dominato la Turchia per tutto il 20esimo
secolo, non avesse uno suo stile architettonico,
un suo brutalismo specifico. Inizialmente ho
proposto di utilizzare una casa abbandonata di
legno per realizzare il lavoro, colando nel
cemento un nuovo stile architettonico in cui la
storia stessa del Paese fosse letteralmente
inscritta nella struttura. In Procession vecchie
assi di legno provenienti da vecchie case
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demolite dell’epoca ottomana sono calate in
una lastra di cemento e il titolo allude
all’oscillante clima politico in Turchia ma
commenta anche la produzione materiale del
lavoro. La natura predittiva del lavoro è più che
mai cupa, da processo, progresso a recesso,
regressione». Anche il luogo è molto
importante. Sembra di cogliere un’evoluzione
nel titolo: da Cloak a Cloak of rags. (Tale of a
dismembered bank rendered blue) Che cosa ha
comportato il passaggio dall’architettura blu
della banca di Montecarlo al white cube della
galleria di Torino? «Cimeli e reliquiario,
devozione e vandalismo».
Manuela Santoro
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09 marzo 2017