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Saggi/4
Liberalizzazione, diversificazione e il vantaggio
competitivo delle nazioni: un’analisi dell’industria
europea della generazione elettrica
Francesco Schiavone
Università di Napoli «Parthenope»
Classificazione JEL: L100; M210; L940
1.
INTRODUZIONE
Lo studio degli effetti della deregolamentazione e della liberalizzazione
sulle strategie d’impresa è un tema consolidato nelle discipline manageriali
(Smith, Grimm 1987; Delmas et al., 2007). Un problema critico per le imprese dopo la liberalizzazione è il rinnovamento delle proprie capacità manageriali al fine di fronteggiare con successo il cambiamento del loro ambiente
esterno (soprattutto l’entrata nel mercato di nuovi concorrenti) e sfruttare
le nuove opportunità emergenti (Pettus et al., 2009). Fra le varie strategie
di crescita tradizionalmente note (Lambin, 2008), la diversificazione è stata
probabilmente quella più utilizzata dalle imprese elettriche europee (d’ora in
avanti: IEE) dopo la liberalizzazione. In primo luogo, questa strategia è stata
quella meno limitata e «imbrigliata» dalle direttive comunitarie per il settore
elettrico. In secondo luogo, molte imprese, costrette dalle succitate direttive a
cedere parte dei loro monopoli o quote di mercato nazionale, hanno potuto
e/o dovuto investire in altri settori le risorse disinvestite dalla generazione di
elettricità (Andersen, 1999; Haas et al., 2006). Tuttavia, non tutte le IEE hanno diversificato con la stessa intensità.
In questo articolo si sostiene che l’intensità della diversificazione della singola impresa in un mercato appena liberalizzato non sia dettata soltanto dalle
succitate motivazioni ma che essa dipenda anche dal livello di competitività
Una precedente versione dell’articolo è stata presentata dall’autore alla prima conferenza internazionale sulla «Economia e Gestione delle Public Utilities», 15-16 Luglio 2010, Novara-Milano. L’autore intende ringraziare i due referee anonimi della rivista per gli utilissimi commenti
ricevuti nel processo di referaggio. Sono da addebitare esclusivamente all’autore eventuali errori
contenuti nel testo finale.
L’INDUSTRIA / n.s., a. XXXI, n. 3, luglio-settembre 2010
485
e dalla forza del suo paese d’origine 1. L’intensità della diversificazione aziendale è stata qui definita tramite 1) il numero di operazioni di diversificazione
compiute dall’impresa e 2) il tipo di nuovi settori in cui l’impresa entra.
A oggi, gli studiosi hanno prestato scarsa attenzione all’influenza del paese d’origine sull’attività di diversificazione d’impresa. Tuttavia, un implicito
ma evidente risultato generato dalla liberalizzazione dell’industria elettrica europea è stato l’inizio dell’integrazione di più differenti, e prima indipendenti,
mercati nazionali. La loro integrazione non è ancora completa e il problema
della loro armonizzazione è ancora una sfida cruciale per i policy-makers europei (Midtunn et al., 2003; Serralles, 2006). Infatti, le direttive europee sono
state adottate quasi contemporaneamente in più nazioni con mercati energetici interni spesso molto differenti gli uni dagli altri. Ciò ha fatto sì che imprese
elettriche provenienti da paesi d’origine molto differenti divenissero improvvisamente concorrenti dirette all’interno del neonato mercato elettrico continentale (Schiavone, 2009).
L’obiettivo dell’articolo è esplorare se le differenze, in termini di competitività dell’industria elettrica nazionale, tra i paesi d’origine delle IEE abbiano
influenzato in qualche misura l’intensità e la qualità della loro attività di diversificazione dopo la liberalizzazione. Per valutare e misurare la forza competitiva di ciascuna nazione europea nell’industria elettrica si è utilizzato l’approccio teorico del vantaggio competitivo delle nazioni (Porter, 1985; 1990a;
1990b; Dunning, 1992). Sulla base degli assunti di tale teoria, si sostiene la
seguente tesi: dopo l’avvio della liberalizzazione continentale, le imprese elettriche dei paesi più forti e competitivi tendono a implementare più operazioni di diversificazione e ad entrare in nuovi settori differenti rispetto alle
imprese elettriche provenienti da nazioni meno competitive. Per verificare la
fondatezza di tale argomentazione, prima si sono raccolti dai database online
di Eurostat i dati sui mercati energetici nazionali dei singoli paesi europei.
Poi, si è effettuata una ricerca desk sulle operazioni strategiche (perlopiù fusioni e acquisizioni) portate a termine dalle principali IEE durante il periodo
1998-2007 (i primi 10 anni dopo la prima direttiva comunitaria). L’analisi descrittiva effettuata si è incentrata sulle imprese generatrici di elettricità e non
su aziende operanti in altri stadi della filiera elettrica (come ad esempio la
trasmissione e la distribuzione) e sulle loro operazioni di diversificazione di
portata sia nazionale sia internazionale. I dati sono stati raccolti da articoli
scientifici e research report (in particolare, Gravitie Limited, 2006; Standard
and Poor’s, 2007; Leveque, Monturus 2008).
1
Per indicare il paese d’origine di un’impresa si utilizza in lingua inglese il termine homebase, con cui s’identifica «the nation in which the essential competitive advantages of the enterprise are created and sustained. It is where a firm’s strategy is set and core product and
process technology (broadly defined) are created and maintained» (Porter, 1990a; p. 19).
486
Dopo la presente introduzione, il prossimo paragrafo sintetizza i principali obiettivi delle direttive europee per la liberalizzazione dell’industria
energetica continentale, descrive il concetto di diversificazione e ne offre
una contestualizzazione nel panorama elettrico europeo. Il paragrafo 3 delinea gli assunti di base della teoria del vantaggio competitivo delle nazioni e
li applica per formulare due proposizioni sulla diversificazione nell’industria
elettrica europea dopo la liberalizzazione. Il paragrafo 4 analizza i principali
pattern di diversificazione delle IEE durante il periodo 1998-2007. L’ultimo
paragrafo sintetizza le conclusioni emerse, offre alcune implicazioni manageriali e di policy e propone alcuni spunti di ricerca per gli studi futuri sul
tema.
2.
LIBERALIZZAZIONE DELL’INDUSTRIA ELETTRICA EUROPEA
I paesi precursori nella ristrutturazione della propria industria elettrica furono la Gran Bretagna (1990) e la Norvegia (1993), seguiti poi da tutte le altre nazioni aderenti all’Unione Europea (d’ora in avanti: UE) in virtù del loro
recepimento di due direttive comunitarie in materia. La prima direttiva è stata la 96/92/CE. Essa stabiliva regole comuni tra i paesi UE per la generazione,
trasmissione e distribuzione di energia elettrica all’interno dei singoli mercati
nazionali. La seconda direttiva è stata la 54/2003. Essa ha sostituito la precedente, ha regolamentato altri aspetti del settore (tra cui il livello della competizione interna), critici per creare un mercato unico europeo e ha stabilito nel
1o luglio 2007 la data ultima per la completa liberalizzazione di ogni singolo
mercato elettrico nazionale. Nel settembre 2007 la UE ha emanato una terza
direttiva per incrementare ancor più la competizione nel settore. Tali direttive
hanno cercato di regolamentare quattro questioni critiche dell’industria elettrica europea (Jamasb, Pollit 2005):
– Organizzazione industriale: le filiere elettriche nazionali sono state completamente «disintegrate» per mezzo del cosiddetto unbundling. In tante nazioni, ciò ha comportato l’entrata di molte imprese indipendenti delle diverse
fasi della filiera.
– Competizione interna: la UE ha cercato di incrementare il livello della competizione interna in ogni paese facilitando l’accesso di nuove imprese
entranti nelle fasi della generazione, distribuzione, trasmissione e vendita di
elettricità.
– Regolazione settoriale: La UE ha creato istituzioni e meccanismi di regolazione comuni per i suoi paesi membri, per esempio tramite la nascita di
agenzie nazionali e authorities.
– Privatizzazione: Le direttive UE hanno avviato in molti paesi processi di
privatizzazione di tante compagnie elettriche sia nazionali sia regionali.
487
Diversi studi hanno analizzato le reazioni strategiche delle IEE alla liberalizzazione. Questa ha incrementato la complessità ambientale, spostando la
priorità del management di queste imprese dalla pianificazione in un mercato
fortemente regolamentato verso la formulazione delle strategia in un mercato
adesso altamente competitivo. Tale cambiamento ha reso determinanti anche
in questo settore l’utilizzo di molteplici tecniche e modelli previsionali, tra cui
gli scenari, l’analisi competitiva, la teoria dei giochi, le opzioni reali, i modelli
agent-based, le business dynamics, i modelli finanziari, i modelli di financial
risk (Dyner, Larsen, 2001).
La nuova normativa europea ha prodotto dei fenomeni organizzativi e
industriali del tutto nuovi per molte IEE (Rider, 1999): 1) l’incremento della
complessità dei loro meccanismi di corporate governance e delle loro relazioni
industriali; 2) la necessità di maggiori competenze manageriali, specie per la
gestione dei rischi finanziari, politici e regolatori; 3) l’incremento di fusioni,
acquisizioni e alleanze strategiche tra i principali attori del mercato europeo;
4) la proliferazione di fenomeni di convergenza cross-border con imprese di
altri settori liberalizzati (come il gas), specie per la fornitura di servizi ai consumatori finali.
La liberalizzazione ha generato un duplice livello di competizione tra le
imprese del settore: nazionale e internazionale. Molte imprese hanno perso le
loro tradizionali posizioni di mercato nei loro paesi d’origine e, per la prima
volta, hanno dovuto contrastare la competizione sia di nuovi entranti sia di
incumbent esteri. In questi anni, le principali strategie percorse dalle IEE sono
state il decoupling 2, la specializzazione, l’integrazione orizzontale tra due o
più catene del valore, l’integrazione verticale in una o più catene del valore,
varie forme di integrazione verticale tra i diversi stadi a monte e a valle delle
differenti catene del valore (Midtunn, 2004).
Le normative europee hanno avuto, in genere, un impatto negativo (frenante) o positivo (incentivante) sulla possibilità di ogni IEE di ricorrere ad
una specifica strategia di crescita. La natura di questo impatto dipende da
fattori firm-specific quali la natura, la dimensione e il core business. In questa
sede, si è adottato il punto di vista di un’impresa elettrica pubblica già monopolista nazionale, avente come core business la generazione di energia, per
formulare alcune considerazioni generali al riguardo.
Per quanto concerne le strategie di crescita integrative, le direttive europee hanno tendenzialmente inibito le integrazioni orizzontali e verticali a
livello nazionale poiché queste strategie sono chiaramente contrarie al principio dell’unbundling. Minori, invece, sono stati i vincoli normativi in quei
casi in cui le filiere elettriche nazionali erano già frazionate fra più imprese.
2
Il decoupling è il disaccoppiamento dei profitti dell’azienda elettrica dalla quantità di
energia venduta ai propri clienti.
488
L’impatto delle direttive UE sulle strategie di crescita intensive delle IEE è
stato, invece, più articolato (Schiavone, 2009). Esse rappresentano tre delle
quattro strategie descritte da Ansoff (1965) nella sua matrice prodotto-mercato. La penetrazione di mercato (un incremento della quota di mercato interno dell’impresa) è stata penalizzata dalle direttive UE. L’attività di sviluppo
di nuovi prodotti delle IEE non sembra aver ricevuto particolari interferenze
da tale legislazione. Infine, la liberalizzazione ha incrementato lo sviluppo di
nuovi mercati da parte delle IEE per mezzo di fusioni, acquisizioni e alleanze
strategiche con partner nazionali e/o stranieri 3.
2.1. Liberalizzazione e diversificazione
La diversificazione è una strategia di crescita tipica delle grandi imprese
industriali per mezzo della quale esse entrano in aree strategiche d’affari per
loro innovative attraverso nuovi prodotti. Ansoff (1957) distingue tre tipi di
diversificazione: verticale, orizzontale e laterale. Nel primo caso, un’impresa
inizia a offrire nuovi prodotti o servizi connessi con i suoi tradizionali processi industriali e linee di prodotto (ad esempio, un’impresa generatrice di elettricità entra nel business della distribuzione di elettricità). Nel secondo caso,
l’impresa offre prodotti e servizi non connessi a suoi tradizionali prodotti ma
collegati, in qualche modo, al suo know-how o alla sua tecnologia (ad esempio, un’impresa elettrica entra nel settore del gas). Nel terzo caso, l’impresa
va oltre i confini del suo settore tradizionale (ad esempio, un’impresa elettrica entra nell’industria alimentare). Quindi, la diversificazione laterale de facto
può coinvolgere qualsiasi altro business e non è limitata, come i primi due,
dai prodotti e mercati tradizionali in cui opera l’impresa. L’implementazione
e la gestione di una diversificazione sono processi complessi e costosi. Le imprese per sviluppare tale strategia in modo efficace dovrebbero avere valide
risorse umane, finanziare e organizzative. Il ricorso alla diversificazione dopo
la liberalizzazione è stato già studiato nella letteratura manageriale (Ingham,
Thompson 1995; Haveman 1993). È stato constatato che le grandi imprese
sono più capaci delle piccole nell’approfittare delle opportunità, offerte dalla
liberalizzazione, di entrare in nuovi mercati (Haveman 1993). Questo riscontro conferma l’idea che le imprese con un’ampia dotazione di risorse tendono
a diversificare più delle altre organizzazioni. Inoltre, si è verificato che il profilo delle risorse di un’impresa influenza il suo percorso di diversificazione
(Montgomery, Hariharan 1991). Le imprese che diversificano dopo la dere3
La classificazione dell’internazionalizzazione come una pratica di sviluppo di nuovi mercati implica l’adozione di un significato geografico del termine mercato (nuovo territorio da
fornire con l’elettricità) e non come segmento di consumatori.
489
golamentazione seguono pattern strategici influenzati sia dalle caratteristiche
aziendali (risorse e competenze) sia dagli aspetti proprietari e dai nuovi dettami della regolamentazione industriale (Ingham, Thompson 1995).
L’industria elettrica è un business maturo e capital intensive. Le condizioni tipiche che spingono le imprese elettriche alla diversificazione sono diverse
(Dezi, 1997): 1) disponibilità di flussi di cassa e/o altre risorse in eccesso; 2)
vincoli posti alla crescita della quota di mercato a causa delle normative nazionali e dei processi di liberalizzazione; 3) sfruttamento delle interrelazioni/
sinergie per il conseguimento di economie (di scala, scopo ecc.) nell’utilizzo
di asset e know-how a vantaggio di nuovi business; 4) ripartizione del rischio
d’impresa in più settori, specie se tra loro con caratteristiche differenti (ciclicità, maturità, ecc.).
Nell’industria elettrica europea, la diversificazione verticale delle grandi
imprese generatrici, come le aziende già monopoliste nazionali in paesi dove
la filiera elettrica era verticalmente integrata, è stata possibile solo all’estero.
Infatti, per via dell’unbundling, alcune diversificazioni non sono consentite
nel paese d’origine dell’impresa elettrica (ad esempio, l’acquisizione di un
fornitore nazionale di energia) ma sono attuabili soltanto all’estero (l’acquisizione di un fornitore straniero di energia). La diversificazione orizzontale
è stata una strategia molto adottata dalle IEE. Ciò si deve anche all’elevata
complessità e alla specializzazione tecnologica dell’industria elettrica le quali
rendono molto ampio lo spettro dei settori ad essa collegabili per via di una
qualche sinergia tecnologica o manageriale. Infine, la diversificazione laterale
implica l’entrata dell’impresa in mercati completamente scollegati con il business elettrico. A tal fine, la privatizzazione è stata un’importante condizione
per aumentare la libertà strategica delle imprese elettriche e, di conseguenza,
anche il loro orientamento verso l’entrata non solo in mercati vicini ma anche
in altri business del tutto autonomi da quello elettrico.
3.
UNA VISIONE COUNTRY-BASED DELLA DIVERSIFICAZIONE
In letteratura non esiste una sola opinione in merito al ruolo che i paesi
d’origine hanno sulle performance e i comportamenti strategici delle loro imprese dopo l’integrazione dei mercati. Alcuni ritengono che l’integrazione di
più mercati diminuisca la rilevanza delle singole nazioni (e delle loro caratteristiche strutturali) nel determinare le dinamiche di mercato e le strategie delle loro imprese (Ohmae, 1985). Contrariamente, altri ritengono che le risorse
e le specificità socio-economiche di una nazione diano alle loro imprese dei
vantaggi country-specific da sfruttare nella competizione globale (Kogut, 1985;
Porter, 1990a). Le scelte strategiche delle imprese sono influenzate sia da risorse firm-specific sia da altre risorse esterne al perimetro aziendale, da loro
490
non direttamente controllate. Le prime, tuttavia, spesso non sono sufficienti a garantire il vantaggio competitivo in contesti internazionali. I vantaggi e
le risorse country-specific dovrebbero essere considerati insieme con le risorse
firm-specific per analizzare in modo compiuto le strategie delle imprese e prevederne il successo nei mercati internazionali (Fahy, 2001).
Sebbene sia stato verificato empiricamente che l’ambiente del paese d’origine sia un’importante componente nello studio della diversificazione (Wan,
Hoskisson 2003), esistono a oggi pochi contributi che adottano la teoria del
vantaggio competitivo delle nazioni di Porter, utilizzandola sul campo, per
studiare questa strategia. Nel corso delle ultime due decadi, un crescente numero di studiosi ha analizzato come le caratteristiche di una nazione possano
influenzare la competitività internazionale e il successo delle sue imprese in
una specifica industria (Oz, 2001; Nair et al., 2007). Porter (1990a) indica
quattro determinanti del vantaggio competitivo di una nazione: condizioni
della domanda, condizioni dei fattori, la presenza di industrie collegate e, infine, la strategia, l’organizzazione delle imprese e la rivalità interna del mercato nazionale (tab. 1). Più una nazione detiene un vantaggio in ciascuna di
queste determinanti e più essa è competitiva nei confronti delle altre nazioni.
Una conseguenza di tale superiorità nazionale potrebbe essere una maggiore propensione delle imprese nazionali per la diversificazione. Infatti, queste
potrebbero decidere di investire in nuovi mercati una parte dei loro profitti derivanti dai loro business tradizionali anche per via di questa superiorità
industriale complessiva del loro paese d’origine. Inoltre, l’impresa potrebbe
decider di entrare in altri settori al fine di sfruttare in nuovi campi industriali
le proprie capacità manageriali, acquisite tramite l’esperienza nel vecchio core
business.
L’impatto di ciascuna determinante nazionale sulla competitività delle imprese può essere sia positivo sia negativo. Per esempio, l’abbondanza di uno
specifico fattore (come una materia prima) potrebbe anche frenare le imprese dal continuare a cercare nuove soluzioni industriali e applicazioni, diminuendo così la loro prontezza nel contrastare la competizione e fronteggiare i
cambiamenti radicali del mercato. Davies e Ellis (2000) sintetizzano in cinque
punti chiave il pensiero di Porter 4:
4
Sempre nello stesso articolo gli autori evidenziano, tramite una analisi delle principali
review sul testo di Porter, anche i principali limiti della teoria: 1) L’analisi si focalizza, in alcuni
casi, sul successo della nazione mentre, in altri casi, su quello di imprese, aventi come homebase una data nazione ma potenzialmente operanti anche all’estero (considerazione, questa, che
indebolisce peraltro lo stretto legame ipotizzato da Porter tra competitività di una nazione e
competitività delle sue imprese). Questa alternanza d’analisi rende ambiguo quale sia l’effettivo
oggetto di studio di questa teoria; 2) la metodologia di ricerca e il ragionamento utilizzati da
Porter non sono sempre chiari e condivisibili.
491
TAB. 1. Determinanti del Vantaggio Competitivo delle Nazioni
Determinante
Condizioni della Domanda
Condizioni dei Fattori
Strategia e struttura d’impresa e rivalità interna
Industrie Collegate
Definizione
La natura della domanda domestica relativa al prodotto o servizio
La dotazione e la posizione della nazione nei fattori di produzione, come la forza lavoro qualificata o
le infrastrutture necessarie per competere in un dato
settore
Le condizioni che determinano in una nazione come
sono create, organizzate e gestite le imprese nonché
la natura della rivalità domestica
La presenza o assenza nella nazione di industrie di
fornitura o di altri settori collegati che siano competitivi a livello internazionale
Fonte: Porter (1990a; p. 78).
1. Una nazione deve raggiungere uno stadio di sviluppo innovation-driven per ottenere e sostenere la propria prosperità;
2. La prosperità di una nazione dipende dalle performance delle sue imprese;
3. Una nazione deve sviluppare cluster di imprese in settori correlati e
con forti diamanti nazionali per raggiungere la prosperità;
4. Gli investimenti diretti all’estero sono una manifestazione di forza
competitiva di un’industria nazionale (e anche di prosperità), mentre quelli in
entrata sono un segno di relativa debolezza;
5. Il successo internazionale di un paese e delle sue imprese non può reggersi sul vantaggio comparato generato dai suoi fattori produttivi ma deve essere costruito sull’evoluzione progressiva e la crescita delle industrie di una
nazione tramite l’innovazione, la differenziazione di prodotto, l’immagine di
marca e il marketing.
Gli assunti 4 e 5 evidenziano come i pattern strategici e le performance
delle imprese nei mercati internazionali siano influenzati, in una certa misura,
anche dalla forza competitiva dei loro paesi d’origine e dal grado di innovatività e dinamicità delle loro industrie interne.
3.1. Il vantaggio competitivo delle nazioni e i diamanti elettrici nazionali dei
Paesi europei
La liberalizzazione ha integrato insieme molti sistemi elettrici nazionali tra
loro strutturalmente differenti (Midtunn et al., 2003). Le principali differenze
riguardano la natura proprietaria delle imprese elettriche (pubblica, privata o
la contemporanea presenza di entrambe), l’estensione geografica della fornitura energetica (nazionale, regionale, locale, o la contemporanea presenza di
492
TAB. 2. Organizzazione e struttura dell’industria elettrica prima della liberalizzazione (prima del 1989)
Nazione
Francia
Olanda
Spagna
Inghilterra
Italia
Norvegia
Svezia
Danimarca
Finlandia
Germania
Proprietà
Pubblico
Pubblico
Pubblico
Pubblico
Pubblico
Pubblico
Pubblico e Privato
Pubblico e Privato
Pubblico e Privato
Pubblico e Privato
Livello Geografico dell’Offerta
Nazionale
Regionale e Locale
Regionale
Nazionale e Regionale
Nazionale
Nazionale, Regionale e Locale
Nazionale, Regionale e Locale
Nazionale, Regionale e Locale
Nazionale, Regionale e Locale
Regionale e Locale
Integrazione Verticale
Totale
Parziale
Forte
Parziale
Totale
Parziale
Forte
Parziale
Forte
Totale e Parziale
Fonte: adattamento da Serralles (2006).
più livelli) e il livello di integrazione verticale della filiera elettrica (tab. 2).
La pregressa struttura del mercato nazionale liberalizzato potrebbe essere una
variabile influenzante la scelta delle successive strategie di crescita di un’impresa elettrica. Per esempio, le IEE che sino a quel momento avevano goduto
di un monopolio nel loro paese d’origine (come EDF in Francia, ENEL in Italia, EDP in Portogallo, Vattenfall in Svezia e Electrabel in Belgio) potrebbero
aver ereditato da tale status un congruo surplus di risorse finanziarie per diversificare dopo le direttive UE, anche in business più rischiosi e non strettamente correlati con l’elettricità.
I vantaggi per la diversificazione derivanti dalla tradizione monopolista di
un’industria nazionale dovrebbero essere accentuati in quei paesi (come Italia) dove la filiera elettrica era verticalmente integrata dal monopolista. Tuttavia, molte altre condizioni di contesto sembrano avere un’influenza potenziale
sull’intensità della diversificazione delle IEE. Per esempio, una potrebbe essere la composizione della domanda domestica (numero di abitanti e imprese).
Sarebbe, infatti, molto sorprendente se nazioni con un basso PIL o livello di
industrializzazione garantissero ampi margini di profitto alle loro compagnie
elettriche (monopoliste o no). La presenza di molte imprese industriali e lo
sviluppo economico di un paese (o di una regione) sono ulteriori condizioni
incrementanti il consumo energetico e, quindi, probabilmente anche le risorse finanziarie per la diversificazione. Pertanto, è ipotizzabile che i benefici del
monopolio sulla competitività internazionale e l’attività di diversificazione di
un’impresa elettrica siano minori se il suo paese d’origine è di piccole dimensioni, non molto industrializzato e popolato. In tal caso, anche aziende nonmonopoliste ma di paesi grandi e ricchi potrebbero avere più risorse, opportunità e capacità per diversificare rispetto a una ex-monopolista di un paese
minore.
Il framework porteriano può essere utile per analizzare questo fenomeno
più in dettaglio. Adottando le sue linee guida sopraesposte, le imprese elettri493
che di nazioni con diamanti nazionali molto competitivi dovrebbero fronteggiare meglio l’ambiente esterno. Tale superiorità nazionale potrebbe avere un
impatto sulla qualità e la quantità dell’impegno di queste imprese verso la diversificazione. Per esempio, imprese di paesi con una ricca domanda interna
dovrebbero detenere un’ampia dotazione di risorse finanziarie per condurre
più operazioni di diversificazione. Imprese di paesi con una forte industria
correlata, similmente, dovrebbero essere più orientati verso la diversificazione, essendo più abituati alla ricerca di possibili economie di scopo, sinergie e
opportunità di mercato all’interno del loro settore correlato nazionale. Inoltre, un mercato nazionale già altamente competitivo e dinamico prima della
liberalizzazione dovrebbe aver incrementato il livello delle capacità manageriali delle sue imprese e, quindi, anche la loro abilità nell’implementare e gestire in modo efficace un processo complesso come la diversificazione. Tali
condizioni dovrebbero supportare le imprese elettriche dei maggiori paesi
europei anche nell’identificazione di nuovi mercati «non convenzionali» per
diversificare, non facilmente percepibili e/o accessibili dalle IEE dei paesi minori. Pertanto, si possono formulare le due seguenti proposizioni:
P1. Dopo la liberalizzazione e l’integrazione dei mercati nazionali, le imprese elettriche dei paesi più forti e competitivi diversificano più volte rispetto alle imprese di paesi con diamanti elettrici nazionali più deboli.
P2. Dopo la liberalizzazione e l’integrazione dei mercati nazionali, le imprese elettriche dei paesi più forti e competitivi diversificano in nuovi mercati
differenti dai nuovi mercati selezionati dalle imprese di paesi con diamanti
elettrici nazionali più deboli.
Per inquadrare la forza di ciascuna nazione europea in ogni determinante
del modello di Porter, si sono consultati i dati e le statistiche ufficiali di Eurostat 5 sui mercati energetici nazionali prima della liberalizzazione.
In merito alle condizioni dei fattori, le infrastrutture sono un elemento
chiave per la competitività di un mercato elettrico nazionale. Eurostat utilizza
come loro indicatore la capacità installata netta, misurata in Megawatts. Si è
preferito considerare le infrastrutture come indicatore rispetto ad altri disponibili (come ad esempio, la produzione di fonti primarie per la generazione
di elettricità) poiché, come sottolineato da Porter (1990a; p. 79), «i fattori di
produzione più importanti sono quelli che necessitano di investimenti sostenuti e pesanti e sono specializzati». Inoltre, tale indicatore riflette anche parzialmente l’estensione geografica di un paese, altra condizione rilevante per
analizzare il settore elettrico.
5
Eurostat è l’ufficio statistico dell’UE. Tutti i dati e le informazioni sulle determinanti nazionali qui utilizzati sono stati raccolti dal sito Eurostat, su http://epp.eurostat.ec.europa.eu/
portal/page/portal/energy/introduction.
494
In merito alla rivalità domestica, il miglior indicatore Eurostat disponibile è la quota di mercato del principale operatore elettrico nazionale. Paesi
con un alto valore sono probabilmente caratterizzati da un basso livello di
rivalità domestica (e viceversa). La competizione tra imprese in una nazione
è una condizione incrementante il vantaggio competitivo delle imprese a livello internazionale (Porter, 1990a; p. 85) e pertanto potrebbe rivelarsi una
componente importante anche per la diversificazione. Ci si è focalizzati solo
sulla rivalità domestica (e non anche sulle strategie e le strutture delle imprese nazionali) poiché questa era l’unica variabile estrapolabile dai database di
Eurostat.
Per quanto concerne le industrie correlate, si è data attenzione esclusivamente al settore del gas, industria gemella dell’elettricità. La produzione primaria di gas naturale è il migliore indicatore Eurostat per descrivere il peso
di questo settore in un paese. Infatti, esso indica meglio di altri indicatori disponibili (ad esempio, le importazioni nette di gas naturale) la presenza (o
l’assenza) in un paese di un’attività industriale connessa al gas e la sua eventuale rilevanza per l’economia nazionale. Soltanto l’attività produttiva può aumentare la competitività internazionale di un paese nell’industria globale del
gas e condurlo verso una posizione dominante. Questo indicatore è misurato
in TOE (tonnellate di petrolio equivalenti).
Infine, per le condizioni della domanda, si è considerato il consumo di
elettricità per misurare la dimensione dei mercati nazionali. Porter (1990a;
p. 82) nota che «la dimensione della domanda interna fornisce informazioni
meno significative rispetto alle caratteristiche della domanda interna». Tuttavia, l’elettricità è una commodity e, pertanto, la sua domanda non può essere
caratterizzata in modi particolari (la più comune, e probabilmente unica, segmentazione di mercato possibile è la distinzione tra clienti industriali e clienti privati) e non può anticipare, rispetto agli altri paesi, particolari trend di
mercato. Pertanto, il totale di elettricità consumata annualmente in un paese
sembra l’unico indicatore considerabile in questa fattispecie. Anche il consumo di elettricità è misurato in TOE.
Per tre indicatori su quattro si sono utilizzati i dati del 1996, anno della
prima direttiva UE. Solo per la quota del maggiore operatore del mercato nazionale si sono utilizzati dati del 1999 (primi dati disponibili). Sono stati poi
esclusi dall’analisi i paesi minori (come Lettonia, Malta o Cipro). La tabella 3
riassume le valutazioni effettuate in merito al contributo di ciascun indicatore
e determinante nazionale sulla competitività internazionale delle imprese. Per
tre determinanti su quattro, la valutazione del loro impatto è stata considerata
come positiva se il singolo valore era superiore alla media europea (valore riportato in grassetto). Soltanto nel caso della rivalità interna, si è proceduto in
modo contrario (valutazione positiva e valore riportato in tabella in grassetto
nei paesi in cui la quota di mercato del maggiore operatore era inferiore alla
495
TAB. 3. Paesi europei e determinanti della loro competitività nel settore elettrico
Condizioni della
Domanda
Consumo finale di
energia elettrica
(1.000 TOE)
Belgio
Bulgaria
Repubblica Ceca
Danimarca
Germania
Irlanda
Grecia
Spagna
Francia
Italia
Ungheria
Olanda
Austria
Polonia
Portogallo
Romania
Slovenia
Slovacchia
Finlandia
Svezia
Regno Unito
Croazia
Norvegia
Svizzera
Media europea
6.007
2.570
4.319
2.724
39.382
1.363
3.058
12.655
30572
20.654
24.66
7.411
4.087
8.148
2.599
3.416
817
2.019
5.719
10.834
26.282
884
8.869
4.209
8.794,3
Condizioni dei
Fattori
Industrie Collegate
Rivalità Interna
Capacità installata Produzione primaria Quota di mercato
netta (Megawatts)
di gas naturale
del primo operatore
(1.000 TOE)
nazionale (%)
14.852
2.359
14.973
11.064
114.896
4.194
9.125
46.921
109457
68.217
7.536
20.395
n.d.
29.704
9.380
22.856
2.495
7.439
14.570
34.158
73.370
3606
28.736
17.299
29.026
2
33
182
5.713
16.322
2.168
46
426
2.407
16.364
3.601
68.344
1.270
3.140
0
13764
11
242
0
0
75887
1.459
36.762
0
10.339,2
92,3
0
71
40
28,1
97
98
51,8
93,8
71,1
38,9
n.d.
21,4
20,8
57,8
n.d.
n.d.
83,6
26
52,8
21
0
30,4
0
41,4
Note:
Capacità installata netta: Potenza elettrica massima fornibile, in modo continuato, con tutti gli impianti di produzione in funzione.
Consumo finale di energia elettrica: Elettricità consegnata al consumatore finale (industria, trasporti,
utenti privati e altri settori) per qualsiasi utilizzo. L’indicatore esclude le consegne per trasformazione e/o
l’utilizzo proprio di energia da parte delle imprese elettriche, così come anche le perdite di energia della
rete.
Produzione primaria di gas naturale: Produzione commercializzabile, misurata dopo la purificazione e
estrazione di gas naturale liquido e solfuro.
Quota di mercato del primo operatore nazionale: Produzione totale annua di elettricità dell’operatore
nazionale con la quota di mercato più ampia (fonte Eurostat).
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Eurostat.
media continentale). Infatti, una bassa quota di mercato del primo operatore
deve essere considerata come un segnale di una certa rivalità interna e quindi,
secondo Porter, un elemento incentivante la competitività internazionale delle
imprese.
La tabella 3 mostra che il Regno Unito, l’Italia e la Germania hanno diamanti elettrici nazionali più forti degli altri paesi europei. Pertanto, l’attività
di diversificazione delle loro imprese dovrebbe beneficiare di un vantaggio
country-specific rispetto alle aziende di altri paesi.
496
4.
LA DIVERSIFICAZIONE NELL’INDUSTRIA ELETTRICA EUROPEA DOPO LA LIBERALIZZAZIONE
Il ritmo delle diversificazioni e integrazioni orizzontali è cambiato nettamente nel corso del tempo. Nei primi anni dopo la liberalizzazione (19972002) le IEE hanno diversificato lateralmente e orizzontalmente in ampia misura. Tali operazioni si sono verificate indistintamente sia a livello nazionale sia internazionale. Successivamente (2003-2007), le IEE sono divenute più
caute nell’adozione della diversificazione e tendenzialmente hanno disinvestito alcuni asset non strategici per rifocalizzarsi sui loro business tradizionali.
Il primo aspetto considerato è stato l’esistenza o meno di un impatto
quantitativo delle determinanti nazionali sull’attività di diversificazione delle
IEE dopo la liberalizzazione. Per analizzare il problema è stato effettuato uno
studio desk da fonti terze. Sono stati ripresi e rielaborati i dati di un rapporto
di ricerca del CERNA (Centro per l’Economia industriale della École des Mines di Parigi) sulle principali acquisizioni e fusioni avvenute tra il 1998 ed il
2007 nei settori dell’energia e del gas (Leveque, Monturus 2008). Si è scelto
l’utilizzo di questa base di dati per la selezione operata a monte dagli autori
delle acquisizioni più rilevanti implementate dalle IEE. Il numero di acquisizioni contenute in tale base di dati era in origine composto da 191 operazioni
effettuate da 44 società di tutta Europa. Sono state poi escluse dal totale le
imprese aventi come core business tradizionale il gas (British Gas, Centrica,
ENI, Gas Natural, Gaz de France e Suez, Total). Per rendere rappresentativo il campione finale si sono poi escluse anche le imprese che nell’arco di
tempo considerato hanno effettuato meno di 3 operazioni (Acciona, AGSM
Verona, British Energy, EIDSIVA, Eneco Energie, Energinet.DK, Energo-Pro,
ERG, EVN, EWE, Nord-Trondelag, Norsk Hydro, RAG, Red Electrica de Espana, SYD Energi, Trentino Servizi), essendo il loro un operato talmente esiguo
da rendere «forzato», sotto il profilo metodologico, il loro inserimento in un
qualsiasi pattern strategico. Infine, sono state escluse National Grid e Terna
in quanto società operanti nella trasmissione e non nella generazione di elettricità. Grazie a tale selezione, il campione di imprese si è così ridotto a 19
unità (e 154 operazioni, di cui 4 fusioni e 150 acquisizioni). Il valore medio
di acquisizioni attuate per ogni impresa è 7,89.
Queste operazioni sono state classificate in diversificazioni (verticali o
orizzontali) e integrazioni orizzontali. La diversificazione verticale riguarda
l’acquisizione di fornitori o distributori (sia esteri sia nazionali) di elettricità
(in altre parole, si tratterebbe di un’integrazione verticale) 6. La diversificazio6
Se si assume che, dopo la liberalizzazione, il mercato di una IEE non è stato più soltanto
la propria nazione d’origine ma potenzialmente è divenuto l’intero continente, si percepisce
come un’accezione geografica del concetto di «nuovo mercato», sulla quale si basa la nozione
497
ne orizzontale riguarda invece l’acquisizione da parte dell’impresa generatrice
di elettricità di aziende di altri settori connessi, in qualche misura, con il business della generazione (ad esempio, le imprese che sviluppano tecnologie sostitutive o quelle che operano nel settore del gas). Infine, l’integrazione orizzontale riguarda l’acquisizione di un concorrente diretto. Come concorrenti
diretti si sono considerati anche le imprese generatrici di elettricità tramite
fonti rinnovabili e le singole centrali di generazione. Anche per via della base
di dati utilizzata (un rapporto di ricerca sulle operazioni nell’industria energetica europea), non sono state riscontrate diversificazioni laterali (tuttavia,
come emerge anche in seguito, questo tipo di diversificazione è stato intrapreso piuttosto raramente dalle IEE).
In alcuni casi la catalogazione è stata estremamente complessa per via
dell’ambiguità della vera natura dell’operazione (diversificazione oppure integrazione). Ciò è dipeso soprattutto dalla varietà dei profili delle imprese bidder e target 7. Per esempio, alcune volte l’acquisizione di un’azienda produttrice di gas si sarebbe potuta classificare come diversificazione e altre volte
come integrazione (nel caso piuttosto comune che l’impresa acquirente fosse
già impegnata in questo settore complementare prima della liberalizzazione).
Per risolvere questo problema metodologico, l’analisi e l’elaborazione dei dati
sono state ancorate non all’impresa bidder ma a quella target. Sono state considerate come diversificazioni le acquisizioni rispettanti le due seguenti condizioni: 1) l’impresa target non genera elettricità (ma potrebbe lavorare in altre
fasi della filiera elettrica); 2) l’acquisizione dell’impresa target non incrementa, in nessun caso, la capacità di generazione di elettricità dell’impresa bidder. Questo criterio metodologico è utilizzabile poiché nell’articolo si assume
la prospettiva dell’impresa generatrice. Questo criterio implica, per esempio,
che le imprese generatrici di elettricità tramite sistemi fotovoltaici debbano
essere considerate come concorrenti diretti delle imprese elettriche tradiziodi diversificazione suggerita da Ansoff (1965), possa ostacolare una corretta catalogazione delle
acquisizioni qui analizzate (per esempio, un’impresa generatrice tedesca e un’impresa distributrice italiana sono da considerarsi come afferenti alla medesima filiera «allargata» continentale
oppure come entità appartenenti a due filiere nazionali distinte?). Per la presente classificazione si è quindi preferito intendere come «nuovo mercato» un segmento di clienti diverso
dai tradizionali segmenti di consumatori dell’impresa, a prescindere dalla loro localizzazione
geografica. In tal modo, si è potuto catalogare indistintamente come diversificazioni verticali
tutte le acquisizioni di imprese elettriche non generatrici (sia estere sia nazionali) animate dalla
stessa logica strategica, ovvero l’acquisizione di un operatore a monte o a valle della fase di
generazione. Qualora, invece, si fosse adottata un’accezione geografica del concetto di nuovo
mercato si sarebbe dovuto catalogare un’operazione nazionale come integrazione verticale (in
quanto essa avrebbe coinvolto un bidder e un target considerabili, in tale fattispecie, come appartenenti alla stessa filiera industriale) e come diversificazione verticale lo stesso tipo di operazione a livello continentale.
7
L’impresa bidder è quella che acquisisce l’impresa target.
498
TAB. 4. Numero di diversificazioni (tramite acquisizioni) delle imprese elettriche europee dopo la liberalizzazione
Impresa (Nazione)
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
AEM (IT)
ATEL (CH)
CEZ (CZ)
Dong Energy (DK)
EDF (F)
ENEL (IT)
EDP (P)
E.ON (D)
ESSENT (NL)
FORTUM (FIN)
HERA (IT)
IBERDROLA (E)
Int. Power (UK)
NUON (NL)
RWE (D)
Scottish Energy (UK)
Statkraft (N)
Vattenfall (S)
Verbund (A)
Media europea
N. Totale N. Totale N. Totale
Acquisizioni Integraz. Diversific.
Orizzontali
6
3
5
4
26
13
6
28
4
5
3
3
4
3
16
6
3
8
3
7,89
3
3
2
2
15
9
3
15
1
5
1
3
4
1
6
1
3
7
2
4,52
3
0
3
2
11
4
3
13
3
0
2
0
0
2
10
5
0
1
1
3,36
Diversific.
Verticali
Diversific.
Orizzontali
2
0
3
2
9
3
0
7
2
0
2
0
0
2
8
3
0
1
1
–
1
0
0
0
2
1
3
6
1
0
0
0
0
0
2
2
0
0
0
–
Valore
Economico
Diversific.
(mld €)
1,087
0
1,44
2,35
6,11
2,88
0,94
21,06
0,79
0
0,24
0
0
N.D.
6,09
4,55
0
0,18
0,14
2,65
Fonte: elaborazione dell’autore su dati di Leveque e Monturus (2008).
nali e, quindi, la loro acquisizione è da considerarsi un’integrazione orizzontale.
La tabella 4 sintetizza il numero totale delle acquisizioni, delle integrazioni verticali e delle diversificazioni (nonché il loro valore economico complessivo) operate da ciascuna IEE durante la decade considerata (anche in questa
tabella i valori sopra la media europea sono riportati in grassetto). La maggior
parte delle IEE ha bilanciato diversificazione e integrazione orizzontale. Le imprese più dinamiche nelle acquisizioni sono state quelle di paesi con diamanti
elettrici nazionali molto competitivi (Germania e Italia). Meno impegnate in
acquisizioni sono state, invece, le imprese elettriche britanniche (International
Power e Scottish Energy), le quali hanno effettuato un numero di operazioni
inferiore alla media europea. EDF (Francia) ha implementato più acquisizioni
di quanto lasciasse presagire il suo diamante nazionale. Possibili spiegazioni
potrebbero essere la completa integrazione verticale e il pregresso monopolio statale del mercato elettrico francese, che potrebbero aver supportato EDF
nella competizione internazionale dopo la liberalizzazione.
Per quanto concerne la diversificazione, essa è stata maggiormente adottata da E.ON, EDF, ENEL, RWE e Scottish Energy, quasi tutte imprese di nazioni (eccetto EDF) con un forte diamante nazionale. Le due imprese tedesche
499
sono state le più attive nel diversificare. Vi è, tuttavia, una netta differenza tra
loro in termini di portata geografica della diversificazione. RWE si è focalizzata
perlopiù sull’acquisizione di imprese straniere distributrici di gas e elettricità
mentre E.ON (azienda frutto della fusione avvenuta tra VEGA e VIAG nel 2000)
ha acquisito molte aziende dell’industria tedesca del gas. EDF ha implementato ventisei operazioni, di cui undici erano diversificazioni internazionali.
ENEL ha compiuto tredici operazioni in totale, ma solo quattro diversificazioni (principalmente nei paesi dell’Est Europa). Tale valore è comunque sufficiente per porre l’azienda italiana sopra la media europea. EDP (Energias de
Portugual) è un’altra azienda elettrica ex-monopolista che ha portato a termine più diversificazioni. Nel complesso, EDP ha acquisito (totalmente o parzialmente) sei compagnie in questo periodo, tra cui piccole società spagnole o
portoghesi specializzate nella fornitura e distribuzione di gas. L’unica impresa
britannica che ha condotto un numero di diversificazioni superiore alla media europea è stata Scottish Energy, la quale ha acquisito in questi anni principalmente altre imprese britanniche minori. Nessuna diversificazione, invece,
per International Power. Anche Vattenfall si è concentrata soltanto su acquisizioni di imprese estere generatrici di elettricità (principalmente polacche
e tedesche). Infine, Electrabel non è censita nel database poiché è stata acquisita nel 2003 dalla impresa francese SUEZ (successivamente fusasi con Gaz
De France). Electrabel, leader di mercato nel ricco ma piccolo Belgio, risulta
quindi l’unica impresa ex-monopolista acquisita da un’altra azienda in questi
anni. Infine, anche dal punto di vista finanziario emerge come le due imprese
tedesche, EDF, ENEL e Scottish Energy siano quelle che abbiano investito più
risorse nella diversificazione.
In definitiva, i risultati delineano la validità di una spiegazione countrybased dell’intensità dell’attività di diversificazione (intesa come numero di
operazioni) di un’impresa elettrica dopo la liberalizzazione dell’industria continentale. La proposizione 1 è da ritenersi confermata.
Il secondo aspetto qui analizzato riguarda l’eventuale impatto qualitativo
della competitività nazionale sull’attività di diversificazione delle IEE. Nello
specifico, si è soffermata l’attenzione sul tipo di nuovi mercati in cui le imprese hanno diversificato. La tabella 5 sintetizza i principali mercati non core
delle maggiori IEE dopo dieci anni di liberalizzazione. Non emergono da essa
particolari differenze nei loro pattern di diversificazione. La maggior parte
delle IEE, infatti, ha diversificato quasi sempre negli stessi mercati e seguendo
lo stesso ritmo nel corso del tempo. La gran parte ha seguito un percorso di
diversificazione competence-based sostanzialmente scollegato dagli attributi e
dalla competitività dei loro paesi d’origine. Vi sono state molte diversificazioni verticali (ad esempio, nella vendita di energia) e orizzontali. Il settore
del gas è stato l’estensione naturale per molte IEE. Altri mercati usuali per la
diversificazione orizzontale sono stati le telecomunicazioni e gli altri settori
500
TAB. 5. Nuovi business delle principali imprese elettriche europee
Impresa
Paese
Altri business (correlati e non con la generazione)
ENI
E.ON
EDF
RWE
IT
D
F
D
Centrica
UK
Endesa
E
IT
S
E
D
UK
D
IT
NL
Ingegneria e costruzioni
Trading, trasmissione e distribuzione di energia
Trading, gestione reti di trasmissione, distribuzione energia, terziario avanzato
Gestione e fornitura risorse idriche, trading di energia, servizi IT, real estate management, servizi per il personale ed infrastrutture
Fornitura energetica, riscaldamento, prodotti per la fruizione di gas, manutenzione di impianti
Gestione reti di trasmissione
Ingegneria e costruzioni, infrastrutture e servizi
Gestione reti di trasmissione, riscaldamento
Gestione reti di trasmissione, ingegneria e costruzioni, real estate
Fornitura di risorse idriche, smaltimento rifiuti liquidi
Distribuzione di energia
Riscaldamento, telecomunicazioni, servizi IT, gestione delle risorse idriche
Gas, reti di trasmissione di elettricità
Acqua minerale, smaltimento rifiuti, trattamento di acqua inquinata, cablatura
per ICT
Sistemi informativi, servizi ingegneristici, gestione delle risorse umane e consulenza direzionale
Trasporti, fornitura di gas, costruzioni, manutenzione reti
ENEL
Vattenfall
Iberdrola
EnBW
Scottish Power
EWE
Edison
Essent
Union Fenosa
Nuon
E
NL
Fonte: elaborazione dell’autore su dati di Gravitie Limited (2006).
di pubblica utilità (per esempio, gestione delle risorse idriche e gestione dei
rifiuti). Sono stati pochi i casi di diversificazione laterale.
Oggi quasi tutte le IEE operano nella generazione e/o vendita di gas e di
elettricità senza particolari distinzioni. Alcune di queste imprese hanno inoltre lanciato nuove imprese controllate o acquisito aziende già esistenti (sia
estere sia nazionali) per entrare negli altri stadi della filiera elettrica (ad esempio, la gestione delle reti di trasmissione). Le principali motivazioni alla base
di questi comportamenti strategici generalizzati sembrano due: 1) offrire, localmente e/o a livello internazionale, servizi alle nuove imprese entranti nel
mercato elettrico europeo liberalizzato; 2) cercare di preservare e non disperdere una parte delle loro conoscenze e competenze minacciate da una dismissione obbligata a causa delle direttive UE.
EDF ed ENEL (gli ex-monopolisti di mercato in paesi con diamanti elettrici
fortemente competitivi) non hanno implementato particolari pattern di diversificazione. In altre parole, la loro pregressa posizione di mercato dominante
nei propri paesi d’origine non le ha agevolate nel trovare nuovi mercati inesplorati o inaccessibili dalle imprese elettriche di paesi meno dotati in questo
settore.
Riepilogando, il diamante elettrico nazionale non fornisce una spiegazione
adeguata sul tipo di nuovi mercati in cui un’impresa elettrica diversifica dopo
la liberalizzazione. La seconda proposizione non è confermata.
501
5.
CONCLUSIONI
I risultati suggeriscono che è quantitativamente verificata la relazione
positiva tra la competitività di una nazione e le attività di diversificazione
delle sue imprese dopo la liberalizzazione settoriale. Lo stesso non può essere affermato in termini qualitativi. La forza delle nazioni conta nel plasmare la competizione internazionale ma probabilmente meno di quanto un
ammiratore della teoria di Porter potrebbe pensare. Nonostante i risultati
di questo studio dimostrino che questi due concetti sono collegati in qualche modo, la natura della loro relazione è ancora da analizzare. Se le determinanti della competitività nazionale sono di minore entità, allora il numero
di diversificazioni implementate dalle imprese di quel paese tende a essere
inferiore alla media europea. Al contrario, molto spesso vi è un’adozione
più ampia di tale strategia quando esse sono maggiori rispetto alla media
continentale. Nel corso del tempo alcune grandi IEE, facendo leva sui propri mercati domestici, hanno costruito il loro vantaggio competitivo internazionale e hanno implementato così molte acquisizioni mirate alla diversificazione. Questa conclusione è in linea con precedenti studi (Haveman,
1993) che hanno evidenziato il maggiore orientamento delle grandi imprese
verso la diversificazione.
Le caratteristiche dei paesi d’origine offrono condizioni di contesto generali favorevoli (o meno) alla diversificazione ma, tuttavia, la loro presenza non implica necessariamente che le imprese elettriche adotteranno quella
strategia in modo innovativo. Questa osservazione rispecchia le conclusioni
di Ingham e Thompson (1995), secondo i quali la diversificazione dopo la
liberalizzazione è da intendersi come un processo strategico influenzato, in
primo luogo, dagli obiettivi e dalle competenze aziendali e soltanto in seconda battuta dalle specificità dell’industria nazionale o della regolamentazione
settoriale.
Dai risultati ottenuti emergono implicazioni sia di natura manageriale sia
di policy. Da un punto di vista manageriale, le imprese operanti in mercati
appena liberalizzati dovrebbero valutare se (e, nel caso, come) le strategie di
crescita dei loro concorrenti stranieri beneficeranno in qualche misura di alcuni punti di forza dei loro paesi d’origine. Ciò consentirebbe di prevedere
quantitativamente, almeno in parte, le loro operazioni nel lungo periodo e di
definire reazioni strategiche repentine e adeguate. Inoltre, i risultati di questo studio suggeriscono che per le imprese originarie di nazioni con diamanti elettrici minori sia da prendere in considerazione la possibilità di crescere
tramite fusioni con altre imprese elettriche al fine di recuperare il proprio gap
nazionale e di contrastare adeguatamente i player delle nazioni più competitive nell’acquisizione di imprese target per fini di diversificazione orizzontale
e/o verticale.
502
Per quanto concerne le implicazioni di policy, i decisori pubblici dovrebbero evitare di compiere contemporaneamente liberalizzazioni a livello continentale in più industrie tra loro altamente complementari (come nel caso
dell’elettricità e del gas in Europa). Infatti, le liberazioni gemellate rischiano
soltanto di avviare uno sprint verso operazioni di diversificazione orizzontale
da parte dei gruppi industriali delle maggiori nazioni del continente e, alla
resa dei conti, di rinforzare la loro posizione dominante nel mercato domestico anche a livello continentale. Inoltre, si dovrebbero escogitare alcune misure utili a scongiurare il rischio che, con la proliferazione della diversificazione
verticale dei big player europei, l’industria elettrica europea diventi nei prossimi anni un oligopolio «geograficamente concentrato» (dominato da pochi
gruppi industriali originari di paesi già industrializzati) e non, piuttosto, un
libero mercato popolato da una moltitudine di attori di più paesi, così come
in parte auspicato dalle direttive comunitarie. In questo panorama, emerge
ancor più la centralità del ruolo di istituzioni pubbliche quali le commissioni
di vigilanza e di antitrust.
Il principale limite dello studio è il ristretto numero di indicatori utilizzati per misurare le determinanti nazionali. Sarebbe stato possibile considerare
ulteriori fonti statistiche. Un secondo limite deriva dalla portata continentale del campione analizzato: infatti, tale scelta presuppone che l’integrazione
tra i mercati elettrici nazionali sia avanzata mentre, in realtà, esistono ancora
moltissime barriere 8. Infine, l’analisi è stata focalizzata quasi esclusivamente
su acquisizioni intra-europee mentre diverse IEE (tra cui Centrica o Endesa)
operano e gestiscono attività anche al di fuori del continente (ad esempio negli USA o in America Latina). In questi casi, pertanto, i dati forniscono solo
una panoramica parziale della misura e della qualità con cui le IEE hanno attuato la diversificazione.
I futuri studi sul tema potrebbero sviluppare indici più accurati sulle determinanti nazionali attraverso la combinazione di più indicatori e dati presi
da più fonti ufficiali. Inoltre, sarebbe interessante valutare e comparare gli
attributi dei paesi d’origine con altri framework metodologici al fine di verificare se i risultati qui ottenuti siano confermati o meno. Ulteriori sforzi di
ricerca sono inoltre necessari per comprendere meglio quale sia il vero impatto della pregressa forma di mercato sul diamante elettrico nazionale e
sull’orientamento delle imprese di quella nazione verso la diversificazione. A
tal proposito, sarebbe auspicabile un’analisi comparativa tra differenti gruppi
di imprese costruiti in base alla precedente struttura di regolazione del loro
mercato elettrico nazionale.
8
Si ringrazia uno dei due referee per l’osservazione.
503
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