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Athinà, Ercole e Aristotele
Athinà, Ercole e Aristotele, compagni di scuola fin dalla prima elementare, erano sempre
stati amici. Ma negli ultimi tempi erano diventati inseparabili. Sapete? Di solito tra i ragazzi condividere un segreto crea un legame ancora più forte che tra gli adulti.
Tutto era cominciato il giorno in cui i tre amici avevano trovato, in casa della nonna di
Athinà, un antichissimo baule e, spinti dalla curiosità, lo avevano aperto per vedere cosa contenesse. Questa decisione si sarebbe rivelata molto importante, addirittura storica, e non solo in senso figurato: Athinà lo avrebbe ripetuto più volte nei mesi seguenti, quando...
Ma non anticipiamo i tempi. Quel giorno, frugando nel baule che in apparenza conteneva
solo vecchi abiti ingialliti dal tempo, i ragazzi avevano scoperto un doppio fondo che nascondeva, probabilmente da anni e anni, una cosa che aveva stuzzicato ancora di più la loro curiosità: un grande libro dall'aspetto antico e prezioso. Lo aprirono e videro delusi che aveva tutte
le pagine bianche. Ma la loro delusione durò solo un attimo, perché d'un tratto, sotto i loro occhi stupefatti, le pagine cominciarono a riempirsi di grandi lettere, scritte con inchiostro dorato.
"È un libro magico!", esclamò Aristotele.
"Guardate", osservò Athinà, "le parole che si stanno formando promettono di rivelarci tra
poche righe un grande segreto".
E infatti subito dopo sulla carta apparve una formula magica. Il libro spiegava che chi l'avesse pronunciata pensando intensamente a una persona vissuta nel passato l'avrebbe fatta
apparire richiamandola dal suo tempo al nostro. Attenzione, però, ammoniva: la magia sarebbe durata ogni volta soltanto trentatré minuti, passati i quali la persona evocata sarebbe
scomparsa. Sarebbe ritornata alla sua epoca senza poter ricordare niente di quello che aveva
visto, saputo e vissuto in quella mezz'ora.
Null'ultima pagina il libro avvertiva che il suo segreto non era destinato a chiunque, ma
solo alle persone da lui prescelte. E che queste persone non avrebbero dovuto rivelare a nessun altro la formula magica che avevano appena letto. La formula altrimenti avrebbe perso il
suo potere.
Non appena i tre amici ebbero letto l'ultima parola di questo avvertimento, le lettere dorate pian piano cominciarono a scolorirsi, fino a scomparire del tutto.
"Fantastico!", esclamò Aristotele sbalordito.
"Non riesco a crederci!", balbettò Ercole sfiorando il volume con rispetto misto a timore.
"Be', visto che il libro ci ha fatto l'onore di sceglierci come depositari del suo segreto, dobbiamo giurare di non rivelarlo a nessuno" disse Athinà. "Pensate! Potremo invitare nel nostro
tempo i personaggi del passato che preferiamo".
"E soltanto noi tre li potremo vedere...", osservò compiaciuto Aristotele.
"...e ascoltare quello che hanno da dirci", concluse Ercole, ancora incredulo per tanta fortuna.
Giurarono e nascosero con cura l'antico volume nel doppio fondo del baule, già pregustando il momento in cui avrebbero potuto vivere la loro mezz'ora di magia.
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UN INCONTRO
STRAORDINARIO
L
a domenica è un giorno strano, che cambia a seconda delle
stagioni. D'inverno in genere è triste e malinconica, ma quando
arriva l'estate, il sole la trasforma in una giornata allegra e luminosa.
Qualche volta addirittura in una giornata magica!
Fu proprio in una domenica di giugno che Athinà, Ercole e Aristotele decisero di visitare l'Acropoli, l'antica cittadella sulla rocca che domina la città di Atene, dove tanti e tanti anni prima gli ateniesi avevano costruito il tempio della dea Atena, loro protettrice.
Il sole splendeva caldo e luminoso nel cielo azzurro. I tre amici arrancavano su per la strada in salita che portava in cima alla rocca. Le
cicale avevano già incominciato a frinire e Aristotele le imitava, ripetendo senza tregua il suo monotono lamento: "Uffa che caldo! Uffa
che caldo!".
Aveva il fiato corto, il viso arrossato, sudava... "Fermiamoci un attimo. Non ce la faccio più", sbuffò infine, e si gettò a sedere su un sasso.
"Di già?", commentò Athinà severa. "Cosa dovrebbe dire allora Ercole, che ha sulle spalle il peso di due zaini?".
"Due zaini?", chiese Ercole stupito, dando uno strattone di con-
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trollo alle cinghie. Non ricordava di essersi caricato anche quello dell'amico.
Aristotele capì che la conversazione stava prendendo una brutta
piega. "D'accordo, d'accordo! Proseguiamo", disse in fretta. Ma
Athinà non era tipo da mollare facilmente la preda.
"Perché non te lo porti tu, il tuo zaino?", chiese ironica. "Magari
l'allenamento ti servirà a prendere un voto migliore in educazione fisica l'anno venturo".
Aristotele fece per risponderle a tono, ma si controllò. In fondo
Athinà aveva ragione a criticare la sua pigrizia. Decise di assumersi le
proprie responsabilità. In silenzio sfilò il suo zaino dalle spalle di Ercole, se lo sistemò sulla schiena e riprese la salita, superando i due amici con passo veloce.
I ragazzi camminarono spediti per altri dieci minuti e arrivarono in
vista dei Propilei, l'ingresso monumentale dell'Acropoli.
La scalinata pullulava di turisti abbronzati, che salivano e scendevano i gradini di marmo. Un gruppo di giapponesi fotografava come
al solito a destra e a manca.
Giovanotti e ragazze biondissimi, di chiara origine tedesca o scandinava, camminavano senza guardare dove mettevano i piedi, tutti
immersi nella lettura delle loro guide turistiche, e naturalmente inciampavano ogni due passi. I ciceroni che accompagnavano i gruppi
urlavano le loro spiegazioni a voce altissima per sovrastare il chiasso.
Athinà, Ercole e Aristotele si fermarono un po' in disparte e si scambiarono un'occhiata d'intesa.
"Siete pronti?", domandò Athinà. "A chi dobbiamo
pensare?", chiese Ercole.
"A chi, secondo te?", gli fece il verso Aristotele,
ironico. Questa volta i ragazzi non avevano bisogno di mettersi d'accordo per scegliere il personaggio del passato da evocare. Ce n'era uno, uno
solo, adatto più di tutti gli altri a quel luogo
straordinario. Ercole annuì in silenzio.
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Chiusero gli occhi, si concentrarono su quel nome famoso, mormorarono sottovoce la formula magica e... hop! ecco che non erano
più in tre, ma in quattro.
Il nuovo arrivato era un uomo adulto, vestito in modo piuttosto
strano. Indossava un imation, la lunga veste bianca a pieghe drappeggiata attorno al corpo. Sul capo portava un elmo di lucido bronzo
e ai piedi un paio di sandali leggeri. Sembrava leggermente stordito,
ma subito si riprese, si guardò attorno ed esclamò rosso d'indignazione: "Per Zeus! Cosa è successo ai miei marmi?".
"Benvenuto", disse Athinà un po' intimorita.
"E voi chi siete?", chiese l'ospite in tono imperioso. Si vedeva che
era abituato a comandare.
"lo sono Athinà...", rispose la ragazza. Il nuovo arrivato impallidì e
fece un passo indietro.
Devi sapere, lettore italiano, che 'Athinà' è la pronuncia greca del
nome Atena, la dea che noi conosciamo anche con il nome di Minerva.
"Perdonami. Non ti avevo riconosciuta, vestita in questo modo
strano", balbettò il nuovo arrivato in tono di reverenza. "Tu sei
Athinà, la figlia di Zeus?"
"Veramente mio padre si chiama Demetrio...", spiegò ridendo la
ragazza.
I suoi amici si affrettarono a presentarsi anche loro.
"lo sono Ercole".
"E io Aristotele".
"Strano davvero... Com'è possibile che una ragazzina si chiami come la nostra dea protettrice e un ragazzo porti il nome del più forte
di tutti gli eroi?", commentò il nuovo arrivato perplesso, grattandosi
con difficoltà la testa a causa dell'elmo.
"Non c'è niente di strano", rispose Athinà. "Anche oggi i genitori
greci chiamano i loro figli con i nomi degli antichi dei, degli eroi mitologici...".
"... dei grandi filosofi del passato", aggiunse Aristotele, "degli artisti
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e degli uomini politici. Pensa che un nostro compagno di
scuola, il più discolo della classe, si chiama proprio come te".
"Conoscete il mio nome?", chiese sconcertato l'ospite.
"Certo. E sappiamo che sei il più illustre e famoso degli
ateniesi", disse Athinà.
"È un onore per noi conversare con il grande Pericle", aggiunse Ercole con un inchino.
"Voi sapete chi sono...", mormorò Pericle turbato, "ma io non vi
conosco... Siete vestiti in modo così bizzarro...", si guardò attorno inquieto, "e chi sono quegli strani individui che calpestano i miei marmi? Cosa è successo all'Acropoli? Chi è stato a ridurla cosi? Quale nemico l'ha...?".
"È stato il tempo", Io interruppe Ercole. "Hai fatto un lungo viaggio, Pericle. Un viaggio di duemila e cinquecento anni. Adesso sei nel
ventunesimo secolo della nostra epoca".
"E come ho fatto... come ho fatto ad arrivarci?".
"Grazie a un incantesimo, una magia. Ti abbiamo chiamato noi tre,
perché vogliamo sapere tutto sull'Acropoli", spiegò Aristotele.
"Ma non devi preoccuparti. La magia dura solo mezz'ora", disse Ercole per rassicurarlo. "Dopo di che, te ne potrai tornare a casa tua, anzi al tuo tempo".
"Cosa ne dici?", chiese Athinà.
"Dico che è incredibile. Eppure..." Pericle allungò una mano e toccò
Io zaino della ragazza, poi si tolse l'elmo per grattarsi
meglio la testa, "... eppure... devo riconoscere che
è vero".
Aveva recuperato tutto il suo sangue
freddo, quell'autocontrollo per cui era
famoso tra i suoi contemporanei.
"Magia o non magia, non riesco a capire", disse guardandosi attorno, "come
mai gli ateniesi hanno permesso che il
tempio della dea si riducesse cosi".
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La sua voce era piena di amarezza.
"Te Io spiegheremo più avanti. È una lunga storia", disse Athinà
sfiorandogli una mano in segno di conforto. "Adesso non vediamo l'ora di sentire la tua, di storia".
"Vuoi dire la storia della mia vita?", chiese Pericle.
"No. La storia dell'Acropoli", disse Ercole.
"A scuola abbiamo studiato che la maggior parte degli edifici che
si trovano sulla rocca, sei stato tu a farli costruire", spiegò Athinà.
"Dai, racconta! Non tenerci sulle spine", Io incalzò Aristotele.
"Abbiamo poco tempo a disposizione".
"D'accordo!", acconsentì Pericle un po' rasserenato. "Volete che
cominci dall'inizio?".
"E cioè?", chiese Ercole.
"Dai tempi delle prime ostilità fra i Greci e i Persiani".