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TESTO
GIUSTIZIA E CARITÀ
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I TESTI
Nel quarto libro de Il mondo come volontà e rappresentazione vengono descritte le tappe attraverso le quali l’uomo ha la possibilità di sottrarsi alla tirannia della volontà e, quindi, al dolore.
Come è noto, la prima di tali tappe è costituita dall’arte, la quale tuttavia, nonostante il suo
valore catartico, in definitiva costituisce solo un palliativo, anziché un vero rimedio. Quest’ultimo, infatti, può derivare soltanto dall’etica, articolata nelle due virtù fondamentali della
giustizia e della carità, e dell’ascesi.
Giustizia e carità sono entrambe forme di negazione della volontà perché si oppongono
all’egoismo, ma si differenziano nettamente tra loro in quanto la carità non si limita al rispetto dei diritti altrui, come la giustizia, ma implica la solidarietà con gli altri.
Ora, prima che parliamo della bontà propriamente detta […], toccheremo di un grado intermedio,
semplice negazione della malvagità: della giustizia. […] si chiama giusto chiunque spontaneamente riconosca i limiti posti dalla morale fra il diritto e il torto, rispettandoli anche se non protetti
dallo Stato, né da nessun altro potere; secondo la nostra teoria, giusto è chi, nell’affermazione della
propria volontà, non va mai fino alla negazione della volontà che si manifesta in un altro individuo.
Il giusto non infliggerà mai delle sofferenze agli altri, per accrescere il proprio benessere: non commetterà mai nessun delitto, e rispetterà sempre i diritti e la proprietà di ciascuno. […]
Nel suo grado supremo, il sentimento di giustizia non si distingue più dalla bontà vera e propria,
il carattere della quale non è soltanto negativo.
Mentre l’uomo semplicemente giusto si limita a non infligger dolori; mentre in genere la più
parte degli uomini vede e conosce da vicino innumerevoli creature che soffrono, ma non si sa
decidere ad offrire un sollievo, poiché ciò esigerebbe da parte loro qualche privazione; mentre, in
una parola, in ciascuno di costoro sembra predominare l’idea di una radicale differenza fra il
proprio io e quello degli altri; al contrario, in un animo nobile quale quello supposto, la differenza si riduce a un minimo; il principium individuationis, la forma del fenomeno, non lo domina
più con la forza consueta. Le sofferenze altrui lo commuovono quasi come le proprie; procura
perciò di ristabilire l’equilibrio fra le une e le altre; con il rinunziare ai piaceri, con l’imporsi delle privazioni, al solo fine di addolcire le sofferenze altrui. La differenza fra lui e gli altri esseri, che
al malvagio appare smisurata, non è che un fenomeno passeggero ed illusorio. E il buono se ne
accorge; riconosce, in via immediata e senza raziocinii, che l’in sé del fenomeno è identico, e in
lui, e negli altri, coincidendo con quella volontà di vivere, in cui sta l’essenza di ogni cosa, e che
vive in tutto; anzi, estende tale identità anche ai bruti e all’intera natura.
(Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione,
trad. it. di N. Palanga, a cura di G. Riconda,
Mursia, Milano 1969, pp. 412-414)
Analisi del testo
1-9 La giustizia non rappresenta certo il coronamento
dell’etica, ma piuttosto un grado intermedio tra malvagità e bontà; essa infatti consiste nel rispetto dei diritti
altrui, indipendentemente dal fatto che questi siano
codificati e menzionati dallo Stato o da qualche altra
autorità esterna. L’uomo giusto sa tenere a freno i pro© Pearson Italia S.p.A.
Filosofia, Paravia
pri appetiti particolari. In un altro passo Schopenhauer
critica la morale kantiana non solo perché fondata erroneamente sulla ragione, anziché sul sentimento, ma
anche perché si limita a prescrivere di non fare del male,
anziché di fare del bene agli altri uomini. Dunque la giustizia è sì una virtù, ma è insufficiente.
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Filosofia, Paravia
la propria individualità, condividendo le sofferenze altrui e facendo delle rinunce per gli altri.
18-22 In questo consiste la bontà: l’uomo buono, intuendo che, al di là della molteplicità fenomenica, l’essenza del mondo è data dall’identica volontà che domina
e fa soffrire tutte le creature sente di doversi immedesimare con esse (mentre l’atteggiamento dell’uomo malvagio è aggressivo e quello dell’uomo giusto è distaccato).
I TESTI
10-14 L’uomo giusto, pur vedendo intorno a sé la sofferenza di innumerevoli creature, è troppo legato al proprio
io per decidersi a portar loro aiuto; non accetta l’idea di
sacrificare il proprio benessere a vantaggio altrui.
14-18 Si può dire che, per Schopenhauer, così come il
progresso conoscitivo consiste nel sollevarsi al di sopra
del principio di ragion sufficiente, analogamente il progresso morale consiste nella capacità di svincolarsi dal-
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