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Corte di Cassazione – V Sez. Penale– sentenza 17 febbraio 2017 n. 7630
Pres. A. Bruno. – Est. F. Morelli
Esercizio abusivo della professione – falsità in scrittura privata– praticante non
abilitato.
Il praticante dell’avvocato che si presenta al cliente come il professionista incaricato di trattare il
caso, riscuote acconti, firma quietanze e intrattiene contratti con la controparte è penalmente
responsabile ai sensi dell’articolo 348 del Codice Penale per esercizio abusivo della professione.
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 7630/2017, è stata chiamata a esprimersi sulla vicenda di
un praticante (non abilitato all’esercizio della professione forense), condannato in primo grado e in
appello per falso materiale in scrittura privata ed esercizio abusivo della professione di avvocato,
per essersi mostrato, in una controversia in materia di risarcimento danni, come avvocato
incaricato della trattazione della causa.
L’imputato proponeva ricorso per Cassazione, ritenendo di non aver mai compiuto atti tipici della
professione forense, in quanto l’aver fatto sottoscrivere ai clienti quietanze ed attestazioni di
pagamento e l’aver ricevuto acconti in denaro non rappresenterebbe un’attività tipica della
professione legale.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte di Cassazione ha ritenuto che le
attività poste in essere dall’imputato integrano il reato di cui all’art 348 c.p., in quanto
univocamente riconducibili alla professione forense e tali da ingenerare nei confronti dei clienti e
della controparte la convinzione che lo stesso fosse abilitato all’esercizio della professione.
La Corte di Cassazione perviene a tale conclusione richiamando un consolidato orientamento
giurisprudenziale, secondo cui: “integra il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348
cod. pen.), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a
una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di
essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuità, onerosità e
organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di
un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato” (Corte di Cassazione, Sezioni
Unite Penali, 11545/2011).
Nonostante la dichiarata inammissibilità del ricorso, i giudici della Cassazione annullano senza
rinvio parte della sentenza impugnata limitatamente al fatto di cui all'art. 485 c.p.
(falsità in scrittura privata) in quanto, a seguito della depenalizzazione, esso non è più previsto
dalla legge come reato.
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