Highlights AboutPharma 146

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Entro il 31 marzo l’Aifa decide sull’innovatività dei farmaci
Più trasparenza nei criteri che stabiliscono o meno l’innovatività dei farmaci e possibilità di rivalutarne il
grado un anno dopo l’immissione in commercio, così come si fa in Germania. In sintesi è quanto si
aspettano industriali e farmacologi dalla determinazione che l’Aifa dovrà rendere pubblica entro il prossimo
31 marzo a proposito di innovatività farmaceutica, così come previsto dalla Legge di Bilancio 2017.
AboutPharma propone un confronto a più voci sulle principali controversie e sui modelli stranieri di
riferimento in tema di rimborsabilità dell’innovazione stessa. Giuseppe Recchia, vice presidente di
GlaxoSmitKline spa, chiede a quali fonti occorre fare riferimento prima di decidere cosa è innovativo e cosa
no. Filippo Drago (Università di Catania) – che sta preparando sul tema un Position Paper per conto della
Società italiana di farmacologia – si augura anche un ritorno della fascia B. Intervista a Nello Martini, ex
direttore generale dell’Aifa, in tema di governance.
Machine learning e robot: l’intelligenza artificiale scopre così i nuovi farmaci
Scoprire nuovi farmaci attraverso l’intelligenza artificiale riducendo in maniera sensibile i costi, e
soprattutto i tempi, della fase di drug discovery. L’opportunità la offrono da qualche anno le startup e le
aziende che sviluppano algoritmi di deep learning che sono in grado di comprendere le centinaia di milioni
di informazioni contenute in database, paper e report scientifici, mettere i big data in correlazione tra di
loro e fornire ipotesi di nuovi composti oppure di usi alternativi di medicinali già esistenti.
Secondo Cb Insights, sito specializzato in investimenti in capitale di rischio su società hi tech, tra il 2011 e il
2016, gli investitori hanno puntato complessivamente 1,5 miliardi di dollari sulle nuove imprese che
lavorano su piattaforme di intelligenza artificiale a servizio dell’healthcare. E tra le 106 startup più
promettenti individuate dal sito, nove si dedicano allo sviluppo di sistemi intelligenti per la drug discovery.
Alcune di queste stanno già stringendo partnership con alcune Big Pharma. Per esempio, la statunitense
Atomwise ha siglato un’intesa con Msd, mentre l’inglese BenevolentAI ha preso in licenza da Janssen una
serie di composti candidati ai test clinici per valutarne le possibili indicazioni terapeutiche attraverso le
proprie tecnologie di Ai.
Alcune grandi aziende, come Pfizer e Teva, hanno iniziato a collaborare con grandi player come Ibm, che ha
lanciato Watson for Drug Discovery, mentre altre, come Berg, stanno sviluppando questo tipo di tecnologie
in casa e lanciando i primi trial.
Altre invece stanno osservando lo scenario in attesa di passare all’azione. Come Gsk: “Nell’ambito della
scoperta di nuovi farmaci, le innovazioni legate all’Ai rappresentano un avanzamento ancora più
significativo delle prime tecnologie introdotte con la ricerca in silico”, osserva Giuseppe Recchia, vice
presidente e direttore medico-scientifico di GlaxoSmithKline Spa. E anche in Italia c’è grande attenzione,
come testimonia Lorenzo Polenzani, responsabile della Unità Scientific Networking & Competitive
Intelligence della RR&D di Angelini: “La velocizzazione è il valore aggiunto che ci si aspetta dall’intelligenza
artificiale: non mi stupirebbe che si possa passare da processi lunghi diversi anni ad altri che richiedano una
durata significativamente più breve, ottenendo comunque un notevole vantaggio”.
Life science e investimenti: negli Usa pronti 7 miliardi, in Italia 60 milioni alle startup
Il denaro per finanziare l’innovazione c’è: basta convincere gli investitori a tirarlo fuori. È l’indicazione che
arriva dai dati relativi al venture capital a disposizione delle aziende life science e dall’umore dei top
manager che hanno partecipato alla J.P. Morgan Healthcare Conference di San Francisco. I fondi di venture
capital degli Stati Uniti specializzati in investimenti su startup e aziende biotech hanno complessivamente in
gestione oltre 7 miliardi di dollari. In prospettiva, quindi, anche il 2017 potrebbe rivelarsi favorevole per gli
investimenti in ambito life science e mantenere su livelli positivi il trend degli ultimi anni. Dai report
Pitchbook-Nvca risulta che nel 2016, sempre negli States, vc e società di investimento hanno puntato
complessivamente 7,8 miliardi di dollari su 488 nuove aziende biotech e farma e 3,3 miliardi su 464 startup
che producono dispositivi medici di ultima generazione. Nel complesso, 11,1 miliardi.
E in Italia? Nel 2015, stando ai dati più recenti pubblicati da Assobiotec e Aifi, soltanto sulle realtà biotech
sono stati investiti 7,3 milioni di euro (in 11 operazioni) da parte di società di venture capital. L’anno scorso
invece la quantità di denaro messa a disposizione delle nuove imprese healthcare, non solo
biotecnologiche, è stata maggiore. Sulla base delle informazioni rese note dai fondi e dalla stampa
specializzata, lista dei round early stage chiusi nel 2016 da società biotech e medtech nate negli ultimi anni:
la raccolta complessiva è stata di 58,6 milioni di euro, suddivisi tra 15 aziende.
Farmaci veterinari tra antibiotico-resistenza e prezzi poco accessibili
Il G7, presieduto quest’anno dall’Italia, si occupa dell’uso di antibiotici negli allevamenti, cercando strategie
condivise per arginare l’avanzata dei “superbatteri” resistenti. Il Parlamento italiano prova a modificare le
norme che regolano la prescrizione dei farmaci destinati agli animali da compagnia, con l’obiettivo di
limitare la spesa. Due questioni, solo apparentemente slegate, che certificano un dato: la salute animale e i
farmaci veterinari sono a pieno titolo nell’agenda politica.
Sul fronte dell’antibiotico-resistenza, a metà marzo è in calendario a Roma un incontro dei capi dei servizi
veterinari dei Paesi del G7. L’obiettivo? Impegnarsi per un uso prudente degli antibiotici e promuovere
condizioni di benessere, perché animali in salute hanno meno bisogno di farmaci. Magari provando anche a
ridurre le distanze tra Usa ed Europa su una delle questioni più spinose: l’impiego di antimicrobici negli
allevamenti come “promotori di crescita”, vietato nel Vecchio Continente e ancora consentito Otreoceano.
La discussione “interna” sui costi dei farmaci veterinari, spesso anche 10 volte più cari di quelli per l’uomo,
si concentra invece su due proposte di legge all’esame del Senato. Iniziative che puntano ad agevolare il
ricorso ai più economici farmaci ad uso umano, soprattutto generici, in alternativa a quelli specifici
registrati per gli animali. Un’apertura che, nel caso degli antimicrobici, può indebolire la lotta all’antibioticoresistenza, sostengono i medici veterinari.
Produrre farmaci in Africa? Non è un miraggio
L’Africa apre le porte alla produzione di farmaci e si moltiplicano le iniziative dei Governi locali per attrarre
investimenti stranieri finalizzati all’apertura di impianti, con particolari opportunità nel settore dei generici.
L’obiettivo nel breve e nel medio periodo è il soddisfacimento del fabbisogno interno (non certo
l’esportazione), agevolato anche da numerosi accordi di cooperazione economica. Entro il 2018 sul modello
dell’Ema inaugura anche l’Agenzia africana dei medicinali. McKinsey stima che il valore complessivo
dell'industria farmaceutica in Africa è passato da 4,7 miliardi di dollari nel 2003 a 20,8 nel 2013 e le
previsioni sul PIL danno conto di una crescita dai 2,4 miliardi di dollari del 2013 ai 3,3 del 2020, pari a quella
della Russia. Sempre McKinsey stima che fra tre anni il valore del mercato africano dei farmaci oscillerà tra i
40 e i 60 miliardi di dollari. Stupisce il tasso di crescita: 9,8 per cento annuo tra il 2010 e il 2020, rispetto ad
appena il 2 per cento per gli Stati Uniti e l'1 per cento del Giappone. Lo Studio legale BonelliErede sta
conducendo una significativa esperienza sul campo.
Scadenze brevettuali, vale oltre un miliardo di euro il mercato per le genericiste
Tredici scadenze brevettuali previste per quest'anno e un mercato di oltre un miliardo di euro che si apre
per le aziende genericiste. Sul podio dei brand a maggior peso per i conti pubblici troviamo rosuvastatina,
dutasteride e olmesartan medoxomil. A seguire etoricoxib e tadalafil. Le scadenze a maggior impatto infatti
si concentreranno nella seconda metà del 2017 e una parte dell’effetto concorrenziale si vedrà solo in
seguito. Si stima che con i brand che diventeranno off patent nel 2017 si potrebbe generare un risparmio di
circa 600 milioni. Senza considerare la spesa privata. Tra il 2015-2020 la spesa pubblica potrebbe
riguadagnare una quota di mercato che oggi vale 1,7 miliardi (valori prezzo al pubblico relativi alla classe A),
grazie al processo di genericazione. Ma dove ci sono aziende che lanciano nuovi prodotti, ce ne sono altre
che devono “difendere” il proprio marchio. Varie le strategie adottate; dal prolungamento della copertura
brevettuale, alla fidelizzazione del paziente e del medico, fino a nuovi approcci di marketing attraverso il
packaging.