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PRIMO PIANO
Giovedì 2 Marzo 2017
I politici di oggi non hanno sicuramente gli stretti vincoli di un tempo con i loro partiti
Turismo politico parlamentare
Diventa frenetico adesso per poter essere ricandidati
DI
L
SOLO ADESSO È ARRIVATO NEL GRUPPO DEMOPROGRESSISTA DOPO AVER CAMBIATO UN SACCO DI PARTITI
CESARE MAFFI
a nascita dei nuovi
gruppi demoprogressisti
(Articolo 1 – Movimento
democratico e progressista è la pomposa denominazione ufficiale) è soltanto il più
recente fra i tanti episodi di
sommovimenti parlamentari:
probabilmente non sarà l’ultimo nella legislatura. Centinaia di deputati e senatori sono
trasmigrati, in vari casi più
di una volta, dalle elezioni del
2013. Il fenomeno si ripete a
ogni legislatura, sempre commentato come grave e ormai
irreversibile.
Limitiamoci alle quattro
formazioni che uscirono col
maggior numero di eletti alle
politiche del ‘13. Il Pd contava
297 deputati e 112 senatori;
oggi sono 285 e 99. Il M5s
aveva spuntato 109 deputati
e 54 senatori, ridotti adesso a
91 deputati e 35 senatori. Il
Pdl aveva ottenuto 98 seggi
a Montecitorio e 99 a palazzo
Madama; restano 50 deputati
sotto la sigla Fi-Pdl-Berlusconi presidente, mentre i residui
42 senatori si presentano nel
gruppo Fi-Pdl-XVII legislatura.
Infine, la formazione di Mario
Monti, Scelta civica, aveva riportato 39 deputati e 19 senatori. Oggi 16 deputati militano in
Ala-Sc-Maie (ossia verdiniani,
montiani senza più Monti ed
eletti all’estero) e 16 senatori in
Ala-Sc.
Queste cifre celano solo
abbandoni e altresì arrivi e
ritorni. Il turismo parlamentare è frenetico. Le cause sono
molteplici. I partiti sono oggi
scarsamente ideologizzati, considerati come case i cui abitanti
convivono senza vincoli familiari e nemmeno parentali. In com-
Formisano meglio di un flipper
Per lui i partiti sono solo un mezzo, non certo dei fini
DI
MARCO BERTONCINI
I
l nuovo gruppo dei democratici e
progressisti ha visto confluire 18 deputati già nel gruppo del Pd, 16 già
in Si-Sel (con Alfredo D’Attorre a suo
tempo eletto fra i democratici), e due di
altra, tormentata provenienza. Le vicende
di questi ultimi due sono esemplari, per
testimoniare come una tarantola morda
non pochi eletti, pronti a mutare casacca
quasi a ogni stormir di fronde.
Ecco, dunque, Adriano Zaccagnini,
eletto fra i grillini, con una chiara propensione verso lo schieramento di sinistra a
forti tinte ecologiste. Dopo poche settimane di permanenza fra i pentastellati, nel
giugno 2013 passa nel misto, senza poter
costituire la componente di cui farebbe
parte, cioè Gap (Gruppi di azione popolare), perché ne sarebbe l’unico aderente.
Nell’ottobre ’14 si iscrive a Sel, restandovi
dopo il mutamento del gruppo in Sinistra
italiana-Sel. Nel settembre dell’anno scorso, però, se ne ritorna nel misto, senza adepenso, il M5s, unica formazione
(che ripudia la stessa dicitura di
partito) nella quale viga ancora
una totale obbedienza al vertice, per intenderci sul modello
del Pci negli anni cinquanta,
si è sbarazzato presto di liberi
pensatori, disobbedienti, anime
in pena, o semplicemente personaggi sgraditi a Beppe Grillo
e al poi defunto Gianroberto
Casaleggio.
Un caso peculiare è rappresentato dai montiani: se
alla Camera i seguaci di Fini e
quelli di Casini si candidarono
ciascuno sotto il proprio simbolo,
rire ad alcuna componente, finché questa
settimana lo troviamo in Articolo 1-Movimento democratico e progressista.
Ancor più angosciante è la carriera parlamentare di Aniello Formisano nella legislatura corrente. Eletto nel
Centro democratico di Bruno Tabacci,
nell’ottobre 2014 passa al misto, ove rimane per oltre un anno senza formalmente
costituire alcuna componente, come unico
aderente all’antica formazione di Antonio Di Pietro, l’Idv. Nel novembre ’15 lo
troviamo, sempre nel misto, ma in una
nuova componente, denominata Usei-Idea
(una sigla di eletti all’estero più il movimento fondato da Gaetano Quagliariello, scissionista dal Ncd). Pochi mesi,
ed ecco che il vulcanico deputato passa a
una nuova componente, stavolta denominata Movimento Ppa (Partito pensiero e
azione)-Moderati: siamo nel giugno ’16.
Nel gennaio di quest’anno, Formisano abbandona anche questa sigla, restandosene
senza etichetta, finché il 9 febbraio passa
fra i Civici e innovatori, che sarebbero
al Senato la lista era unica. Già
questo fatto motivò sfrangiature
politiche. Larga parte degli eletti montian-montiani, poi, non
aveva un orientamento preciso,
tanto che molti se ne sono andati di qua o di là. Ha agito su non
pochi un altro fattore che determina gli sbriciolamenti e i cambiamenti di gruppo: la voglia di
rielezione. Si tratta di una causa
fra le maggiori nel determinare
cambi di casacca. I nuovi gruppi
del Mdp sono costituiti in non
scarsa misura da parlamentari che hanno visto una via per
tornare su una poltrona che non
antichi montiani buttati fuori da Scelta
civica. È una presenza lampo, visto che
il 28 febbraio figura fra i costitutori del
gruppo demoprogressista. Inutile dire che
gli stessi nuovi compagni sono scettici sul
permanere dell’inatteso arrivato.
I riferimenti sono esclusivamente
a questa legislatura, perché se tornassimo
alle precedenti diventeremmo incerti nel
seguire gli spostamenti di Formisano, alla
Camera e al Senato. Un po’ ci aiuta lui
stesso, che al Corriere spiega di essere stato nel Pci, nel Pds e nei Ds, poi in Alleanza
democratica (Bordon), nell’Unione democratica (Maccanico), in Italia dei valori
(Di Pietro), successivamente nei democratici (Prodi), nella Margherita, e, ancora,
indipendente nei Ds, di nuovo nell’Idv, in
Diritti e libertà (un movimento scissosi
dall’Idv). Va detto che con molta schiettezza il mobilissimo parlamentare dichiara
che «i partiti sono un mezzo, non un fine».
L’impressione è che il fine consista nella
sua permanenza in Parlamento.
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avrebbero più avuto, se fossero
restati nel Pd renziano o nella
nuova Sinistra italiana.
I posti occupati possono
essere all’origine di intere
scissioni, come nel caso del Ncd,
nato intorno a parlamentari,
sottosegretari e ministri che ci
tenevano a restare in maggioranza. Una formazione esclusivamente mirata a sostenere
il governo è quella di Verdini.
Spesso sono, più che partiti con
una base territoriale, meri gruppi parlamentari. Come spesso
capita, oggi più che in passato,
va detto, agisce il desiderio di
aiutare il (supposto) vincitore.
Non sarà fuori luogo ricordare che una scissione di non
scarso peso dal Psi, avvenuta
nel gennaio 1964 con la costituzione del Partito socialista italiano di unità proletaria (Psiup),
fu invece provocata dal rifiuto
di entrare nel governo. La sinistra socialista preferì lasciare
il partito piuttosto che avallare
l’ingresso in una maggioranza
organica con la Dc e la conquista
di quella che Nenni chiamava
la stanza dei bottoni. È passato
più di mezzo secolo, e si vede.
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MA IL GRUPPO DI ABBIGLIAMENTO REPLICA: IN VOUCHER SOLO IL 3 PERCENTO DELLE RETRIBUZIONI
La Cgil polemizza con la Teddy per abuso di voucher
Servono per pagare gli studenti che si fanno una esperienza nei negozi
DI
RAFFAELE PORRISINI
C’
è un nuovo modo di interpretare le relazioni tra
azienda e sindacato. Davanti agli attacchi delle sigle dei
lavoratori, a volte è meglio ricorrere a
un po’ di ironia e leggerezza, unite alle
doverose puntualizzazioni. E’ quanto ha
fatto il Gruppo Teddy, colosso riminese
dell’abbigliamento con i marchi Terranova, Calliope e Rinascimento, alle prese con una polemica sollevata dalla Cgil
provinciale sull’utilizzo dei voucher.
Spieghiamo i fatti. Alcuni giorni
fa il Manifesto ha pubblicato l’elenco diffuso dalla Cgil sulla base di dati Inps
con le prime 15 aziende che in Italia
nel 2016 hanno fatto ricorso ai buoni
da 10 euro per pagare i lavoratori. Al
primo posto nella classifica dei famigerati voucher (che la stessa Cgil utilizza
in Emilia-Romagna e vuole al contem-
po abolire con referendum) c’è la Best
Union company, leader in biglietteria
e organizzazione di eventi, con 4.356
persone retribuite con voucher per 3,1
milioni di euro; seguono la catena di
gioiellerie Strobili, quella di videogame
Game Stop e - al quarto posto – Teddy.
Fondato nel 1961 da Vittorio Tadei, recentemente scomparso e grande amico
di don Oreste Benzi, con quasi 1.500
addetti, il Gruppo Teddy «nel 2016 ha
speso ben 1.901.230 euro in voucher distribuiti tra 922 prestatori d’opera». Lo
ha fatto notare la Cgil di Rimini tramite
le sue categorie Filcams e Filctem, le
quali appena vista la lista nera hanno
vergato una severa nota stampa per
mettere alla berlina il Gruppo incriminato. «Già il fatto che un’azienda del
nostro territorio figuri al quarto posto
stupisce, negativamente s’intende, ma
stiamo parlando della Teddy, un’azienda
fondata nel 1961 che ha sempre fatto
parlare di sé per la sua partecipazione
ad iniziative solidali e umanitarie» scrive il sindacato. Che si chiede: «Quali sogni potranno realizzare i giovani pagati
con i voucher? Che ‘anima’ può avere
un’azienda che per remunerare il lavoro
dei suoi addetti va a comprare dei ticket
dal tabaccaio?».
La risposta non si è fatta attendere, ed è arrivata direttamente dall’ad del
Gruppo, Alessandro Bracci. «I voucher
spesi dalla Teddy nel 2016 corrispondono a circa il 3% delle somme investite in
stipendi, contributi e oneri versati alle
nostre persone e agli enti competenti.
Quindi in Teddy stiamo parlando di
un fenomeno assolutamente marginale». Ma non si è fermato qui, perché «il
problema è che forse gli amici della Cgil
non solo non ci conoscono, ma non sanno
nemmeno dove siamo, considerato che
nel comunicato stampa ci collocano nel
comune sbagliato». E seppure «la repu-
tazione di cui godiamo supera ogni altro
dubbio», Bracci ha fatto notare come ciò
non accada «in chi ci ‘ignora’. Ignorante
è colui che non conosce una determinata
cosa». «Questa loro ignoranza è principalmente dovuta al fatto che abbiamo
avuto poca occasione di incrociarci. Non
gliene faccio una colpa». Detto questo,
l’ad ha spiegato che a utilizzare i voucher sono «principalmente studenti, che
certamente non sono in cerca di una attività lavorativa stabile».
Infine un invito agli «amici della
Cgil»: «Ci sentiamo di rassicurarli – ha
chiosato Bracci - e di consigliar loro di
fare lo sforzo di chiedere in giro di noi,
perché sono abbastanza certo che non
faranno fatica, se si impegnano un po’,
a trovare a Rimini un parente, un amico, un vicino di casa, un conoscente, un
amico di un amico che lavora in Teddy.
La sfida è questa: chiedetegli che cosa
vive lavorando qua».