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Commentary, 2 marzo 2017
NATO IN CRISI? EPPUR SI MUOVE
ALESSANDRO MINUTO RIZZO
A
lla fine della guerra fredda, di cui ogni tanto
riappare un’imitazione, il dovere sembrava
compiuto e nel piovoso quartier generale Nato
di Bruxelles si era incerti su come giocare a dadi con la
propria storia.
Licenziare il personale, chiudere, cambiare ruolo? La
realtà si è poi occupata di trovare le soluzioni. Altro che
fine dei conflitti! La dissoluzione della Jugoslavia
esplose con una violenza e crudeltà che si pensava fossero scomparse. Srebrenica e Sarajevo ne sono rimaste
simboli evocatori.
©ISPI2017
Ma è meglio fare un passo indietro per capire la natura
dell’Alleanza. Un’ organizzazione “sui generis” con
una cultura tutta anglosassone, compresa la sobrietà e
un look modesto. Nei miei anni trascorsi nel comune di
Evere nella regione di Bruxelles, sentivo ripetere
spesso quanto la Nato fosse un’organizzazione assolutamente pragmatica del tipo: “fai questo!”. “Non è
guidata da obiettivi, ma dalle necessità”. Si diceva che
“non s’insegnano nuovi giochi a un vecchio cane”, intendendo dire che la natura dell’Alleanza restava quella.
E poi ancora : “colui che spende deve pagare i propri
costi”. In altre parole, un paese che vuole visibilità nelle
operazioni può farlo solo pagandosi le spese. Non esiste
un bilancio generale dell’Organizzazione a cui attingere, come nell’Unione Europea. In fondo una regola sana. Il rapporto fra civili e militari è del resto chiaro,
consolidato e di reciproca soddisfazione. Teniamo a
mente che il Trattato di Washington non raggiunge la
lunghezza di due pagine. In conclusione abbiamo di
fronte un’alleanza politico-militare che nel “crisis management” fa tutto quello che i governi le chiedono.
Non risponde nemmeno a un disegno complessivo, che
non sia il tessuto nervoso della sicurezza internazionale,
come può essere visto dalle sponde dell’Atlantico che le
danno il nome. Quando si parla di rapporti con l’Unione
Europea bisogna partire dall’assunto che le due culture
di base sono molto divergenti, così come lo sono le
procedure. Chiariti questi tratti distintivi, che in fondo
non hanno neanche la pretesa di un ordine logico, si
capisce perché la Nato non sia facile da licenziare.
Nei primi anni Novanta, quando si allargarono le crepe
in Jugoslavia e scoppiarono focolai di guerra civile – il
cui epicentro si trovava in Bosnia – assistemmo al
clamoroso fallimento dei tentativi di “peace-keeping”
delle Nazioni Unite. È stato necessario che intervenisse
Alessandro Minuto Rizzo, ambasciatore, già vice-segretario generale della NATO, presidente della NATO Defense College
Foundation (Roma)
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Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.
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l’Alleanza a far tacere le armi e applicare gli accordi di
Dayton. Parlando di rapporti Stati Uniti-Europa è bene
ricordare che comando e controllo dell’operazione
erano saldamente in mani americane. Questo fu anche il
momento in cui l’Italia si inserì nel “quint” dei paesi di
vertice.
l’Alleanza ha fatto tutto quello che poteva in un territorio lontano, con forze insufficienti rispetto ai compiti e
alle difficoltà del paese. Soprattutto senza poter controllare il processo politico afghano.
Appena abbandonate con soddisfazione le montagne
dell’Hindu-Kush la storia passata si è ripresa la scena
nelle grandi pianure fra l’Ucraina e la Crimea.
Il successo dell’operazione mise in luce, per la prima
volta nella pratica, i valori aggiunti dell’Alleanza. In
sintesi: inter-operabilità ben rodata fra le forze armate
dei paesi membri, catena di comando chiara, capacità di
pianificazione a distanza, stretta connessione fra la direzione politica del Consiglio – con gli ambasciatori dei
paesi membri – e la struttura operativa nel teatro di
operazioni.
L’Alleanza ha mantenuto le proprie caratteristiche, ma
nel frattempo aveva subito l’allargamento a ben dieci
nuovi paesi membri, guarda caso già appartenenti al
Patto di Varsavia. Nel ricordo di antiche umiliazioni le
emozioni sono volate in alto, soprattutto in Polonia e
nelle capitali baltiche, mentre da Mosca veniva il segnale opposto. La grande Russia aveva diritto a superare
il triste capitolo della dissoluzione dell’Unione Sovietica per difendere le minoranze di madre lingua russa
ovunque esse fossero.
La campagna nel Kosovo (poi l’operazione di pacificazione in Macedonia) è seguita nel 1999 sulla stessa linea
di quella attuata in Bosnia, sempre con leadership americana e un successo indiscusso.
Nei vertici del Galles (settembre 2014) e di Varsavia
(luglio 2016) è emerso chiaramente come prioritario il
contrasto a Mosca. Sappiamo tutti come stanno le cose
nel 2017, tra sanzioni e contro sanzioni, con un’Ucraina
debole e gli accordi di Minsk fra le parti lungi
dall’essere applicati, malgrado le mediazioni di Germania e Francia. Intanto, mentre il conflitto continua
strisciante nel Donbass ed è impossibile tornare indietro
sulla Crimea, Mosca sembra intenzionata a continuare
con il logoramento dei fragili governi di Kiev.
Nei primi anni Duemila l’Alleanza Atlantica si presentava come un simbolo di successo e con una visibilità
altissima sul piano internazionale. In missione per conto
della Nato, dal Giappone all’Arabia Saudita, il messaggio che ricevevo dai governi era quello.
©ISPI2017
La Nato, che prende decisioni per consenso essendo
profondamente inter-governativa, restò quindi fuori
dall’avventura in Iraq fra molte polemiche e una profonda divisione interna. Evitato quel rischio, si profilò
subito una nuova avventura con la decisione di andare in
missione a Kabul, avviando un’operazione in Asia
Centrale.
Certo non si possono spostare unilateralmente i confini,
ma la crisi fra Varsavia e Baltico non è da guerra mondiale come qualcuno sostiene. La Russia recupera nel
frattempo quel ruolo di grande potenza che rappresenta
la sua ossessione storica.
Come si è detto, la Nato ha poca attenzione per le forme
giuridiche, compreso rispetto all’indicazione che appariva nel suo “Concetto Strategico” di non operare al di
fuori del contesto europeo. Appunto, fa tutto quello che
le chiedono i governi. Ecco quindi che nel 2003 la
priorità era la lotta al terrorismo internazionale, con al
centro Osama bin Laden e le montagne verso il Pakistan. L’operazione aveva la copertura del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni e si prolungò fino al 2014. Su di
essa ci sono opinioni discordanti, in ogni caso
Non sappiamo se l’amministrazione americana sposterà
questi fragili equilibri, ma la vecchia Alleanza è ancora
là, tirata da tutte le parti, in bilico fra marginalità e il
centro della scena.
Tutt’altro che perfetta, ma all'orizzonte si vede qualcosa
di meglio come “security provider” mondiale? Pare
proprio di no.
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