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PERSONALE
Danno erariale la mancata restituzione dei compensi per attività non autorizzate
Il mancato versamento all’amministrazione dei compensi derivanti da attività lavorative esterne
non autorizzate, svolte dal pubblico dipendente, costituisce un’ipotesi di presunzione assoluta di
danno erariale, costituito dall’intero ammontare delle somme percepite. Questo è il principio
ribadito dalla sentenza n. 19 del 21 febbraio 2017della Corte dei conti, sezione per la Sardegna.
L’attività lavorativa esterna non autorizzata
Un soggetto, dopo alcuni rapporti lavorativi di collaborazione coordinata e continuativa con una
Provincia, veniva assunto con contratto di lavoro a tempo determinato e inquadrato con la
qualifica professionale di funzionario amministrativo. Successivamente è emerso che il
dipendente, contemporaneamente, era socio di una società - nella quale aveva svolto, nonostante
la posizione formale di socio accomandante, attività gestionale - e che risultava anche titolare di
partita Iva per lo svolgimento di attività imprenditoriale di “servizi alle imprese” tramite una ditta
individuale. Poiché l’attività lavorativa esterna è stata esercitata senza autorizzazione (che
comunque non sarebbe stata possibile in base alla normativa vigente), e quindi in violazione
dell’articolo 53 del Dlgs n. 165/2001 che disciplina la compatibilità tra pubblico impiego e incarichi
retribuiti esterni, la Procura erariale citava il dipendente contestandogli un danno di 86.449,66
euro, pari ai compensi percepiti. Il convenuto eccepiva il difetto di giurisdizione che veniva
riconosciuto dal Collegio.
La natura sanzionatoria del versamento dei compensi per l’attività lavorativa non autorizzata
Il dipendente, fondamentalmente, evidenziava che i fatti si erano svolti precedentemente
all’introduzione del comma 7-bis nel citato articolo 53, secondo il quale “L’omissione del
versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce
ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”. In relazione a ciò
il Collegio precisava che l’ordinanza della Corte di cassazione n. 19072 del 28 settembre 2016,
riferita a una fattispecie simile, non aveva accolto la tesi che “la giurisdizione civile e quella
contabile sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, sicché il rapporto tra le
due azioni si pone in termini di alternatività anziché di esclusività, dando luogo a questioni non di
giurisdizione ma di proponibilità della domanda”. La Suprema corte, invece, aveva stabilito che
l’obbligo del pubblico dipendente di versare alla propria amministrazione di appartenenza il
compenso percepito per un incarico presso terzi non previamente autorizzato, ha natura
sanzionatoria:
- in primo luogo, in base alla lettera del comma 7 che recita: “I dipendenti pubblici non possono
svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati
dall’amministrazione di appartenenza (…). In caso di inosservanza del divieto (…) il compenso
dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in
difetto, del percettore (…)”;
- in quanto, diversamente opinando, non sarebbe manifestamente infondato il dubbio di
legittimità costituzionale della disposizione se fosse consentito “che si delineassero prestazioni
lavorative senza corrispettivo, consentendo anche l’arricchimento senza causa
dell’amministrazione di appartenenza senza alcun riferimento all’incidenza della condotta sul
patrimonio della PA”;
- perché tale previsione sarebbe funzionale a rafforzare la fedeltà del dipendente pubblico.
Il danno erariale “presunto”
In definitiva, secondo i giudici di Piazza Cavour, prima dell’introduzione del comma 7-bis, la linea di
demarcazione tra la giurisdizione civile e contabile era la seguente. Qualora il giudizio attenga
unicamente alle conseguenze dell’inadempimento dell’obbligo del dipendente di denunciare la
percezione di compensi da parte di terzi, la relativa cognizione rientra nell’ambito della
giurisdizione del giudice del rapporto di lavoro mentre la giurisdizione è del giudice contabile se
l’attività illegittimamente svolta dal dipendente pubblico a favore dei terzi determina anche un
danno a carico della Pa, come potrebbe verificarsi, ad esempio, qualora l’attività in questione
venisse svolta durante l’orario di servizio, con conseguente sottrazione all’ente pubblico delle
energie lavorative del dipendente. Il comma 7-bis, invece, ha trasformato la richiesta di
pagamento dei compensi non versati in una domanda risarcitoria, con presunzione assoluta di
danno e conseguente devoluzione alla giurisdizione contabile.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 01/03/2017
Autore: Giuseppe Nucci