Cassazione con la sentenza n. 26560/2014

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Civile Sent. Sez. 6 Num. 26560 Anno 2014
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: COSENTINO ANTONELLO
SENTENZA
sul ricorso 766-2014 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
- ricorrente contro
MORANDOTTI CARLO LORENZO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE
MILIZIE 34, presso lo studio dell'avvocato DANIELA DE LUCA, rappresentato e difeso
dall'avvocato GIULIO AGNELLI giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente avverso la sentenza n. 93/20/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di
MILANO del 19/04/2013, depositata il 07/05/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2014 dal Consigliere
Relatore Dott. ANTONELLO COSENTINO;
udito l'Avvocato Camassa M. Pia difensore della ricorrente che si riporta ai motivi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'Agenzia delle Entrate ricorre contro il sig. Carlo Morandotti per la cassazione della
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Data pubblicazione: 17/12/2014
sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia
ha respinto
l'appello dell'Ufficio contro la sentenza di primo grado che aveva accolto, dopo averli riuniti,
due ricorsi proposti dal contribuente, rispettivamente:
a) contro il provvedimento del 27.11.09 con cui l'Ufficio aveva respinto - ritenendo che
la questione esulasse dalla materia dell'autotutela - l'istanza del 7.11.09 con cui il
contribuente aveva chiesto in via di autotutela la revisione dell'avviso di pagamento
emesso a seguito della riliquidazione dell'IRPEF sui redditi soggetti a tassazione
contribuente, in occasione della cessazione del suo rapporto di lavoro, a titolo di
incentivo all'esodo);
b)
contro il silenzio rifiuto opposto dall'Ufficio all'istanza proposta dal contribuente il
30.11.09 per il rimborso delle somme trattenute dal datore di lavoro a titolo di
acconto IRPEF sul menzionato incentivo all'esodo;
Entrambi tali ricorsi si fondavano sul presupposto che l'incentivo all'esodo percepito dal
contribuente dovesse essere tassato con l'aliquota dimidiata, alla luce del contrasto tra la
disposizione dettata dall'articolo 19, comma 4 bis, TUIR e la Direttiva comunitaria 76/207
CE; contrasto accertato dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 21.7.05, resa nella
causa C-207/04, i cui termini sono stati ulteriormente specificati nella ordinanza della Corte di
Giustizia Europea del 16.1.08, resa nelle cause riunite da C-128/07 a C-131/07.
La Commissione Tributaria Regionale ha motivato la propria decisione sulla scorta dei
seguenti argomenti:
quanto al ricorso sub a), affermando l'impugnabilità dell'avviso bonario di
pagamento;
quanto al ricorso sub b) affermando che il diritto al rimborso "si sarebbe palesato
solo a seguito dell'ordinanza 16.16.08 della Corte di Giustizia Europea".
Il ricorso della difesa erariale si articola in otto motivi.
Il contribuente si è costituito con controricorso.
La causa è stata discussa all'udienza pubblica del 5.11.2014.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i primi due mezzi di gravame, relativi alla statuizione di accoglimento del ricorso
introduttivo sub a), la difesa erariale svolge la medesima censura (riferendola nel primo
motivo al numero 4 e nel secondo motivo al numero 3 dell'articolo 360 cpc). Secondo la
ricorrente la Commissione Tributaria Regionale avrebbe violato l'articolo 19 D.Lgs. 546/92
ritenendo impugnabile il diniego di autotutela opposto dall'Ufficio all'istanza del contribuente
avente ad oggetto la revisione dell'avviso di pagamento emesso all'esito della riliquidazione
dei redditi 2005 soggetti a tassazione separata.
La censura è fondata. La Commissione Tributaria Regionale motiva il rigetto dell'eccezione
di inammissibilità del ricorso introduttivo del contribuente avanzata dall'Ufficio ai sensi
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separata percepiti nel 2005 (e, segnatamente, sulle somme in quell'anno percepite dal
dell'articolo 19 D.Lgs. 546/92 facendo riferimento all'impugnabilità dell'avviso bonario di
pagamento; ma l'argomento è palesemente inconferente, giacché nel presente giudizio il
contribuente non ha impugnato l'avviso bonario di pagamento, bensì, come risulta dalla
stessa narrativa della sentenza gravata (ed è confermato dalla narrativa del processo svolta nel
contro ricorso del contribuente) il diniego opposto dall'Ufficio all'istanza di revisione in
autotutela di detto avviso. La sentenza gravata risulta quindi immotivatamente discostarsi dal
principio, più volte riaffermato da questa Corte, che contro il diniego dell'Amministrazione di
dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della
pretesa tributaria (sent. n. 11457/10; ord. n. 15194/14; ord. n. 23628/14).
Con il terzo e il quarto mezzo di gravame la difesa erariale deduce che la Commissione
Tributaria Regionale avrebbe violato, rispettivamente, i principi di riparto dell'onere della
prova fissati dall'articolo 2697 cc e la disciplina impositiva dettata dall'articolo 19, comma 4
bis, TUIR qualificando come incentivo all'esodo le somme della cui tassazione si discute;
secondo la ricorrente il contribuente avrebbe dovuto "fornire la prova del 'esistenza nella
contrattazione aziendale di una generale previsione relativa alla misura e determinazione
della indennità in questione, in favore di quei dipendenti che avessero consentito all'esodo". I
motivi vanno disattesi, alla stregua del consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui "Con
riguardo all'IRPEF dovuta sulle somme corrisposte, in occasione della cessazione del
rapporto, al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori che abbiano superato l'età di 50 anni se
donne e di 55 se uomini, per l'applicazione del beneficio della riduzione dell'aliquota alla
metà di quella applicata per la tassazione del trattamento di fine rapporto, l'art. 17, comma
quarto bis, del dP.R 22 dicembre 1986 n. 917 (introdotto dall'art. 5, comma primo, lett. d), n.
2, del D.Lgs. n. 314 del 1997) non presuppone che ne siano oggetto, anche solo potenziale,
una pluralità di addetti, e neppure che il datore di lavoro abbia offerto ad una pluralità di
dipendenti condizioni speciali in caso di uscita anticipata dall'azienda. Infatti, il fine
dichiarato della norma è quello di incentivare l'esodo anticipato dei lavoratori prossimi al
pensionamento, in un quadro di misure urgenti in materia di finanza pubblica, sottese alla
razionalizzazione delle risorse aziendali ed alla creazione di nuove opportunità di lavoro e
tale obiettivo viene conseguito sia nel caso di uscita, simultanea, di un gran numero di
dipendenti, sia in quello di uscita, in tempi diversi, di uno o più lavoratori." (sentt. nn.
9049/05, 9334 /06).
Con il quinto, sesto e settimo motivo la difesa erariale censura la sentenza gravata,
rispettivamente sotto il profilo del vizio di omessa pronuncia, dell'error in procedendo e della
violazione di legge, per non essersi pronunciata o, comunque, per avere implicitamente
respinto l'eccezione - sollevata dall'Ufficio in primo grado e reiterata nell'atto di appello - di
inammissibilità del ricorso introduttivo del contribuente avverso il silenzio rifiuto opposto alla
sua istanza di rimborso; inammissibilità conseguente, secondo la difesa erariale, alla mancata
produzione in giudizio dell'istanza stessa, in originale o in copia, da parte del contribuente.
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esercitare il proprio potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per
Il quinto mezzo va disatteso perché la Commissione Tributaria Regionale non ha omesso di
pronunciarsi sulla eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo del contribuente, ma,
accogliendo tale ricorso, si è pronunciata implicitamente sulla suddetta eccezione, rigettandola.
Il sesto e il settimo mezzo vanno pur essi disattesi.
Al riguardo va richiamato l'orientamento di questa Corte (sentenze nn. 21170/2005,
6391/2006, 29394/2008, 15444/2010, 6130/2011) secondo il quale: :
Le previsioni di inammissibilità, proprio per il loro rigore sanzionatorio, devono essere
rigore estremo (extrema ratio) è davvero giustificato; ciò anche tenendo presente
l'insegnamento fornito dalla Corte costituzionale, con particolare riguardo al processo
tributario, secondo il quale le disposizioni processuali tributarie devono essere lette in
armonia con i valori della "tutela delle parti in posizione di parità, evitando
irragionevoli sanzioni di inammissibilità" (sentenze C.Cost. nn. 189 del 2000 e 520
del 2002).
La chiave di volta dell'intero regime delle inammissibilità del ricorso introduttivo del
giudizio tributario va individuato nel quinto comma dell'art. 22 D.Lgs. 546/92 ("ove
sorgano contestazioni il giudice tributario ordina l'esibizione degli originali degli atti
e dei documenti di cui ai precedenti commi"), il quale stabilisce una sorta di possibile
causa di esclusione della sanzione dell'inammissibilità (da intendersi, come si è detto,
quale vera e propria extrema ratio) quando vi sia modo di accertare la sostanziale
regolarità dell'atto e l'osservanza delle regole processuali fondamentali.
Tanto premesso, si osserva che in materia di ricorso avverso un silenzio-rifiuto, nessuna delle
disposizioni del decreto legislativo n. 546/92 invocate dalla ricorrente - art. 19, comma 1, lett.
"g"; art. 21, comma 2; art. 22 , comma 4; art. 27 - sanziona con l'inammissibilità del ricorso
introduttivo la mancata produzione, in originale o in copia, dell'istanza in relazione alla quale
si sia formato il silenzio-rifiuto impugnato. In particolare, giova precisare che l'articolo 22
D.Lgs. 546/92, al comma 1, sanziona con l'inammissibilità del ricorso la mancata (o
intempestiva) produzione dell'originale del ricorso notificato o della copia del ricorso spedito
per posta o consegnato all'Ufficio, con la fotocopia della ricevuta di deposito o di spedizione
per raccomandata postale; mentre nel comma 4, laddove prescrive che il ricorrente depositi
l'originale o la fotocopia dell'atto impugnato, non commina alcuna sanzione di inammissibilità.
Né, alla luce dei principi sopra ricordati, tale sanzione potrebbe ricavarsi per via interpretativa.
Infatti - fermo restando che il decorso di novanta giorni tra la data dell'istanza implicitamente
ricusata e la date di presentazione del ricorso giurisdizionale avverso il silenzio-rifiuto,
determinando la venuta ad esistenza di un atto impugnabile, integra un presupposto processuale
(Cass. 6724/08, Cass. 21356/12), cosicché l'onere della relativa prova grava sul contribuente la mancata produzione, in originale o in copia, dell'istanza in relazione alla quale si sia formato
il silenzio-rifiuto impugnato può rilevare ai fini dell'adempimento di detto onere probatorio
(così come può rilevare ai fini della dimostrazione della tempestività dell'istanza in relazione al
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interpretate in senso restrittivo, limitandone cioè l'operatività ai soli casi nei quali il
termine entro cui va esercitato il diritto al rimborso) ma non incide sull'ammissibilità del
ricorso stesso.
Con l'ottavo motivo la difesa erariale censura la sentenza gravata denunciando la violazione
degli articoli 38 DPR n. 602/73 e 2697 cc in cui la sentenza gravata sarebbe incorsa
accogliendo la domanda di rimborso del ricorrente senza verificare che costui avesse fornito:
a) la prova dell'avvenuto versamento dell'imposta oggetto dell'istanza di rimborso;
b) la prova della data di tale versamento;
incentivo all'esodo;
Il motivo va giudicato inammissibile con riferimento alla censura di mancata verifica delle
circostanze sub a) e sub c), giacché introduce in sede di legittimità questioni di fatto che non
risultano essere state dedotte nei gradi di merito, mentre va giudicato fondato con riferimento
alla censura di mancata verifica delle circostanze sub b). Con tale censura, infatti, la difesa
erariale sostanzialmente propone la questione di diritto risolta dalle Sezioni Unite di questa
Corte con la sentenza n. 13676/14, che ha affermato il principio che, nel caso in cui
un'imposta venga dichiarata incompatibile con il diritto comunitario da una sentenza della
Corte di giustizia dell'Unione Europea, il termine di decadenza previsto dalla normativa
tributaria (per le imposte sui redditi, articolo 38 d.P.R. n. 602 del 1973) per l'esercizio del
diritto al rimborso, attraverso la presentazione di apposita istanza, decorre dalla data del
versamento dell'imposta, o, nel caso in cui la domanda provenga dal percettore di somme
assoggettate a ritenuta, dalla data in cui la ritenuta è stata operata; e non già dalla data,
successiva, in cui è intervenuta la pronuncia che ha sancito la contrarietà della norma
impositiva all'ordinamento comunitario.
In definiva il ricorso va accolto limitatamente ai motivi mi. 1, 2 e 8 e la sentenza gravata va
cassata con rinvio al giudice territoriale che si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati in
ordine ai limiti della impugnabilità dei dinieghi di autotutela e in ordine alla soggezione del
diritto al rimborso di tributi trattenuti alla fonte in base ad una norma impositiva dichiarata
comunitariamente illegittima al termine di decadenza di cui all'articolo 38 DPR 602/73;
termine decorrente dalla data in cui la ritenuta è stata operata, ossia in cui sono state erogate le
somme alla stessa assoggettate.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza gravata e rinvia ad altra sezione della
Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che regolerà anche le spese del presente
giudizio.
Così deciso in Roma il 5 novembre 2014
Il Cons. estensore
Il
nte
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c) la prova della riferibilità dell'imposta versata a emolumenti erogati a titolo di