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Edizione di giovedì 23 febbraio 2017
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Sui criteri di scelta nel licenziamento per giustificato motivo
oggettivo
di Roberto Lucarini
A fronte di una crisi aziendale, ma anche nel caso di una semplice flessione dei volumi di
vendita, la soluzione viene spesso individuata in una riduzione della forza lavoro. Attraverso il
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, o economico che dir si voglia, si ottiene una
riduzione del costo del lavoro, riproporzionandolo così al minore volume d’affari.
Il problema che si pone è il seguente: quale posto “tagliare”?
Qui la casistica si fa sterminata, potendosi rilevare per ciascuna azienda una propria peculiare
organizzazione e, quindi, specifiche e contingenti necessità. In taluni casi, pertanto, la
soluzione risulta meno intricata, potendosi ad esempio eliminare una specifica risorsa legata a
un settore aziendale in dismissione, ovvero in ristrutturazione. In altri, al contrario, ci si trova
di fronte a non semplici valutazioni.
È la situazione affrontata dalla Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 25192/2016,
riguardante infatti il caso di una riduzione di personale, un’unità nel reparto, dove erano
presenti lavoratori svolgenti le medesime funzioni e, dunque, tra loro perfettamente fungibili.
Chi licenziare, quindi?
Entrano in gioco, allora, i criteri di scelta. Certo che, se ci troviamo a rapportarci con un
imprenditore/dirigente non troppo accorto, si avrà questa risposta: “Tizio, perché è un
fannullone ...”. Purtroppo la questione non è di così semplice soluzione, come a volte non è
semplice far capire questo ai suddetti soggetti.
Il riferimento, per quanto riguarda i criteri di scelta, va subito a quanto offerto ex L. 223/1991,
la quale però riguarda i licenziamenti collettivi e non quelli individuali o i plurimi. Su questo
punto la Cassazione fa chiarezza: i criteri ex L. 223/1991 (anzianità di servizio, carichi familiari,
esigenze tecnico-produttive) sono senz’altro utilizzabili, poiché rivestono i caratteri di
oggettività e verificabilità.
Se tuttavia il datore di lavoro intende utilizzare altri criteri, che succede? È legittimo
discostarsi da quelli sopra esposti? Anche su tale punto la Cassazione è molto chiara: è
sicuramente possibile utilizzare altri criteri, purché essi riguardino situazioni oggettive, quindi
concrete e valide, che siano facilmente verificabili, anche in termini di misurabilità, e che,
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punto chiave, siano comunque informati a buona fede e correttezza (articolo 1175 cod. civ.).
Nel caso esaminato, e accettato dalla Suprema Corte, il datore aveva utilizzato, combinati tra
loro, questi indicatori: costo del lavoratore; suo rendimento; condizioni economiche
complessive del soggetto.
Vediamo, dunque, la morale.
In caso di scelta del lavoratore, per porre in essere un licenziamento individuale, utilizzare i
criteri ex L. 223/1991 pone al riparo da cattive sorprese. Essi, però, non sono automaticamente
estendibili al licenziamento diverso da quello collettivo e, quindi, possono non essere
utilizzati: attenzione perché, se vengono impiegati altri criteri, essi devono poter sostenere un
eventuale esame giudiziale circa i caratteri necessari e, comunque, riguardo ai cardini della
buona fede e correttezza.
Questo appare abbastanza chiaro; molto meno lo sarà (a volte) il riuscire a spiegare queste
cose al nostro cliente imprenditore ….
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