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ISBN 978-88-67351-077 |ISSN 2421-5414
N. 1/2017|Pag. 211-222
La riforma della disciplina sanzionatoria alla luce dei d.lgs. nn. 7 e 8
del 2016: tra depenalizzazione e sanzioni pecuniarie civili
di Marco MARTONE*
SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. La riforma dei d.lgs. nn. 7 e 8 del 2016:
profili generali. 3. La depenalizzazione ex d.lgs. n. 8 del 2016. 4. L’abolitio
criminis del d.lgs. n. 7 del 2016 e le inedite sanzioni civili. 5. Sorte delle
statuizioni civili a seguito di condanna per reato abrogato: l’importante
pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione. 6. Considerazioni finali.
1. Introduzione.
I d.lgs. nn. 7 e 8 del 2016, entrati in vigore il 6 febbraio 2016, hanno dato
esecuzione alla delega contenuta nella legge n. 67 del 2014 in materia di
“Riforma della disciplina sanzionatoria”, incidendo sensibilmente sugli equilibri
del sistema penale, con il non velato scopo, da un lato, di affidare al giudice
penale solo le fattispecie penali più rilevanti e di considerare la pena come
extrema ratio e, dall’altro, di deflazionare conseguentemente il contenzioso
penale.
Appaiono evidenti le ragioni sottese a questa riforma, anche a causa delle
continue condanne dell’Italia nelle sedi europee.
Si tratta, oltre ogni evidenza, di un intervento legislativo tutto sommato non
nuovo e che richiama l’illustre precedente dalla l. n. 689 del 1981, che si
occupò del primo vero e proprio processo di depenalizzazione su grande scala1.
La novella però non si ferma ad una mera abolitio criminis, ma ha determinato
alcune interessanti novità che saranno di seguito analizzate.
*
Specializzato in professioni legali.
La legge n. 689 del 981 si inserisce nel solco di quell’orientamento di politica criminale volto a
trasformare le ipotesi di reato meno gravi in illeciti amministrativi, sanzionandoli
conseguentemente con una pena pecuniaria. In argomento G. FIANDACA – E. MUSCO, in Diritto
penale – parte generale, VI edizione, Zanichelli Editore, Bologna, 2014, in cui si evidenziano le
ragioni che spinsero il legislatore ad emanare siffatta legge e consistenti nella esigenza di
arginare l’ipertrofia del diritto penale che ha prodotto effetti distorsivi sulla efficacia e credibilità
della pena; l’incremento delle contravvenzioni penalmente sanzionate che ha accresciuto la
pendenza dei procedimenti davanti al giudice penale; infine l’affermarsi di una concezione
costituzionalmente orientata del diritto penale ancorata ai principi di sussidiarietà e
meritevolezza della pena che ha comportato l’estromissione dal sistema penale di tutte quelle
fattispecie non lesive dei valori e dei principi costituzionali.
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2. La riforma dei d.lgs. nn. 7 e 8 d.lgs. 2016: profili generali.
L’art. 2 della legge delega n. 67 del 2014 ha dettato i criteri che hanno portato
all’introduzione dei d.lgs. nn. 7 e 8 del 2016, dando particolare rilievo ai
principi di frammentarietà, offensività e sussidiarietà della sanzione penale2.
La base ideologica dell’intervento legislativo risiede nella considerazione
secondo cui l’allargamento delle maglie del diritto penale determina un
abbassamento della tutela, per il fatto che risulta impossibile per la macchina
della giustizia reprimere un numero eccessivo di fatti penalmente rilevanti. Tale
considerazione emerge con ancora più evidenza quando si è in presenza di
fatti caratterizzati da una scarsa offensività e che destano pertanto un limitato
allarme sociale. Inoltre il legislatore ha ritenuto che la riduzione delle
fattispecie penali possa limitare il disorientamento dei consociati di fronte alla
ben nota ipertrofia normativa del nostro ordinamento giuridico3.
I d.lgs. nn. 7 e 8 del 2016 vanno letti in chiave di continuità con l’importante
novità determinata dall’art. 131 bis c.p., introdotto dal d.lgs. n. 28 del 2015,
che ha avuto l’obiettivo di arretrare l’intervento punitivo del diritto penale in
presenza di fatti caratterizzati dalla particolare tenuità, al ricorrere tuttavia di
tutti gli altri requisiti richiesti dalla norma4.
2
Rel. n. 3/2016 dell’Uff. del Massimario, p. 1.
Come evidenziato dalla Relazione del Massimario della Corte di Cassazione «Gli interventi di
depenalizzazione e di abolitio criminis del 2016: una prima lettura», del 2 febbraio 2016, l’idea
sottesa a tale intervento normativo è che in realtà una penalizzazione generalizzata, seppure
formalmente rispondente a intenti di maggiore repressività, in realtà si traduce in un
abbassamento della tutela degli interessi coinvolti, nella misura in cui la macchina repressiva
penale non è (e non può essere) calibrata per sanzionare un numero elevato di fatti, specie
quando questi siano minori per grado di offensività.
4
Art. 131 bis c.p.. Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto: “Nei reati per i
quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena
pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità
della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo
comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando
l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha
adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche
in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono
derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.
Il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale,
professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se
ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti
di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
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La riforma si è spinta in una duplice direzione: in primo luogo, si è proceduto al
“declassamento” di taluni reati ad illecito amministrativo, compensati tuttavia
da sanzioni più elevate; in secondo luogo, l’abolitio criminis ha determinato la
devoluzione di alcune fattispecie non (più) penalmente rilevanti alla cognizione
del giudice civile in sede di risarcimento del danno, accompagnate dalle inedite
sanzioni pecuniarie civili.
3. La depenalizzazione ex d.lgs. n. 8 del 2016.
Orbene, il d.lgs. n. 8 del 2016 ha realizzato la depenalizzazione di numerose
fattispecie penali attraverso due clausole, la prima c.d. “cieca” e la seconda
c.d. “nominativa”. In primo luogo, l’art. 1, co. 1 del d.lgs. n. 8 del 2016, in
attuazione di quanto già stabilito nella legge delega, ha fatto ricorso ad una
clausola c.d. “cieca”, dal momento che ha prescritto che «non costituiscono
reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una
somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della
multa o dell’ammenda».
Si può agevolmente constatare, ad una prima lettura della norma, che si è in
presenza di una disposizione di carattere ampio e, soprattutto, generalizzato5.
Nonostante ciò, l’art. 1, co. 3, del d.lgs. n. 8 del 2016 ha precisato che non
rientrano nell’alveo della depenalizzazione i reati contenuti nel codice penale.
Si tratta di una scelta in realtà non contenuta esplicitamente nella legge
delega, dal momento che essa non distingue tra fattispecie penali contenute
nel codice penale e quelle previste da leggi speciali.
Inoltre i reati puniti con la sola pena pecuniaria, la cui forma aggravata è
sanzionata con pena detentiva (sola, alternativa o congiunta a quella
pecuniaria), permangono depenalizzati per effetto del d.lgs. n. 8 del 2016,
mentre le fattispecie aggravate divengono forme di reato autonome, con tutte
le conseguenze del caso in merito ai criteri di imputazione soggettiva ed
oggettiva e al (non più consentito) giudizio di bilanciamento delle circostanze.
Qualora la forma aggravata sia costituita dalla reiterazione della fattispecie
Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto
delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie
diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini
dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle
circostanze di cui all'articolo 69.
La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità
del danno o del pericolo come circostanza attenuante”.
5
Rel. n. 3/2016 dell’Uff. del Massimario, p. 2.
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base, l’art. 5 del d.lgs. n. 8 del 2016 ha prescritto che «quando i reati
trasformati in illeciti amministrativi ai sensi del presente decreto prevedono
ipotesi aggravate fondate sulla recidiva ed escluse dalla depenalizzazione, per
recidiva è da intendersi la reiterazione dell'illecito depenalizzato». A ben
vedere, si tratta di una precisazione importante poiché, in mancanza di
un’espressa previsione, si sarebbe potuto ritenere che le fattispecie aggravate
potessero essere state abrogate per caducazione dell’elemento costitutivo
rappresentato dalla fattispecie depenalizzata.
L’art. 1, co. 5, del decreto ha poi stabilito che le fattispecie depenalizzate
sottostanno a tre fasce edittali di sanzioni amministrative pecuniarie: la prima
che va da euro 5.000 a 10.000, la seconda da euro 5.000 a 30.000, e infine da
euro 10.000 a 50.000. Inoltre, l’art. 1, co. 6, del decreto ha precisato che per
le fattispecie depenalizzate punite originariamente con una pena pecuniaria
proporzionale, la somma dovuta a titolo disanzione amministrativa è pari
all’ammontare della multa o dell’ammenda, ma non può, inogni caso, essere
inferiore a euro 5.000 né superiore a euro 50.000.
Il secondo criterio adoperato dal legislatore si fonda invece su una clausola c.d.
“nominativa”, dal momento che, in questo caso, vengono indicate le singole
fattispecie oggetto di depenalizzazione dagli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 8 del 2016.
Si tratta a ben vedere di ipotesi delittuose eterogenee, esplicitamente
individuate dal legislatore6.
Il legislatore delegato non ha proceduto ad emanare sanzioni accessorie in
caso di depenalizzazione soggetto alla clausola c.d. cieca, per l’evidente
difficoltà di rispettare i limiti posti dalla legge delega, mentre l’art. 4, co. 1, del
d.lgs. n. 8 del 2016 ha previsto per le singole fattispecie ivi contemplate la
sanzione amministrativa della sospensione della concessione, della licenza,
dell’autorizzazione o di altro provvedimento amministrativo che consente
l’esercizio di determinate attività da un minimo di dieci giorni a un massimo di
tre mesi, allorché vi sia una reiterazione specifica di uno dei reati depenalizzati.
Per quanto riguarda i profili procedimentali, l’art. 6 del decreto, in virtù dell’art.
2 della l. 67 del 2014, ha operato nel senso che i “nuovi” illeciti amministrativi
sottostanno alle regole previste dalla l. n. 689 del 1981 in quanto compatibili.
Di notevole interesse sono i profili di diritto intertemporale per le evidenti
ricadute applicative che il fenomeno della depenalizzazione determina ai sensi
dei principi generali di cui all’art. 2 c.p.
6
Rel. n. 3/2016 dell’Uff. del Massimario, p. 10.
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Sul punto è intervenuto lo stesso legislatore delegato che ha predisposto a tal
uopo norme di carattere transitorio.
In particolare, l’art. 8, co. 1, del d.lgs. n. 8 del 2016 dispone espressamente
che la “sostituzione” delle sanzioni penali con gli illeciti amministrativi trova
applicazione anche per le violazioni commesse anteriormente alla data
dell’entrata in vigore del decreto, a meno che il procedimento penale non si sia
concluso con sentenza o decreto penale di condanna divenuti irrevocabili.
Qualora, invece, i procedimenti penali per i reati depenalizzati dal decreto
siano stati definiti precedentemente la sua entrata in vigore, il giudice
dell’esecuzione è tenuto a procedere ai sensi dell’art. 667 c.p.p., revocando la
sentenza o il decreto di condanna, dichiarando che il fatto non è previsto dalla
legge come reato ed adottando i provvedimenti conseguenti.
L’art. 9 del d.lgs. n. 8 del 2016 statuisce che l’autorità giudiziaria, entro
novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto, dispone la trasmissione degli
atti all’autorità competente ad emanare le sanzioni amministrative, a meno che
il reato non si sia prescritto o estinto per altra causa. A tal proposito, procede il
pubblico ministero qualora non sia stata esercitata ancora l’azione penale,
mentre successivamente il giudice, se il procedimento è ancora in corso, è
tenuto a pronunciare il provvedimento di cui all’art. 129 c.p.p. Qualora sia stata
pronunciata sentenza di condanna, il giudice dell’impugnazione ugualmente
procede in tal senso, dichiarando che il fatto non è più previsto come reato,
decidendo,in particolare, sulle statuizioni civili.
4. L’abolitio criminis del d.lgs. n. 7 del 2016 e le inedite sanzioni
pecuniarie civili.
Il legislatore delegato, in attuazione dell’art. 2 della l. n. 67 del 2014, ha
proceduto ad abrogare alcune fattispecie del codice penale prevedendo, nelle
ipotesi espressamente previste, illeciti civili affiancati da inedite sanzioni
pecuniarie civili 7 . Ebbene, l’intervento abrogativo ha riguardato fattispecie
penali poste a tutela della pubblica fede, dell’onore e del patrimonio, che
attengono ad interessi prettamente privati e procedibili a querela. Si tratta
quindi di una scelta coerente con l’intero impianto normativo della riforma,
volto a sfrondare il codice penale di quelle fattispecie caratterizzate da una
scarsa offensività e preoccupazione sociale. Si pensi, ad esempio,
all’abrogazione di alcune ipotesi di falso in scritture private (artt. 485 e 486
7
Rel. n. 3/2016 dell’Uff. del Massimario, p. 17.
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c.p.) 8 , dell’ingiuria (art. 594 c.p.), della sottrazione di cose comuni e di
appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose dovute per errore o caso
fortuito (art. 627 e 647 c.p.).
La novità più dirompente del d.lgs. n. 7 del 2016 attiene, senza alcuna ombra
di dubbio, all’introduzione delle sanzioni pecuniarie civili, nelle ipotesi previste
dalla legge.
A ben vedere, si può riflettere su questa opzione legislativa, ritenendo che già
nel diritto romano accadeva qualcosa di simile. Infatti, si distingueva
tendenzialmente tra i delicta, illeciti civili tutelati anche aldilà del mero
risarcimento del danno attraverso vere e proprie poene di natura privatistica, e
i crimina, demandati invece alla repressione del potere pubblico.
In realtà, il fenomeno delle pene private non costituisce un’assoluta novità per
il nostro sistema: si designa con questo nome una sanzione civile, di natura
prettamente pecuniaria, comminata nei confronti di un soggetto privato, su
iniziativa e a vantaggio di un altro privato, consistente essenzialmente in una
attribuzione di carattere patrimoniale il cui ammontare supera l’entità del
pregiudizio subito9.
Tale impostazione sembra essere stata recepita dalla legge delega n. 67 del
2014, allorché nell’art. 2, co. 3 si fa menzione alla dimensione afflittiva dei
nuovi illeciti civili10.
8
Come evidenziato da A. RUBANO, in I reati di falso e la portata concreta del principio di
offensività, in questa Rivista, n. 3/2016, pp. 113 ss.: «il legislatore è recentemente intervenuto
sulla disciplina delle falsità in atti privati – nell’ottica di deflazionare il carico giudiziario e di
ribadire l’esigenza della sanzione penale quale extrema ratio – abrogando le relative fattispecie e
introducendo al contempo, come conseguenza giuridica derivante dalla commissione del fatto,
illeciti “puniti” con sanzioni civili pecuniarie che, come previsto nella legge delega n. 67 del 2014
hanno carattere aggiuntivo rispetto al diritto al risarcimento del danno dell’offeso, sono irrogate
dal giudice civile e devolute alla Cassa delle ammende». «Dalla Relazione illustrativa della legge
delega emerge che il legislatore intendeva, da un lato, abrogare alcune fattispecie penali
codicistiche a tutela della fede pubblica, dell’onore e del patrimonio, accomunate dal fatto di
incidere su interessi di natura privata e di essere procedibili a querela, ricollocandone il disvalore
sul piano delle relazioni private e, dall’altro, riteneva opportuno rivalutare la funzione
tradizionalmente compensativa della responsabilità civile nel nostro ordinamento, affiancando
alle sanzioni punitive di natura amministrativa un ulteriore e innovativo strumento di prevenzione
dell’illecito, nella prospettiva del rafforzamento dei principi di proporzionalità, sussidiarietà ed
effettività dell’intervento penale»
9
S. PATTI, s.v., “Pena privata”, in Digesto Civile, Torino, Utet, 1995.
10
Peraltro, nel nostro ordinamento si ritiene che abbiano la natura di pena privata, nonostante
qualche parere contrario, l’art. 12 l. 47 del 1948 in tema di fatti illeciti commessi col mezzo della
stampa; l’art. 129 bis c.c. in danno del coniuge a cui sia imputabile la nullità del matrimonio;
l’art. 709 ter c.p.c. in caso di gravi inadempimenti nei confronti dei figli da parte dei genitori dei
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Altri invece ritengono che le sanzioni pecuniarie civili ex d.lgs. n. 7 del 2016
debbano essere qualificate alla stregua di “danni punitivi” (c.d. punitive
damages), istituto del common law consistente nel pagamento di una somma
ulteriore rispetto al mero risarcimento del danno11, proprio così come accade
con l’istituto in esame12. L’art. 3 del d.lgs. n. 7 del 2016 dispone, infatti, che gli
illeciti contemplati dalla norma (art. 4 del decreto), se commessi dolosamente,
possono comportare, in aggiunta al risarcimento del danno, il pagamento di
una sanzione pecuniaria civile. Viene, inoltre, disposto che tale obbligazione
pecuniaria è sottoposta al termine prescrizionale quinquennale ai sensi dell’art.
2947, co. 1, c.c..
Quanto ai limiti edittali delle sanzioni, in conformità con la legge delega, il
d.lgs. n. 7 del 2016 ha previsto due distinte clausole generali sanzionatorie,
denotate da un crescente grado di afflittività: la prima da euro cento a
ottomila, la seconda da euro duecento a dodicimila.
Per quanto riguarda la disciplina, il d.lgs. n. 7 del 2016 attribuisce la
competenza ad irrogare le sanzioni pecuniarie civili al giudice civile – ed è
questa la vera grande novità della riforma – quale logico corollario
dell’intervenuta abrogatio criminis. In secondo luogo, viene disposta la
devoluzione delle somme esatte allo Stato e, nello specifico, alla Cassa delle
ammende.
L’art. 5 del d.lgs. 7 del 2016 indica quali sono i criteri di commisurazione delle
pene pecuniarie: il giudice, in particolare, deve tenere conto della gravità della
violazione, della reiterazione dell’illecito, dell’arricchimento del soggetto
responsabile, dell’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione
delle conseguenze della propria azione, della personalità e delle condizioni
economiche dell’agente.
Appare evidente che si tratta di parametri che richiamano quelli dell’art. 133
c.p. sulla determinazione della pena. Inoltre, per quanto riguarda il criterio di
quantificazione legato alla reiterazione dell’illecito, l’art. 6 del d.lgs. 7 del
2016ha precisato che si ha reiterazione qualora l’illecito civile è compiuto entro
quattro anni dalla commissione di altra violazione sottoposta a sanzione
provvedimenti del giudice in sede di separazione; in via contrattuale, l’art. 1382 c.c. in tema di
clausola penale.
11
Per un analisi dell’istituto, si veda F. ZAPPATORE, Danni punitivi: brevi considerazioni a
margine di una recente ordinanza, in questa Rivista n. 3/2016, pp. 49 ss., e dottrina ivi citata.
12
F. FIORETTI, Sanzioni pecuniarie e nuovi illeciti civili: considerazioni sulla nuova disciplina, in
www.professionegiustia.it.
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pecuniaria civile, della stessa indole 13 , ed accertata con provvedimento
esecutivo.
L’art. 7 del d.lgs. n. 7 del 2016 prevede che, qualora più persone cooperino
nell’illecito ciascun concorrente soggiaccia alla correlativa sanzione pecuniaria
civile, così come già previsto in tema di sanzioni amministrative ai sensi
dell’art.5 l. 689 del 1981.
Per quanto concerne, invece, gli aspetti processuali, l’art. 8 del d.lgs. n. 7 del
2016 dispone che l’irrogazione della sanzione pecuniaria civile prescinde da
una domanda di parte e può essere disposta dal giudice solo qualora sia
accolta la domanda dirisarcimento del danno. Tuttavia, non sarà possibile
procedere ad alcuna sanzione qualora l’atto introduttivo sia stato notificato
secondo la forma prevista dall’art. 143 c.p.c. per le delle persone irreperibili, a
meno che non sia stataaccertata l’effettiva conoscenza da parte del soggetto
non costituitosidella pendenza del processo. Inoltre, viene precisato che il
procedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria civile segue le forme del
codice di procedura civile.
Si tratta, a ben vedere, di una disposizione importante, giacché questa
soluzione ben si presta a fornire adeguate garanzie difensive al soggetto
convenuto in giudizio, dal momento che si è in presenza di sanzioni
caratterizzate da un certo grado di afflittività. L’art. 10 del d.lgs. n. 7 del 2016
stabilisce poi che le somme riscosse a titolo di sanzioni pecuniarie civili
debbano essere devolute allo Stato, evitando così un eccessivo arricchimento
della persona offesa, già ristorata dal risarcimento del danno.
Di notevole interesse è anche l’introduzione, ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 7
del 2016, di un Registro informatizzato dei provvedimenti in materia di sanzioni
pecuniarie civili ai fini dell’applicazione delle disposizioni in materia di
reiterazione.
Il legislatore delegato, quanto ai profili di diritto intertemporale, ha precisato,
attraverso una normativa transitoria di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 7 del 2016,
che le sanzioni pecuniarie civili troveranno applicazione anche per i fatti
commessi precedentemente l’entrata in vigore del decreto qualora la parte
danneggiata decida di agire in sede civile per ottenere il risarcimento del
danno, salvo che sia intervenuta una pronuncia irrevocabile, derogando così
all’art. 11. disp. prel. c.c. Nel caso, invece, il procedimento sia ancora in corso,
13
Per la nozione di “violazione della stessa indole” deve ritenersi che debbano applicarsi i criteri
già individuati dall’art. 8 bis della l. n. 689 del 1981.
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se esso si trova durante la fase delle indagini preliminari, dovrà essere
sottoposto alla richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero perché
il fatto non è (più) previsto dalla legge come reato. Se invece i procedimenti
penali sono già stati definiti, prima dell’entrata in vigore del decreto, con
sentenza di condanna o decretoirrevocabili, il giudice dell'esecuzione dovrà
revocare la sentenza o il decreto, dichiarando che ilfatto non è previsto dalla
legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. A tal proposito il
giudice dell'esecuzione provvede con l'osservanza delle disposizioni dell'art.
667 c.p.p.
5. Sorte delle statuizioni civili a seguito di condanna per reato
abrogato: l’importante pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione.
Per quanto riguarda i profili di diritto intertemporale, si è posto il delicato
problema della sorte delle statuizioni civili a seguito di condanna per uno dei
reati oggetto di abrogazione ex d.lgs. n. 7 del 2016, per i quali sono previste le
sanzioni pecuniarie civili. Si è, dunque, in presenza di una situazione ben
diversa rispetto a quella in cui il processo sia ancora in corso ovvero si sia
concluso con una pronuncia definitiva.
Ebbene, per quanto riguarda la sorte delle statuizioni civili, un primo
orientamento della Corte di Cassazione ha affermato che «in caso di
impugnazione di sentenza di condanna relativa ad una delle fattispecie
criminose abrogate dal Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice,
nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve
comunque decidere sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi
della sentenza che concernono gli interessi civili14».
Secondo questa impostazione, pertanto, il giudice penale, in sede di
impugnazione, può ancora statuire sugli aspetti civilistici dell’illecito mentre,
per effetto del principio dell’art. 2, c.p., il disvalore penale del fatto è venuto
meno. Questo orientamento, in particolare, fa leva sull’interpretazione dell’art.
2, co. 2, c.p. secondo cui l’effetto estintivo dell’abolitio criminis non
toccherebbe gli aspetti civili. Inoltre anche l’art. 11 disp. prel. c.c. deporrebbe
in tal senso, laddove farebbe salvo il diritto acquisito dalla parte civile a vedere
esaminata la propria azione già incardinata nel processo penale. Infine, il d.lgs.
n. 8 del 2016 in tema di depenalizzazione fonderebbe questa impostazione
14
Cass. pen., sez. II, sent. 11 aprile 2016, n. 14529.
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ermeneutica, giacché esso esplicitamente dispone che, per le fattispecie penali
trasformate in illeciti amministrativi, resta ferma la competenza del giudice
penale sulla sorte delle statuizioni civili.
Un secondo e contrapposto orientamento della Corte di Cassazione ha invece
affermato che «in tema di giudizio di cassazione, l'annullamento senza rinvio
della sentenza di condanna per una delle fattispecie criminose abrogate dal
Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, determina la revoca delle statuizioni
civili, cui potrà seguire, per effetto della eventuale azione risarcitoria davanti al
giudice civile competente per valore, il giudizio civile per l'accertamento
dell'illecito depenalizzato, l'irrogazione della sanzione pecuniaria ed il
risarcimento del danno15».
Ebbene, questo orientamento ritiene che l’intera vicenda innanzi al giudice
penale estingua anche quella relativa alle statuizioni civili, con la conseguenza
che dovrà iniziarsi un nuovo procedimento in sede civile nel quale,
ricorrendone i presupposti, potranno essere irrogate anche le nuove sanzioni
pecuniarie civili. Le ragioni alla base di questa soluzione risiedono in una
diversa interpretazione dell’art. 2, co. 2, c.p. che, nel caso in esame, non
troverebbe applicazione. Peraltro, sarebbe di sostegno a questo orientamento
anche il principio statuito dalla Corte Costituzionale 16 , intervenuta
recentemente sulla legittimità dell’art. 538, co. 1 c.p.p., secondo cui il giudice
penale non può statuire sugli effetti civili se non può esprimersi sulla
responsabilità penale dell’imputato17. Infine, non sarebbe conferente il parallelo
con l’art. 9 del d.lgs. n. 8 del 2016, in quanto il fenomeno della trasformazione
degli fattispecie penali in illeciti civili è fenomeno diverso rispetto all’abolitio
criminis disposta dal d.lgs. n. 7 del 2016.
Da ultimo, proprio per redimere questo contrasto ermeneutico, la Corte di
Cassazione è intervenuta a Sezioni Unite propendendo per il secondo degli
orientamenti appena esposti18.
In particolare, secondo questa sentenza, occorre risolvere la questione
attraverso il dato letterale della norma, dal momento che l’art. 12 del d.lgs. n.
15
Cass. pen., sez. II, sent. 22 giugno 2016, n. 26091.
Corte. cost., 2 febbraio 2016, n. 12.
17
La questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Firenze, atteneva, nel
dettaglio, alla possibilità per il giudice penale di decidere sulla domanda per le restituzioni e il
risarcimento del danno, proposta a norma degli artt. 74 ss. c.p.p., anche quando egli pronuncia
sentenza di assoluzione dell’imputato in quanto non imputabile, per essere, nel momento in cui
ha commesso il fatto, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere.
18
Cass., S.U., 7 novembre 2016, n. 46688.
16
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7 del 2016, in merito alla disciplina transitoria, nulla dice circa i poteri del
giudice penale. Il secondo dato letterale riguarda l’applicazione retroattiva delle
sanzioni pecuniarie civili innanzi al giudice civile per i fatti avvenuti
anteriormente l’entrata in vigore del decreto: il giudice penale, secondo questa
pronuncia, perde ogni residua potestà decisoria sulle statuizioni civili emesse
nel precedente grado di giudizio.
Inoltre, vero è che i d.lgs. nn. 7 e 8 del 2016 sono accomunati dalla medesima
finalità di deflazione del sistema penale, ma l’indicazione espressa del potere
del giudice penale di statuire sui capi civili nel caso di trasformazione delle
fattispecie penali in illeciti amministrativi è un indice sintomatico della volontà
del legislatore di devolvere le statuizioni civili ex d.lgs. n. 7 del 2016 al giudice
civile.
Infine, anche la sentenza n. 12 del 2016 della Corte Costituzionale, in merito
all’art. 538, co. 1, c.p.p., a parere della Corte di Cassazione, è dirimente,
giacché il giudice penale non può statuire sui capi civili quando non può
accertare la responsabilità penale dell’imputato.
Per le Sezioni Unite, quindi, nei casi di sentenza di condanna relativa a un
reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile, sottoposto a
sanzione pecuniaria civile, il giudice della impugnazione, nel dichiarare che il
fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi
della sentenza che concernono gli interessi civili, con la ulteriore specificazione
che il giudice della esecuzione, viceversa, revoca, con la stessa formula, la
sentenza di condanna o il decreto irrevocabili, lasciando ferme le disposizioni e
i capi che concernono gli interessi civili19.
6. Considerazioni finali.
L’intervento del legislatore delegato deve essere guardato con favore, quanto
meno sotto il profilo della riduzione delle fattispecie penalmente rilevanti
connotate da scarsa offensività e pericolosità sociale.
19
Le Sezioni Unite affermano, quindi, il seguente principio di diritto: «in caso di sentenza di
condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile,
sottoposto a sanzione pecuniaria civile, ai sensi del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice della
impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve
revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Con la ulteriore
specificazione che il giudice della esecuzione, viceversa, revoca, con la stessa formula, la
sentenza di condanna o il decreto irrevocabili, lasciando ferme le disposizioni e i capi che
concernono gli interessi civili». Ne consegue, pertanto, alla luce del dictum della Corte di
Cassazione, che la persona offesa dovrà iniziare un nuovo processo in sede civile.
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Un diritto penale eccessivamente pervasivo rischia infatti di produrre effetti
distorsivi sul sistema, poiché l’intervento punitivo dello Stato deve essere
considerato come extrema ratio all’interno del nostro ordinamento.
Non è un caso infatti che la l. 67 del 2014, che ha conferito al Governo le
deleghe per l’emanazione dei d.lgs. 7 e 8 del 2016, ha provveduto altresì ad
incidere sul codice di procedura penale, introducendo l’innovativo
procedimento della messa in prova, con il chiaro intento di chiudere il
procedimento penale, laddove l’imputato dia prova di una scarsa pericolosità
sociale al ricorrere di tutti gli altri presupposti richiesti dalla legge.
Per quanto riguarda il profilo attinente alla depenalizzazione ex d.lgs. 8 del
2016 l’intervento appare tutto sommato ragionevole, anche in ragione del fatto
che le nuove sanzioni amministrative sono caratterizzate da una marcata
afflittività, sicché le esigenze general-preventive sembrano, tutto sommato,
rispettate.
Qualche perplessità sorge relativamente alla scelta di devolvere le sanzioni
pecuniarie civili alla cognizione del giudice civile. Sicuramente è apprezzabile
l’intento deflattivo sotteso all’intero impianto della riforma, tuttavia queste
ragioni potrebbero essere di fatto vanificate dal rilievo secondo cui da ora in
poi sarà il giudice civile ad occuparsi delle fattispecie abrogate sub specie di
illeciti civili, con la conseguenza che il carico pendente si sposterà verso i
giudizi civili.
Inoltre, la soluzione della Corte di cassazione a Sezioni Unite in merito alla
sorte delle statuizioni civili rischia di pregiudicare oltremodo la persona offesa,
la quale è tenuta ad intraprendere un nuovo giudizio innanzi al giudice civile,
con un evidente aggravio di spese per la parte e con uno spreco di economia
processuale, ben potendo il giudice penale decidere immediatamente agli
effetti meramente civili.
Appare per di più evidente che la persona offesa nel processo civile debba
sobbarcarsi dell’intero impianto probatorio ai sensi del paradigma di cui all’art.
2043 c.c., mentre invece nel procedimento penale può usufruire delle attività
di indagine del pubblico ministero.
In ogni caso, la novità relativa alle sanzioni pecuniarie civili è comunque
apprezzabile e segna una innovativa funzione sanzionatoria affidata al diritto
civile, slegata espressi verbis da una dimensione compensativa.
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