Diapositiva 1 - Gruppo PDL – Berlusconi Presidente

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L'ILLUSIONE DEL RENZI LIBERISTA
SENZA LA ZAVORRA DELLA SINISTRA
Editoriale su «il Giornale»
a cura di Renato Brunetta
24 febbraio 2017
a cura del Gruppo Parlamentare della Camera dei Deputati
Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente – Forza Italia
L'illusione del Renzi liberista
senza la zavorra della sinistra
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Il Partito democratico si spacca e consegna al Paese
l'immagine di una politica rissosa e fine a se stessa. L'ex
premier e segretario dem fino all'altro ieri, Matteo Renzi, vola
negli Stati Uniti e sul suo blog scrive: «Mentre la politica
italiana post-referendaria litiga su tutto o quasi, il mondo fuori
continua a correre.
Ho deciso di staccare qualche ora...». Ecco, se fossi una
persona vicina a Renzi sarei francamente molto preoccupato
per il suo equilibrio, e non solo.
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Ma giusto per linearità intellettuale vorremmo segnalare ai
lettori che colui che ha trasformato la politica italiana in un
ring in questi ultimi tre anni ha un nome e cognome: sempre lui,
Matteo Renzi. Che poi il fiorentino voglia fare il fenomeno,
andando negli States a studiare, dice lui, la green economy, la
dice lunga sulla caratura del personaggio. Voyage en
Amérique di un aspirante Tocqueville? Mah...
In questo equivoco permanente ieri ho letto con stupore il
colloquio di Francesco Giavazzi con Il Foglio. La tesi? Con la
scissione del Pd Renzi può trasformare la sinistra in senso
liberista.
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L'editorialista del Corriere della Sera esalta la figura di Renzi
(«il Jobs Act è un'innovazione straordinaria», «se credo che la
vera sinistra abbia bisogno di liberismo voto Renzi») e
ricordando un suo libro Il liberismo è di sinistra scritto dieci
anni fa con Alberto Alesina sottolinea: «Renzi dieci anni fa non
c'era. L'offerta politica della sinistra era Prodi, Bersani e
D'Alema. Un'altra generazione che alcune cose non poteva
capirle, l'unico che doveva capirle era Prodi. Ora le chance
sono più alte se questo ragazzo riesce a riprendersi in mano il
partito».
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Per il resto Giavazzi non risparmia critiche al centrodestra
(«Liberalizzazioni? Berlusconi non ha fatto nulla, ricordo che
Brunetta era contrario. Nel centrodestra non c'è più nulla») e
agli scissionisti del Pd («Saranno quattro gatti, uno che vota a
sinistra vota per Pisapia. Se sono un elettore di sinistra voto lui,
non voto D'Alema»).
Stimo e rispetto il professor Giavazzi, molto spesso condivido le
sue analisi, ma non posso esimermi dal criticarlo quando nel
farle fa cadere nell'oblio intere parentesi che non possono
essere aperte e chiuse senza esplicitarne il contenuto. A parte il
Jobs Act, che viene esaltato a mio avviso in modo ingiustificato,
che giudizio dà Giavazzi in merito ai mille giorni di Renzi a
Palazzo Chigi? Come giudica le pseudo riforme portate avanti
dal fiorentino?
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Hanno fatto bene o meno al Paese? E le corporazioni, che
Giavazzi critica, sono state scalfite dall'azione di Renzi o
magari (vedi dipendenti pubblici) ne sono uscite rafforzate? Se il
buongiorno si vede dal mattino...
Ci permettiamo di analizzare in modo schematico e per punti i
passaggi e i provvedimenti chiave con i quali abbiamo avuto a
che fare negli ultimi tre anni. 1. Riforma costituzionale bocciata
(60% a 40%) dal referendum del 4 dicembre 2016; 2. Italicum
caduto con la bocciatura della riforma costituzionale e con la
sentenza della Corte del 25 gennaio 2017; 3. Jobs Act: 20
miliardi buttati senza creare buona occupazione, con
disoccupazione al 12% e disoccupazione giovanile 40,1%;
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4. Bonus 80 euro: 10 miliardi all'anno spesi lasciando consumi e
crescita al palo; 5. Buona Scuola: 3 miliardi e 120.000
assunzioni hanno creato solo caos tra docenti, studenti e
famiglie; 6. PA: riforma affossata dal Consiglio di Stato, con
parallela resa al sindacato; 7. Banche: dopo il fallimento di
Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara, 150.000
truffati e 4 decreti, per salvare Mps e mettere in sicurezza il
sistema sono serviti 20 miliardi; 8. Immigrazione: l'invasione che
stiamo subendo (181.436 migranti sbarcati nel 2016) è
soprattutto segno che Renzi in Europa non ha contato nulla; 9.
Più tasse, più debito, più deficit e nessuna spending review: la
pressione fiscale è aumentata di un punto di Pil, dal 41,6% al
42,6% e continuerà ad aumentare con la manovra correttiva.
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Il debito è aumentato di 121,8 miliardi, il deficit per il 2016
doveva attestarsi all'1,5% e invece ha chiuso al 2,4%, la spesa
pubblica aumenta di 20,5 miliardi fino al 2019 (pari al 2,4% in
più in 5 anni); 10. Terremoto: nonostante 3 decreti, popolazioni
abbandonate, confusione di ruoli, Protezione civile smantellata.
Cosa resta agli italiani dopo i mille giorni di Renzi? Un mucchio
di polvere in mano, un Paese dilaniato, una manovra correttiva
da 3,4 miliardi (0,2% del Pil) da fare in fretta per evitare una
procedura d'infrazione da parte dell'Ue, una manovra da 3040 miliardi da fare a fine 2017 per limitare i danni sui conti
pubblici della politica economica disastrosa di Renzi-Padoan.
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L'unica riforma degna di questo nome era quella sulla cosiddetta
concorrenza. Che fine ha fatto? È insabbiata al Senato, bloccata
da veti e controveti all'interno della maggioranza.
Il professor Giavazzi dice che Renzi, sfruttando anche la scissione
del Pd, potrà portare il liberismo a sinistra. Sbagliato! Renzi
dovrà, invece, coprirsi a sinistra dalle bordate che arriveranno da
Orlando (dinamico e bravo giovane-vecchio comunista con una
tradizione da vecchio Pci; «ho deciso di candidarmi perché credo
e non mi rassegno al fatto che la politica debba diventare solo
prepotenza», le prime parole non proprio rassicuranti dopo aver
annunciato la sua corsa alla segreteria) e da Emiliano (altrettanto
bravo meridional grillino che userà toni da battaglia per
risollevare la sua immagine dopo le giravolte sulla scissione;
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«Renzi ha preferito eliminare gli avversari dal campo con i
picadores di turno al fine di favorire il comando di un uomo solo»,
il suo ultimo complimento al fiorentino pronunciato durante la
direzione Pd del 21 febbraio).
Per non parlare della strategia che l'ex segretario dovrà mettere
in campo per osteggiare la possibile buona riuscita
dell'operazione messa in atto da Bersani-D'Alema. Allo stesso
tempo Renzi dovrà lasciar intravvedere il suo finto «moderatismo»
tentando di conservare il pacchetto di voti post democristiani che
ancora il suo Pd riesce a raccattare.
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Per riuscire in quest'impresa Renzi farà zig zag su tutto. Viva i
giovani e i pensionati, viva i lavoratori autonomi e i dipendenti
pubblici, viva gli studenti e i baroni universitari, viva la famiglia e
le unioni civili, viva la green economy e i petrolieri, viva gli
obbligazionisti truffati e i banchieri, viva il risparmio dei cittadini e
i finanzieri della City, viva i magistrati e la riforma della giustizia
dalla parte dei cittadini.
Farà come ha fatto nei suoi mille giorni a Palazzo Chigi: il
populista peronista 4.0. Altro che liberismo, caro Giavazzi, tornerà
con prepotenza la logica delle mance, dei bonus, delle marchette,
degli annunci. E lo dice un suo collega che in questi anni ha vissuto
ciò di cui parla dalla faticosa trincea del Parlamento e non dalle
vellutate e prestigiose colonne della prima pagina del Corriere
della Sera.
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Renzi inaugurerà lo «zigzaghismo», una riedizione in salsa
fiorentina del fallimentare «maanchismo» di veltroniana memoria.
Una sciagura per ciò che resta del Partito democratico (o Partito
di Renzi che dir si voglia) una sciagura per l'Italia, per i suoi conti,
per la sua credibilità internazionale.
Un pericolo al quale il centrodestra unito di governo dovrà
rispondere con una proposta autentica e credibile, per dare
speranza al Paese, per invertire la marcia, per completare quelle
riforme che, forse Giavazzi dimentica, sono già la storia del buon
governo di Silvio Berlusconi in dieci degli ultimi vent'anni.