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23 febbraio 2017 delle ore 01:06
Il sogno di Elisabetta
Ancora qualche giorno per vedere la bella mostra di Elisabetta Benassi da Magazzino a Roma. Tra
alberi che non sono alberi, motozappe che sono ritratti, ironia e ambiguità onirica
Dopo sei anni dall'ultima personale nella
Galleria Magazzino e in attesa di vederla a
maggio alla Collezione Maramotti, Elisabetta
Benassi torna con un ciclo di nuovi lavori
pensati per lo spazio della galleria romana.
"Letargo” - titolo della mostra (fino al 28
febbraio) - è la parola d'ordine per accedere nel
panorama visivo delle opere che si dispiegano
negli spazi come delle presenze indiziarie che
proiettano il visitatore in un luogo altro, in una
dimensione onirica dove regnano ambiguità,
sospetto, memoria, ironia, frizione. Letargo è
sospensione temporale, vita rallentata, morte
apparente, dimensione onirica, stato indifeso,
strategia di sopravvivenza. Se il termine è preso
in prestito dal regno animale, esso si rivolge
all'uomo in senso ossimorico: si riferisce ad uno
status politico-sociale paralizzante e, allo stesso
tempo, abbraccia il campo di azione/non-azione
appartenete al sogno. Tutta la mostra assomiglia
ad un paesaggio, un paesaggio dove ciò che
l'occhio vede può sembrare qualcos'altro e lo
sguardo sospetta e dubita altalenando tra ciò che
sembra e ciò che realmente appare.
È un percorso aperto, introducibile da ognuna
delle opere in mostra. Se volessimo trovare un
appiglio visivo che abbia a che fare con
l'immaginario della parola letargo, allora
l'opera esposta in cortile potrebbe sembrare la
più vicina a questo discorso: una vecchia Ford
Escort parcheggiata a ridosso dell'angolo della
galleria che divide i due spazi espositivi, ospita
nel bagagliaio un letto di terra dal quale
emergono due gusci di tartaruga, evidentemente
lavorati in bronzo e sui quali l'artista ha voluto
lasciare i chiodi del processo di fusione. Oltre
al titolo dell'opera, Letargo, il riferimento al
sonno apparente dei due animali è immediato.
Tuttavia, la loro collocazione e la loro fattura
proiettano il visitatore in una dimensione
onirica dove il discorso temporale si tinge di
reminiscenze e cortocircuiti che consentono di
avvicinarsi alla dimensione del sogno.
L'autovettura, simbolo di un'epoca passata,
diventa macchina del tempo nella quale è
possibile pensare ad un viaggio temporale,
subendone tutto il fascino.
Alighiero Boetti scriveva in occasione di
un'intervista nel 1972 «Le date? Sai perché sono
molto importanti? Perché se tu scrivi ad
esempio su un muro ‘1970’ sembra niente, ma
tra trenta anni… Ogni giorno che passa questa
data diventa più bella, è il tempo che lavora. Le
date hanno proprio questa bellezza, più passa il
tempo e più divengono belle». Esiste nelle
opere di Benassi anche un sottile dialogo con
altri artisti del passato, evocati idealmente in
alcuni lavori. Altra opera in mostra Autoritratto
al lavoro è un vecchio Motozappa prodotto dalla
storica ditta Officine Meccaniche Benassi,
oggetto preso dall'artista come autoritratto
ironico, giocando con l'omonomia e la
personificazione dell'oggetto stesso, alla
stregua di Pino Pascali o Marchel Duchamp.
L'elemento meccanico trionfa nelle opere in
mostra come struttura piuttosto che come
funzione. Le presenze meccaniche sono
immobili, come assopite in un sonno che si è
perso nel tempo. Dunque non sono presenze
morte, ma oggetti potenzialmente da riattivare.
Lo stesso accade nell'opera Mimetica, il grande
albero di palma che attraversa nella lunghezza
del tronco i due ambienti della sala principale
della galleria, appositamente trasformati
dall'artista per la collocazione delle opere.
Disteso orizzontalmente, il "gigante addormentato”
può sembrare la riproduzione di una palma fine
a se stessa. E invece scopriamo che si tratta della
struttura di un ripetitore per le antenne della
comunicazione che comunemente (ma meno
notoriamente) viene installato per integrarsi in
vari contesti ambientali, secondo le vigenti
leggi sulla tutela del paesaggio.
nascondono e fanno capolino nelle pareti e negli
angoli della galleria. Ad esempio, Timezero
(Used Before 1973-1989), una coppia di scatole
di pellicole Polaroid mai utilizzate e ormai
scadute, presenti come impossibili immagini di
un tempo passato. O i due Zippo argentati
recanti le scritte incise "Our aim is
wakefulness” e "Our enemy is dreamless
sleep”, facendo riferimento alla vita del soldato
assecondando, nel titolo, la suggestione del
romanzo Casse-Pipe di Louis-Ferdinand
Céline. I l rischio dell'oblio e il richiamo alla
coscienza cuciono questo paesaggio onirico che
sembra far vivere attraverso le immagini "il
sogno dell'artista”.
Giuliana Benassi
Se parte del tronco dell'albero esce fuori dalla
parete divisoria come se fosse un cannone o un
enorme tubo di scarico, la zona della chioma è
invece ricca di grandi foglie che invadono lo
spazio, creando un suggestivo gioco di luce e
ombra enfatizzato dalla penombra dell'ambiente.
Infatti, le due zone create dalla parete divisoria
costituiscono idealmente due momenti percettivi:
l'uno luminoso, l'altro scuro: segnano il
passaggio dal sonno alla veglia e viceversa.
Tutta la mostra insiste su un altro dualismo:
natura/macchina, senza soluzione di continuità.
Così, nel lavoro parietale Salamandra ZAF,
l'artista dispone alcuni pannelli forati tipici
degli utensili da ferramenta per agganciarvi
stemmi di automobili di varie dimensioni e
nazionalità. A ben guardare, nelle parole o negli
emblemi, sono tutti loghi che richiamano il
mondo animale, insistendo su questo processo
di similitudine proprio dell'uomo nell'associare
l'immaginario di un animale al funzionamento
di una macchina. Accanto a questi lavori di
grande dimensioni, il percorso espositivo è
costellato da "dettagli”, opere che quasi si
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