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10 febbraio 2017 delle ore 15:01
Fino al 23.II.2017
Back to the land
Studio la Città, Verona
Le problematiche ecologiche e ambientali
stanno assumendo sempre maggiore rilievo nel
dibattito internazionale contemporaneo sul
destino del nostro pianeta e sulle concrete
emergenze che dobbiamo affrontare. La
necessità di ristabilire un equilibrio nel rapporto
uomo-natura e l’urgenza di stimolare,
diffondere, sviluppare una coscienza ecologica
ed ecocritica non sono certo temi inediti o
recenti, ma è negli ultimi due anni che una serie
di mostre e iniziative artistiche hanno
sottolineato il ruolo da protagonista che l’arte
contemporanea può avere nell’ambito della
riflessione sulle problematiche ecologiche e
ambientali. Si inserisce in questo contesto la
mostra "Back to the Land", curata da Andrea
Lerda negli spazi veronesi della galleria Studio
la Città: "non una semplice mostra, ma la tappa
di un percorso virtuale che, a livello globale,
ormai da tempo, chiama in causa l’arte
contemporanea, quale strumento in grado di
portare alla ribalta questioni ecologiche e di
stimolare riflessioni ambientali” (Lerda). Sette
artisti con radici che variamente attingono
dall’Arte Povera, dalla Land Art e dalle pratiche
video/performative degli anni Sessanta e
Settanta - raccogliendo da quell’eredità spunti
sul tema ambientali rielaborati con nuove e
diversificate modalità espressive - per una
mostra che intenzionalmente vuole stringere un
legame ideale e funzionale con "Back to the
Land", il movimento sociale che tra gli anni
Sessanta e Settanta raccolse attorno a sé i
sostenitori di uno stile di vita rurale in aperta
antitesi con quello artificiale, alienante e
corrotto della società contemporanea. Tra le
esperienze più interessanti presentate a Studio
la Città da Lerda c’è sicuramente quella di
Andreco, ingegnere ambientale che ha condotto
ricerche post dottorato sui benefici del verde
urbano in collaborazione con l’Università di
Bologna, la Columbia University e la Nasa a
New York, e artista profondamente impegnato
sul fronte della sensibilizzazione in materia
ambientale. La sua non è una battaglia, ma una
narrazione sottile che, forte di basi scientifiche
solide e di una ricerca artistica ventennale, porta
in campo i simboli e le icone da lui stesso
sintetizzate di una natura in pericolo, in costante
stato di emergenza. Artista tecnicamente e
operativamente versatile (dalla pittura murale
alle azioni performative collettive, dalle
installazioni site specific alla scultura, dal
disegno all’arte pubblica, etc), Andreco porta a
Verona 7 acrilici su carta e uno su tela, una
scultura in ferro smaltato e due wall painting
(uno dei quali, sulla facciata esterna della
galleria, destinato a rimanere stabilmente)
proponendoci diverse declinazioni di quella
forma simbolica che rappresenta per lui
l’estrema sintesi iconologica della natura e che
è ormai diventata la sua inconfondibile cifra
stilistica. Solidi irregolari, variamente sfaccettati
e potenzialmente identificabili con pietre o
particelle minerali, vanno a costruire strutture
totemiche o emergono solitari campiti di un
nero intenso e bituminoso; altri franano come
a seguito di un cataclisma oppure galleggiano
sospesi a mezz’aria dipinti di azzurro o ridotti
a pura struttura. Dal grande wall painting che
campeggia a tutta altezza su una delle pareti
della galleria, attraverso il disegno, la pittura e
la scultura, Andreco evoca le problematiche
inerenti l’aumento di concentrazione di CO2
nell’atmosfera e le conseguenti modificazioni
climatiche. L’intervento, che si inserisce
all’interno del recente progetto Climate01,
proposto a Parigi, in occasione del COP21
(Sustainable Innovation Forum 2015) e a
Bologna (2016) con l’opera site specific
Emissions (Climate02), culmina con Melting
and Falling, il wall painting della facciata
esterna: il lento e progressivo sciogliersi di un
iceberg che da azzurro muta gradatamente in
nero fino a cadere dal limite immaginario
tracciato dalle finestre dell’architettura reale.
Estremamente complesso anche il lavoro di
Giorgia Severi, la quale ragiona sull’incendio
doloso della Riserva naturale dell’Ortazzo e
Ortazzino (Parco de Delta del Po’, Lido Dante,
19 luglio 2012) attraverso un’analisi antropologica,
culturale e naturale che trova poi concretezza
in un complesso di opere che vanno dalla
fotografia al video, dalla performance
all’installazione alla grafica. La Severi
sottolinea l’impatto devastante che l’azione
dell’uomo può avere sulla natura e la necessità
di stabilire un rapporto più sicuro e consapevole
con il paesaggio e l’ambiente. L’incendio è stato
vissuto dalla popolazione come un grave danno
morale oltre che ambientale, di questo trauma
ci porta testimonianza l’artista. In galleria
troviamo un’installazione video a due canali
che da un lato presenta delle immagini
documentarie del sito e dall’altro documenta
un’azione performativa messa in atto
dall’artista nel 2013: un vero e proprio rito
sciamanico in una tenda allestita in Piazza del
Popolo a Ravenna, dove la Severi incontrava
uno a uno i visitatori e chiedeva loro di custodire
o ripiantare i semi di quelle piante andate
perdute durante l’incendio. L’uomo distrugge
ma può anche porre rimedio alla propria azione
devastatrice ripensando il proprio rapporto con
la natura. Secondo la logica polioperativa
secondo cui è stata allestita la mostra, anche per
la Severi sono proposti non solo il video ma
anche un’installazione (Restoring The Word –
CURA #1, legno, stucco, cemento e paraloid),
brano di natura prelevato e "curato” dall’artista;
una stampa pigmentata della serie Restoring
The Word – WHAT REMAINS OF A FOREST
come documento fotografico del disastro
ambientale; un trittico realizzato con la tecnica
del frottage (carbone su carta): traccia registrata
su carta dei tronchi bruciati e scomparsi quel 19
luglio del 2012, tre sindoni di ciò che non è più
ma potrà risorgere a nuova vita. Di distruzione
perpetuata dall’uomo nei confronti della natura
ci parla anche Neha Choksi, presente in mostra
con il video Found Green, del 2006, in cui
ripercorriamo il viaggio di un giovane tra i
vicoli di Mumbai là dove un tempo esisteva un
parco e ora scorre il traffico di una delle città
più popolose al mondo. Il viaggio del ragazzo
tra i fantasmi di una natura che va scemando
anche nella memoria dei suoi abitanti, si fa
monito per la ridefinizione dell’azione umana
sul paesaggio, tanto più pungente quando si
riscontra la presenza di una albero, un’erba, un
fiore che resistono tenacemente tra l’asfalto e
le architetture della città inglobatrice e
fagocitante. Andrea Nacciarriti ci parla invece
di scandali made in Italy e in particolare
dell’affondamento al largo delle coste calabresi
di navi con rifiuti tossici. L’opera trae spunto
da Le navi della Vergonga, testo in cui Riccardo
Bocca denuncia questa pericolosa pratica
perpetuata dalle cosche mafiose, dai servizi
segreti di paesi che vogliono far sparire scorie
radioattive, dal governo italiano e dai media,
accusati di complicità nell’affossamento della
notizia. In Lottinge 1956 vediamo la nave
ormeggiata nel porto e immortalata in una
fotografia: la cancellazione operata dall’artista
utilizzando nastro adesivo per gli imballaggi
simboleggia da un lato l’affondamento della
nave e del suo carico radioattivo, dall’altro
l’occultamento dei fatti e l’omertà delle parti
coinvolte. Alla fotografia si accompagna un
audio in cui udiamo la conversazione tra un
pescatore e il comandante della Jolly Rubino,
una delle navi di un’intera flotta di 14
protagonista di "incidenti” misteriosi; e un
installazione: un tronco d’albero parzialmente
combusto rinvenuto sulla costiera adriatica sul
quale Nacciarriti ha posato un bicchiere di
plastica pieno d’acqua a veicolare un messaggio
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di contraddittorietà che è la cifra dell’epoca
contemporanea. A completare il dialogo dei
sette di "Back to the Land", Francesco Simeti,
Christian Chironi e Julius von Bismarck. Il
primo crea ambienti immersivi con paesaggi
ipercromatici che vanno scialbando verso un
grigio mortifero, vettore di una riflessione sui
cambiamenti climatici e sul dialogo tra la
dimensione vegetale e quella urbana; il secondo
lavora all’insegna di una raffinata sottrazione
asportando quasi chirurgicamente brani di
natura e porzioni di creature viventi da libri,
atlanti geografici, erbari per poi esibirli
quadrizzandoli in un’attenta campionatura; il
terzo riflette sulla naturalezza della natura
nell’epoca dell’artificiale e sull’arroganza
dell’uomo "padrone del mondo”: l’artista
dipinge di bianco una serie di elementi in un
paesaggio desertico (piante, cactus, rocce) per
poi riportarli alle loro cromie naturali attraverso
una seconda mano di pittura. Nel video egli ci
mostra l’azione invasiva ai danni del paesaggio
ad opera di un individuo descritto come
incarnazione dell’egocentrismo della nostra
specie. Completano la mostra i testi di Andrea
Lerda con il contributo in catalogo di Serenella
Iovino, una delle voci più accreditate
dell’ecocritica internazionale, e la conferenza
L’arte nel tempo dei cambiamenti climatici in
cui il curatore e Andreco hanno incontrato i soci
dell’Associazione culturale ASLC Progetti per
l’arte. Nella lunga tradizione europea del
paesaggio, l’arte contemporanea è ora chiamata
a denunciare, iconizzare, documentare,
riflettere un’emergenza ormai irreversibile, a
promuovere e diffondere una sensibilità urgente
e necessaria nei confronti dell’ecologia,
dell’ambiente, della natura. All’arte non
chiediamo più di rappresentare il paesaggio, di
idealizzarlo in vedute pittoresche, ma si
salvarlo, prima di tutto da noi stessi.
Jessica Bianchera mostra visitata il 17 gennaio
Dal 26 novembre al 23 febbraio 2017 Back to
the land Studio la Città Lungadige Galtarossa,
21 37133 Verona Orario: da martedì a sabato,
ore 9.00-13.00 e 15.00-19.00 (lunedì solo su
appuntamento) Info: +39 045 597549 www.
studiolacittà.it

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