Transcript 19 FEB 2017

Riflessioni (n.262) sulle Letture della VII Domenica del T.O. (a)
19 febbraio 2017
A tutti gli Amici in Gesù Cristo Nostro Signore e Salvatore
Tu che leggi sii benedetto dal Signore, ti custodisca nella pace e nella perenne visione del Suo Volto
A tutti gli Amici in Gesù Nostro Signore e Salvatore.
A te che leggi: ti benedica il Signore e ti custodisca nella pace e nella perenne visione del Suo Volto.
Perdona Signore, e anche voi amici, tutti gli errori e le imprecisioni, che involontariamente avrò scritto: queste righe vogliono essere solo una preghiera
a Te Padre Misericordioso, a Te Verbo Redentore, a Te Spirito Consolatore. Non avanzo pretese di scienza che non posseggo, esse sono solo bisogno
dell’anima; la preghiera infatti è consolazione e insegnamento.
Le cose che conosco della Verità sono poche, ma voglio parlarne con umiltà e devozione massima per conoscerle meglio. Lo Spirito Santo mi aiuti.
Signore so che Tu non hai bisogno di quello che diciamo di Te, ma queste mie parole saranno utili e benefiche sicuramente a me e forse a qualcuno che
le legge se Tu le arricchirai del Tuo Spirito Santificatore che invoco.
-Nihil amori Christi praeponere-
SIGNORE FACCI DONO DEL TUO SPIRITO SANTO COSÌ CHE IL TUO AMORE E IL TUO VOLERE SI RIVELINO A NOI
Prima Lettura - Dal libro del Levitico- Lv 19, 1-2. 17-18 - Ama il prossimo tuo come te stesso.
Il Signore parlò a Mosè e disse:
«Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi,
perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo.
Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera
apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per
lui.
Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”».
Le Letture di questa settimana hanno fortissima
l’incitazione del Padre all’Amore; il Suo Agape è il
modello per noi uomini così propensi all’egoismo, al
rancore e al tornaconto: «non farò nulla se non ne otterrò un ritorno» è il codice più o meno esplicito di molti.
Il Bene è tale solo se è un dono gratuito e costituisce esso stesso un piacere e un compenso per chi ne dispensa al prossimo di getto, per generosità di cuore,
senza calcoli né considerazioni di convenienza.
Amare:
è donare se stessi all’altro; è vivere e donare la pienezza della vita; è la vera gioia che si auto-rigenera
perché da esso stesso trae forza e volontà di rinnovamento; è avere e donare speranza che è vita essa stessa;
è il legame più potente che si possa stabilire con
l’altro; è l’unico desiderio lecito, quello di anticipare i
desideri dell’altro; è non far pesare quello che si dona;
è qualcosa che ci fa sorridere al solo pensiero della persona amata che lo riceverà; è incontrare e comunicare
mettendo a parte l’altro dei propri pensieri; è gioire al
pensiero del volto, della voce della presenza dell’altro.
E ancora e ancora …
Amare è mettersi dietro all’altro che si ama: è una
regola valida fra noi uomini ma anche, e pienamente e
assolutamente, davanti a Dio!
Ma chi deve essere il destinatario il nostro amore,
l’amato? Tutti e tutto: dai genitori che ci hanno donato
la vita, a tutti i familiari;
a chi abbiamo incontrato nei passi della nostra traversata del tempo;
chi abbiamo generato;
persino le bestiole cui ci siamo affezionati ma anche quelle che vediamo libere in natura;
il cielo che ci sovrasta e ci avvolge nella luce;
i monti che si abbassano o si innalzano per far sorgere il sole o farlo tramontare;
il mare, i laghi e i fiumi che ci assicurano la vita;
ma anche i fili d’erba che sorgono come per incanto
dalla terra e i boschi misteriosi.
Ma se tutto questo è Amore per e nel mondo in cui
ci muoviamo ed è meraviglia delle meraviglie, impronta dell’Amore e della Sapienza di Dio, quello Divino
per noi, Sue creature, l’Agape, non è definibile né misurabile ed è di un’altezza e di una sublimità ineffabili
e incomprensibili al pensiero umano.
È scritto che è più facile amare chi vediamo che
non Dio che non vediamo; ed è vero!. Ma l’esercizio
continuo del primo ci raffina l’anima e lo spirito ch’è
in noi, il quale cresce e si espande senza pausa aprendosi così all’abbraccio caldo dello Spirito Santo Trinitario che è Emanazione Benefica di Dio e del Verbo ed
è Dio Egli Stesso. Tanto più si espanderà la nostra
anima tanto più Amore del Padre Nostro potrà contenere (Sant’Agostino).
E allora amare Dio, Gesù Cristo e lo Spirito Santo
diviene facile, più facile che amare i simili e il mondo
che vediamo perché Egli non ci delude mai se avremo
l’Intelligenza di non pretendere quello che chiediamo:
questa è la prova più severa cui ci sottopone il Padre
Celeste affinché non nasca e cresca in noi l’orgoglio,
ma invece l’Umiltà e la Mansuetudine unite al vero
Amore ci guidino a non chiedere benefici soprattutto
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spirituali e non futili per noi stessi ma solo per gli altri
che diciamo di amare. Le nostre preghiere siano dunque colme di invocazioni per chi amiamo ma anche per
chi non ci ama: il Signore ci amerà di Amore Perfetto!
La Fede è, infine, l’atto d’Amore più sublime che
possiamo avere e manifestare nell’attuale condizione
terrestre perché ci conduce all’amore del Dio che non
si vede con gli occhi del corpo, ma sì, invece, con quelli dello spirito.
Mantenere e coltivare la Fede come una piantina
fragile ma bellissima, profumatissima, bisognosa di attenzioni continue e di cure perché possa crescere e rivelare il Volto del Signore.
Sant’Agostino ha scritto (Dai «Trattati sulla prima
lettera di Giovanni»; Tratt. 4, 6;):
“… Infatti cosa ha rivelato lo stesso Giovanni a paragone di Colui Che È, o che cosa possiamo dire noi creature che siamo così lontane dalla sua grandezza?
Ritorniamo perciò a soffermarci sulla sua unzione, su quella unzione che ci insegna interiormente quanto non siamo capaci di esprimere in parole. E poiché ora non potete avere questa visione, vostro
compito è desiderarla.
L'intera vita del fervente cristiano è un santo desiderio. Ciò
che poi desideri, ancora non lo vedi, ma vivendo di sante aspirazioni
ti rendi capace di essere riempito quando arriverà il tempo della visione.
Se tu devi riempire un recipiente e sai che sarà molto abbondante
quanto ti verrà dato, cerchi di aumentare la capacità del sacco, dell'otre o di qualsiasi altro contenitore adottato. Ampliandolo lo rendi più
capace. Allo stesso modo si comporta Dio.
Facendoci attendere, intensifica il nostro desiderio, col desiderio
dilata l'animo e, dilatandolo, lo rende più capace.
Cerchiamo, quindi, di vivere in un clima di desiderio perché
dobbiamo essere riempiti.
[…]
Allora che cosa fai in questa vita, se non sei arrivato alla pienezza del desiderio? «Questo soltanto so: Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio
ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3, 13-14). Paolo ha
dichiarato di essere proteso verso il futuro e di tendervi pienamente.
Era consapevole di non essere ancora capace di ricevere «quelle cose
che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di
uomo» (1 Cor 2, 9).
La nostra vita è una ginnastica del desiderio. Il santo desiderio sarà tanto più efficace quanto più strapperemo le radici della vanità ai nostri desideri. Già abbiamo detto altre volte che per essere
riempiti bisogna prima svuotarsi. Tu devi essere riempito dal bene,
e quindi devi liberarti dal male. Supponi che Dio voglia riempirti
di miele? Se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Bisogna liberare il vaso da quello che conteneva, anzi occorre pulirlo. Bisogna
pulirlo magari con fatica e impegno, se occorre, perché sia idoneo a
ricevere qualche cosa.”
Amare è la facoltà più bella e profonda che mi
hai donato o Signore, quella che più mi rende simile a
Te: come Ti posso ringraziare se non amandoTi nella
piena e cosciente volontà di ricambiare come meglio
posso il Bene che mi dai? Ora Ti posso amare per
quello che m’hai dato e che continui a donare a me e a
tutte le Tue creature, ed è un’enormità; ma cosa farai
avvenire in me perché il mio piccolo e opaco cuore sia
veramente simile al Tuo incandescente d’Amore?
Salmo Responsoriale - Dal Salmo 102 - Il Signore è buono e grande
nell'amore.
B
enedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe.
Quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Come è tenero un padre verso i figli,
così il Signore è tenero verso quelli che lo temono.
“Quanto è in me benedica il Suo Nome”: ogni
mio pensiero è rivolto a Te o mio Misericordioso ed
Eccelso Unico Dio! La Tua Grandezza e la Tua Maestà, la Tua Intelligenza e la Tua Bellezza sono tali da
spaventare chiunque per l’impossibilità del nostro piccolo pensiero di comprenderTi: questo è «il timore di
Dio». Tu infatti, Energia Santa d’Amore, non puoi essere temuto da chi è oggetto del Tuo Bene e da chi Ti
desidera di essere al Tuo Cospetto per l’eternità. Chi,
come Te sa perdonare persino la negazione d’Amore
che è Tua Essenza? Chi non sa amare suscita non il
Tuo disprezzo ma la Tua Pietà perché so che non puoi
permettere che l’amata creatura sia priva di Te, del
Bene Primo!
La vita che m’hai donato è bella anche quando soffro e mi sento infelice ma non riesco a capire cosa sarà
la vita dello spirito dopo la fine dei sensi e per questo
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motivo mi sento straniero in questo mondo reso volgare e cattivo quando non è l’Amore a prevalere fra noi!
Donami Forza e Perseveranza perché sappia attendere nella gioia il giorno felice quando mi ammetterai
al Tuo Cospetto e mi mostrerai il Tuo Volto Radioso:
tanta immensa Grazia non mi lascerà morire in eterno,
come temo, per la gioia incontenibile e insostenibile
dalla mia misera mente e dal mio gracile petto. Per
Tua sola Generosità sarò Santo pur sapendomi indegno solo di nominarTi: se avverrà tale portento che desidero sopra ogni cosa donami la voce giusta per cantare in eterno la Tua Lode che sopravanzerà ogni desiderio mai immaginato!
Ora, finché sarò ancora quaggiù davanti al Tuo Altare rendimi strumento ancora della Tua Parola!
Seconda Lettura - Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1Cor 3, 16-23 - Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio.
Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di
Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui.
Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.
Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo
mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di
questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: «Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia». E ancora: «Il Signore sa
che i progetti dei sapienti sono vani».
Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.
Se veramente ci convincessimo e tenessimo a
mente di essere Tempio di Dio nessun credente non dico non oserebbe fare del male a chicchessia, ma ricoprirebbe il prossimo di Amore come vuole il Signore.
Ma questo è veramente arduo, molto.
La carnalità, l’emotività delle passioni, la petulanza, l’orgoglio, l’insofferenza, l’irascibilità, la riluttanza
al perdono, il desiderio di vendetta, l’invidia, il senso
personalizzato della giustizia e ancora altre motivazioni che molto spesso riteniamo legittime ci impediscono
di amare chi ci ha nociuto e non solo essi. E questa purtroppo è una caratteristica comune a tutti noi, salvo rarissime eccezioni come quelle dei Santi. Eppure anche
Pietro e Paolo (e non solo loro) discussero animatamente anche se per motivi di fede ed è verosimile pensare che non fossero molto equilibrati nei loro accesi
contrasti. Ma certamente, raffreddati i bollori del sangue, si rappacificarono in nome del Signore che non ha
mai maledetto i Suoi persecutori, anzi li ha perdonati
perfino sulla croce.
Ne abbiamo parlato altre volte. Secondo la mia
esperienza di vita non v’è altra possibilità se non perdonare -che è una forma d’amore- in Cristo Nostro
Signore.
San Paolo ha scritto (Rm 7, 14-25):
“Sappiamo infatti che la Legge è spirituale, mentre io sono carnale, venduto come schiavo del peccato. Non riesco a capire ciò che
faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto.
Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la Legge è buona;
quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio
il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello
che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il
male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di
Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che combatte contro
la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato,
che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo
di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro
Signore! Io dunque, con la mia ragione, servo la legge di Dio, con la
mia carne invece la legge del peccato.”
Ma in Cristo tutto è possibile, in Lui si trovano
energie, intelligenza e sentimenti inaspettati. Poi qualcosa possiamo fare: ripudiare il male almeno come intenzione santa. Se non riusciamo ad amare il prossimo
evitiamo però in ogni modo di odiarlo mettendoci -ove
possibile- in condizioni di non divenire oggetto di attacchi maligni, di non suscitare e attirare gli strali dei
malvagi con un comportamento prudente.
Ma ritornando alla frase iniziale della pericope paolina, Dio ci tenga lontani dal fare del male a qualcuno,
anche se costui ha nociuto a noi o alla nostra famiglia.
Agendo diversamente significa che non vogliamo essere figli di Dio, che non sopportiamo i Suoi desideri, ma
siamo schiavi della vendetta. E non dimentichiamo mai
che il male non è solo quello corporale, anzi spesso il
male di tipo morale o spirituale può veramente uccidere una persona sia fisicamente che nella personalità e
nello spirito.
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Canto al Vangelo - 1Gv 2, 5
Alleluia, alleluia.
Chi osserva la parola di Gesù Cristo,
in lui l’amore di Dio è veramente perfetto.
Alleluia.
Dal vangelo secondo Matteo - Mt 5, 38-48 - Amate i vostri nemici.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”.
Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno
schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole
portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se
uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne
due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare
le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo
nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che
vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli
fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne
avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto
ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i
pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».
Come è arduo mettere in atto le predicazioni di
questa pericope evangelica.
La chiave di lettura del brano è, a mio parere,
nell’ultima frase:
“Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.”
E a sua volta tale predicato di Gesù è indispensabile
affinché dall’ideale proposto possiamo trarre almeno
qualche frutto visto che la perfezione non è del genere
umano; tendere alla perfezione è muoversi nel giusto.
La predicazione inizia con il comandamento
“… vi dico di non opporvi al malvagio …”
Porgere l’altra guancia è il gesto estremo della perfezione, quello che conduce direttamente alla Santità
perché presuppone l’inibizione del potentissimo istinto
di conservazione che è proprio degli esseri viventi. È il
modo estremo e l’antidoto contro la logica del «male
contro il male», dell’«Occhio per occhio e dente per
dente».
Un altro:
“… Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate
per quelli che vi perseguitano… “
ne abbiamo parlato sopra e lo ripeto questo è il modo
più semplice ed efficace di perdonare, pregare che il
persecutore si ravveda e salvi la propria anima.
“Egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa
piovere sui giusti e sugli ingiusti.”
Questa è la rassicurazione e la pacificazione della
mente e dell’anima per chi sa subire e pazientare senza
ricambiare male con male; occorre lasciare a Dio, al
Giudice Giusto e Ineludibile, che il redde rationem lo
faccia Lui e solo Lui che SA senza bisogno di testimonianze e senza possibilità di errore. Demandare tutto a
Lui ed essere convinti della Sua Giustizia e della Sua
Infallibilità è il modo per non sconfinare nella vendetta
e nella maledizione.
Signore Buono e Giusto non ci lasciare mai soli
nei momenti difficili della nostra faticosa esistenza
perché la debolezza della nostra volontà nel raggiungimento del Bene soccombe difronte all’istinto bestiale
di restituire male al male.
Il Tuo Spirito Santo ci protegga come l’abbraccio
caldo e amoroso della mamma al proprio nato.
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Di William Holman Hunt (Londra 1827, 1910)
Figura 1 - La Luce del Mondo; 1851-56; William Holman Hunt; Manchester Art Gallery; olio su tela; 77 x 54 cm.
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A metà dell’Ottocento in Inghilterra avviene
un’ulteriore esperienza romantica ad opera di un gruppo di giovani studenti, meno che trentenni, della Royal
Academy; essi contestano decisamente l’arte dominante scaduta ad un livello di vuoto esercizio pittorico, ad
un mero aneddotismo utilitaristico e pertanto privato di
ogni aspirazione estetica. Fu espressione del disagio
verso l’industria considerata negatrice della creatività
individuale. Effettivamente l’arte era ormai inadeguata
perché espressione dell’arretratezza sociale e culturale
nonché ipocrita del moralismo vittoriano: il suo sfondo
sociale era il contesto dello sfruttamento becero delle
classi lavoratrici in nome del progresso industriale che
fece sì arricchire la borghesia da un punto di vista economico, ma la abbassò inesorabilmente dal punto di vista culturale e morale.
Il gruppo costituì la “Confraternita dei Preraffaelliti”. L’anno di riferimento era il 1848, coincidente con i
Moti del ’48 o Primavera dei popoli che sconvolse
mezza Europa dopo la Restaurazione delle monarchie
retrograde.
Il gruppo era costituito da William Holman Hunt ,
John Everett Millais, Edward Burne-Jones, Dante Gabriel Rossetti (di padre italiano e mazziniano). John
Ruskin, autorità culturale dell’epoca, fu il consigliere e
l’amico del gruppo. Con la pubblicazione del suo libro
Modern Painters egli affermò che la natura è evidente
manifestazione di Dio, della Sua Bellezza, della Sua
Carità e che compito dell’artista è di rivelarlo a tutti e
così mostrare e sollecitare le ricchezze spirituali che il
Signore Stesso ci ha donato.
Evidente è dunque l’impostazione religiosa
dell’arte di questo singolare gruppo che, com’era da
aspettarselo, fu fortemente contrastato e criticato da
un’ampia cerchia di critici inglesi. Non stupisce dunque che il modello dei componenti del gruppo dovesse
essere la forte spiritualità medievale -definita età
d’oro- e in particolare quella del periodo gotico. Da
qui il nome che si scelsero di Preraffaelliti intendendo
con esso che volevano ritornare al periodo e alle esperienze artistiche precedenti all’avvento di Raffaello e di
Michelangelo ritenuti rappresentanti massimi della decadenza di quella purezza e semplicità che avevano caratterizzato gli artisti del Medioevo e del Quattrocento.
In questi ultimi ravvisavano nell’operare pittorico la
coesistenza di cultura e di artigianato. Dunque ambizioso era il loro intento e il loro programma, quello di
rialzare il decadimento dell’ipocrita società vittoriana e
restituire al lavoro manuale, in cui è compresa l’arte, la
più alta dignità, considerandolo addirittura strumento di
salvezza e come tale degno di essere favorito e sostenuto dallo Stato, come tutta l’istruzione in genere.
Il dipinto proposto, La Luce del Mondo, di William
Holman Hunt, è un’immagine simbolica e mistica come quasi tutte le pitture a tema religioso.
In un chiarore naturale quasi del tutto spento e che
precede la notte appare Cristo che porta una lanterna irradiante una luce che va a rivelare soprattutto la porta
di una casetta a lato cui il Signore bussa con le nocche
della mano; essa non possiede una maniglia ed è coper-
ta da piante spontanee -minuziosamente e realisticamente descritte- che ci fanno dedurre che non viene
aperta da tempo. Dunque la porta può essere aperta solo dall’interno; il padrone di casa è ostile a ricevere visite, non desidera comunicare.
Il Volto di Gesù riceve solo un blando chiarore che
a stento mostra i Suoi lineamenti resi più indefiniti dal
controluce dovuto alla grande aureola, quasi una luna
piena, contro la quale spicca la corona, connubio fra il
simbolo regale dell’autorità e la corona di spine della
passione. Ma regale è anche la clamide, un sontuoso
mantello con l’interno di porpora, trattenuto sul petto
da una vistosa fibbia impreziosita da numerose pietre
frammiste a magnifici ricami. La veste sotto il mantello
è invece semplicissima, una tunica lunga fino ai piedi
senza splendori di ricami o d’altri decori, segno
d’umiltà, due simboli: Cristo Re dell’Universo e Cristo-Dio divenuto umile uomo.
La Sua lanterna porta la Luce della Verità e viene
offerta a chi è lontano e ha chiuso da tempo la sua porta, la comunicazione con il Soprannaturale che umilmente è Lui che viene a cercarci, a bussare alla porta
della nostra anima. Il suo sguardo è pensieroso, come
quello di chi teme di non ricevere risposta; sullo sfondo
alberi quasi secchi alludono alla povertà spirituale di
tanta parte dell’umanità che il Signore vuole salvare.
La figura è stante, quasi immobile; è presentata
frontalmente e ricorda per tali aspetti l’iconografia medievale. Si propone come un’apparizione che ricerca
fortemente di suscitare l’interesse verso la Trascendenza del Cristianesimo. Proprio quell’immobilità, lo
sguardo rivolto altrove, il paesaggio quasi notturno e la
condensazione della luce circoscritta al primo piano
conferiscono all’immagine il fascino misterioso di una
verità traslata con rimandi molteplici e difficilmente
esprimibili a parole.
La nitidezza e lo splendore della luce, tipica dei
Preraffaelliti è indice, secondo Ruskin, del modernismo
del gruppo in opposizione alle luci soffuse dei pittori
accademici.
Il dipinto fu replicato alla fine della vita del pittore
a grandezza naturale ed ebbe un successo enorme non
solo in Inghilterra ma anche nelle numerose esposizioni
in diversi Paesi.
Il dipinto e il suo titolo mi ricordano inevitabilmente la poesia di G. Pascoli “…Io sono la lampada
ch’arde soave…” tratta dai Canti di Castelvecchio e di
cui riporto due strofe:
“… Se già non la lampada io sia,
che oscilla
davanti a una dolce Maria,
vivendo dell'umile stilla
di cento capanne:
raccolgo l'uguale tributo
d'ulivo
da tutta la villa, e il saluto
del colle sassoso e del rivo
sonante di canne:
e incende, il mio raggio, di sera,
tra l'ombra di mesta viola,
nel ciglio che prega e dispera,
la povera lagrima sola;
e muore, nei lucidi albori,
tremando, il mio pallido raggio,
tra cori di vergini e fiori
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di maggio….”
[…]
“Io sono la lampada ch'arde
soave !
nell'ore più sole e più tarde,
nell'ombra più mesta, più grave,
più buona, o fratello!
Ch'io penda sul capo a fanciulla
che pensa,
su madre che prega, su culla
che piange, su garrula mensa,
su tacito avello;
lontano risplende l'ardore
mio casto all'errante che trita
notturno, piangendo nel cuore,
la pallida via della vita:
s'arresta; ma vede il mio raggio,
che gli arde nell'anima blando:
riprende l'oscuro viaggio
cantando.”
[…]
E dall’Apocalisse (Ap 3, 20-22):
“Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e
mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il
vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho vinto
e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchi,
ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.”
Giorgio Obl OSB
-Nihil amori Christi praeponere18 feb 2017 - Questo e altri
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