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Ultima Domenica dopo l’Epifania A “del perdono”
Marc Chagall, Il figliol prodigo, 1975-1976
Nell'opera realizzata da Chagall non ci sono fratelli ad aspettare il figliol prodigo.
L'immagine è svincolata dal contesto abituale, la casa del padre, e il figlio non è scalzo e trasandato
come di solito viene rappresentato.
Lc 15, 11-32
Al centro della scena abbiamo un padre e un figlio, non per forza quelli evangelici, uniti dalla
tenerezza dell’abbraccio, che sottolinea l’emozione del ritorno. L’ambientazione colloca la “coppia”
all’interno di uno spazio che li distacca dal resto, come se fossero sospesi all’interno di una nuvola.
La casa, il villaggio sono rimasti là sullo sfondo, perché il padre è corso incontro al figlio.
Probabilmente non è casuale che il suo abito sia rosso nella parte sinistra, luogo del cuore, per
dimostrare tutto l’amore che lo anima nell’accogliere il figlio che si era perduto. Il blu al contrario è
di per sé un colore freddo, che potrebbe indicare la negatività dell’esperienza di vita vissuta dal
figlio, ma il blu chagalliano si illumina di un cromatismo acceso che richiama quello del cielo e
carica di speranza e di pace l’incontro e l’abbraccio.
Tuttavia la festa non sarebbe tale se ad essa non partecipassero tutti i personaggi che caratterizzano
l’ambiente di vita dei due protagonisti. A sinistra una donna si avvicina con un mazzo di fiori, che
per Chagall sono sempre simbolo di vita, di amore e di bellezza. Poco più in alto l’artista
rappresenta una coppia di sposi, simbolo dell’amore coniugale in contrapposizione all’amore
dissoluto che il figlio aveva vissuto lontano dalla casa paterna. A destra un gruppo di donne offre
doni di benvenuto. Questi ultimi potrebbero essere interpretati anche come i “doni dell’anima” cioè
la riscoperta di quelle potenzialità creative e spirituali che il figlio aveva precedentemente perse. E
poi ecco, a sinistra, un suonatore di violino, tipico strumento klezmer, che nella gioia della festa
agita strumento e archetto.
Fa da sfondo alla scena la città natale di Chagall, Vitebsk, riconoscibile dalle cupole della cattedrale
della Dormizione, con i quartieri più poveri dove Chagall trascorse i primi anni di vita. Lo steccato
che la circonda è un elemento simbolico che indica l’appartenenza della città al Distretto di
insediamento, ossia quel vasto territorio in cui il governo russo, a partire dal 1795, aveva confinato
la popolazione ebraica, impedendone di fatto la libera circolazione nell’Impero.
Nel cielo un nuovo brillante sole riscalda l’abbraccio misericordioso del padre e quello contrito del
figlio; sovrasta la città un gallo rosso che, secondo le convinzioni religiose delle comunità
chassidiche, nell’ambito delle quali Chagall era stato educato, è il ricettacolo dei peccati della
comunità. La prima moglie di Chagall, Bella, nel suo libro Luci accese, spiega come alla vigilia di
Yom Kippur fosse uso sacrificare un volatile recitando una formula di preghiera che avrebbe
consegnato nella vittima sacrificale i peccati di ciascun membro della comunità. In questo caso
indica l’avvenuta redenzione del figlio che si era perduto. Sopra i tetti vola infine l’eterno pellegrino
Agasfer che Chagall ama raffigurare come un vecchio con la barba, un sacco sulle spalle e un
bastone in mano, immagine che, nella tradizione chassidica, si richiama alla leggenda del profeta
Elia che entra nelle case della povera gente, portando luce e speranza.
Infine in basso a destra l’artista si raffigura rivolto verso lo spettatore, seduto al cavalletto, davanti
ad una tela, con tavolozza e pennelli, mentre una capra bianca, simbolo dell’innocenza ritrovata,
occhieggia dietro di lui.
Flavia