25 anni dopo la stagione di Tangentopoli

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Transcript 25 anni dopo la stagione di Tangentopoli

25 anni dopo la stagione di
Tangentopoli: quell’inutile
inchiesta di Mani pulite
di Antonello de Gennaro
Il 17 febbraio di 25 anni
fa, l’arresto di Mario Chiesa presidente del Pio Albergo Trivulzio di
Milano, diede inizio alla “rivoluzione giudiziaria” che ribaltò la
Prima Repubblica. In appena due anni , in cui passarono sul banco
degli imputati ex premier ed ex ministri, Bettino Craxi e Arnaldo
Forlani risposero nella stessa giornata alle domande dell’ (oggi ex)
pubblico ministero
Antonio Di Pietro.
Il terremoto si scatenò
soltanto un mese dopo quando, alle 10 del mattino del 23 marzo, Chiesa
cominciò a rispondere nel carcere di San Vittore alle domande del
pubblico ministero e del gip Italo Ghitti .
Quella mattina Mario Chiesa confessò le tangenti, riempì 17 pagine di
verbale, e si vendicò di Bettino Craxi. che soltanto venti giorni
prima i aveva commesso un
errore grossolano definendo Chiesa “un
mariuolo che getta un’ombra su tutta l’immagine di un partito che a
Milano, in 50 anni, non ha mai avuto un amministratore condannato per
reati gravi contro la pubblica amministrazione“. Qualcuno, in carcere,
aveva raccontato quella definizione al presidente del Pio Albergo
Trivulzio, che si sentì isolato ed abbandonato al suo destino
giudiziario dietro le sbarre. E Chiesa decise di iniziare a parlare.
Fu così che Tangentopoli ebbe inizio.
Di giorno in giorno mentre si susseguivano gli arresti i pm Antonio
Di Pietro, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo diventavano il
simbolo della speranza di cambiamento a Milano ed in Italia. Davanti
al portone del Palazzo di giustizia milanese di via Freguglia ,
si trasmettevano in diretta gli effetti di quella speranza che veniva
dal quarto piano dagli uffici della procura milanese. I giornalisti
bivaccavano nei corridoi per raccontare “Tangentopoli“, anche se in
quei giorni a nessuno di noi era ben chiara dove e come sarebbe finita
quella inchiesta. Si vedeva però il terrore sui volti e negli occhi di
chi attendeva di varcare la porta dei magistrati per confessare le
proprie responsabilità. Si vedevano, per la prima volta i potenti
ridotti in vittime.
Ma
anche
persone
sconosciute si presentavano davanti alle porte dei magistrati del pool
“Mani pulite“. I giornalisti li vedevano e
chiedevano loro chi
fossero. Molto spesso non rispondevano, guardavano pallidi, nervosi,
sudati nel vuoto, . Cosa accadeva dietro le porte dei magistrati, noi
giornalisti
non
potevamo
vederlo.
Si
riusciva
a
saperlo soltanto dopo, dalla voce di qualche avvocato o da qualche
carta che sfuggiva ai rigorosi controlli del pool. In un libro del
1996, Il vizio della memoria, l’ex- pm Gherardo Colombo scriveva che
“Queste nuove fonti erano di solito persone sconosciute che si
presentavano, accompagnate dal difensore, in uno dei nostri uffici,
generalmente quello di Antonio (Di Pietro n.d.a.) , e senza che noi
sapessimo nulla di loro raccontavano, raccontavano fatti, reati,
persone coinvolte, circostanze, date, passaggi di contanti, aperture
di conti in Svizzera e così via”.
“Ogni tanto si apriva una
nuova ramificazione
– aggiungeva Colombo – ogni tanto sulla
superficie del cono, appariva il vertice di una nuova figura,
destinato a essere autonoma origine di un nuovo filone, che si sarebbe
sviluppato come quelli già avviati. Fin dall’inizio l’indagine aveva
preso la forma di una spirale che, seguendo i contorni di un
immaginario cono rovesciato, partendo dal vertice, si estendeva e
saliva. Da un episodio quasi banale, come ne succedono tanti –
l’arresto in flagranza di un funzionario pubblico che aveva chiesto
denaro a un imprenditore recalcitrante per “consentirgli” di
continuare a lavorare presso l’istituto che presiedeva – Antonio (Di
Pietro, nda), all’inizio da solo, era riuscito ad avviare il
meccanismo, fondato su una serie di rimandi”
L’inchiesta che travolse la
politica della Prima Repubblica sì consumò ed esaurì dal febbraio
1992 al dicembre 1994 in meno di tre anni. Nei corridoio del quarto
piano le espressioni dei volti dei singoli magistrati erano diventati
il termometro degli alti e bassi dell’indagine. Ad Antonio Di Pietro,
Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo erano stati affiancati dal
procuratore capo Francesco Saverio Borrelli, da altri pm fra cui
l’attuale procuratore capo di Milano
Francesco Greco, Fabio De
Pasquale, Paolo Ielo, Elio Ramondini, Raffaele Tito, Margherita Taddei
e Tiziana Parenti, a causa della moltitudine dei i filoni d’inchiesta
che si erano aperti da seguire, interminabili le confessioni da far
verbalizare, per non parlare poi delle richieste di autorizzazione a
procedere da inviare in Parlamento a carico dei politici coinvolti.
Man mano che le pressioni politiche sul pool aumentarono
d’intensità,si cominciavano a scorgere sui volti dei magistrati non
più la stanchezza per quelle interminabili confessioni raccolte, ma
bensì la preoccupazione che l’inchiesta potesse essere bloccata.Quando
ormai l’indagine era decollata da un anno e mezzo, un venerdì
pomeriggio 23 luglio 1993,
Antonio Di Pietro stravolto fu visto
picchiava i pugni contro il muro. Tutto il pool “Mani pulite” era
sotto choc. Quella mattina fra le 8,30 e le 8,45 poco prima di essere
arrestato Raul Gardini si era sparato un colpo di pistola alla tempia,
.Una a morte che seguì di soli tre giorni il suicidio del presidente
dell’Eni, Gabriele Cagliari nel nel carcere di San Vittore.
Nel
settembre 1992 cera già stato un precedente momento di crisi: il
primo suicidio di Mani pulite, quello del parlamentare socialista
Sergio Moroni. Il segretario del PSI Bettino Craxi, commentò quella
morte assurda con una frase concisa che diceva tutto contro i
magistrati del pool: “Hanno creato un clima infame” .
E’ stata una stagione politica che si può capire solo con una lettura
completa del corso degli eventi, in quanto le inchieste milanesi si
sono incrociate con le stragi di mafia e con una disastrosa crisi
economica profonda, che ha provocato la scomparsa di aziende storiche
e la svalutazione della lira, che spinse il Governo Amato a prelevare
dai conti correnti di tutti gli italiani il 6 per mille.
Ma è stata anche una stagione di speranza, con la speranza di
un rinnovamento generazionale ed etico della vita pubblica che si è
rivelato disastroso. Sono nati nuovi movimenti politici , da Forza
Italia di Silvio Berlusconi e Giuliano Urbani, alla Lega di Bossi e
Maroni, e altri sono nati dalle polveri della tradizione democristiana
e comunista. Ma nello stesso tempo i nuovi “politicanti” si sono ben
guardati dall’instaurare di nuove
leggi e strutture create per
impedire che le tangenti tornassero a circolare in tutto il Paese. E
più di prima. Al contrario sono stati introdotti dei provvedimenti
che invece di rendere più giusti i processi hanno ottenuto l’effetto
contrario ostacolando la “macchina” della Giustizia, e provocando per
effetto della prescrizione la scomparsa di migliaia di inchieste .
Venticinque anni dopo,
Francesco Greco che Gherardo
Colombo definiva nel suo libro “dai
tempi lunghi, il più assiduo a lavorar sulle carte, a esaminare i
bilanci, a incunearsi nelle contabilità sociali per scoprirne
mancanze, falsità, duplicazioni” siede ora nell’ufficio che fu di
Francesco Saverio Borrelli. Antonio Di Pietro si è ritirato nella sua
Montenero di Bisaccia dopo aver fondato un partito l’ Italia dei
Valori, ormai pressochè scomparso, ed essere stato ministro.
Piercamillo Davigo è presidente di sezione in Cassazione e presidente
dell’Associazione nazionale magistrati. Gherardo Colombo è stato
componente pressochè ininfluente del consiglio di amministrazione
della RAI, è attualmente coordinatore del Comitato per la legalità e
la trasparenza del Comune di Milano ed è presidente degli Organismi di
vigilanza della Banca Popolare di Milano e del gruppo Sole 24 Ore le
cui recenti vicende societarie confermano che non sia più molto vigile
ed attento a quanto accade in giro.
Dopo i venticinque anni trascorsi, è doveroso tristemente
ammettere che il Paese non è stato in grado di fare tesoro di quel
ciclone giudiziario. Risultato che oggi il problema della corruzione è
incredibilmente più forte di prima. Le ragioni e cause sono le stessi
del 1992: il finanziamento della politica non è trasparente, i partiti
continuano a “lottizzare” indisturbati
società ed enti pubblici.
Certo, non esiste più quel sistema verticistico che applicava il
manuale Cencelli anche alla spartizione delle tangenti, definendo
quote precise a livello cittadino, provinciale, regionale e nazionale.
Un sistema in cui – a livello locale e nazionale – le indagini
dimostrarono anche un ruolo del Partito Comunista Italiano,, da sempre
molto vicino agli ambienti e correnti della magistratura.
L’inchiesta “Mani pulite” ha fatto cadere la Prima Repubblica ma non
ha sconfitto la corruzione. L’illusione dei magistrati è durata lo
spazio di pochi anni. Gli echi di quella stagione si sono spenti. ed
al quarto piano del Palazzo di giustizia di Milano sono esplosi i
veleni fra gli stessi magistrati. Le inchieste chiaramente non si sono
fermate ma non viene più assegnato loro quella speranza che si
respirava ascoltato il pensiero e le opinioni degli italiani nella
stagione di “Tangentopoli”. Adesso i magistrati hanno solo il compito
che dovrebbero sempre avere: semplicemente trovare i reati , impedirli
e punirli. Senza avere la pretesa che debbano essere i magistrati i
delegati a correggere le storture della democrazia nel nostro Paese.
Nel 2017 le segreterie dei
partiti non sono più il fulcro della gestione dei finanziamenti
illeciti. Adesso il mercato della corruzione è dominato da consorterie
trasversali, bande che legano gli interessi di politici e
imprenditori. E sempre più spesso le mafie si inseriscono in queste
dinamiche, offrendo bustarelle e mettendo a disposizione i loro
capitali. E’ il copione di Mafia Capitale, è il modello criminale che
minaccia il nostro futuro. E Roma sotto la guida del procuratore capo
Pignatone non è più il porto delle nebbie, mentre non sono pochi i
magistrati che in Italia vengono denunciati per gli abusi commessi
nell’esercizio del loro potere, a volte vengono arrestati, si lanciamo
in politica e spesso
finiscono sotto inchiesta del Consiglio
Superiore della Magistratura come il novello autocandidato “salvatore
del Paese ” Michele Emiliano che ha dimenticato e rimosso….
frettolosamente certe frequentazioni e rapporti personali
con la
famiglia di imprenditori baresi De Gennaro coinvolti nell’inchiesta su
alcuni appalti realizzati a Bari negli ultimi anni.
E’ l’ Italia….bellezza ? O ha ragione chi sostiene che il nostro Paese
viveva meglio nella Prima Repubblica, e la politica nonostante tutto
era una cosa seria ?