Natura, mercato e destino nel karma occidentale di

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Recensioni cinema e film | Persinsala.it
Alessandro Alfieri
16 febbraio 2017
Il sipario è calato sul palco dell’Ariston da quasi una settimana, e
la
negli ultimi giorni il web si è riempito di commenti, polemiche e valutazioni
relative a questa blasonata edizione sanremese. Come era prevedibile,
l’attenzione di commentatori e blogonauti si è concentrata sul campione
Francesco Gabbani e sulla sua canzone Occidentali’s karma; il rifiuto nel
testo del brano di Gabbani di ogni didascalismo e il contenuto profondo
consegnato allusivamente a riferimenti impliciti da decriptare si è
coniugato con un ritmo dance-pop ben arrangiato e trascinante.
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Occidentali’s karma è costruita su classici intervalli di quinta, molto in
voga nell’odierno orizzonte della musica pop; basti pensare come sia stato
ribattezzato intervallo Gotye, perché alla base della melodia del fortunato
brano Somebody that I used to know di Gotye, e caratterizzante tanti
ritornelli di brani pop celebri coevi come Wrecking Ball di Miley Cyrus. Ma
dal momento che la ricezione del cervello di determinati stimoli acustici,
perciò sonori, soprattutto nell’ambito della cultura di massa, è rimasta la
stessa da decine se non centinaia di anni, non deve stupirci che
l’acquietante ma allo stesso tempo vigoroso e empatico intervallo di
quinta sia lo stesso di una delle ninne nanne più celebri della storia,
ovvero Twinkle Twinkle Little Star.
Tutti i brani di Sanremo sono costruiti su modelli e regole riogorose,
nonché affidati all’equilibrio armonico, perché l’obiettivo ultimo è proprio
l’efficacia e l’orecchiabilità; questa è la ragione per cui in diversi brani
dell’edizione di quest’anno (Paola Turci, Ermal Meta) si è presentata quella
che forse è la soluzione musicale più diffusa ai nostri giorni, ovvero il
Millenial Whoop (i vocalismi che ondeggiano tra le quinte e le terze note
di una scala maggiore).
Il brano di Gabbani appartiene al medesimo orizzonte, ma con dei
distinguo: che cosa distingue Gabbani da tutto il resto della produzione
musicale che nasce a Sanremo?
Saremmo portati a dire l’autocoscienza, o in termini più propriamente
estetici la dimensione metatestuale, e proprio in ciò riesce ad attivare una
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intrigante spirale dialettica. D’altronde, nella tradizione letteraria
moderna, la categoria dell’ironia è stata spesso identificata nella facoltà di
un’opera di manifestare la sua consapevolezza di essere tale, ovvero
opera, costruzione fittizia che può criticare o polemizzare con la realtà
perché da essa si distingue.
Se tutta la musica pop è basata su principi di standardizzazione che
mirano a loro volta a reazioni standardizzate, allora scrivere un brano pop
che parli del livellamento culturale sembra un ossimoro se non un
paradosso, specie se questa canzone gareggia e poi vince il festival per
eccellenza della musica pop italiana; l’unica difesa che ha l’autore è quella
di costruire un brano basato su quelle regole, mostrando al contempo la
consapevolezza che se ne ha, anche perché questa è l’unica modalità
offerta al creatore di partecipare al mercato culturale della musica pop
mantenendo uno scarto rispetto al totale assorbimento industriale.
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Così, come Caparezza ha insegnato con brani come Il tunnel del
divertimento e Vieni a ballare in Puglia (il primo divenuto un
tormentone radiofonico quando il testo, in realtà, inveiva proprio contro la
cultura del divertimento che è alla base della musica pop, e il secondo
che, pur sembrando un omaggio alla Puglia, attraverso il testo ne
denuncia brutture e infamie), Gabbani in versione più leggera compie
un’operazione analoga: il suo testo elenca una serie di immagini, tutti
simboli della de-generazione culturale della nostra epoca (Gabbani si
difende subito da eventuali attacchi del web, inserendo nell’elenco anche
gli internettologi), quella de-generazione della quale il suo stesso brano e
Sanremo fanno parte. Per queste ragioni è lui a danzare come la scimmia
nuda di morrisiana memoria, perché lui, ovvero il brano che ha raggiunto
la piena consapevolezza di sé, è la manifestazione del risultato conseguito
dall’evoluzione.
D’altronde, se siamo gli stessi dall’epoca neolitica, la convinzione alla base
del brano è che siamo condannati: ogni elemento o scorcio della realtà
contemporanea rimanda a tutti gli altri, in un’identità generale che non
accetta distinguo. Ogni azione dell’uomo occidentale paretcipa all’ordine
globale che organizza azioni e reazioni, ovvero il karma.
Per queste ragioni, anche il misticismo zen entra nella sciarada delle
sonorità elettroniche, e non si propone come autentica via di fuga: natura
e mercato diventano due facce della stessa medaglia, così come
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spiritualità e consumismo. Tutte le categorie compongono il disegno delle
forze mitiche del destino, visto che dal destino non ci si sottrae, come non
ci si sottrae dalla natura e non ci si sottrae dal mercato.
Il messaggio del brano potrebbe apparire agghiacciante: alla
degenerazione dell’uomo, condannato a perire in una natura che lo ha
consegnato al dominio del consumo e della irriflessività, l’unica possibilità
utile è recuperare le origini ancestrali mettendosi a ballare come la
scimmia che siamo. Ma ballare questo ballo e dichiararsi scimmie nude
sono elementi ironici che evidenziano l’autocoscienza: lo scarto della
coscienza resta l’ultimo barlume di speranza, significa che non tutto è
stato assorbito dall’immaginario dominante. In questa maniera,
costruzione musicale basata su reazioni neuro-fisiologiche standard,
immaginario sanremese, ironia e ballo coincidono, mentre la
metatestualità viene rappresentata dal fatto che Gabbani, nell’elenco,
avrebbe potuto mettere la sua stessa canzone.
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