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DAITALIA 112 GENNAIO/FEBBRAIO 2017
EDITORIALE
IL CAPITALE UMANO NEL VENDING
Fino ad un decennio fa c’era
una modalità molto semplice
per verificare se i dipendenti
erano soddisfatti del proprio
lavoro e si sentivano valorizzati all’interno della loro
organizzazione, bastava valutare il loro livello di fedeltà
all’azienda. A partire dal 2009
il quadro è decisamente cambiato. L’immobilità del mercato del lavoro, anzi la sua
netta contrazione, ha creato
un effetto bizzarro: è impossibile stabilire se la fedeltà dei
dipendenti sia sincera o solo
determinata dall’assenza di
alternative.
Se un dipendente si sentiva
poco valorizzato dalla società
che lo stipendiava, poteva trovare relativamente in fretta
un’altra occupazione e allo
stesso modo (e dall’altro lato),
se un imprenditore voleva
chiarire l’univocità di certe
strategie aziendali decise
dall’alto, poteva sempre ricorrere al classico: “se non ti sta
bene, quella è la porta”.
Oggi la porta è sparita e questa assenza di alternative sta
creando problemi molto seri
a chi deve tentare di valorizzare il capitale umano della
propria realtà aziendale.
Quando non se ne va nessuno
perché il rischio di restare
disoccupati è troppo alto, si
generano due effetti particolarmente perniciosi: gli
scontenti restano in azienda
per periodi anche molto lunghi e le eventuali politiche
correttive messe in atto dai
vertici aziendali non portano ad alcun effetto pratico,
nemmeno se si instaura un
crescendo di atteggiamenti
sempre più rigidi e severi nei
confronti dei comportamenti
ritenuti scorretti.
Il vending oggi è esattamente
in questa situazione. C’è una
quota sempre più rilevante
di dipendenti che sono decisamente scontenti del proprio lavoro ma che restano
comunque in azienda, con
l’unico vero obiettivo di evitare
il licenziamento. Questo porta
ad un livello di efficienza decisamente basso, tipico di chi
ha perso qualunque motivazione e le politiche restrittive
messe in campo dalla proprietà per identificare e punire
i “demotivati” non sortiscono
gli effetti sperati, anzi, provocano problemi e generano le
lamentele anche da parte dei
dipendenti ancora motivati ed
efficienti.
Le medie e grandi organizzazioni possono delegare la
funzione ad un professionista
HR (human resource), mentre
i piccoli imprenditori devono
convincersi di far iniziare un
percorso di formazione in
questo campo ad almeno una
figura vicina alla proprietà. In
troppe realtà del vending si
sente esclamare a gran voce
che: “la nostra forza sono i
nostri dipendenti”.
Ma questa frase è sempre
meno vera e, in un settore
dedicato al servizio, avere
una forza lavoro sempre
più demotivata è purtroppo
garanzia d’insuccesso.
L’unica strada è privilegiare
la formazione rispetto alla
repressione, non per essere
buonisti ma, in presenza di un
mercato del lavoro immobile,
la rigidità serve a poco ed ha
effetti collaterali difficili da
controllare.
C`e una quota
sempre più
rilevante di
dipendenti che
sono decisamente
scontenti del
proprio lavoro
ma che restano
comunque in
azienda, con
l’unico vero
obiettivo di evitare
il licenziamento.
Un mercato del lavoro poco
dinamico porta con sé diversi
costi occulti e la difficile comprensione della fedeltà dei
dipendenti è sicuramente
uno di questi. Ne consegue
che per affrontare correttamente questa problematica
sia necessario gestire con
attenzione e professionalità
il proprio capitale umano.
EDITORIALE DI ALESSANDRO FONTANA
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