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PRIMO PIANO
Giovedì 16 Febbraio 2017
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Ma, per poterlo fare, deve avere più voti. E allora perché rifiuta il Congresso del partito?
Bersani preferisce comandare
Lamentandosi rende visibile la sua oggettiva debolezza
DI
MARCO BERTONCINI
A
mmettiamo che, dopo
l’assemblea democratica di domenica, veramente si attui una
scissione dal Pd. Una scissione che vada oltre gli oggettivi
limiti registrati dagli abbandoni fino a ieri segnalati, con
i vari Civati, Fassina, D’Attorre e C. Quindi, una scissione capeggiata da personaggi
come Massimo D’Alema o
Pier Luigi Bersani, atteso
che, prima l’uno, poi l’altro,
già l’hanno adombrata. Quale ragione politica potrebbero
addurre?
In buona sostanza, chi
se andasse ora dal Pd lo farebbe per non essere riuscito
a imporre al partito la propria
linea politica, che potremmo
definire neo comunista o, a
essere generosi, di sinistra,
ma di una sinistra sclerotica
e nostalgica.
Insomma: dovrebbe ammettere, nei fatti, non certo nelle
dichiarazioni, di essere stato
incapace di imporsi nel partito, avendo perso il passato con-
gresso, e di
considerarsi
altrettanto
incapace di
affermarsi
nel congresso imminente.
Siccome
non ho i numeri, e non
riesco quindi a dettare
io l’agenda
(e i nomi) al
partito, me
ne vado.
Da quando Matteo
Renzi è
salito a palazzo Chigi, e anche
dopo che ha
lasciato la
presidenza,
i suoi oppositori hanno continuato a contestarlo.
Di solito, a prescindere, direbbe il principe Antonio de
Curtis, detto Totò. Infatti,
alle profferte renziane, hanno costantemente risposto
Vignetta di Claudio Cadei
no, da una legge elettorale, a
un’alleanza politica, da una riforma settoriale, a una data.
Quest’ultimo aspetto è onirico, perché ormai si discute se
lasciare il Pd per il disaccordo
sul mese di svolgimento delle
politiche o sul
giorno
del congresso
o su entrambi
gli eventi.
È vero
che Bersani tira
in ballo
insormontabili dissidi
politici,
di fatto
accusando Renzi
(lo faceva regolarmente
quando
il segretario era
al governo) di perseguire una
politica propria dell’odiata
destra.
Però non riesce a motivare
perché non affronti apertamente il nuovo congresso, per
sconfiggervi una politica che
ritiene, di fatto, un tradimento.
Tace altresì su un fatto molto democratico, e che lo stesso
segretario del Partito democratico non ha indirettamente
mancato di ricordare: se Renzi
impone una strategia che a lui,
Bersani, proprio non va giù, lo
fa e lo può fare perché ha avuto più voti, nelle complicate e
plurime elezioni di iscritti ed
elettori democratici.
Chi ha più voti, governa, si
tratti di un partito o di un Paese. Chi ne ha meno, se vuole
prevalere, deve ottenerne di
più.
Sbattere la porta potrà
risultare, in prospettiva, più
proficuo, nel senso che sarebbe più redditizio comandare
una nuova formazione decisiva per accordarsi con l’antica
casa madre, anziché restare
nel partito di origine, ma in
condizioni di minoranza.
È, però, un’ammissione implicita, e neanche tanto nascosta, della propria conclamata
incapacità di trascinare dietro
di sé il proprio partito.
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PERCHÉ, CON ESSE, CHI ENTRA PAPA PUÒ USCIRE PRETE E CHI ENTRA PRETE PUÒ DIVENTARE PAPA
Con le primarie centrodestra corro anch’io, dice Samorì
DI
MAICOL MERCURIALI
C’
è da convincere il capo
che bisogna cambiare
regim e :
nel centrodestra
urgono le primarie. È ormai un
vecchio ritornello che quando arriva alle orecchie
di Silvio Berlusconi viene cacciato via. Nelle
primarie ci spera il leader della
Lega Nord Matteo Salvini, per
lanciare un’opa
sul centrodestra; Giorgia
Meloni potrebbe ritagliarsi il
suo spazio e dare
così un peso a
Fratelli d’Italia,
Giovanni Toti
e Raffaele Fitto – per restare
tra i giovani che
sono stati vicini al
Cavaliere – hanno
voglia di confrontarsi e smarcarsi
dai vecchi colonnelli del Pdl.
In questa galassia di correnti e correntine, partiti e partitini, gruppuscoli parlamentari e
vere e proprie mine vaganti – che
dà la misura della grande frammentazione che sta vivendo il centrodestra – si palesa nuovamente
Gianpiero Samorì.
Il facoltoso avvocato di Modena, leader dei Moderati in Ri-
voluzione, dopo la magra figura
rimediata alla Europee del 2014
(era candidato nella lista di Forza
Italia) si è riattivato politicamen-
Gianpiero Samorì
te e, a suon di video sponsorizzati
su Facebook, invoca le primarie di
centrodestra, assicurando che se
ci saranno, lui sarà della partita.
«L’Italia ha tantissimi problemi», esordisce Samorì nel suo
ultimo video messaggio, braccia
appoggiate alla scrivania in legno
e affreschi alle spalle.
«Però ne ha uno che viene prima
di tanti altri: ha una classe dirigente veramente molto inadeguata».
L’avvocato rispolvera la retori- essere fatta attraverso le primaca del politico di professione che rie – ribadisce Samorì – primarie
non ha mai lavorato. Dice Samorì: che hanno una doppia valenza,
«La maggior parte dei parlamen- come è successo in Francia motari non ha mai lavorato un gior- bilitano tantissime persone e poi
no in vita, pensate sia possibile possono nascere delle sorprese:
comprendere le leggi che si fanno chi entra prete esce Papa e chi
non avendo mai lavorato? Ed è un entra Papa diventa prete», riasfenomeno che coinvolge sia destra sume la situazione l’avvocato, col
che sinistra, è un problema di ri- sorriso sulle labbra, magari spequalificazione».
rando di essere lui l’outsider del
Dopo la rottamazione di Mat- centrodestra italiano. «Semmai ci
teo Renzi arriva la riqualificazio- fossero anche io sarò della partine di Gianpiero Samorì. E se il Pd ta». conclude Samorì rivolgendosi
sta vivendo uno dei momenti più ai suoi sostenitori, «e col vostro
delicati della sua giovane storia, aiuto spero certamente di non
con un congresso lacrime e sangue fare brutta figura».
in vista; a destra tutto è fermo.
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La ricetta
del fondatoSCOVATI NELLA RETE
re del Mir
passa per
due azioni.
«Una legge
elettorale
che impedisca ai capi
partito di
imporre con
le liste bloccate le candidature
sul territorio», perché
«i territori
devono essere liberi
di esprimersi». E poi la
selezione
del leader
e dei programmi.
«Questa
volta deve