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Detrazione
La Corte di Giustizia “salva”
il pro-rata tricolore. Ma resta
l’incertezza sui proventi finanziari
di Franco Ricca
L’approfondimento
Con un pronunciamento non propriamente
scontato, data la giurisprudenza precedente, la
Corte di Giustizia UE ha ritenuto che il prorata c.d. generale, applicabile cioè alla totalità
degli acquisti e non solo a quelli “promiscui”,
previsto dalla normativa italiana, non contrasta con la Direttiva IVA. Rimangono incertezze in merito all’esclusione dal calcolo
della percentuale di detrazione dei proventi
derivanti dalle operazioni finanziarie (e non
solo), a motivo della non semplice qualificazione come accessorie o meno rispetto
all’attività ordinaria.
Riferimenti
CGE 14 dicembre 2016, causa C-378/15
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19,
comma 5
Direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE,
artt. 17 e 19
Con sentenza del 14 dicembre 2016, causa C-378/
15, la Corte di Giustizia UE ha dichiarato che le
disposizioni degli artt. 17 e 19 della Direttiva 77/
388/CEE del 17 maggio 1977 (sesta Direttiva IVA)
non ostano ad una disciplina nazionale, quale quella
italiana, che impone ad un soggetto passivo:
• di applicare il pro-rata di detrazione alla totalità
dei beni e servizi acquistati, senza prevedere un
metodo di calcolo che tenga conto della natura e
della destinazione effettiva di ciascun bene e
servizio e che rifletta oggettivamente la quota
di imputazione reale delle spese sostenute a ciascuna delle attività;
• di fare riferimento alla composizione della cifra
d’affari per individuare le operazioni “accessorie”, da escludere in quanto tali dal calcolo del
pro-rata, a condizione che si tenga conto anche
del rapporto tra dette operazioni e le attività
imponibili, nonché, eventualmente, dell’impiego
che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali
è dovuta l’IVA.
Il procedimento pregiudiziale era stato promosso
dalla Commissione tributaria regionale del Lazio
nell’ambito di una controversia tra l’Agenzia delle
entrate ed una società che commercializza
autoveicoli.
La società, nella dichiarazione presentata ai fini
dell’IVA, aveva qualificato come “accessorie” le
attività finanziarie di concessione prestiti alle controllate, escludendo pertanto i relativi proventi,
ossia gli interessi attivi percepiti, dal calcolo del
pro-rata. L’Agenzia aveva però rettificato la dichiarazione, recuperando parte dell’imposta sugli
acquisti computata in detrazione, ritenendo che
detti proventi, rappresentando il 71,64% del volume
d’affari complessivo della società, non potessero
qualificarsi accessori.
Applicazione del pro-rata c.d. generale
La prima questione estrapolata dalla Corte
sovranazionale nell’ambito dell’unica, articolata
domanda posta dai giudici tributari italiani, mirava
sostanzialmente ad accertare la conformità o meno
con la Direttiva IVA della disposizione del comma 5
dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, in base alla quale
ai contribuenti che esercitano congiuntamente
attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione ed attività che comportano l’effettuazione di operazioni esenti (che
non conferiscono il diritto stesso), l’imposta sugli
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acquisti di beni e servizi è detraibile in misura
proporzionale alla prima categoria di operazioni
(ossia secondo il pro-rata).
I dubbi derivavano dal fatto che la disposizione
impone di applicare il criterio della detrazione proporzionale alla totalità dei beni e servizi acquistati o
importati, indipendentemente dalla loro natura e
dall’effettiva destinazione all’una o all’altra categoria di operazioni (c.d. pro-rata generale), mentre
secondo il principio dettato dall’art. 17, paragrafo 5,
comma 1, della sesta Direttiva, detto criterio si
applica soltanto ai beni e servizi utilizzati per effettuare entrambe le categorie di operazioni (acquisti
“promiscui”), ad esempio le spese generali.
Poiché però lo stesso paragrafo 5, al comma 3,
autorizza gli Stati membri ad adottare talune soluzioni alternative, ivi contemplate, la questione
implicava la valutazione della portata delle disposizioni della Direttiva che consentono agli Stati
membri di discostarsi dal principio generale. Più
esattamente, mentre il comma 1 del paragrafo 5
stabilisce che “per quanto riguarda i beni ed i servizi
utilizzati da un soggetto passivo sia per operazioni
che danno diritto a [detrazione] ..., sia per operazioni che non conferiscono tale diritto, la [detrazione] è ammessa soltanto per il pro-rata
dell’imposta sul valore aggiunto relativo alla
prima categoria di operazioni”, il successivo
comma 3 prevede “tuttavia” che gli Stati membri
possono disporre diversamente, in particolare “... d)
autorizzare od obbligare il soggetto passivo ad
operare la [detrazione] secondo la norma di cui al
primo comma relativamente a tutti i beni e servizi
utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate”
(c.d. pro-rata generale).
L’orientamento pregresso della Corte
Essendosi in passato la Corte occupata più volte
delle disposizioni in esame, sembrava probabile una
soluzione della questione in linea con la giurisprudenza “svalutativa” del pro-rata generale, con conseguente necessità per l’Italia di modificare le
proprie regole. Nella sentenza 8 giugno 2000,
causa C-98/98, la Corte ha infatti dichiarato che
un soggetto passivo il quale effettui sia operazioni
che conferiscono un diritto a detrazione, sia operazioni che non conferiscono tale diritto, deve poter
“detrarre l’Iva che ha gravato sui beni o sui servizi
da lui acquisiti, purché questi ultimi presentino un
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nesso immediato e diretto con le operazioni a valle
che conferiscono un diritto a detrazione, senza
che occorra distinguere a seconda che si applichi
l’art. 17, nn. 2, 3 o 5, della sesta direttiva”.
Più di recente, nella sentenza 6 settembre 2012,
causa C-496/11, la Corte ha ribadito che l’art. 17,
paragrafo 5, della sesta Direttiva stabilisce il regime
applicabile al diritto a detrazione dell’IVA inerente
gli acquisti di beni e servizi utilizzati dal soggetto
passivo, nel contempo, sia per operazioni che danno
diritto alla detrazione, sia per operazioni che non
conferiscono tale diritto, ossia agli acquisti ad uso
“promiscuo”, limitando il diritto alla parte dell’IVA
proporzionale all’importo relativo alle operazioni
del primo tipo.
Ne discende che tale regime “riguarda unicamente i
casi in cui i beni e servizi siano utilizzati da un
soggetto passivo per effettuare nel contempo operazioni economiche che danno diritto a detrazione
e operazioni economiche che non conferiscono
diritto a detrazione, vale a dire beni e servizi il
cui uso è misto” e che “gli Stati membri possono
utilizzare uno dei metodi di detrazione previsti
dall’art. 17, paragrafo 5, comma 3, solo per detti
beni e servizi”.
Al contrario, i beni e servizi utilizzati dal soggetto
passivo unicamente per effettuare operazioni economiche che danno diritto a detrazione “non ricadono nella sfera di applicazione dell’articolo 17,
paragrafo 5”.
Le ragioni per le quali la Corte ha stabilito che, per la
determinazione della portata del diritto alla detrazione, occorre sempre e comunque applicarsi, ove
possibile, il principio di destinazione (o di imputazione specifica) dei beni e servizi acquistati, rispetto
a criteri forfetari quali il pro-rata, sono facilmente
intuibili e non necessitano spiegazioni. Restava
però da capire come questa posizione potesse
conciliarsi con le disposizioni del comma 3 del
paragrafo 5 dell’art. 17 della Direttiva, in particolare, per quanto oggetto del nostro interesse, con la
previsione della lett. d) sul pro-rata generale.
La risposta è arrivata dopo qualche settimana, con la
sentenza 8 novembre 2012, causa C-511/10, nella
quale la Corte ha osservato che “l’articolo 17, paragrafo 5, terzo comma, della sesta direttiva, che inizia
con il termine ‘tuttavia’, consente una deroga alla
regola indicata ai precedenti primo e secondo
comma del suddetto articolo, consentendo agli
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Stati membri di prevedere uno degli altri metodi di
determinazione del diritto alla detrazione elencati al
terzo comma della disposizione medesima, vale a
dire la determinazione di un pro-rata distinto per
ogni singolo settore di attività ovvero la detrazione
in base alla destinazione, in toto o in parte, dei beni e
servizi ad un’attività specifica, ovvero l’esclusione
del diritto alla detrazione fatto salvo il rispetto di
talune condizioni”.
Di conseguenza, le disposizioni di detto comma 3
devono essere considerate derogatorie rispetto a
quelle dei precedenti primo e comma 2, delle
quali devono rispettare l’“effetto utile”.
Pertanto, “il fatto di consentire ad uno Stato membro di adottare una normativa, come quella descritta
dal giudice del rinvio, che [prevedendo il pro-rata
generale, N.d.A.] derogherebbe in termini generali
alle regole istituite dagli articoli 17, paragrafo 5,
primo e secondo comma, nonché 19, paragrafo 1,
della sesta direttiva risulterebbe contrario alla direttiva medesima. Infatti, una normativa di tal genere
rimetterebbe in discussione l’obiettivo della sesta
direttiva, indicato al suo dodicesimo considerando,
secondo cui il calcolo del pro-rata di detrazione
dev’essere effettuato in modo analogo in tutti gli
Stati membri”.
Questa interpretazione, ha concluso la Corte, “risulta
d’altronde conforme alla finalità dell’articolo 17,
paragrafo 5, terzo comma, della sesta direttiva, le
cui disposizioni sono volte a trovare applicazione in
fattispecie determinate, poiché sono finalizzate,
segnatamente, tenendo conto delle caratteristiche
specifiche proprie delle singole attività del soggetto
passivo, a consentire agli Stati membri di pervenire a
risultati più precisi nel calcolo del pro-rata di
detrazione”.
Come già osservato altrove (1), la spiegazione della
Corte, in qualche passaggio troppo generica, non
sembrava molto convincente e prendeva le mosse
da un argomentazione di ordine testuale piuttosto
fragile, e comunque caducata.
A nostro avviso, basando l’interpretazione, in
primo luogo, sulla natura derogatoria delle disposizioni del comma 3 del paragrafo 5 dell’art. 17,
sesta Direttiva, desunta dalla presenza della congiunzione “tuttavia” nell’incipit della frase, la
Corte ha iper-valorizzato l’elemento testuale,
peraltro senza avvedersi (o senza tenere in
alcun conto) che la congiunzione non figura più
nelle disposizioni in esame, siccome trasfuse per il resto, in modo identico - nell’art. 173,
paragrafo 2, della Direttiva 2006/112/CE del
28 novembre 2006.
L’interpretazione della Corte, inoltre, più che
ridimensionare, svuotava pressoché di significato
la disposizione (a dispetto del tentativo di salvarne l’effetto utile, manifestato dal riferimento
della sentenza a non meglio individuate, né individuabili, “fattispecie determinate”): se infatti il
criterio (alternativo) del pro-rata generale, previsto dalla “deroga” della lett. d) del terzo coma del
paragrafo 5, dovesse in ogni caso cedere il passo al
principio di imputazione specifica, la previsione
sarebbe del tutto inutile.
L’inatteso revirement e le prospettive
Ecco, però, che mentre si dava quasi per scontato,
alla luce della giurisprudenza sopra menzionata
(nonché delle altre sentenze ivi richiamate) e del
parere espresso dall’Avvocato Generale nelle conclusioni presentate il 29 giugno 2016, che il procedimento pregiudiziale C-378/15 avrebbe visto la
“bocciatura” del pro-rata generale accolto nell’ordinamento italiano, è invece arrivata una pronuncia
di opposto tenore.
Nella sentenza del 14 dicembre 2016, infatti, la
Corte ha riconosciuto legittima la previsione nazionale, statuendo nel senso riportato in apertura del
presente commento, sulla base dei seguenti passaggi fondamentali:
1) l’art. 17, paragrafo 5, comma 3, lett. d), della
sesta Direttiva, deve essere inteso nel senso che
si riferisce al complesso dei beni e dei servizi
utilizzati dal soggetto passivo al fine di realizzare tanto le operazioni che danno diritto a
detrazione quanto quelle che non conferiscono
tale diritto, senza che sia necessario che tali beni
e servizi servano ad effettuare sia l’uno sia l’altro
tipo di operazioni;
2) una diversa interpretazione della disposizione,
nel senso che si applichi unicamente con riferimento ai beni e ai servizi utilizzati promiscuamente, condurrebbe ad attribuire a tale
disposizione la stessa portata della disposizione
Nota:
(1) F. Ricca, “La determinazione del pro-rata per beni e servizi
‘promiscui’”, in Corr. Trib., n. 34/2014, pag. 2660.
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OSSERVAZIONI
principio di destinazione e di
dell’art. 17, paragrafo 5,
Pur avendo superato il vaglio di
limitare, quindi, l’applicacomma 1, alla quale si supcompatibilità unionale, la normativa
zione
del pro-rata soltanto
pone che dovrebbe invece
nazionale potrebbe però essere
agli
acquisti
di beni e servizi
derogare, privandola dunmigliorata, prevedendo per esempio, in
ad impiego promiscuo.
que di ogni effetto utile;
un’ottica di bilanciamento delle diverse
Allo stato attuale, l’unica
3) vero è che l’interpretazione
esigenze, la facoltà per il contribuente
opportunità
per il soggetto
accolta solleva dubbi in
che effettua sia operazioni con diritto alla
passivo
di
sottrarsi
al prorelazione ai principi di
detrazione sia operazioni esenti, di optare
rata generale passa attraverso
proporzionalità delle detraper la determinazione dell’IVA detraibile
le disposizioni (non solo) prozioni, di effettività del diritto
secondo il principio di destinazione e di
cedurali dell’art. 36 del D.P.R.
a detrazione e di neutralità
limitare, quindi, l’applicazione del pron. 633/1972 in materia di
dell’IVA. Tuttavia, la presa
rata soltanto agli acquisti di beni e servizi
applicazione dell’imposta nel
in considerazione di questi
ad impiego promiscuo.
caso di esercizio di più attività,
principi, che informano il
e più precisamente dalla
sistema dell’IVA, ma ai
possibilità (o dall’obbligo) di
quali il legislatore può
applicare separatamente l’imposta per le diverse
validamente derogare, non può comunque
attività esercitate, ove consentita (o imposta) dalle
giustificare un’interpretazione che privi detta
disposizioni stesse.
deroga, voluta espressamente dal legislatore, di
Disposizioni che, oltretutto, tralasciando le problequalsiasi effetto utile; al pari degli Stati memmatiche gestionali, non sembrano prive da inconbri, insomma, anche la Corte è tenuta ad uniformarsi alla norma di legge, anche quando la
gruenze. Non si comprende, per esempio, per quale
ritenga “perfettibile” (2);
ragione, in caso di separazione facoltativa delle
4) l’interpretazione, infine, è in linea con uno degli
attività, la detrazione dell’IVA sugli acquisti di
obiettivi della sesta Direttiva, consistente nelbeni non ammortizzabili utilizzati promiscuamente
l’autorizzare regole di applicazione relativadebba essere preclusa “a prescindere” (art. 36,
mente semplici: applicando il pro-rata generale
comma 3, secondo periodo, D.P.R. n. 633/1972).
di cui all’art. 17, paragrafo 5, comma 3, lett. d),
Non sembrerebbe necessario, inoltre, mantenere in
infatti, i soggetti passivi non hanno l’obbligo di
vigore, come previsione di carattere generale, l’obimputare i beni e i servizi che acquistano alle
bligo di fatturazione con applicazione dell’imposta
operazioni che danno diritto alla detrazione o a
dei passaggi di beni e/o servizi all’attività con
quelle che non conferiscono tale diritto, oppure
detrazione ridotta o forfetaria (comma 5), che si
ad entrambi i tipi di operazioni; di conseguenza,
giustificava anteriormente all’introduzione delle
le amministrazioni non sono tenute a verificare
disposizioni sulla rettifica della detrazione contese l’imputazione sia stata correttamente
nute nell’art. 19-bis2 del D.P.R. n. 633/1972, che
effettuata.
perseguono lo stesso scopo ma con rimedi più
La Direttiva, in sostanza, consente agli Stati membri
calibrati e coerenti.
di sacrificare la precisione delle detrazioni a vantaggio della semplificazione nell’applicazione delAccessorietà delle operazioni finanziarie
l’imposta da parte dei contribuenti e
Veniamo ora al secondo, importante profilo, di
nell’esecuzione dei controlli da parte delle
concreto interesse, concernente la rilevanza o
amministrazioni.
Pur avendo superato il vaglio di compatibilità unionale, la normativa nazionale potrebbe però essere
Nota:
(2) Nella sentenza 6 ottobre 2005, causa C-243/03, la Corte ha
migliorata, prevedendo per esempio, in un’ottica di
osservato che “anche qualora l’interpretazione proposta da taluni
bilanciamento delle diverse esigenze, la facoltà per
Stati membri consentisse di migliorare l’osservanza di talune finalità
il contribuente che effettua sia operazioni con diritto
perseguite dalla sesta direttiva, quali la neutralità dell’imposta, gli Stati
alla detrazione sia operazioni esenti, di optare per la
membri non possono discostarsi dalle disposizioni espressamente
determinazione dell’IVA detraibile secondo il
previste da questa”.
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meno, ai fini della determinazione dell’imposta
ammessa detrazione con il criterio del pro-rata, di
taluni proventi estranei all’attività tipica
dell’impresa.
L’art. 19, paragrafo 2, della sesta Direttiva, stabilisce che per il calcolo del pro-rata di detrazione non
si tiene conto, tra l’altro, dell’importo del fatturato
relativo alle operazioni accessorie, immobiliari o
finanziarie.
La disposizione, riproposta tal quale nell’art. 174,
par. 2, lett. b), della Direttiva IVA rifusa (Direttiva
2006/112/CE), nell’ordinamento nazionale trova
riscontro nell’art. 19-bis, comma 2, del D.P.R.
n. 633/1972, secondo cui, per il calcolo del prorata di detrazione, non si tiene conto delle operazioni esenti di cui ai nn. da 1) a 9) dell’art. 10 dello
stesso decreto (principalmente operazioni finanziarie, assicurative e immobiliari), “quando non formano oggetto dell’attività propria del soggetto
passivo o siano accessorie alle operazioni imponibili”, ferma restando l’indetraibilità dell’imposta
relativa ai beni e servizi utilizzati esclusivamente
per effettuate tali operazioni.
La seconda questione affrontata dalla Corte mirava
a stabilire se sia consentito allo Stato membro
imporre al soggetto passivo di fare riferimento - al
fine di identificare le operazioni qualificabili come
accessorie ed escluse, in quanto tali, dal calcolo del
pro-rata di detrazione in base alle richiamate disposizioni - “parimenti alla composizione della sua
cifra d’affari”.
Sul punto, la Corte ricorda anzitutto di avere già
precisato che, sebbene l’entità dei proventi delle
operazioni finanziarie può costituire un indizio del
fatto che tali operazioni non debbano essere considerate accessorie, la circostanza che dette operazioni producano introiti superiori a quelli prodotti
dall’attività indicata come principale dall’impresa
interessata non può, di per sé, escludere la loro
qualificazione come accessorie ai fini delle disposizioni in esame (sentenza del 29 aprile 2004, causa
C-77/01).
Ricorda, inoltre, di avere dichiarato che un’attività
economica deve essere qualificata come accessoria, agli stessi fini, “qualora essa non costituisca il
prolungamento diretto, permanente e necessario
dell’attività imponibile dell’impresa e non implichi un impiego significativo di beni e di servizi per
i quali l’Iva è dovuta” (sentenze 11 luglio 1996,
causa C-306/94, 29 aprile 2004 citata, 29 ottobre
2009, causa C-174/08).
Ne discende “che la composizione della cifra d’affari del soggetto passivo costituisce un elemento
rilevante per determinare se talune operazioni debbano essere considerate come ‘accessorie’..., ma
che si deve altresì tener conto, a tal fine, del rapporto
tra dette operazioni e le attività imponibili di tale
soggetto passivo nonché, eventualmente, dell’impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i
quali l’Iva è dovuta”.
La Corte non dice, però, quale sia la soluzione
corretta nell’ipotesi in cui i suddetti parametri
(entità dei proventi finanziari, rapporto tra questi
ed i proventi imponibili, entità degli acquisti soggetti ad IVA impiegati per conseguire i proventi
finanziari) non conducano ad una conclusione univoca, come nella fattispecie di cui alla causa principale, nella quale, da un lato, i proventi finanziari
sono di ammontare consistente, sia in termini assoluti che in rapporto al fatturato complessivo e,
dall’altro, le spese soggette ad IVA sostenute per
realizzare tali proventi sono modeste. Attribuendo
maggior peso al primo parametro, si escluderebbe
l’accessorietà dei proventi finanziari (esenti), il cui
ammontare, pertanto, rientrerebbe nel calcolo del
pro-rata, in modo da limitare l’importo dell’imposta
ammessa in detrazione.
Se però si guardasse, principalmente, all’esiguità
degli acquisti gravati d’IVA sostenuti per realizzare
le operazioni finanziarie, si concluderebbe per
l’accessorietà dei proventi derivanti da tali operazioni, che conseguentemente non limiterebbero la
portata del diritto alla detrazione sugli acquisti di
beni e servizi, essenzialmente destinati alle operazioni imponibili, ferma restando l’indetraibilità
dell’IVA sui modesti acquisti impiegati esclusivamente per realizzare le operazioni finanziarie.
La seconda conclusione, maggiormente conforme
ai principi del sistema dell’IVA e alla logica del
pro-rata (che risulterebbe tradita da una valutazione meramente aritmetica del concetto di
accessorietà), sembrava invero pacifica alla luce
della citata sentenza 29 aprile 2004, in cui la Corte
afferma che le operazioni finanziarie (nella specie, prestiti a titolo oneroso alle società controllate
ed investimenti in depositi bancari) “devono
essere considerate operazioni accessorie ai sensi
dell’art. 19, n. 2, seconda frase, della sesta
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direttiva, laddove implichino solamente un uso
estremamente limitato di beni o di servizi per i
quali l’Iva è dovuta” (punto 80).
Molto meno perentoria, come si è visto, è però la
conclusione della sentenza in commento, che lascia
invece margini di incertezza sulla soluzione da
adottare in presenza di circostanze di fatto non
univoche.
La posizione dell’Amministrazione finanziaria
Si osserva, infine, che la prassi dell’Amministrazione
finanziaria sulla questione fa registrare il passaggio da
un orientamento di apertura ad uno di maggiore
rigore, manifestato, curiosamente, dopo la sentenza
del 2004 dei giudici di Lussemburgo.
In sintesi, nella circolare n. 25 del 3 agosto 1979, con
riferimento alla condizione per l’esclusione dal
calcolo del pro-rata delle operazioni esenti di cui
ai nn. da 1) a 9) dell’art. 10 - e cioè che tali
operazioni non formino oggetto dell’attività propria
dell’impresa o siano accessorie alle operazioni
imponibili - , è stato precisato “nello spirito della
norma, che la sussistenza di detta condizione si
verifica allorquando le operazioni esenti effettuate
dal soggetto non siano da considerare come svolte
nell’esercizio dell’attività normalmente esercitata;
rimangono pertanto non rilevanti le operazioni
suddette se eseguite nell’ambito di attività occasionali o accessorie ovvero nell’ambito di attività
strumentali per il perseguimento dell’oggetto
dell’impresa”.
La circolare ha quindi individuato nella
“strumentalità” un altro motivo di esclusione dal
pro-rata dei proventi esenti indicati nel comma 2
dell’art. 19-bis (oltre alle circostanze della
occasionalità e della estraneità all’oggetto
dell’impresa).
Su queste basi, con risoluzione 26 aprile 1980,
n. 381044, è stato pertanto dichiarato che le operazioni di finanziamento poste in essere abitualmente
da un’impresa esercente l’attività di manifattura
tessile nei confronti dei rivenditori costituenti la
propria rete commerciale, devono considerarsi
estranee all’attività propria dell’impresa e, dunque,
irrilevanti ai fini del pro-rata.
Anche la circolare n. 71 del 26 novembre 1987,
dato conto dei dubbi “insorti in ordine al criterio
della strumentalità - individuato nella predetta circolare 25 quale uno dei criteri di qualificazione
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delle operazioni finanziarie come non rientranti
nell’attività propria dell’impresa”, ha confermato
l’orientamento, rigettando l’interpretazione restrittiva secondo cui le operazioni finanziarie di carattere strumentale poste in essere da imprese
manifatturiere non costituirebbero attività proprie
solo se meramente occasionali. La circolare spiega
che “la nozione di attività proprie, specie per le
società, va assunta sotto un profilo prevalentemente
qualitativo, intesa cioè come quella diretta a realizzare l’oggetto sociale e quindi a qualificare sotto
l’aspetto oggettivo l’impresa esercitata, e sotto tale
aspetto proiettata sul mercato, quindi nota ai terzi.”.
Aggiunge quindi che “... specie per le operazioni
normalmente intese di natura finanziaria ... deve
ritenersi che tali operazioni, se poste in essere da
società industriali o commerciali in conformità
degli statuti (che ne prevedano l’effettuazione non
come oggetto proprio delle società ma solo in
quanto finalizzate al raggiungimento degli scopi
sociali) non possono essere considerate come
attività propria delle stesse, ma debbono piuttosto
essere qualificate come strumentali al migliore
svolgimento dell’ordinaria attività esercitata in
quanto a supporto di detta attività e tendenti alla
più proficua realizzazione economica della medesima; e sotto tale profilo non può darsi rilievo alla
loro frequenza o alla loro entità”.
L’orientamento suesposto sembra però essere stato
abbandonato, come testimonia, del resto, la controversia dalla quale è scaturito il procedimento che ha
portato alla sentenza della Corte del 14 dicembre
2016 qui commentata. Con risoluzione n. 305 del 21
luglio 2008, infatti, è stato dichiarato che le operazioni di finanziamento delle società del gruppo,
svolte in via abituale da un’impresa industriale,
non possono considerarsi accessorie all’attività
principale, ma configurano l’esercizio di una
distinta attività i cui proventi esenti concorrono
alla determinazione del pro-rata.
Il quesito era stato posto da una società industriale
che, intendendo procedere alla concessione di
finanziamenti alle altre società del gruppo, utilizzando proprie eccedenze di liquidità ovvero fondi
richiesti al sistema bancario, aveva chiesto di sapere
se i corrispettivi di tali finanziamenti rientrassero
nel calcolo del pro-rata di detrazione. In considerazione che le operazioni di finanziamento sarebbero
effettuate con un limitatissimo impiego di lavoro, di
Detrazione
beni e servizi, in quanto destinate ad essere perfezionate mediante scambio di corrispondenza, la
società riteneva che la risposta dovesse essere negativa, anche alla luce della succitata sentenza della
Corte di Giustizia del 29 aprile 2004.
Nella risposta, l’Amministrazione ha osservato che,
secondo la sentenza della Corte di cassazione n. 11058
del 21 dicembre 2007, si computano nel pro-rata non
solo gli atti che tipicamente esprimono il raggiungimento del fine societario, ma anche quelli ulteriori
che configurano strumento normale e non meramente
occasionale per il conseguimento del fine produttivo,
mentre sono escluse tutte le attività che, pur se previste
nell’atto costitutivo, siano eseguite solo in modo
occasionale o accessorio per un migliore svolgimento
dell’attività propria d’impresa.
Posto, inoltre, che ai sensi dell’art. 55 del T.U.I.R.
non può essere considerata occasionale l’attività
economica esercitata per professione abituale,
l’Amministrazione non ritiene che l’attività finanziaria descritta dalla società possa considerarsi
effettuata con un limitatissimo impiego di lavoro,
beni e servizi, sembrando essa richiedere invece una
specifica organizzazione.
La risoluzione conclude pertanto che i corrispettivi
dell’attività finanziaria esente concorrono al calcolo del pro-rata, ferma restando la possibilità di
optare per la separazione delle attività ai sensi
dell’art. 36 del D.P.R. n. 633/1972, distinguendo
l’attività industriale da quella finanziaria, con imputazione specifica a ciascuna di esse dell’IVA relativa agli acquisti.
In questo quadro, dunque, per non correre rischi,
le imprese, valutate le circostanze concrete,
potranno prudenzialmente ricorrere alla (pur
non comodissima) zattera di salvataggio rappresentata dall’opzione per l’applicazione separata
dell’imposta.
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