V Domenica del tempo Ordinario

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Arcidiocesi Metropolitana di Catanzaro - Squillace
via Arcivescovado, 13
88100 – Catanzaro
tel. 0961.721333 - fax 0961.701044
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sito internet: www.diocesicatanzarosquillace.it
per l’Omelia domenicale a cura dell’Arcivescovo Mons. Vincenzo Bertolone
V Domenica del tempo Ordinario
5 febbraio 2017
Voi siete…
Introduzione
Da domenica scorsa abbiamo iniziato la nostra riflessione sulle parole pronunciate da
Gesù agli inizi della sua missione cioè di quello che potremmo definire “il buon
cammino educativo dell’uomo da parte di Dio”. Gesù ha aperto questo cammino con
la proclamazione solenne delle beatitudini. Esse, come dicevamo l’altra domenica,
oltre a rivelarci il vero volto del Padre nei tratti del volto del Figlio, ci rivelano quello
dell’uomo e, quindi, la via per giungere alla gioia piena. Il Vangelo odierno, continua
nel suo intento educativo: Gesù “ammaestra”, “educa” i suoi discepoli, e chiunque si
metta alla ricerca della verità, per comprendere meglio chi è Dio per noi, chi siamo
noi per Dio, chi siamo gli uni per gli altri. E mentre domenica scorsa abbiamo iniziato
timidamente a scoprire il velo che ha coperto il volto di Dio per tutto il tempo della
promessa e dell’attesa, oggi inizieremo invece ad approfondire la conoscenza di noi
stessi, del nostro essere per Dio e del nostro essere per gli altri. Gesù si serve di due
immagini, semplici e suggestive, per rivelarci la verità sul nostro essere e il nostro
operare da cristiani nel mondo, ovvero sul nostro “esser-ci” come discepoli di Cristo
e figli di Dio. Le due immagini sono il “sale” e la “luce”: preziosi tesori custoditi in
vasi di creta; doni non da trattenere ma da travasare nei luoghi in cui si è perduto i
gusto e la speranza di una vita degna di essere vissuta e là dove c’è chi ha spento la
fiducia. Due immagini, il “sale” e la “luce”, apparentemente contrastanti fra loro, ma
in realtà complementari e, soprattutto, significative nel precisare il di “più” che la
fede dei cristiani porta al mondo; il di “più” che non è un dover essere, ma un
“essere”.
Sale e luce: sapore e splendore di Dio
Ricorrendo alle immagini del “sale” e della “luce” è chiaro che Gesù abbia voluto far
capire come la vita del discepolo si caratterizzi per un sapore e una luce particolari.
Ciò che invece può sfuggire è il fatto che ciascuno di noi, in quanto discepolo di
Cristo, si ritrova ad essere “sale” e “luce”, prima che per un impegno personale, per
pura grazia. In altri termini, tutti coloro che hanno ascoltato le beatitudini, tutti coloro
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che vengono raggiunti dalla Parola di Gesù sono già “sale” e “luce”, cioè sono già
depositari di un fascino che forse non si sa ancora di avere e che non si spiega certo
con ragioni umane. Gesù non esordisce dicendo: “Voi dovete essere…”, ma “Voi
siete…”. Ovvero esser-ci come “sale” e “luce” nel mondo non sono il frutto di una
pratica di vita, ma doni gratuiti di Dio, che chiedono solo di essere manifestati e
condivisi. A noi però spetta il compito di prendere piena coscienza di questi doni
perché esprimendoci per loro tramite, come discepoli di Cristo possiamo fare davvero
la differenza nel mondo. Possiamo cioè essere sapore e splendore di Dio sulla terra:
in altri termini rivelare al mondo la possibilità di una vita sàpida e luminosa.
Scopriamo che il cristiano è “sale” quando ha il sapore delle beatitudini, cioè esprime
nella propria vita il primato di Dio. Esprimere ciò significa saper distinguere in ogni
momento della propria esistenza il sapore di quel condimento divino che dà ad ogni
pensiero, parola, sentimento e gesto il suo vero sapore, quel gusto singolare che non
può venire che da un “altrove”. La nostra identità, quindi, è “sale della terra”: ciò
oltre a dare un senso al nostro essere, si allarga come orizzonte di significato per tutti
gli uomini. Questo essere “sale” anche per gli altri non sfugge alla sapienza antica.
Infatti annotava san Girolamo: “Gli apostoli sono chiamati sale perché per mezzo
loro viene condito tutto il genere umano”. Così il discepolo è colui che all’
“insipienza” del mondo, con la sua visione distorta della vita, contrappone la sapidità
e la sapienza di Dio, che è la sapienza stessa del Vangelo. Ma parlando di “sale”,
Gesù non solo rivela la natura stessa dell’ esser-ci come discepoli, ma dice anche la
modalità con cui questo esser-ci deve esprimersi. Infatti, perché l’esistenza del
credente dia veramente sapore al mondo e alla vita degli altri, il credente deve esserci
al modo del “sale”. Quindi, deve sapersi confondere con gli altri, sciogliersi per gli
altri: divenire un niente che si perde e scompare perché il tutto possa acquistare il
buon sapore di Cristo, perché ognuno possa riscoprire il gusto dolce della bella e
buona esistenza cristiana. Del resto, vivere da figli e fratelli amati è per tutti il sapore
stesso della vita. “Voi siete la luce del mondo…”: chi “sa” di Cristo, è luce. Dunque
la luce del discepolo di Cristo non può restare nascosta ma deve illuminare. E
illuminare non significa solo rischiarare, cioè portare luce laddove ci sono le tenebre,
significa anche portare vita laddove persistono realtà di morte. Allora, illuminare è
rendere partecipi gli altri del dono divino della vita e della conoscenza di Dio: in una
parola essere luce del mondo significa vivere pienamente la propria vocazione
battesimale. Infatti, quella candela accesa nel giorno del nostro Battesimo altro non è
che la luce di Cristo, penetrata in noi grazie all’azione dello Spirito Santo. Essa ci
rende portatori di una luce che non viene da noi, ma ci è stata data in dono perché la
custodissimo e la condividessimo. Custodirla significa fare in modo che non si
spenga mai, e perché ciò non accada bisogna attingere avidamente alla sua fonte, cioè
alla luce che è Cristo; condividerla, invece, significa fare in modo che essa non arda
per illuminare se stessa, ma nel consumarsi, bruciando, rischiari ogni cosa. Così
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quando Gesù parla di “luce” non rivela solo chi siamo, ma anche come agire per
essere ciò che siamo. Ci dice che per essere segno di luce, dobbiamo, come la luce,
rendere visibile ciò che è invisibile, dare ragione della nostra speranza e della nostra
gioia, avvolgere e attraversare ogni cosa con la sapienza luminosa del Vangelo perché
tutto si converta in luce. Dunque, il Vangelo di oggi oltre a celebrare il trionfo del
sapore che l’uomo può dare al mondo, celebra anche la luce che l’uomo può irradiare
nel mondo.
La responsabilità della missione
A guardare bene, con le due immagini del “sale” e della “luce” Gesù ricorda ai
cristiani il compito della testimonianza da dare agli altri, in altre parole ci richiama
alla responsabilità della missione. Infatti, noi saremo sale solo se annunceremo il
Vangelo della misericordia di Dio rivelatasi nel suo Figlio, se riusciremo a informare
la nostra vita e quella degli altri alla luce del Vangelo. Così saremo luce solo se
rifletteremo con la nostra testimonianza di vita la luce vivificante e chiarificatrice di
Cristo, e se terremo viva giorno per giorno la fiammella del nostro battesimo e
aiuteremo i confusi a farlo. E più profondo ancora: potremo essere il sale e la luce di
Cristo nel mondo se sapremo essere una sola cosa con Lui, vivendo la sua stessa vita.
In altri termini, la testimonianza cristiana al modo del sale e della luce presuppone
l’imitazione di Cristo ed anzi una trasformazione in Cristo. Infatti, noi cristiani siamo
testimoni nella misura in cui Cristo vive in noi. Nella misura in cui cioè sapremo
effondere attorno a noi la gioia che ci viene dal saperci amati da Dio; e sapremo dare
testimonianza della buona vita evangelica, secondo quella concretezza e semplicità a
cui ci richiama lo stesso Gesù nelle parole del Vangelo: “Così risplenda la vostra luce
davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre
vostro che è nei cieli”. La concretezza e la semplicità della testimonianza cristiana sta
dunque nel compiere le opere buone e nel farlo con amore. Infatti, solo l’amore che
mettiamo nelle cose che facciamo rende testimonianza a Dio più di ogni parola che
possiamo dire di Lui o su di Lui. Diceva Raoul Follereau nel suo testamento ai
giovani: “Rinunciate alle parole sonore ma vuote. Non guarirete il mondo con dei
punti esclamativi”. Il mondo si cambia veramente con il fascino di una vita vissuta
naturalmente e senza ostentazioni secondo lo spirito misericordioso delle beatitudini.
Conclusione
Nietzsche, il famoso filosofo tedesco, pur dichiarandosi ateo redarguiva i cristiani:
“Se la buona novella della vostra Bibbia fosse anche scritta sul vostro volto, voi non
avreste bisogno di insistere perché si ceda all’autorità della Bibbia: le vostre opere
dovrebbero rendere quasi superflua la Bibbia, perché voi stessi dovreste costituire la
Bibbia viva”. Un rimprovero duro ma sul quale si gioca il nostro stesso impegno di
cristiani. Un impegno che si esprime, a partire da noi stessi, nel credere che l’Amore
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è per noi la sola certezza che non teme confronti, la sola che basta per dare ragione
del nostro esser-ci al modo del “sale” e della “luce”.
Serena domenica
 Vincenzo Bertolone
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