Giornalismo alimentare e qualità della comunicazione

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Transcript Giornalismo alimentare e qualità della comunicazione

Giornalismo
alimentare
e
qualità della comunicazione
Di cosa parliamo quando parliamo di cibo e di vino? Certo di
gesti quotidiani ma la circostanza che tutti, ogni giorno,
beviamo, mangiamo o prepariamo da mangiare non è, per se
stessa, qualificante a poterne parlare o scrivere attraverso i
mezzi di comunicazione di massa, siano essi giornali, magazine
on-line, televisioni o i più moderni mezzi social utilizzati e
utilizzabili da tutti, giornalisti e no.
Ma parlare di cibo e di vino (ma vale anche per la birra o
altro, ovviamente) significa parlare di nutrizione, di salute,
di sicurezza alimentare, di economia, di rapporti e condizioni
di lavoro, di turismo, di soldi, insomma di tematiche
importanti nella vita delle persone che leggono o guardano.
Pubblicare un video-tutorial di pasticceria in cui si
impiegano le uova crude non pastorizzate è un atto
d’incoscienza totale: le uova crude sono uno degli alimenti a
maggior rischio di contaminazione batterica. Nelle pasticcerie
ne è vietato l’uso a meno che non si tratti, appunto, di uova
pastorizzate: un pasticciere che preparasse un tirami su con
uova crude non pastorizzate andrebbe incontro a sanzioni assai
pesanti da parte delle autorità competenti.
Indicazioni errate come le uova a crudo espongono al rischio
di contrarre malattie gastrointestinali e non è corretto
giocare sulla salute delle persone. Altro esempio: mi è
capitato più volte di leggere, su guide blasonate ed
autorevoli, recensioni entusiastiche di ristoranti addirittura
con l’elogio di taluni piatti in menù; e mi è capitato di
mangiare proprio quei piatti ed in quei ristoranti. Il gusto
personale è opinabile ma un piatto non lo si valuta sul gusto
personale ma su parametri oggettivi e, certamente, non può
prescindersi dall’aspetto tecnico nella realizzazione del
piatto e una cottura tecnicamente sbagliata è un fatto
oggettivo non soggettivo. Allora recensioni così favorevoli si
spiegano solo o con l’incompetenza o con la malafede di chi
scrive.
Entrambe non sono tollerabili. Perché il lettore che sceglie
sulla base delle segnalazioni di una rivista, o di una guida o
di una trasmissione televisiva o di un blog o altro, ha
diritto ad informazioni corrette ed oneste. La soluzione non
può che essere l’adozione di una carta dei doveri della
comunicazione enogastronomica che imponga regole certe. Chi
scrive di enogastronomia deve dimostrare di essere in possesso
di adeguata formazione che consenta di scrivere o parlare con
competenza evitando di fornire informazioni inesatte,
incomplete o errate. Se svolge il ruolo, legittimo, di addetto
stampa per un produttore o uno chef o un pasticciere deve
astenersi dal pubblicare, sotto qualsiasi forma, recensioni
perché il conflitto d’interessi è evidente: manderà i
comunicati, inviterà i colleghi alle degustazioni e poi
saranno altri a divulgare le valutazioni.
Insomma è bene ribadire la differenza tra un articolo, un
publiredazionale e una inserzione pubblicitaria: il lettore, o
lo spettatore o l’ascoltatore, deve sapere con certezza cosa
sta leggendo, guardando o ascoltando. E, ovviamente, la carta
dei doveri deve impegnare anche gli editori. Un intervento di
tipo deontologico, però, ha il limite di rivolgersi solo agli
iscritti all’Ordine, ma la comunicazione enogastronomica oggi
è praticata anche da altri soggetti. Dunque, la concreta
applicazione della carta dei doveri della comunicazione
enogastronomica nei blog o nei social è negli altri strumenti
è assai più complicata ed occorre trovare forme e strumenti di
controllo appropriati.
Un’idea potrebbe essere quella di istituire una sorta di
“bollino di qualità” della comunicazione enogastronomica che
potrebbe essere rilasciato dalle riconosciute e qualificate
associazioni di settore o, ancora, la costituzione di una
apposita
Associazione
nazionale
dei
comunicatori
enogastronomici subordinando l’ammissione ai soli potenziali
soci, iscritti all’Ordine dei Giornalisti e non, in grado di
dimostrare l’acquisizione di formazione specifica.
Questa sorta di bollino, apposto accanto alla firma o sui blog
o
sui
profili
social
servirebbe
al
lettore/ascoltatore/spettatore per identificare l’informazione
attendibile e garantita. Perché se la manifestazione del
proprio pensiero è un diritto costituzionale è pur vero che la
comunicazione pubblica, nelle sue più svariate forme, deve
rispondere a determinati requisiti di attendibilità e serietà.
L’auspicio è che il Festival del Giornalismo Alimentare, in
programma a Torino dal 23 al 25 febbraio, possa essere il
luogo e l’occasione di aprire un confronto serio e articolato
su una questione di tale rilevanza per aprire un percorso a
tutela dei fruitori della comunicazione e dei tanti
comunicatori seri e preparati che spesso vengono confusi con i
troppi mistificatori.
Anna Martano