fuoricollana - Aracne editrice

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FUORICOLLANA
L’opera è di pura fantasia; ogni riferimento a fatti o persone
esistenti è puramente casuale. Ogni opinione espressa in esso
rispecchia il pensiero dei personaggi, entità immaginarie, e
non è detto coincida con quella dell’autore.
Francesco Fontana
Kristina
è per sempre
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[email protected]
Copyright © MMXVII
Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale
via Sotto le mura, 54
00020 Canterano (RM)
(06) 45551463
isbn
978-88-548-9668-0
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’editore.
I edizione: febbraio 2017
PARTE I
CARO DOTTORE…
Capitolo 1
Caro dottore,
ne è passato di tempo da quando lei mi ha detto, senza troppi giri di parole, che ero praticamente un malato terminale.
Devo darle atto di una notevole delicatezza nel non essersi
sbilanciato, quella volta, riguardo le mie estreme possibilità
di sopravvivenza, ma uscendo dal suo studio io un’idea me
l’ero fatta: sei mesi, massimo sette. Invece ne sono passati
molti, molti di più (quaranta, quarantadue, quarantacinque?
Ho sempre fatto a pugni con i conti), e io neppure mi sogno
di togliere il disturbo. Certo, lo so di essere perennemente
sul filo del rasoio, appartengo a pieno titolo alla compagnia
dei cancerizzati, purtroppo assai vasta, ma inizio a credere di
non avervi detto poi chissà quali baggianate quando, all’atto
di iniziare la chemioterapia, vi ho preso ben bene per i fondelli, oltremodo infastidito dalle vostre onestissime previsioni di nausea e vomito a volontà.
«Io mi rifiuto di morire come una larva!» avevo quasi urlato al suo collega incaricato di mettermi al corrente di rischi,
vantaggi ed effetti collaterali della terapia, pungolando in tal
modo le sue virtù predicatorie al punto da portarlo a elaborare un sermone degno d’un epigono più di Cicerone che
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Fontana
d’Ippocrate. Quel suo collega, che oggi purtroppo piangiamo
prematuramente poiché scomparso dopo esser precipitato
dal balcone, mi ero davvero divertito a beffeggiarlo, lo devo
riconoscere.
«Io capisco che lei tema le gravi conseguenze della chemio, professore» – aveva concluso – «Ma le assicuro che si
tratta dell’unica arma contro il male che l’ha aggredita».
Ma chi gli diceva che il mio male m’avesse aggredito? A
essere sincero io e il mio male convivevamo benissimo, praticamente senza dolori né altri segni clinici che facessero
ipotizzare evoluzioni cachettiche nel breve periodo, oltre al
permanere d’un ottimo appetito e d’una cera quasi invidiabile, a detta di tutti; certo, un lato negativo esisteva ed era la
sua promessa di portarmi alla malora, ma per il resto non mi
potevo proprio lamentare.
«Oltretutto la terapia cui vogliamo sottoporla» – aveva
proseguito, visibilmente soddisfatto per l’intelligenza delle
cose che diceva – «È di tipo nuovo, eppure già sperimentata a
sufficienza, e nell’ultimo quaderno di “Medicina oncologica”,
a tale proposito, viene riportata una statistica molto interessante; io non sono avvezzo a snocciolare numeri di fronte ai
miei pazienti, ma con lei farò un’eccezione, in ossequio alla
sua perspicacia non comune e alla sua testa dura, pure difficilmente riscontrabile in altri soggetti. Allora: considerando
tutte le tipologie di decorso, è stato calcolato che in media,
ripeto in media, ogni seduta cui il malato viene sottoposto fa
guadagnare venti giorni di vita secchi secchi; capisce? Venti
giorni!»
«E allora perché, se le cose stanno a questo modo» – ero
sbottato in un accesso d’ira sardonica – «Invece di sottopormi
a dieci terapie non me ne appioppate cinquecento? Così, per
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Kristina è per sempre
la statistica, potrei campare fino a novantotto anni, o magari
addirittura mille, così avrei serie probabilità di tirare avanti
fino ai centoventicinque! Che fortuna ammalarsi di cancro
se poi le cure ti trasformano né più né meno che in Matusalemme!»
Sì, io avevo voluto colpirvi al cuore, mettere in ridicolo
il vostro maledetto accanimento terapeutico, che tanta condanna suscita in gran parte della pubblica opinione, perché in
quei momenti desideravo una cosa soltanto: morire in pace,
possibilmente senza dolori e magari, culmine delle aspirazioni, non rendendomene conto. La vostra chemio aveva tutte le
carte in regola per scombussolare i miei piani. Ecco perché la
deridevo, beffeggiando di riflesso anche voi con le mie panzane.
Ma erano davvero panzane? Forse no, forse il bombardamento chimico cui m’avete sottoposto mi ha regalato sul serio una seconda vita; altro che i venti giorni a seduta promessi
dal suo trapassato collega, quella soglia ormai è abbondantemente superata. E io sto davvero benone.
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