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09 febbraio 2017 delle ore 07:01
Fino al 26.II.2017
Jean‐Michel Basquiat
MUDEC, Milano
"SAMO è morto” scriveva sui muri e sulle
strade di SoHo e del Lower East Side di New
York Jean‐Michel Basquiat, che
considerava i propri trascorsi da graffitista un
passato di cui sbarazzarsi. In realtà gli echi della
strada non lo abbandoneranno mai neanche
quando Annina Nosei diventerà la sua
principale gallerista che sancirà l’entrata
dell’artista fra le icone dello star system
dell’arte. Il Mudec celebra l’artista con la
mostra "Jean‐Michel Basquiat”, curata
da Jeffrey Deitch e da Gianni Mercurio con
circa 140 lavori realizzati tra il 1980 e il 1987.
Gli enigmatici graffiti concettuali in cui parole
e lettere si mescolano alle immagini hanno per
oggetto i suoni, i rumori, l’energia e la cacofonia
delle strade dei bassi fondi fondi. Sirene
d’ambulanze, incidenti d’auto, insegne, giochi
urbani, sono solo alcuni degli elementi che
ricorreranno nelle tele sotto forma di griglia,
iconologie e ricordi d’infanzia. Una griglia
come quella tracciata per terra o sui marciapiedi
per giocare al gioco della campana o come il
simbolo della corona, la sua tag da graffitista
che rimarrà un elemento iconico e distintivo
della sua arte e della sua identità per tutta la sua
brevissima carriera, spezzata a soli 27 anni.
Identità, rabbia, orgoglio afro, come in
Autoritratto realizzato su tre tavole, in cui
spicca la sagoma dei capelli delle origini nere,
denuncia sociale e il desiderio di raggiungere il
successo come in Yellow tar and feathers,
realizzato con piume incollate miste a colori
acrilici, pastello a olio e collage, sono alcune
della tematiche affrontate dal primo artista
afroamericano che prima di raggiungere la fama
viveva in strada vendendo cartoline e magliette
di sua produzione. Fu così che conobbe Andy
Warhol che riconobbe subito il talento del
giovane e da cui nacque la proficua serie
"Collaboration Paintings”. Riconosciuta come
una delle più notevoli collaborazioni della
storia dell’arte contemporanea fu pubblicizzata
con un manifesto che ritraeva i due artisti come
dei pugili con guantoni da boxe. E in effetti di
un combattimento su tela si trattava in cui i due
artisti, come in un ring, si alternavano. Andy
Warhol stendeva il colore o un’immagine
serigrafata e quando aveva finito Basquiat
aggiungeva e sovrapponeva le sue, dando vita
a una specie di improvvisazione che imitava il
modo in cui i musicisti jazz realizzano una jam
session. Ma sarà nel seminterrato della galleria
di Annina Nosei di Prince Street in vista della
sua personale dell’82 che Basquiat dipingerà i
suoi lavori più celebri tanto da diffondere la
leggenda dell’artista sfruttato e obbligato a
sfornare dipinti da vendere ai collezionisti che
entusiasti scendevano nel suo studio per
assistere all’atto creativo e in preda all’euforia
insistere per comprare i suoi quadri ancor prima
di essere completati. Le sue opere,
caratterizzate da immagini tratte dal celebre
libro di anatomia di Henry Gray che la madre
gli regalò quando ebbe un incidente all’età di 8
anni che lo costrinse a una lunga convalescenza,
si fondono a immagini della cultura popolare
ispirata ai cartoni animati come in Danny Rosen
o in Bracco di ferro (proprio così senza la "i”)
e in molte serigrafie e disegni. Testimonianza
forse di quel mondo colto fatto di parole che
trasse dai libri, fonte inesauribile di stimoli,
prima ancora che dall’hip-hop, e della cultura
di strada da cui trasse le figure che potevano
essere mescolate e reinventate liberamente
senza mediazione intellettuale. Riferimenti a
note musicali, alle partiture e al jazz miste a
collage, objets trouvés e parole spesso
cancellate, come a marcarne il significato, si
ritrovano in opere come Embittered, sempre
marcate da un tratto veloce e istintivo. La figura
umana stilizzata o evocata è uno dei soggetti
principali della sua produzione artistica atta a
rivelare la preoccupazione per l’aspetto che
forse fu uno dei suoi maggior tormenti divenuto
in seguito segno della propria affermazione e
determinazione. Fusione di graffito e pittura,
gesto e scrittura, parola e campitura di colore
ha reso l’arte di Jean-Michel Basquiat
espressione del proprio tempo. Il tempo di una
cultura del remix che caratterizza il
postmodernismo degli anni Ottanta.
Sara Marvelli
Dal 28 ottobre 2016 al 26 febbraio 2017
Jean‐Michel Basquiat MUDEC Museo delle Culture di Milano Via Tortona, 56,
Milano Info: www.mudec.it/ita/jean-michelbasquiat
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