Diagnosi neuropsicologica e tecniche di neuroimaging in un caso

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Transcript Diagnosi neuropsicologica e tecniche di neuroimaging in un caso

EUR MED PHYS 2008;44(Suppl. 1 to No. 3)
Diagnosi neuropsicologica e tecniche di neuroimaging in un
caso complesso di sindrome di Balint
C. PILOSIO1, L. PASSARINI1, F. MENEGHELLO1, F. PICCIONE1, M. GREGIANIN2, K. PRIFTIS1,3
Introduzione
Sebbene uno degli scopi originari della neuropsicologia clinica
fosse quello della localizzazione inter- ed intraemisferica delle lesioni
cerebrali, l’avvento delle moderne tecniche di neurovisualizzazione
strutturale ha messo in secondo piano questo tipo di applicazione.
Ciononostante, la diagnosi neuropsicologica può essere utile quando
l’alterazione strutturale dell’encefalo non è evidente (ad es. primi stadi di demenza, traumi cranici lievi, lesioni neurotossiche, lesioni focali accompagnate da diaschisi o da estesa penombra ipometabolica).
In questo studio, descriviamo il caso di una paziente (GM) con
lesioni cerebrali bilaterali retrorolandiche, in seguito a due ictus consecutivi, allo scopo di illustrare l’utilità dell’integrazione della diagnosi neuropsicologica con le moderne tecniche di neurovisualizzazione strutturale e funzionale.
2Dipartimento
1IRCCS
San Camillo, Venezia;
di Medicina Nucleare, Ospedale dell’Angelo, Mestre;
3Dipartimento di Psicologia Generale,
Università degli Studi di Padova, Padova
Materiali e metodi
GM è una donna destrimane di 54 anni, laureata in Lingue e Letteratura Straniera, insegnante in attività.
Nel luglio 2006 GM ha riportato infarti cerebrali multipli, conseguenti ad un quadro trombofilico causato da un carcinoma ovarico.
La Tac cerebrale evidenziava una lesione ipodensa sottocorticale
ischemica in corrispondenza del lobo parietale destro e una lesione
cortico-sottocorticale nella regione occipitale sinistra. Il quadro neurologico conseguente era caratterizzato da emiparesi sinistra agli arti
superiori e inferiori, emianopsia omonima sinistra ed eminattenzione
sinistra. Il mese successivo, in seguito ad un ulteriore peggioramento
delle condizioni cliniche, GM è stata sottoposta ad un’ulteriore indagine neuroradiologica (TAC) che evidenziava la presenza di aree
ipodense in sede parietale destra ed occipito-parietale sinistra con
aggravamento del quadro neurologico precedentemente descritto.
GM ha effettuato un primo ciclo di riabilitazione motoria presso le
strutture ospedaliere della regione di appartenenza al termine del
quale si evidenziava il recupero della posizione eretta con doppio
appoggio.
A sei mesi circa dall’esordio (gennaio 2007) GM è stata ricoverata
presso la nostra struttura ospedaliera per proseguire la riabilitazione
motoria intrapresa e per un approfondimento del quadro neuropsicologico, i cui esiti condizionavano l’outcome neuromotorio.
La valutazione neuromotoria iniziale evidenziava ipertono estensorio ed adduttorio in piede equino supinato. GM inoltre era in grado di eseguire solo pochi movimenti spontanei con scarso controllo
degli stessi e della postura in generale. Non era autonoma negli spostamenti e nei passaggi posturali. In stazione eretta, si evidenziava
carico solo a destra con assenza di appoggio del piede sinistro.
Vol. 44 - Suppl. 1 to No. 3
Figura 1. – Traiettorie (in blu) del movimento del braccio destro di GM nel
tentativo di raggiungere lo stimolo bersaglio (croce rossa) a partire dallo stimolo di partenza (croce nera).
Sul versante neuropsicologico, la grave compromissione del quadro cognitivo generale associata a marcata affaticabilità e a tempi di
lavoro ridotti, non consentivano inizialmente la somministrazione di
test neuropsicologici. GM è stata quindi avviata ad un primo trattamento riabilitativo della durata di due mesi. Al termine del trattamento, grazie alla riduzione del rallentamento e all’aumento dei
tempi di lavoro, è stato possibile eseguire un approfondimento diagnostico del quadro cognitivo generale e in particolare delle abilità
visuo-spaziali.
Risultavano nel complesso preservate le capacità di riconoscimento di colori, figure e oggetti mentre non erano eseguibili compiti
di lettura e scrittura. In relazione alle funzioni visuospaziali, oltre
all’eminattenzione sinistra già osservata, si riscontravano aprassia
dello sguardo, atassia ottica, restringimento focale dell’attenzione e
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PILOSIO
DIAGNOSI NEUROPSICOLOGICA E TECNICHE DI NEUROIMAGING IN UN CASO COMPLESSO DI SINDROME DI BALINT
Figura 2.
deficit di valutazione delle distanze, sintomi questi costitutivi della
sindrome di Bálint-Holmes1. A riprova della gravità del quadro sopra
descritto sono riportate nella figura 1 le prestazioni di GM durante
un compito visuomotorio, studiato mediante analisi cinematica del
movimento.
Ciò nonostante a questo quadro retrorolandico si aggiungevano
difficoltà di ordine esecutivo, in particolare nelle componenti dell’attenzione e della memoria di lavoro, associate ad un eloquio caratterizzato da disartria atassica. Tali aspetti non trovavano immediato
riscontro a livello neuroradiologico e suggerivano una possibile
compromissione delle regioni prerolandiche e, per quanto riguarda
l’eloquio, una possibile disfunzione cerebellare.
A partire dai risultati di questo approfondimento diagnostico, GM
ha ripreso la riabilitazione neuropsicologica per un periodo di nove
mesi con due brevi dimissioni intermedie.
Al fine di poter ridurre il grave deficit visuo-spaziale, si è ritenuto
opportuno proporre alla paziente esercizi, sia al PC che in situazioni
ecologiche, allo scopo di potenziare le capacità di esplorazione e
ricerca visiva. Dopo aver raggiunto un sufficiente livello di prestazione il trattamento è stato focalizzato sulle abilità di indicazione e prensione con l’obbiettivo di favorire la coordinazione oculo-manuale.
Parallelamente, si è cercato di integrare il lavoro svolto in ambito
neuropsicologico con quello neuromotorio proponendo esercizi che
richiedessero alla paziente esplorazione e ricerca visiva (ad esempio,
eseguire, durante il cammino, un percorso le cui tappe venivano
segnalate dalla presenza di birilli che GM doveva individuare nello
spazio e che fungevano da indicatori della direzione da seguire negli
spostamenti).
del percorso riabilitativo, GM era in grado di eseguire compiti di
esplorazione e ricerca di oggetti nello spazio; riusciva ad individuarli
con facilità, ad indicarli con una buona approssimazione e ad afferrarli con sufficiente accuratezza. Anche la consapevolezza degli esiti
cognitivi di malattia risultava maggiormente presente, anche se non
era ancora accompagnata da iniziative spontanee nell’utilizzo di strategie di compenso. Tuttavia, a fronte di un trattamento intensivo e
prolungato nel tempo, non sono stati osservati nel complesso gli esiti e i miglioramenti attesi e il recupero delle abilità compromesse,
pur presente, è stato solo parziale.
La complessità del quadro cognitivo caratterizzato da deficit di
diversa natura e di grave entità è stata aggravata da condizioni cliniche fluttuanti e peggioramenti durante il ricovero. Di conseguenza,
l’outcome, pur essendo caratterizzato da miglioramenti qualitativi,
non rendeva GM in grado di svolgere autonomamente le attività della vita quotidiana. La mancanza di autonomia risultava marcatamente
condizionata dai deficit esecutivi, dove la mancanza di iniziativa e di
programmazione dell’azione a livello cognitivo impedivano alla
paziente di intraprendere qualunque attività incluse quelle potenzialmente eseguibili (ad esempio, la cura di sé o l’autonomia durante i
pasti).
Quanto osservato nella pratica clinica e sopra descritto è stato
supportato successivamente dal referto di un esame strutturale e
funzionale integrato (TAC-PET) che GM ha eseguito a 18 mesi di
distanza dall’esordio di malattia.
Tale esame che consente l’integrazione degli aspetti neuroanatomici con l’attività metabolica cerebrale, ha evidenziato una ipoperfusione non solo delle aree retrorolandiche, ma anche di quelle frontali con diaschisi cerebellare crociata sinistra (Fig. 2).
Tale ipometabolismo non era evidenziabile dagli esami neuroradiologici strutturali (TAC e RMN), ma è stato rilevato dall’esame anatomo-funzionale integrato (TAC-PET).
Il risultato di tale approfondimento diagnostico ha consentito di
supportare le evidenze neuropsicologiche che non trovavano pieno
riscontro nei precedenti dati neuroradiologici strutturali. Questi ultimi, infatti, come sopra descritto, rilevavano selettive ipodensità
retrorolandiche che giustificavano la presenza delle compromissioni
visuo-spaziali ma non spiegavano la presenza degli altri sintomi (sindrome disesecutiva e disartria atassica).
Conclusioni
L’obiettivo principale di questo lavoro, era relativo alla necessità
di integrare in fase diagnostica le competenze neuropsicologiche
con quelle neuroradiologiche.
In casi neuropsicologici complessi, l’esame neuropsicologico può
rappresentare il primo strumento di diagnosi e definizione delle aree
cerebrali disfunzionali e dei conseguenti deficit cognitivi per strutturare il trattamento riabilitativo. La neuropsicologica clinica può così
suggerire un approfondimento diagnostico tramite le moderne tecniche di neurovisualizzazione anatomo-funzionale nei casi in cui si
evidenzino discrepanze tra i deficit rilevati in ambito clinico e i dati
provenienti da esami strutturali eseguiti di routine (TAC e RMN), talvolta non sufficienti a spiegare in maniera esaustiva il quadro neuropsicologico del paziente.
Risultati
Bibliografia
Nel complesso l’andamento del trattamento neuropsicologico ha
avuto un trend di progressivo ma lieve miglioramento. Al termine
1. Holmes G. Disturbances of visual space perception. British Medical Journal, 1919;2:230-3.
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October 2008