domenica 5 febbraio 2017

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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLVII n. 29 (47.463)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
domenica 5 febbraio 2017
.
Denunciata dal Pontefice l’idolatria del sistema finanziario che sta distruggendo milioni di famiglie
In vista del capitolo del Sovrano militare ordine di Malta
Un’altra economia è possibile
L’arcivescovo Becciu
delegato speciale del Papa
Per cambiare le regole di un capitalismo che continua a produrre scarti
Denunciando l’idolatria di un sistema finanziario che sta distruggendo
milioni di famiglie, Francesco invoca
un cambiamento nelle regole del capitalismo che continua a produrre
scarti. L’auspicio è contenuto nel discorso rivolto ai partecipanti all’incontro sull’economia di comunione
— promosso dal movimento dei Focolari — ricevuti nella tarda mattinata di sabato 4 febbraio.
Per la sua riflessione il Papa ha
preso spunto dai due termini, “economia” e “comunione”, che «la cultura attuale tiene ben separate», anzi
«considera opposte». E che invece
gli eredi spirituali di Chiara Lubich
hanno voluto unire, raccogliendo
l’invito della fondatrice.
Il Papa ha approfondito tre tematiche riguardanti il denaro, la povertà e il futuro. Riguardo alla prima
ha sottolineato l’importanza della
«comunione degli utili», perché il
denaro «è importante, soprattutto
quando non c’è e da esso dipende il
cibo, la scuola, il futuro dei figli».
Altra cosa è farlo diventare idolo,
per cui «quando il capitalismo fa
della ricerca del profitto l’unico suo
scopo, rischia di diventare una forma di culto».
Quanto alla povertà, il Pontefice
ha elogiato le «molteplici iniziative,
pubbliche e private» per combatter-
la. E ha ricordato come «la ragione
delle tasse» stia «anche in questa solidarietà, che viene negata dall’evasione ed elusione fiscale». Ma nonostante ciò, ha avvertito, «il capitalismo continua a produrre gli scarti
che poi vorrebbe curare». Un’ipocrisia evidente che va sconfitta puntando a cambiare le regole del gioco del
sistema economico-sociale.
Riguardo al futuro, infine, Francesco spera in una crescita di questa
«esperienza che per ora è limitata a
un piccolo numero di imprese». Una
speranza ispirata al principio della
reciprocità, perché — ha ricordato —
«la comunione non è solo divisione
ma anche moltiplicazione dei beni».
L’augurio conclusivo è quello di
«continuare ad essere seme, sale e
lievito di un’altra economia», dove
«i ricchi sanno condividere le loro
ricchezze» e i poveri sono chiamati
beati».
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Sono minori
la metà
dei migranti
al mondo
BRUXELLES, 4. «Metà dei rifugiati
sono minori». È quanto denuncia
l’Unicef, ricordando che nel mondo «circa 50 milioni di bambini
sono stati sradicati dalle loro case
per conflitti o povertà». Intanto,
ad Atene i cittadini sono scesi in
piazza per protestare dopo l’ennesima tragedia in un campo profughi a Lesbo: in una settimana sono morti cinque giovani profughi
a causa delle condizioni inaccettabili di vita del loro centro di accoglienza.
Il più grande numero di bambini rifugiati proviene dalla Siria,
cioè oltre 2,3 milioni di piccoli:
Poi c’è l’Afghanistan con 1,3 milioni. Ma in generale nelle varie
aree del mondo «sono 28 milioni
i bambini che hanno lasciato le
proprie terre a causa di conflitti
che non hanno voluto, mentre altri milioni migrano con la speranza di trovare una vita migliore e
più sicura». L’agenzia dell’O nu
per l’infanzia ha lanciato un video che presenta in parallelo le
storie di un giovane rifugiato siriano e quello di un uomo, anch’egli rifugiato da bambino durante la seconda guerra mondiale.
«Una dura testimonianza delle
sfide che i bambini rifugiati continuano ad affrontare».
Intanto, le piazze della capitale
greca si sono riempite ieri di gente, che ha sfilato in modo pacifico
ma deciso per protestare contro le
situazioni disumane che si sono
create nei centri di accoglienza
per i profughi, in particolare sulle
isole. La manifestazione ad Atene
è stata organizzata dopo che, in
pochi giorni, cinque giovani hanno perso la vita nel disperato tentativo di difendersi dal freddo
con metodi di fortuna, fuoco o
stufette inaffidabili. Una realtà
disumana che ha portato molta
gente a scandire slogan come
«date riparo ai migranti». Il governo greco aveva assicurato che
durante i mesi invernali avrebbe
cercato di trovare posto per i migranti in appartamenti e hotel.
E mentre in Grecia molti profughi sono rimasti praticamente
bloccati dalla burocrazia delle
procedure per la richiesta di asilo,
sulle coste italiane continuano ad
arrivare migliaia di migranti. Oltre 1300 sono stati salvati nella sola giornata di ieri nel Mediterraneo centrale e nel pomeriggio
sbarcheranno nei vari porti
dell’Italia meridionale. Le operazioni di soccorso nel Canale di
Sicilia in poche ore sono state 13,
tutte coordinate dalla guardia costiera italiana.
In vista del capitolo straordinario che
dovrà eleggere il nuovo gran maestro
del Sovrano militare ordine di Malta,
Papa Francesco ha nominato
l’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto
della Segreteria di Stato, suo delegato
speciale con «tutti i poteri necessari
per decidere le eventuali questioni che
dovessero sorgere». Di seguito la
lettera di nomina — datata giovedì 2
febbraio e resa nota sabato 4 — nella
quale il Pontefice auspica anche «uno
studio in vista dell’opportuno
aggiornamento della Carta
costituzionale» dell’ordine.
Al venerato Fratello
Mons. GIOVANNI ANGELO BECCIU
Arcivescovo titolare di Roselle
Sostituto per gli Affari Generali
della Segreteria di Stato
All’inizio del cammino di preparazione in vista del Capitolo straordinario che dovrà eleggere il nuovo
Gran Maestro del Sovrano Militare
Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e
di Malta, con la presente La nomino in data odierna mio Delegato
speciale presso quel benemerito
Ordine. Ella agirà in stretta collaborazione con S.E. il Ven. Balì Fra’
Ludwig Hoffmann von Rumer-
Dan Nuttall, «Competitive exclusion» (2016)
Nella denuncia dell’Onu pesanti accuse all’esercito del Myanmar
Violenze inarrestabili sui rohingya
GINEVRA, 4. Omicidi, stupri di massa, neonati massacrati, persone uccise nell’incendio delle loro case. Lascia poco spazio all’immaginazione
la drammatica denuncia dell’alto
commissariato delle Nazioni Unite
per i diritti umani (Unhchr) sui
«crimini contro l’umanità» perpetrati dallo scorso ottobre dalle forze di
sicurezza del Myanmar contro la minoranza etnica musulmana dei
rohingya.
Il duro e grave atto di accusa,
contenuto in un dettagliato rapporto
dell’Unhchr pubblicato ieri a Ginevra, è frutto delle testimonianze di
oltre duecento rohingya che sono
riusciti a scappare dalle violenze,
trovando rifugio in Bangladesh.
Molti dei testimoni hanno riferito
che almeno un membro della propria famiglia è stato ucciso dall’inizio dell’offensiva dell’esercito, mentre più della metà delle donne ha su-
Un gruppo di profughi
rohingya (Ap)
bito uno stupro o un’aggressione
sessuale.
Nel rapporto dell’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti
umani, tra le tante efferatezze di cui
sono accusate le forze di sicurezza
del Myanmar, l’omicidio di un bimbo di soli 8 mesi, ucciso perché
piangeva disperato mentre agenti
abusavano della madre. Una ragazza
ha raccontato di avere visto con i
propri occhi soldati calpestare a
morte con gli stivali un neonato e
poi bruciare la casa dove abitava.
I rohingya sono considerati dalle
Nazioni Unite una delle minoranze
più perseguitate al mondo. Si tratta
di un gruppo etnico musulmano che
vive principalmente nel nordovest
del Myanmar, nello stato del Rakhine, uno dei più poveri della regione,
che conta circa un milione di abitanti rohingya su una popolazione di
tre milioni di persone, a maggioranza buddista.
Per il governo del Myanmar, sono
soltanto immigrati bengalesi che vivono illegalmente all’interno del
paese. Di conseguenza, i loro diritti
allo studio, al lavoro, ai viaggi e alla
libertà di praticare la propria religione e di accedere ai servizi sanitari di
base sono limitati.
Oltre 140.000 rohingya, soprattutto donne e bambini, vivono tra
enormi sofferenze in fatiscenti campi
profughi, che non possono lasciare
senza il permesso del governo. Altri
vivono in villaggi, presi spesso di
mira dai soldati.
Le operazioni militari contro i
rohingya sono iniziate in ottobre,
dopo l’uccisione di nove guardie di
frontiera, attribuita a musulmani. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, i militari giungono nei villaggi a notte fonda, attaccando con
l’aiuto di elicotteri che mitragliano
dall’alto le capanne mentre la gente
dorme. Intere famiglie muoiono arse
vive fra le fiamme delle loro case,
prosegue il rapporto dell’Unhchr,
che denuncia anche la distruzione di
negozi, moschee e scuole. Si registrano anche casi di torture e di persone scomparse.
Chi può, fugge. La foto simbolo
della tragedia dimenticata e della
sofferenza del popolo rohingya, apparsa circa un mese fa sui media di
tutto il mondo, è quella del piccolo
Mohammed, un bambino di soli sedici mesi a faccia in giù nel fango,
morto annegato durante la fuga con
la sua famiglia.
stein, Luogotenente Interinale, per
il maggior bene dell’Ordine e la riconciliazione tra tutte le sue componenti, religiose e laicali. Ella affiancherà e sosterrà il Luogotenente nella preparazione del Capitolo
straordinario, e insieme deciderete
le modalità di uno studio in vista
dell’opportuno aggiornamento della Carta Costituzionale dell’O rdine
e dello Statuto Melitense.
Lei, in particolare, curerà tutto
ciò che attiene al rinnovamento
spirituale e morale dell’O rdine,
specialmente dei Membri professi,
affinché sia pienamente realizzato
il fine «di promuovere la gloria di
Dio mediante la santificazione dei
Membri, il servizio alla Fede e al
Santo Padre e l’aiuto al prossimo»,
come recita la Carta Costituzionale.
Fino al termine del Suo mandato, cioè fino alla conclusione del
Capitolo straordinario che eleggerà
il Gran Maestro, Lei sarà il mio
esclusivo portavoce in tutto ciò che
attiene alle relazioni tra questa Sede Apostolica e l’Ordine. Le delego, pertanto, tutti i poteri necessari
per decidere le eventuali questioni
che dovessero sorgere in ordine
all’attuazione del mandato a Lei affidato.
Mentre La ringrazio per la disponibilità ad assumere il suddetto
incarico, Le assicuro la mia preghiera e Le impartisco di cuore la
Benedizione Apostolica, che volentieri estendo a tutti i membri
dell’O rdine.
Dal Vaticano, 2 febbraio 2017
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza gli Eminentissimi Cardinali:
— Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi;
— Leonardo Sandri, Prefetto
della Congregazione per le
Chiese Orientali.
Il Santo Padre ha accettato la
rinuncia all’ufficio di Ausiliare
della Diocesi Patriarcale di Gerusalemme dei Latini, presenta-
Trump vara nuove norme
per Wall Street
WASHINGTON, 4. Il presidente degli Stati Uniti, Donald
Trump, ha firmato due provvedimenti esecutivi per allentare la regolamentazione finanziaria attraverso il riesame della
legge Dodd-Frank voluta dal suo predecessore Barak Obama nel 2010 per fronteggiare la crisi economica.
Uno dei due interventi riguarda la cosiddetta fiduciary
rule e l’altro i “principi chiave” che guidano il dipartimento
del tesoro nell’attuare le regolamentazioni finanziarie.
«Quello che stiamo firmando oggi sono principi chiave che
regolano il sistema finanziario degli Stati Uniti», ha detto
la deputata repubblicana Ann Wagner, stretta collaboratrice
di Trump in questo ambito. «Quello che stiamo facendo è
restituire il controllo del proprio risparmio al popolo americano, agli investitori con redditi bassi e medi, ai pensionati», ha aggiunto.
Intanto un giudice federale di Seattle, James Robart, ha
sospeso in maniera temporanea e su tutto il territorio nazionale il divieto di ingresso nel paese imposto dalla Casa
Bianca agli immigrati di sette paesi a maggioranza musulmana e ai rifugiati. La sospensione resterà in vigore fino a
quando il giudice Robart prenderà una decisione definitiva
sulla legalità dell’ordine presidenziale o fino a che una
istanza giudiziaria superiore non decida di rimuoverla.
L’amministrazione ha annunciato che gli avvocati della
Casa Bianca presenteranno «il prima possibile» un ricorso.
«L’ordine esecutivo ha l’obiettivo di proteggere il paese e il
presidente ha il dovere costituzionale e la responsabilità di
proteggere gli americani», si legge in un comunicato
dell’amministrazione statunitense.
ta da Sua Eccellenza Monsignor Maroun Elias Lahham,
Arcivescovo titolare di Medaba.
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo di Tarahumara (Messico) il Reverendo Padre Juan
Manuel González Sandoval,
M.N.M., Parroco del Sagrado
Corazón nella medesima Diocesi.
Mostra per i cento anni
di Trento Longaretti
«Cristo fra Oriente e Occidente» (1971)
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L’OSSERVATORE ROMANO
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domenica 5 febbraio 2017
La firma dell’Accordo quadro
tra Santa Sede e Repubblica del Congo
Piano sui migranti mentre si parla di Europa a due velocità
Mediterraneo
e futuro dell’Ue
BRUXELLES, 4. L’Europa approva il
piano per chiudere la rotta dei migranti dalla Libia verso l’Italia, con
la promessa di fare qualcosa per migliorare le condizioni di vita nei centri dove verranno riportati. Intanto,
per il futuro dell’Ue riemerge l’idea
di un’unione a due velocità. È il
cancelliere tedesco Angela Merkel a
parlarne.
Nel vertice informale di Malta,
che si è svolto ieri, i 28 hanno dato
il via libera alle proposte di azione
preparate dall’alto rappresentante
per la politica estera e di sicurezza
comune dell’Ue, Federica Mogheri-
Identificato
l’attentatore
al museo
del Louvre
PARIGI, 4. È stato identificato
l’attentatore che ieri ha sferrato
un attacco con due machete
all’ingresso del Carrousel du Louvre, a Parigi, ferendo due militari
prima di essere ferito a sua volta
da un terzo soldato. L’uomo è
egiziano si chiama Abdallah E.
H., ha 29 anni ed era arrivato in
Francia con un volo da Dubai, atterrato all’aeroporto di Roissy
Charles de Gaulle lo scorso 26
gennaio. Incensurato, aveva ottenuto un regolare visto e sarebbe
dovuto ripartire domenica prossima. Il procuratore François Molins ha precisato che l’uomo, ferito al ventre e attualmente ricoverato in condizioni critiche, aveva
acquistato «i due machete in
un’armeria vicino alla Bastiglia il
28 gennaio». Sul suo passaporto,
ha aggiunto, sono presenti i visti
per l’Arabia Saudita e la Turchia,
risalenti al 2015 e il 2016.
«La minaccia terroristica è sempre presente e noi dobbiamo farvi
fronte», ha commentato il presidente francese François Hollande,
a Malta per partecipare al vertice
dell’Unione europea.
I militari aggrediti fanno parte
dei
7500
soldati
impegnati
nell’operazione Sentinelle, un piano di sicurezza attivato nel paese
nel gennaio 2015, subito dopo
l’attacco alla redazione di Charlie
Hebdo. L’operazione fu organizzata in soli tre giorni mobilitando
fino a 10.500 militari sul territorio, con l’obiettivo di «dissuadere
e proteggere» e affiancare le forze
dell’ordine. Il progetto è andato
avanti nel corso dei mesi fino a
una sua riorganizzazione nel settembre 2016.
Intanto, è stato reso noto che il
museo del Louvre, chiuso ieri dopo l’attacco, è stato riaperto oggi.
ni, e dalla commissione europea per
fermare i flussi nel Mediterraneo. Lo
hanno fatto dopo aver salutato con
favore l’accordo firmato, a Roma,
dal presidente del consiglio dei ministri italiano, Paolo Gentiloni, e il
capo del governo di unità nazionale
libico, Fayez Al Sarraj, che a livello
bilaterale propone lo stesso tipo di
intervento. In sostanza, si tratta di
assicurare contributi finanziari e formazione professionale alle forze di
Tripoli perché blocchino le partenze
o gestiscano i salvataggi e i rientri
dei migranti che si avventurano dalle
coste libiche a quelle italiane.
Il piano punta a tagliare gli arrivi
dal paese africano, così come l’intesa
di un anno fa tra Bruxelles e Ankara
ha fatto crollare del 98 per cento
quelli dalla Turchia. Allora sono stati impegnati tre miliardi in tre anni,
ora ci sono 200 milioni aggiuntivi
per il 2017 dal bilancio europeo e,
forse, altri contributi da Francia e
Germania.
La Caritas italiana denuncia però
i rischi di un accordo «fatto contro i
più deboli» definendolo «un’operazione a perdere per tutti». L’O rganizzazione internazionale per i migranti (Oim) e l’alto commissariato
dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) raccomandano invece la serietà di «investimenti e presenze, per rendere la
permanenza dei rifugiati più civile
umana e organizzata».
Joseph Muscat, primo ministro di
Malta, presidente di turno dell’Ue,
ha dichiarato che «per la prima volta si raggiungono progressi importanti e allo stesso tempo c’è unità,
due aspetti che non vanno sottostimati». E proprio l’unità viene invocata a proposito degli altri due temi
affrontati nel vertice, che rappresentano le sfide più urgenti per Bruxelles. Secondo quanto emerso dalle
varie dichiarazioni dei leader, il primo tema è quello del rapporto con
gli Stati Uniti con la presidenza di
Donald Trump. A questo proposito,
alcuni si sono detti d’accordo con il
presidente francese, François Hollande, che ha definito «inaccettabile il
fatto che il tycoon-presidente faccia
pressioni su quello che l’Europa
debba o non debba essere».
L’altro tema è il futuro della Ue
dopo la Brexit, che — ha affermato
Angela Merkel — potrebbe essere a
«differenti velocità». Secondo Merkel, i leader europei potrebbero impegnarsi in tal senso fin dal prossimo 25 marzo, quando si incontreranno a Roma per le celebrazioni del
sessantesimo anniversario del Trattato che istituì la comunità europea.
In quell'occasione i leader europei
saranno chiamati a tracciare la tabella di marcia da seguire per ripensare
un’Europa senza il Regno Unito.
Merkel ha dichiarato che «non tutti
parteciperanno ai vari passi dell’integrazione europea». Già nel vertice a
La Valletta altri hanno avanzato proposte. Ad esempio, i tre paesi del
Benelux hanno ribadito che tra le
priorità assolute dei prossimi mesi
deve esserci l’obiettivo di sviluppare
la difesa comune europea.
Accordo quadro tra la Santa Sede
e la Repubblica del Congo
Venerdì 3 febbraio, a Brazzaville,
presso il Palazzo del popolo della
Repubblica del Congo, alla presenza del Presidente della Repubblica,
S.E. il Sig. Denis Sassou-N’guesso,
è stato firmato l’«Accordo quadro
tra la Santa Sede e la Repubblica
del Congo sulle relazioni tra la
Chiesa cattolica e lo Stato».
Per la Santa Sede ha firmato
l’Em.mo Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, e
per la Repubblica del Congo S.E. il
Sig. Clément Mouamba, Primo Ministro.
Hanno assistito al solenne atto:
Per parte della Santa Sede: S.E.
Mons. Francisco Escalante Molina,
Comprensione e collaborazione
Di seguito pubblichiamo una traduzione italiana del discorso pronunciato
dal cardinale segretario di Stato durante la cerimonia per la firma
dell’Accordo quadro tra Santa Sede e
Repubblica del Congo.
Signor presidente
della Repubblica del Congo,
signor primo ministro,
signor ministro degli Affari esteri
e della cooperazione,
cari confratelli nell’episcopato,
signori membri del Governo
e membri del corpo diplomatico,
distinti ospiti,
Sono onorato e lieto di trasmettere
a lei, signor presidente, e a tutte le
autorità dello Stato, i saluti paterni
di sua Santità Papa Francesco, con
la sua propizia benedizione apostolica estesa a tutto l’amato popolo
della Repubblica del Congo.
L’evento di questo giorno costituisce una nuova tappa, d’importanza storica, nelle relazioni tra la
Santa Sede e la Repubblica del
Congo.
È in un clima gioioso e festivo
che celebriamo oggi il quarantesimo
anniversario delle nostre relazioni
diplomatiche, con la firma dell’Accordo quadro tra la Repubblica del
Congo e la Santa Sede sulle relazioni tra lo Stato e la Chiesa cattolica.
Si estende la protesta in Romania
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GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Imponente manifestazione nella capitale romena (Afp)
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
le della Sezione per i Rapporti con
gli Stati della Segreteria di Stato;
Rev.do Patrick Han Saw Zay, Segretario della Nunziatura Apostolica.
Per parte della Repubblica del
Congo: S.E. Sig. Firmin Ayessa,
Ministro di Stato e Direttore del
Gabinetto del Presidente della Repubblica; S.E. Sig. Raymond Zéphirin Mboulou, Ministro degli Interni, Decentralizzazione e Sviluppo
Locale; S.E. Sig. Jean Claude Gakosso, Ministro degli Affari Esteri,
della Cooperazione e dei Congolesi
all’estero; Sig. Jean Baptiste Ondaye, Segretario Generale della Presidenza della Repubblica; Sig. Benjamin Boumakani, Segretario Genera-
Il discorso del cardinale segretario di Stato
Oltre 250.000 in piazza contro il decreto che depenalizza la corruzione
BUCAREST, 4. Per il terzo giorno consecutivo, oltre
250.000 persone sono scese in piazza nelle principali città della Romania per protestare contro il decreto del governo, che ha depenalizzato la corruzione e l’abuso di
ufficio. Le manifestazioni, hanno detto gli organizzatori,
andranno avanti a oltranza finché il governo guidato dal
premier socialdemocratico, Sorin Grindeanu, non ritirerà il provvedimento. Il presidente, Klaus Iohannis, si è
schierato dalla parte dei dimostranti e ha annunciato
che chiederà alla Corte costituzionale di dichiarare illegittimo il decreto governativo, che riporterebbe in libertà le decine di politici, magistrati, funzionari pubblici e
uomini d’affari finiti dietro le sbarre dopo che, negli anni scorsi, le inchieste della magistratura avevano confermato numerosi casi di corruzione.
Nunzio Apostolico in Congo; S.E.
Mons. Anatole Milandou, Arcivescovo di Brazzaville; S.E. Mons.
Daniel Mizonzo, Vescovo di Nkai e
Presidente della Conferenza Episcopale; S.E. Mons. Louis PortellaMbuyu, Vescovo di Kinkala; S.E.
Mons. Miguel Angel Olaverri
S.D.B., Vescovo di Pointe-Noire;
S.E. Mons. Yves Marie Monot, Vescovo di Ouesso; S.E. Mons. Jean
Gardin, Vescovo di Impfondo; S.E.
Mons. Victor Abagna Mossa, Vescovo di Owando; S.E. Mons. Urbain Ngassongo, Vescovo di Gamboma; S.E. Mons. Bienvenu Manamika, Vescovo di Dolisie; Rev.do
Mons. Gianfranco Gallone, Officia-
le del Governo; Sig. Martin Adouki, Consigliere del Presidente della
Repubblica, Capo del Dipartimento
Diplomatico; Sig. Cyprien Sylvestre
Mamina, Segretario Generale del
Ministero degli Affari Esteri; Sig.ra
Gisèle Ngondo, Direttore del Gabineto del Ministro degli Affari Esteri; Sig. Jean Jacques Luc Nianga,
Segretario Generale aggiunto del
Ministero degli Affari Esteri; Sig.
Albert Nkoua, Segretario Generale
aggiunto, Capo del Dipartimento
per Africa, Europa, America, Asia e
Oceania; e Sig. Sidney Audrey
Adoua Mbongo, Direttore degli Affari Giuridici presso il Ministero degli Affari Esteri.
L’Accordo quadro, costituito da
un preambolo e 18 articoli, garantisce alla Chiesa la possibilità di svolgere la propria missione nel Congo.
In particolare, viene riconosciuta la
personalità giuridica della Chiesa e
delle sue istituzioni. Le due parti,
pur salvaguardando l’indipendenza
e l’autonomia che sono loro proprie, si impegnano a collaborare per
il benessere morale, spirituale e materiale della persona umana e per la
promozione del bene comune.
L’Accordo quadro entrerà in vigore
con lo scambio degli strumenti di
ratifica.
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
[email protected] www.photo.va
Come sapete, dal 1977 la Santa
Sede e il Congo hanno rafforzato i
rapporti di amicizia che già intrattenevano nel quadro della comunità
internazionale, stabilendo relazioni
diplomatiche formali, con, per
quanto riguarda la Santa Sede,
l’istituzione di una nunziatura apostolica a Brazzaville e la conseguente presenta stabile nel Paese di un
nunzio apostolico.
La presenza a livello locale di
una tale rappresentanza pontificia
permette alla Santa Sede di facilitare il dialogo con le autorità civili, di
promuovere i contatti tra le Chiese
locali e di mantenere la sua presenza nella vita internazionale. Come
enuncia il Codice di diritto canonico, oltre al suo ruolo di rappresentante del Santo Padre presso la
Chiesa locale, il nunzio apostolico
ha la missione di promuovere e di
sostenere le relazioni tra la Sede
apostolica e la comunità politica e
istituzionale, così come di affrontare
le questioni che concernono i rapporti tra la Chiesa e lo Stato (cfr.
canone 365, § 1).
Come il passato ci illumina per
capire il presente e costruire un futuro migliore, così i valori spirituali
e morali che hanno accompagnato
finora il nostro cammino comune,
continueranno a ispirarci nelle nostre decisioni di oggi e di domani.
Concludiamo in questo giorno un
accordo bilaterale riguardante disposizioni d’interesse comune per la
vita e l’attività della comunità cattolica in Congo. Queste concernono,
in particolare, il riconoscimento,
nell’ambito civile, della personalità
giuridica pubblica della Chiesa cattolica, e delle sue principali istituzioni, l’indipendenza della Chiesa
cattolica nel culto e nell’apostolato,
e il suo apporto specifico nei diversi
ambiti della vita del Paese.
La visita storica di san Giovanni
Paolo II in Congo, nel maggio del
1980, ha costituito una testimonianza visibile della sollecitudine della
Santa Sede verso questo amato paese, e l’accordo che abbiamo appena
firmato vuole simboleggiare la realizzazione di ciò che Papa Giovanni
Paolo II aveva allora espresso, nel
suo discorso rivolto al presidente
del Congo e alla nazione: «Lo Sta-
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
[email protected]
Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
to può contare sulla leale collaborazione della Chiesa, dal momento
che si tratta di servire l’uomo e di
contribuire al suo progresso integrale. E la Chiesa, in nome della sua
missione spirituale, chiede da parte
sua la libertà di rivolgersi alle coscienze così come la possibilità per i
credenti di professare pubblicamente, di alimentare e di annunciare la
loro fede... La libertà religiosa è infatti al centro del rispetto di tutte le
libertà e di tutti i diritti inalienabili
della persona» (Viaggio apostolico
in Africa, Discorso di Giovanni Paolo
II al presidente della Repubblica del
Congo e alla nazione, Brazzaville, 5
maggio 1980).
Anche se la Chiesa e la comunità
politica operano in modo indipendente e su piani diversi, entrambe
servono gli stessi soggetti, che spesso sono al contempo fedeli della
Chiesa e cittadini dello Stato.
In questa missione di servizio a
favore della dignità di ogni uomo,
ampio è lo spazio per il dialogo e la
cooperazione. In realtà è al centro
di questa mutua cooperazione che
si colloca il nostro impegno per il
bene comune e per la promozione
dei valori spirituali e morali che
conferiscono alla società congolese
il suo fondamento e la sua solidità.
Speriamo che questo accordo
quadro — che riprende in modo
ideale la pratica della Santa Sede di
consolidare legami duraturi di amicizia con tutti i paesi in cui opera —
avrà una portata rilevante e positiva, non solo per questo paese, ma
anche per tutta la regione.
È bene sottolineare che con questo accordo la Chiesa cattolica non
cerca in alcun modo di ottenere privilegi particolari a spese di altre
confessioni. Si tratta semplicemente
di definire qui il quadro giuridico
dell’attività della Chiesa cattolica e
dei suoi rapporti con l’autorità civile, per il bene dei fedeli e della società congolese.
È ardente desiderio della Sede
Apostolica di accompagnare con
sollecitudine il popolo congolese
nelle sfide attuali a cui deve far
fronte. A tale proposito, la Santa
Sede spera vivamente che l’accordo
permetta in particolare di rafforzare
non solo la comprensione reciproca,
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
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ma anche la collaborazione tra le
comunità religiose, e ciò, in modo
ancora più fruttuoso per il bene del
paese, in questa fase importante
della sua storia.
Confidiamo che l’attuazione di
tale accordo possa contribuire all’irradiamento della Repubblica del
Congo sul piano internazionale, attestando ancora che il Congo tratta
con rispetto le comunità religiose e
attribuisce una reale importanza ai
principi del diritto riconosciuti a livello internazionale, e in particolare
al principio fondamentale di libertà
religiosa: è in tal senso che il documento costituisce anche un bene a
favore di tutte le istanze religiose,
cattoliche e non cattoliche.
Signor presidente,
La ringrazio per la sua ospitalità
e la sua accoglienza. Ringrazio il
primo ministro per i nobili sentimenti che ha voluto esprimerci. Anche noi siamo convinti che l’accordo quadro rappresenti uno sviluppo
positivo nel consolidamento dello
Stato di diritto e dei principi democratici sui quali il Congo s’impegna
a rafforzare il proprio avvenire.
A nome della Santa Sede, vorrei
ringraziare le più alte autorità dello
Stato e tutte le persone che hanno
contribuito alla felice conclusione
dei negoziati. Esprimo profonda
gratitudine al primo ministro, al ministro degli Affari esteri, ai membri
del Senato e dell’Assemblea.
Rivolgo un ringraziamento particolare ai membri della commissione
bipartita del Governo e della Santa
Sede, che hanno assunto, con grande dedizione e in uno spirito di fiducia reciproca, il delicato compito
di armonizzare le diverse proposte.
Concludendo, desidero formulare
il mio più vivo augurio di progresso
alla Repubblica del Congo, non solo sul piano materiale, ma anche e
soprattutto sul piano spirituale.
Questo augurio, che accompagniamo con la nostra fervente preghiera, è che le relazioni tra le alte
parti contraenti possano continuare
a svilupparsi negli anni futuri e che
le disposizioni del presente accordo
internazionale concorrano al mantenimento della convivenza pacifica,
come anche allo sviluppo integrale
del Paese.
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L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 5 febbraio 2017
pagina 3
Civili in attesa degli aiuti umanitari
in un campo profughi nei pressi di Mosul (Ap)
Il fenomeno del superlavoro tra i giovani giapponesi
Vittime
del karoshi
GINEVRA, 4. Fino a 250.000 iracheni
potrebbero fuggire dalle loro case a
Mosul in previsione di una nuova
offensiva militare nei quartieri occidentali della città ancora occupati
dai jihadisti del cosiddetto stato islamico (Is). L’allarme è stato lanciato
dalle Nazioni Unite mentre l’alto
commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) e altre agenzie e partner già si preparano a rispondere a
questa «possibile, nuova, significativa fuga di iracheni» come ha dichiarato il portavoce Matthew Saltmarsh
ai giornalisti a Ginevra.
Nei quartieri occidentali di Mosul
vivono circa 750.000 persone. Decine di migliaia sono fuggite dalla città dopo l’avvio, a metà ottobre,
dell’offensiva militare contro l’Is nei
quartieri orientali. L’Unhcr ha allestito sette campi di accoglienza (altri
due sono in fase di costruzione) e al
momento è garantita l’assistenza a
circa 11.000 famiglie (circa 66.000
persone).
E, intanto, l’acqua potabile torna
a scorrere a Raqqa, roccaforte dell’Is
da Tokio
CRISTIAN MARTINI GRIMALDI
Secondo l’Onu la battaglia potrebbe provocare altri 250.000 profughi
In fuga da Mosul
nel nord-est della Siria rimasta a
secco a seguito di una serie di raid
aerei. «L’acqua inizia a tornare in
città dopo che sono state riparate
alcune condutture idriche colpite»
hanno confermato all’agenzia di
stampa Dpa gli attivisti del gruppo
«Al-Raqqa is Being Slaughtered Silently».
Raqqa è sotto il controllo dell’Is
dal 2014 e si ritiene che nella città
vivano più di 200.000 persone. Negli ultimi mesi la zona è stata obiettivo di raid aerei effettuati sia dalla
coalizione internazionale anti-Is che
dalla Russia.
Nel frattempo, il ministero degli
esteri russo ha denunciato che
proiettili di mortaio hanno colpito
l’area in cui sorge l’ambasciata russa
a Damasco.
Secondo Mosca, si tratta di «un
nuovo attacco terroristico» che ha
«l’evidente obiettivo di infrangere il
regime di cessazione delle ostilità e
far deragliare gli sforzi nel processo
politico siriano».
Dopo l’attacco dei miliziani huthi a una fregata saudita
Colloquio tra il premier Abe e il capo del Pentagono Mattis
Nave statunitense
al largo dello Yemen
Tokyo e Washington
rafforzano l’alleanza
SANA’A, 4. Significativo messaggio
dell’amministrazione
Trump
sia
all’Iran — cui sono state inflitte nuove sanzioni — che all’Arabia Saudita,
con la quale, durante la presidenza
Obama, i rapporti si erano molto
raffredati. Il Pentagono ha inviato
nelle acque a largo delle coste occidentali dello Yemen il cacciatorpediniere Uss Cole (la nave colpita il 12
ottobre 2000 nel porto di Aden da
un barchino suicida in quello che
viene considerato il primo attentato
di Al Qaeda contro gli Stati Uniti in
cui morirono 17 marinai americani,
quasi un anno prima dell’11 settembre 2001) in risposta all’attacco condotto martedì 30 gennaio dai ribelli
huthi, contro una fregata saudita.
La Uss Cole, che stava operando
nel golfo persico, sarà ora nelle ac-
Sanzioni
degli Stati Uniti
a Teheran
WASHINGTON, 4. Gli Stati Uniti
hanno imposto nuove sanzioni a
carico dell’Iran, dopo il lancio
sperimentale di un missile balistico effettuato domenica scorsa da
Teheran. Si tratta delle prime sanzioni varate dall’amministrazione
di Donald Trump, che ne aveva
preannunciato l’adozione. E secondo il ministero del tesoro americano riguarderanno 25 soggetti,
individui e imprese nella stessa
Repubblica islamica ma anche in
Cina, paese indicato come sostenitore del programma missilistico
di Teheran. Si tratta peraltro di
provvedimenti distinti rispetto a
quelli tuttora in vigore relativi alle attività nucleari di Teheran.
«L’ininterrotto appoggio iraniano
al terrorismo e lo sviluppo del
suo programma per missili balistici, rappresentano una minaccia
all’intera regione, ai nostri alleati
in tutto il mondo e agli stessi Stati Uniti» ha affermato in un comunicato John Smith, direttore
ad interim dell’ufficio per il controllo delle proprietà straniere
presso il dicastero del tesoro.
L’Iran reagirà in maniera «speculare» alla decisione dell’amministrazione Trump e prenderà iniziative contro «individui e aziende statunitensi» che appoggiano
gruppi «terroristi». Lo ha annunciato ieri sera il ministero degli
esteri, a Teheran.
que dello stretto di Bab El Mandeb
(la porta delle lacrime), lo stretto di
30 chilometri che divide lo Yemen
nella penisola arabica, da Gibuti in
Africa. Stretto considerato uno dei
cosiddetti checkpoint: gli stretti da
cui transita la maggioranza delle petroliere. Il cacciatorpediniere «è stato spostato nella regione in risposta
a quanto accaduto alla fregata saudita» ha riferito il Pentagono.
Martedì tre barchini imbottiti di
esplosivi, pilotati da attentatori suicidi si sono diretti a tutta velocità
contro la nave da guerra saudita.
Due sono stati neutralizzati mentre
il terzo si è schiantato contro la poppa uccidendo due marinai di Riad.
Lo schieramento del cacciatorpediniere statunitense nelle acque yemenite (nel paese è in corso una
sanguinosa guerra che ha già provocato oltre 7300 morti, 40.000 feriti e
circa tre milioni di sfollati) è un ulteriore avvertimento della nuova amministrazione di Washington a Teheran dal compiere nuove provocazioni, dopo il lancio di un missile balistico. Ma è anche un gesto di sostegno incondizionato a Riad con cui
Trump intende ricucire i rapporti
che si era incrinati dopo sotto la
presidenza Obama. Nella stessa area
dove incrocia ora il cacciatorpediniere Uss Cole operano da giorni due
navi da guerra anfibie statunitensi la
Comstock e Makin Island.
TOKYO, 4. Il segretario alla difesa
statunitense, James Mattis, in visita
ufficiale a Tokyo, ha rassicurato il
governo nipponico che l’alleanza
tra Stati Uniti e Giappone continuerà a essere «una pietra miliare»
per la stabilità nella regione.
Confermando l’impegno di Washington a difendere il Giappone,
anche sulla questione delle isole
contese con la Cina, Mattis — durante un incontro con il primo ministro nipponico, Shinzo Abe — ha
dichiarato che «gli Stati Uniti rimangono determinati a garantire la
sicurezza del Giappone e il nostro
impegno non è cambiato rispetto a
un anno fa».
La prima visita di un rappresentante della nuova amministrazione
di Washington è servita, dunque, a
rassicurare il Giappone sulla continuità della relazione strategica e
militare che lega i due paesi all’interno della sempre più volubile regione dell’Asia-Pacifico.
La visita di Mattis a Tokyo ha
anche permesso di gettare le basi
tra le due diplomazie in previsione
dell’imminente incontro del 10 febbraio prossimo alla Casa Bianca tra
Abe e il presidente statunitense,
Donald Trump. Un’occasione — rilevano gli analisti — per discutere
di alcuni temi scottanti sollevati da
Trump durante la campagna presi-
denziale: le accuse a Tokyo di svalutare la propria valuta e le procedure scorrette sui trattati commerciali. In base al trattato bilaterale
sulla sicurezza tra i due paesi, gli
Stati Uniti mantengono un contingente di circa 50.000 militari in
Giappone, che servono a rispondere a ogni evenienza nella regione,
inclusa la minaccia nucleare della
Corea del Nord.
Il governo di Tokyo sostiene che
il regime comunista di Pyongyang
ha ulteriormente sviluppato la capacità di gittata dei missili nucleari, dopo gli ultimi due test atomici
condotti lo scorso anno e i lanci di
oltre venti missili balistici. Tra le
altre preoccupazioni di Tokyo, le
dispute territoriali con Pechino nel
Mar della Cina orientale. Anche su
questo tema, Mattis ha confermato
l’impegno degli Stati Uniti a sostegno dell’alleato.
Prima di giungere a Tokyo,
Mattis si era recato nella Corea del
Sud. Nel corso di un vertice a
Seoul con il presidente sudcoreano,
Hwang Kyo-an, il capo del Pentagono ha confermato entro la fine
del 2017 lo schieramento nella zona
meridionale della Corea del Sud
dei sofisticati sistemi antimissile
statunitensi Thaad, come deterrenza verso la crescente minaccia nucleare nordcoreana.
Il governo giapponese ha recentemente annunciato misure per ridurre la quantità di straordinari che i
dipendenti possono fare, nel tentativo di contrastare il fenomeno delle morti da super lavoro (karoshi).
In Giappone la morte da superlavoro non è affatto un evento raro.
Nel 2015 il governo ha ufficialmente riconosciuto circa 2000 casi e si
stima un numero ancora maggiore
per il 2016.
Ma se karoshi è diventata una
parola ricorrente nei discorsi dei
giapponesi lo si deve al caso di
una ragazza ventiquattrenne che si
è tolta la vita prima di Natale. La
giovane si era gettata dal terzo piano della stanza del dormitorio nel
quale viveva. I media internazionali non hanno evidenziato abbastanza questo particolare. Il luogo del
suicidio la dice lunga, infatti, sul
reale significato del lavoro per un
giovane giapponese: mangiare e
dormire nello stesso posto dove si
lavora (soprattutto nei primi anni
dopo l’assunzione) è una prassi
quasi scontata. Il suicidio della ragazza è avvenuto in un’azienda tra
l’altro già tristemente famosa per il
trattamento disumano a cui sottoponeva da anni i propri dipendenti.
Il grande clamore suscitato, e
non solo in Giappone, da questo
caso è dovuto ad alcuni messaggi
diventati virali sui social media. La
giovane, che totalizzava una media
di 105 ore di straordinari al mese,
aveva infatti condiviso su Twitter,
senza giri di parole ed eufemismi,
il proprio stato d’animo: «Hanno
deciso ancora una volta che dovrò
lavorare sabato e domenica. Ho seriamente voglia solo di farla finita». Si leggeva in uno dei suoi
tweet poco prima di compiere il
gesto estremo.
Un sondaggio del governo giapponese ha rivelato che un quinto
dei dipendenti del paese deve vedersela con il rischio di morte da
superlavoro. Il 22,7 per cento delle
imprese impiegano personale che
produce più di 80 ore di straordinario al mese. Queste 80 ore — circa quattro ore al giorno da aggiungere ai normali orari di ufficio —
sono ufficialmente conosciute come
soglia oltre la quale il rischio di
morte si moltiplica in modo drammatico. Ma nel 12 per cento delle
aziende i dipendenti producono
ben oltre le 100 ore mensili di
straordinarie.
Quasi il 30 per cento di questi
dipendenti oberati di lavoro sono
impiegati nel settore dell’It e delle
comunicazioni, come in quelli del
mondo accademico, dei servizi postali e di trasporto.
Il governo sta cercando di attuare un cambiamento di mentalità
all’interno delle aziende per incoraggiare maggiore flessibilità e,
Dal voto per il rinnovo dei governi di cinque stati importanti indicazioni per la tenuta del governo Modi
Test elettorale in India
Donne in attesa di votare in un seggio nel Punjab (Ansa)
NEW DELHI, 4. Importante test elettorale oggi in India, dove milioni di
persone sono chiamate alle urne per
rinnovare i governi di cinque stati.
Le elezioni — che dureranno cinque
settimane, pratica molto comune nel
subcontinente — sono definite dagli
analisti cruciali per il governo del
premier nazionalista indù, Narendra
Modi, perché fornirà il polso
dell’opinione pubblica indiana dei
suoi quasi tre anni al potere, soprattutto dopo la sua scelta, molto criticata, di mettere fuori corso i tagli
più grossi delle banconote.
Una mossa che lo scorso anno ha
provocato mesi di crisi in un paese
dove i conti correnti bancari non sono diffusi nella maggioranza della
popolazione, abituata a conservare in
contanti il proprio patrimonio.
I tre principali partiti che si affrontano sono il Bharatiya Janata
Party (Bjp, di Modi), il Congresso I
(centro-sinistra) di Sonia Gandhi, attualmente guidato dal figlio Rahul,
che uscì fortemente ridimensionato
nelle legislative di maggio 2014, e
l’App (partito dell’uomo comune) di
Arvind Kejriwal. Le operazioni di
voto inizieranno nel Punjab, a nord,
e a Goa, l’ex colonia portoghese.
Ma il test principale per Modi si
avrà nello stato più popoloso, l’Uttar
Pradesh, dove il Bjp ha vinto le legislative nel 2014. Si tratta dello stato
che invia il maggior numero di deputati nella camera alta del parlamento indiano, dove il Bjp non ha la
maggioranza. Secondo gli ultimi
sondaggi, il Bjp dovrebbe perdere
nel Punjab, dove è prevista una ripresa del partito del congresso I. Gli
altri stati dove si voterà sono l’Uttarakhand e Manipur. Il risultato si conoscerà solo l’11 marzo prossimo.
conseguentemente, ridurre lo stress.
«Il Giappone ha bisogno di ridurre
le ore dedicate al lavoro allo scopo
di indirizzare il tempo alla famiglia, ai figli e anche alla cura degli
anziani», ha ribadito recentemente
un portavoce dell’esecutivo.
Il primo ministro, Shinzo Abe, e
il suo governo alla ricerca di un
metodo efficace per imporre un limite allo straordinario stanno per
varare un sistema chiamato «Premium Venerdì». La campagna, guidata dalla Japan Business Federation, permetterà ai lavoratori di lasciare presto l’ufficio l’ultimo venerdì di ogni mese.
Ma i critici di questa iniziativa
non hanno tardato a farsi sentire,
mettendo in evidenza come con
questa misura non si stabilisce in
alcun modo un migliore equilibrio
tra ore dedicate alla propria vita
privata e quelle destinate al lavoro,
tanto più che la Japan Business Federation ha relativamente pochi
membri: 1300 aziende su oltre 2,5
milioni di imprese registrate.
Allo stesso tempo il Giappone si
ritrova a essere uno dei paesi al
mondo meno generosi per quanto
riguarda le ferie. I dipendenti hanno mediamente diritto a dieci giorni di ferie pagate, ma a zero festività nazionali retribuite (l’Australia,
in confronto, offre 20 giorni di ferie pagate e otto giorni di festività
pubbliche pagate). Non solo. Molti
lavoratori non utilizzano nemmeno
la metà dei giorni di ferie che hanno a disposizione.
Allo stato attuale il governo
giapponese punta a ridurre la percentuale di dipendenti che lavorano più di 60 ore alla settimana a
meno del cinque per cento della
forza lavoro totale, ed entro il 2020
(data non certo casuale, in quanto
è l’anno delle Olimpiadi che si
svolgeranno a Tokyo, ovvero quando gli occhi di tutto il mondo saranno puntati sul paese) intende
convincere i lavoratori a prendersi
almeno il 70 per cento delle vacanze a cui hanno diritto.
Ma il problema delle morti da
superlavoro difficilmente potrà essere risolto dall’alto: attraverso una
legislazione tra l’altro già sperimentata in anni passati e con scarsi
risultati. Il karoshi è un problema
che nasce innanzitutto dalle dinamiche sociali all’interno della società giapponese: la pressione sociale
in combinazione con il desiderio di
non deludere le aspettative da parte di familiari, colleghi e superiori
rende difficile convincere i lavoratori a compiere scelte più “salutari”. E lo è ancor di più quando per
tutta la vita è stato loro insegnato
che ciò che conta non è il proprio
stato d’animo — di un progetto di
vita vagamente felice neppure si
parla — ma la sicurezza materiale,
ovvero ottenere un buon posto di
lavoro e mantenerlo a tutti i costi,
anche i più estremi.
Duterte interrompe
la tregua
con i ribelli maoisti
MANILA, 4. Il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha posto
fine al cessate il fuoco con i ribelli
maoisti e ordinato alle forze armate
di prepararsi alla ripresa dell’offensiva militare. La decisione — indicano gli analisti politici — è stata
presa dopo che i ribelli avevano interrotto la tregua, lanciando diversi
attacchi in risposta al rifiuto del
governo di rilasciare alcuni prigionieri. Duterte, rilevano fonti ufficiali da Manila, ha sostenuto che le
richieste dei ribelli erano divenute
troppo esigenti. I militari filippini
sono impegnati anche in una offensiva su tre fronti contro i gruppi
estremisti di fondamentalisti nel
sud del paese asiatico. Due giorni
fa, il presidente Duterte ha altresì
deciso di schierare l’esercito per
fronteggiare i narcotrafficanti.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
domenica 5 febbraio 2017
Giambattista Tiepolo,
«Martirio di Sant’Agata» (1730 circa)
Sant’Agata nell’arte
La Penelope di Hybla
di FABRIZIO BISCONTI
ella martire siciliana
Agata, protagonista di
un culto largo e disteso
nel tempo, sino ai nostri giorni, abbiamo notizia proprio dagli Atti del giudizio e
dell’uccisione della giovane donna,
ma tali atti sono inseriti in una Passio Sanctae Agathae che, nella redazione giunta sino a noi, mostra le
peculiarità narrative di uno scritto
piuttosto tardo, che dall’età bizantina approda al medioevo. Inoltre, di
questi Atti sono note varie redazioni,
tra le quali una bizantina e due greche assai simili nella dinamica dei
tragici fatti relativi al martirio, che
devono essere discese da un unico
documento, pur esso poco attendibile in tutti i suoi dettagli.
Seppure la città di Palermo vanti i
natali della martire, per quanto possiamo desumere dalle coordinate
agiografiche autentiche della Passio,
tutto si svolge a Catania, come ricordano anche i calendari e i martirologi, che ambientano in questa città la
fine drammatica della giovane donna, durante la feroce persecuzione
D
Nel corso del medioevo
il culto per la martire siciliana
assunse un ruolo protettivo
contro le eruzioni dell’Etna
e contro gli incendi
dell’imperatore Decio, il 5 febbraio
del 251.
Secondo gli Atti contenuti nella
Passio, Agata avrebbe fatto parte di
una nobile famiglia catanese e, anco-
ra fanciulla, avrebbe fatto il voto di
castità, per mantenere il quale avrebbe affrontato molte lotte, sempre coronate dalla vittoria finale. Al tempo
della persecuzione di Decio — sempre secondo gli Atti —
un certo Quintiano
attentò alla castità
della fanciulla, affidandola a una donna
di facili costumi, che
non riuscì a corromperla, per cui fu necessario condurla dinanzi al tribunale per
farle confessare la sua
condizione di convinta cristiana. La fermezza della donna
provocò il primo supplizio: la flagellazione e la tortura con lame di ferro
arroventate. Superata questa prova,
Agata dovette affrontare l’amputa-
zione delle mammelle per essere,
poi, ricondotta in carcere, dove le
apparve san Pietro che la risanò. Il
feroce Quintiano ordinò di distendere la donna su un letto di vasi in
frantumi e carboni ardenti, ma i carnefici furono uccisi dal crollo della
prigione, avvenuto per un improvviso terremoto, mentre la martire serenamente innalzava preghiere a Dio e
spirò. I compagni di fede composero
il suo corpo in un sarcofago, che divenne oggetto di larga venerazione
se vi si recavano anche i pagani,
quando l’Etna eruttava.
Il culto per la martire, dal quartiere di Hybla Maior, dove era sepolta,
si diffuse in tutto il mondo cristiano
antico, come dimostra l’inserimento
della sua commemorazione nel Martirologio geronimiano e nei canoni
della messa a Roma, Milano, Raven-
na e Cartagine. A Roma, Papa Simmaco (498-514) promosse la costruzione di un edificio di culto in onore
della martire sull’antica via Aurelia,
come attesta il Liber Pontificalis,
mentre, nell’anno 593, Papa Gregorio Magno dedicò alla santa catanese
una chiesa della Suburra, costruita al
tempo dei goti ariani.
Nel corso del medioevo, il culto
per la martire siciliana assunse il
ruolo protettivo contro le eruzioni
dell’Etna e, per estensione, contro
gli incendi, tanto che le campane,
che avevano anche una funzione di
avviso in occasione di queste calamità, furono spesso consacrate, con
epigrafi incise, a sant’Agata.
L’iconografia accoglie l’effige della martire solo dal momento bizantino, a cominciare dal duomo di Parenzo e dalla processione delle vergini nella chiesa di Sant’Apollinare
Nuovo a Ravenna, nel corso del VI
secolo, e continuando, oramai nel
medioevo, nella Cappella palatina di
Palermo e nel duomo di Monreale.
In tutti questi casi, le rappresentazioni realizzano un’immagine iconica
della santa, molto neutrale e insignita soltanto della palma del martirio.
L’azione violenta del martirio, evitata per tutto il tempo paleocristiano
e medievale, preferendo l’apoteosi
serena della vittoria sulla morte, appare nel Rinascimento, quando gli
artisti rendono “cifre di riconoscimento” le tenaglie e i seni posti su
una coppa, come dimostrano le opere di Filippo Lippi e Sebastiano del
Piombo. Le più alte punte di drammaticità si toccano con il manierismo e il barocco, secondo quanto te-
stimoniano le suggestive rappresentazioni del Tiepolo e di Van Dyck, a
cui dobbiamo affiancare l’episodio
dell’angelo che guarisce la santa raf-
figurato in affresco da Paolo Veronese nella Chiesa di San Pietro a Murano.
Sino al secolo scorso, una solenne
processione dedicata a Sant’Agata
sfociava in forme di folklore popolare che avevano provocato
una suggestiva leggenda,
trasmessa oralmente, secondo cui la martire catanese, nuova Penelope,
promise a un giovane,
che se ne era innamorato, di sposarlo solo nel
momento in cui avesse
terminato di tessere la
tela che stava lavorando.
Ma Agata — come la
moglie di Ulisse — di
notte disfaceva la tela,
per evitare il matrimonio.
È per questo che la
testimone della fede catanese, oltre a divenire
protettrice delle puerpere, per il motivo del taglio delle mammelle,
tanto che ancora il 5 febbraio si preparano pani
a forma di mammella,
sarà anche protettrice
dei tessitori e, come si è
detto, prodigiosa salvatrice dal fuoco, dagli incendi e dalle eruzioni
vulcaniche.
Francisco de Zurbarán
«Sant’Agata» (1630-1633)
Nella storia ricostruita da Paul Dietschy
Un calcio dai mille volti
di GAETANO VALLINI
enova è in lutto.
Non c’è un bar o
un tabacchi in cui
non se ne parli,
discuta, in cui
non si rimpianga. La Conferenza Internazionale? E a chi importa? Quella
mezza dozzina di uomini che pretendono di ricostruire l’Europa possono riunirsi stasera a ubriacarsi di cock-tail. Il
grande evento è la sconfitta del Genoa.
Ventimila persone hanno assistito alla
partita e hanno diffuso ovunque la triste
novella. La passione di massa esiste». È
il 15 maggio 1922, la Pro Vercelli è campione d’Italia. Sulla prima pagina di
«Ordine Nuovo», il rivoluzionario quotidiano, poi divenuto periodico, fondato
da Antonio Gramsci, campeggia un articolo che non parla di politica. Anzi la
notizia internazionale più importante è
declassata in un taglio più basso. Gramsci, fine intellettuale, aveva capito l’importanza del calcio dal punto di vista
sociale. Già il 26 agosto 1918 sull’«Avanti! », organo del partito socialista italiano, aveva dedicato una sua cronaca allo
sport che ancora chiamava foot-ball, dan-
«G
done una lettura precisa: il calcio evidenziava l’egemonia culturale conquistata dalla borghesia britannica durante la
rivoluzione industriale, riflettendo al
contempo la modernità politica ed economica dell’Europa nord-occidentale.
Parte inaspettatamente da qui Paul
Dietschy nel volume Storia del calcio
(Vedano al Lambro, Paginauno, 2016,
pagine 554, euro 22), che racconta tutto
quanto c’è da sapere sul gioco più popolare e amato al mondo. Professore di
storia contemporanea e di storia dello
sport all’università di Franche-Comté,
l’autore non tralascia alcun filone di ricerca. Solo sulle origini antiche si limita
alle informazioni di base, dando conto
di un passaggio di Plinio il Giovane —
il quale nel primo secolo dell’era cristiana citava il suo amico Spurinna, un settantasettenne che giocava ancora con
una palla per contrastare la vecchiaia —
passando velocemente alla saule, al folk
e allo street football praticati in Francia e
in Inghilterra dal medioevo sino alla
Thomas M.M. Henry, «Sunderland v Aston Villa» (1895)
metà dell’XI secolo, quindi al calcio fiorentino della fine del XV secolo, con una
parentesi sul tlachtli delle antiche civiltà
precolombiane del Messico. L’attenzione è giustamente focalizzata sul calcio
moderno, quello nato in Inghilterra alla
fine del XIX secolo, ben presto codificato e globalizzato.
E se su questo sport si sono cimentati
antropologi, filosofi e persino teologi
con letture talora intriganti e inattese,
non sono certo mancati, soprattutto negli ultimi anni, tentativi di raccontarne
la storia. Ma, fra le tante scritte, questa
di Dietschy risulta la più approfondita e
dettagliata, ricca com’è di notizie tratte
da molteplici fonti, in particolare gli archivi della federazione mondiale, la Fifa. Basti pensare all’imponente apparato
di note, ben 1278, e alle 22 pagine di bibliografia, seguite da una utilissima cronologia. Oltre alla piacevole scrittura,
risulta interessante lo sguardo attento ai
risvolti sociali e politici del fatto sportivo. Un punto di vista da storico, appunto, che, affrontando la complessità
del fenomeno, rilegge l’evento calcistico
in un contesto più ampio.
Così, nel ponderoso volume si raccontano la nascita dei club più prestigiosi, delle federazioni nazionali e delle
competizioni internazionali, quando e
perché sono state fissate le regole sul
numero di giocatori, sulla dimensione
del pallone e del terreno di gioco, quali
sono state le grandi evoluzioni tattiche
e tecniche. Si rievocano altresì le imprese dei personaggi che hanno lasciato un
segno nella storia del calcio, allenatori
carismatici come Herrera e fuoriclasse
come Meazza, Eusebio, Pelé, Garrincha,
Rivera, Cruyff, Maradona. Ma allo stesso tempo l’autore, si sofferma ad analizzare le ricadute, non sempre rilevate,
del fatto sportivo sulle vicende di una
nazione o di un intero continente. Si
parla, quindi, delle strumentalizzazione
del gioco da parte dei totalitarismi del
Novecento, ma anche del ruolo svolto
dal calcio nelle lotte di indipendenza di
alcuni paesi del continente africano o
come tribuna internazionale per nascenti o recrudescenti nazionalismi nei Balcani, nonché delle relazioni pericolose
del mondo del football con il denaro,
causa di non pochi scandali tra scommesse clandestine e tangenti per conquistare l’assegnazione di competizioni
continentali o mondiali, delle follie del
calcio mercato con l’arrivo dei paperoni
russi e arabi, fino alla disputa milionaria
sui diritti televisivi. Senza dimenticare i
tristi episodi di violenza legati ai cosiddetti hooligans.
Tra fatti noti e storie minime, si trovano anche informazioni poco conosciute. Come nel paragrafo «I palloni
del missionario», dove si racconta il
modo in cui il calcio divenne uno strumento educativo e di apostolato in particolare nelle colonie africane. Nel Congo belga — scrive Dietschy — il padre
fiammingo Raphaël de la Kethulle de
Ryhove, della congregazione dei Scheutisti, aveva posto il calcio al centro
dell’attività pedagogica nella scuola
Saint-Joseph che dirigeva a Leopoldville e proprio grazie a lui nacque nel 1919
l’Associazione sportiva congolese da cui
prese il via il movimento calcistico del
paese. Ma i missionari belgi non furono
i soli a utilizzare il calcio per il loro
apostolato. Oltre alle chiese protestanti
britanniche, attive già alla fine del XIX
secolo nelle colonie dividendosi tra rugby e cricket, anche i padri francesi si fecero promotori della “conversione” al
pallone. All’inizio scettici nei riguardi
dello sport, perché deviava le loro pecorelle dagli impegni di fede, presto i missionari d’oltralpe iniziarono ad apprezzarne il potenziale e vi si gettarono con
passione. Nacquero così i primi club,
molti col nome Jeanne d’Arc, come il
club di Dakar, in Senegal, fondato nel
1921 grazie a padre Lecocq, o quello di
Bamako istituito nel 1939 a opera del
padre bianco Bouavier; club che nel
corso degli anni si aggiudicarono più
volte i campionati nazionali.
«Questa eccellenza sportiva — sottolinea lo storico — si costruiva anche sulla
ricerca dell’esclusiva. Quando l’Unione
sportiva indigena, la prima squadra
completamente composta da africani, fu
formata a Dakar, nel luglio 1929, i suoi
membri si videro minacciati di scomunica dal padre Lecocq se fossero venuti a
giocare contro la Jeanne d’Arc. La via
dello sport doveva obbligatoriamente
passare per la Chiesa». Le Jeanne d’Arc
si diffusero fino al Gabon dove alla fine
degli anni trenta il reverendo padre René Lefebvre, fratello del vescovo scismatico, fondò a Libreville una delle prime
squadre di calcio del paese.
Lo storico racconta le strumentalizzazioni
da parte dei totalitarismi
Ma anche il ruolo svolto dal gioco
nelle lotte di indipendenza
e le relazioni pericolose con il denaro
Non mancarono, purtroppo, le ombre. L’appartenenza a club legati alle
chiese cristiane non evitò agli atleti di
incappare in pratiche discriminatorie,
che vietavano formazioni miste e campionati con squadre di bianchi e di neri.
L’apartheid sportivo non risparmiò neppure le colonie italiane. In Etiopia l’occupante fascista istituì un Ufficio indigeno degli sport. Le squadre dovettero
adottare nomi nuovi. Il club SaintGeorges si trasformò, ad esempio, in
Littoria Wufe Sefer. Inoltre, quando si
esibivano davanti a un pubblico italiano, i calciatori autoctoni dovevano giocare a piedi nudi «per conformarsi
all’immagine dell’indigeno veicolato
dalla propaganda fascista e dalle canzoni popolari come Faccetta nera».
Anche queste sono storie di calcio. E
Dietschy le presenta consapevole che
pure tali piccoli tasselli hanno contribuito a costruire quel gigantesco baraccone che è oggi il mondo del pallone,
con le sue passioni, le sue storture, le
sue follie. E con il suo fascino, nonostante tutto.
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 5 febbraio 2017
pagina 5
Trento Longaretti
«Povera gente» (1972)
Mostra a Concesio
per i cento anni di Trento Longaretti
Nel mondo
dello spirito
di TRENTO LONGARETTI
hi parla è un pittore, uno
dei privilegiati artisti che
ebbero la grande fortuna di
assistere, nella cappella Sistina in Roma, alla cerimonia religiosa in occasione dell’inaugurazione della Collezione d’arte religiosa
C
Mai un Pontefice
ha parlato come Paolo VI
rivolgendosi con tanta comprensione
e appassionato magistero
agli artisti di ogni tendenza e fede
moderna, e di ascoltare, con viva emozione, il discorso di sua santità Paolo VI
agli artisti. Inoltre, questo pittore, ha
avuto il grande privilegio di alcuni incontri col Santo Padre, che, con paterna
affabilità, e tramite il suo segretario
monsignor Macchi, espresse il desiderio
che io realizzassi opere per il suo ministero pastorale in paesi lontani, e pure
per la Santa Sede.
La testimonianza, quindi, di un uomo
e di un artista che ha vissuto l’emozionante incontro, e che, a più riprese, ha
studiato e lavorato sul tema dell’arte religiosa e dell’arte sacra per assolvere a
un’altissima committenza, nel clima
particolare creato da Paolo VI nei
suoi discorsi agli artisti.
È mia personale convinzione, che
mi permetto di esprimere avendo
avuto nella mia vita la felice ventura
di conoscere tre Sommi Pontefici,
Giovanni XXIII, bergamasco mio contemporaneo, Paolo VI, anche lui lombardo, e Giovanni Paolo II, di ritenere
Papa Montini particolarmente sensibile
ai profondi e segreti problemi degli artisti, alle loro tormentose ricerche. Quasi
per un’affinità di pensieri e d’indagini
nel campo della spiritualità, concedendo
loro una particolare attenzione pur
nell’immenso e gravosissimo suo operare nel ministero di Vicario di Cristo nel
mondo contemporaneo, quel mondo
che ha posto ai Pontefici di questo secolo gravi problemi.
Credo che Paolo VI, per suo temperamento, indole, natura, formazione, fosse
molto vicino al modo di intendere
dell’artista e lo dimostra laddove accenna nel suo fondamentale Discorso agli
artisti che vi è «la sensibilità, cioè la capacità di avvertire, per via di sentimento, ciò che per via di pensiero non riuscirebbe a capire, a esprimere», e ancora: «Quando si entra in se stessi per
trovare tutte queste energie e dar la scalata al cielo, in quel cielo dove Cristo si
è rifugiato, noi ci sentiamo, in un primo
momento, immensamente, direi, infinitamente lontani».
Non vi è forse affinità con lo stato
d’animo dell’artista di fronte alla tela
bianca, al perché del suo fare arte, della
sua vita stessa? E dell’affidarsi a quella
sensibilità misteriosa che è alla base della creazione artistica e che Paolo VI aveva così ben definito? Paolo VI esprime
con chiarezza ciò che lo avvicinava
all’arte quando dice: «La vostra arte è
proprio quella di carpire dal cielo dello
spirito i suoi tesori e rivestirli di parole,
di colori, di forme, di accessibilità», e
poi: «Voi avete anche questa prerogativa, nell’atto stesso che rendete accessibile e comprensibile il mondo dello spirito: di conservare a tale modo la sua
ineffabilità, il senso della sua trascendenza, il suo alone di mistero, questa
necessità di raggiungerlo nella facilità e
nello sforzo al tempo stesso».
Il suo pensiero si completa nella seguente affermazione, forse ardita: «Per
assurgere alla forza della espressione lirica della bellezza intuitiva, avrebbe bisogno (il ministero) di far coincidere il
sacerdozio
con
l’arte».
Credo
che in queste parole si possa intuire il pensiero
di Paolo VI e la
tensione del suo
attento e mediato
amore per l’arte
e gli artisti contemporanei, da
Lui chiamati «figli ancora più
cari». Credo che
mai un Pontefice
abbia parlato con
tanta comprensione e appassionato magistero agli artisti di ogni tendenza e fede. Testimonianza diretta, ebbi a dire, quale pittore
Raccontare
con il colore
di SILVIA GUIDI
rento Longaretti non ama
essere chiamato maestro; se
proprio ci dev’essere un
appellativo prima del cognome, preferisce professore, perché «sono stato soprattutto
quello. Certo anche pittore. Ho dovu-
T
Madri, angeli e viandanti
di PAOLO SACCHINI
arlare di pittura è cosa
ardua»,
avvertiva Trento
Longaretti nel
1968. E tanto più lo è quando si
cerca di impostare un discorso
sull’opera di un artista ormai
centenario e di rara coerenza, sul
quale tantissimi autorevoli esegeti
— tra storici dell’arte, critici e anche artisti — hanno scritto pagine
davvero intense, non solo puntuali nell’individuazione dei riferimenti indispensabili per penetrare nel suo mondo pittorico, ma
molto spesso anche dense di qualità letteraria, di conoscenza e
sollecitudine personali, di condivisione intellettuale, di viva umanità. Anche se è certamente vero
che l’opera longarettiana si presta
benissimo a una lettura iconografica e narrativa, non bisogna però
commettere l’errore di considerarla un’arte scarsamente interessata
ai problemi di linguaggio, perché
così facendo, non si comprenderebbe la ricchezza problematica
della sua opera di pittore.
È più che comprensibile, viste
la natura e la storia della Collezione Paolo VI, che molte delle
opere longarettiane in essa conservate — specialmente tra i dipinti —
siano a soggetto esplicitamente religioso. Tuttavia, questa particolare concentrazione non deforma affatto la percezione del complesso
dell’attività del maestro bergamasco, che anzi dell’arte sacra vissuta
intimamente e con profonda fede
ha fatto uno degli assi portanti
della propria esperienza umana e
creativa: è infatti sufficiente gettare un rapido sguardo agli oltre
trecento interventi in questo ambito pazientemente schedati da Carlo Pirovano nel volume L’arte sacra di Longaretti per rendersi con-
«P
to di quanto vasta, variegata e
cronologicamente scalata sia stata
la produzione a soggetto sacro
dell’artista bergamasco.
Tra le scene narrative che si sono volute presentare, particolarmente accorate appaiono quelle
sul tema della Natività e della
Madonna con Bambino, che d’altra parte si inseriscono nella poetica dell’artista anche in senso
più ampio (poiché come è noto,
e come meglio si vedrà fra poco,
le «madri con bambino» sono in
assoluto uno dei soggetti più cari
a Longaretti anche indipendentemente da ogni riferimento alla
storia sacra). Spiccano, in particolare, tre bellissimi disegni, sui
quali conviene spendere almeno
qualche parola.
Sin dai tempi della sua formazione braidense nella scuola di Aldo Carpi, Longaretti ha sempre
disegnato moltissimo, e anzi già
in quegli anni aveva meritato
grande stima da parte di compagni e docenti — lo ricorda Morlotti — per la sua produzione grafica
da enfant prodige («faceva infatti
allora disegni straordinariamente
commossi e personali, o perlomeno e più giustamente, era straordinario in lui così giovane, il dono
di un’assimilazione e traduzione,
quasi incosciente, di inquietudini
e stilismi, tra Soutine, Modigliani
e Carpi»). Ebbene, tutta questa
felicità e facilità disegnativa si coglie benissimo anche nei fogli citati. La Madonna con Bambino
realizzata a sanguigna e gessetto
trasmette soprattutto la dolcezza
del rapporto tra madre e figlio,
anche se la testa reclinata e lo
sguardo presago della madre introducono nella scena una vena
malinconica; tuttavia, in questo
foglio il trapasso verso il soggetto
della madre con bambino “terrena” appare davvero prossimo (se
non addirittura già compiuto): sa-
rebbe sufficiente elidere le aureole
per ritrovarsi dinnanzi a una delle
madri longarettiane che in questa
mostra si ritrovano nella sezione
dedicata ai viandanti. La Natività
realizzata a matita con tratti decisi
e insistiti contempera questa stessa dimensione umana con una più
acuta percezione dell’epifania del
divino che si rivela nel Bambino,
e che ritroviamo a un livello ancora più intenso — perché più sintetico, e come risolto nel bagliore di
una luce che lascia intravedere solamente i sommari contorni delle
figure — nell’istantaneo Studio per
Natività tracciato a penna (che
con il foglio precedente, tra l’altro, potrebbe anche essere in relazione, forse più come sua evoluzione essenziale che non come
“prima idea” poi concretizzatasi in
forme più definite nel disegno a
matita).
Il tema dei “viandanti” può a
buon diritto essere considerato il
più tipico dell’opera longarettiana e soprattutto il più rivelatore
della sua intima essenza, che si
potrebbe definire religiosa senza
essere necessariamente confessionale: infatti — come spiegava
Longaretti nella bella intervista
inedita rilasciata nel 2015 a Jetmira Hasaj per la sua tesi di diploma accademico, e qui riportata in
appendice — queste figure di poveri, anziani, fuggiaschi, girovaghi, musicanti, artisti circensi,
madri con i propri figli, «fan parte del mondo. Il mondo sofferente, quello da cui provengo io
stesso. Il mondo degli sfortunati.
Non è importante il credo: cristiani, ortodossi, induisti. Quando una persona compra un mio
quadro, però, e si sofferma a
guardarlo, è come se leggesse la
sua fortuna per essersi permesso
di comprarlo, vedendo nel dipinto una parte di mondo meno abbiente. Nel mondo è sempre pie-
no di guerre, carestie, persecuzioni... c’è sempre gente che cerca la
felicità, che cerca il benessere o
addirittura la vita. Ed è la strada
della maggior parte dell’umanità».
In questa predilezione del pittore bergamasco per le figure povere ed erranti si è spesso voluto
vedere un richiamo a quella tradizione di arte per così dire
“pauperista” che in Lombardia
lineare: «io esalto molto il rapporto madre-figlio e figlio-madre;
quando io vedo questa madre che
stringe il figlio come la cosa più
importante che abbia mai avuto e
questo figlio che si trova bene solo in braccio alla madre, ecco,
questo mi sembra già un fatto
grandissimo e io, dipingendo
questo, ho già trovato una ragione. Lo stesso si potrebbe dire dei
quadri che hanno per tema il
Trento Longaretti, «Cristo in trono con Madonna e Santi» (1967)
ha conosciuto tanti interpreti di
livello; tuttavia, arretrare troppo
nel tempo indulgendo sulla sempre dubbia natura del genius loci
rischia di non essere fruttuoso:
semmai, più pertinente appare la
suggestione — ancora una volta
ben individuata da Mascherpa —
di quella «matrice intimisticoumanitaria, che tanto pervade
l’arte lombarda nell’ultimo secolo, ma forse ancor più per quella
sorta di istintiva «affinità morale
e sentimentale» che conduceva
tanto il maestro quanto l’allievo a
leggere la bellezza smarrita e innocente, ma eccezionale, di certe
figure marginali; a esempio lo
stesso Longaretti ha potuto sotto-
operante nell’arte religiosa, nell’arte sacra, nelle varie tecniche artistiche, dalla
tempera all’affresco, dalla vetrata alla
pala d’altare, dal dipinto domestico a
soggetto religioso alle vaste superfici
chiesastiche, dal graffito al mosaico, in
tutti quei modi che la devozione o l’esigenza liturgica oppure il sentire stesso
dell’artista richiedeva.
Quando Paolo VI intraprendeva il
Suo viaggio pastorale, nel nostro o altro continente, più di una volta venne
affidato a me l’incarico di realizzare il
dipinto dal quale veniva ricavata
l’immagine ricordo, oppure il dono
(...). Opere mie vennero collocate, insieme a quelle di altri artisti contemporanei, in varie sale degli edifici vaticani
e nello stesso appartamento di Sua
Santità.
rapporto fra il bambino e il vecchio. A me sembra che l’arte debba essere sempre l’affermazione
di un fatto positivo, che uno
esalta con i mezzi che ha a disposizione. Se questa operazione
riesce è una gioia per chi l’ha
compiuta e per chi ne gode». Le
figure di Longaretti sono allo
stesso tempo dentro e fuori dalla
storia: dentro, perché certamente
testimoniano di situazioni reali e
di difficoltà concrete; fuori, perché sostanzialmente sono figure
archetipe, atemporali, che riescono a raccontare con la medesima
efficacia il dramma degli ultimi
di ogni epoca.
to fare di necessità virtù. Di sola pittura non potevo vivere e mi chiedo anche oggi come facciano a campare i
giovani artisti». Così ha detto di sé in
una recente intervista pubblicata sul
«Corriere della sera» ma chi lo conosce sa bene che non bisogna dare
troppo peso al proverbiale understatement del pittore bergamasco, «timido,
di una timidezza che è stata una
condanna, perché è un po’ paura di
vivere».
Più si guarda la sua opera — sterminata, visto che ha raggiunto le cento
primavere e non ha mai appeso il pennello al chiodo, né ha la minima intenzione di farlo — più viene in mente
«I maestri del colore», la celebre collana low cost lanciata dalla casa editrice
Fratelli Fabbri negli anni del boom
economico in Italia. Maestro del colore, Longaretti lo è sul serio: un colore
antinaturalistico, poetico, vibrante, capace di comunicare stati d’animo e
raccontare storie nel breve spazio di
un quadro.
Per rendergli omaggio, la Collezione
Paolo VI di arte contemporanea quest’anno apre la stagione espositiva con
una retrospettiva su di lui, «Viandanti
dell’anima». Longaretti, si legge nel
comunicato stampa che annuncia l’iniziativa, non è solo uno tra i protagonisti più interessanti e originali dell’arte
italiana del secondo Novecento, ma
anche «uno dei testimoni diretti della
profonda azione riformatrice di Papa
Montini nella ridefinizione dei rapporti tra la Chiesa cattolica e l’arte contemporanea» come ricorda Giovannimaria Seccamani Mazzoli, presidente
dell’Associazione Arte e Spiritualità,
ente gestore del museo di Concesio.
L’esposizione si propone di indagare
l’opera del maestro del colore bergamasco; un canto per immagini malinconico, trasognato, ma innervato sempre da una segreta, misteriosa speranza di bene. All’inaugurazione, nel pomeriggio del 4 febbraio presso i nuovi
spazi del museo, è prevista la presenza
dell’artista. «Mi piacerebbe continuare
a dipingere in una casetta di montagna, lontano da tutti — confessa Longaretti al «Corriere della sera» — ma i
festeggiamenti non mi dispiacciono. In
fondo sono un uomo anch’io».
La mostra — spiega il curatore Paolo
Sacchini, direttore del museo di cui
pubblichiamo uno stralcio dell’introduzione all’esposizione, che resterà
aperta fino all’11 marzo — ha anche lo
scopo di documentare lo stretto rapporto che legò l’artista a Paolo VI. Tra
i pezzi scelti c’è, ad esempio, anche il
bozzetto dell’opera che Papa Montini
regalò al patriarca di Costantinopoli
Atenagora in occasione del viaggio a
Istanbul nel 1967.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
domenica 5 febbraio 2017
In Canada dopo l’attentato di Québec City
Anelli di pace
attorno alle moschee
Il presidente della Federazione luterana mondiale a Trump
Io stesso un rifugiato
GERUSALEMME, 4. «Le scrivo dalla santa città di Gerusalemme in
uno spirito di preghiera. Prego
perché la sua presidenza sia fruttuosa. Prego affinché sotto la sua
guida gli Stati Uniti d’America
continuino a sostenere i propri
valori, consacrati da tempo alla
diversità, all’uguaglianza, alla ricerca della felicità, alla libertà e
alla giustizia per tutti». Ha il tono di una preghiera la lettera
aperta che Munib Younan, vescovo della comunità evangelica luterana di Giordania e Terra santa,
nonché presidente della Federazione luterana mondiale (Flm),
ha indirizzato al presidente degli
Stati Uniti, Donald Trump.
Al centro della riflessione l’atto
esecutivo che dal 27 gennaio ha
chiuso le frontiere degli Stati
Uniti ai cittadini di sette paesi a
maggioranza musulmana. Misura
che, come è noto, ha immediatamente suscitato la viva reazione
contraria di larga parte dell’opinione pubblica non solo americana e di numerosi leader religiosi,
tra cui l’episcopato cattolico sta-
Il cardinale O’Malley
incontra la comunità musulmana
BOSTON, 4. Manifestare solidarietà a
nome di tutti battezzati e dell’intera
città ai cittadini dei sette paesi a
maggioranza islamica al centro del
recente discusso ordine esecutivo della Casa Bianca che pone severi limiti
all’immigrazione. Questo il significato dell’incontro che il cardinale arcivescovo di Boston, Sean Patrick
O’Malley, ha avuto con un gruppo
di rappresentanti della locale comunità musulmana. All’incontro, avvenuto nella cattedrale cattolica di Holy Cross, hanno partecipato anche il
governatore del Massachusetts, Charlie Baker, il sindaco di Boston, Mary
Walsh, il capo della polizia, William
Evans insieme ad altri leader religiosi
cristiani. «Siamo qui per esprimere la
nostra solidarietà, per sederci allo
stesso tavolo come amici», ha detto
semplicemente il cardinale O’Malley.
Si tratta solo dell’ultima in ordine di
tempo delle numerose espressioni di
solidarietà manifestate in questi giorni da singoli presuli statunitensi come pure dall’intera conferenza episcopale.
tunitense. «Sono preoccupato —
sostiene il presule luterano — perché per quasi 250 anni, il mondo
ha guardato al suo paese come
un esempio di come diverse razze
e nazionalità possono avere
un’unica identità americana. Il
suo paese ha aperto la strada alla
promozione dei diritti civili, dando sempre ascolto al principio
della parità di cittadinanza, della
libertà e giustizia per tutti. Questa è la ragione per cui così tanti
profughi e immigrati hanno guardato agli Stati Uniti come un faro di speranza».
Younan aggiunge di essere
molto preoccupato per le conseguenze dannose che i divieti
avranno soprattutto per i cristiani
arabi, che nella regione mediorientale, hanno una lunga storia
di convivenza con i musulmani.
«Noi respingiamo qualsiasi tentativo di dividere la società araba
secondo linee religiose». Infine, il
presidente della Flm fa un riferimento alla sua storia personale e
scrive di essere preoccupato,
«perché io stesso sono un profugo, e so in prima persona le difficoltà che devono affrontare le famiglie di rifugiati. Allo stesso
tempo, come vescovo luterano, so
che allontanare i rifugiati di ogni
religione contraddice il messaggio
di Gesù Cristo. Gesù stesso è stato un rifugiato, che ha cercato rifugio e salvezza con la sua fami-
glia in Egitto. Nel corso della sua
vita, attraverso il suo insegnamento e le sue azioni, Gesù si è
preoccupato dello straniero e degli emarginati».
Per Younan, insomma, accogliere lo straniero non è un optional per i cristiani e — citando il
documento «Accogliere lo straniero: affermazioni dei capi religiosi» sottoscritto nel 2013 da
buddisti, cristiani, indù, ebrei,
musulmani — afferma che il prendersi cura dei rifugiati non è
esclusiva di una religione, ma è il
cuore di ogni tradizione religiosa.
«Come vescovo luterano di Gerusalemme, come rifugiato, e come
cittadino del mondo — si conclude la lettera — il mio appello è
che lei riconsideri le sue recenti
decisioni in materia di rifugiati e
immigrati. La esorto a riflettere
sui valori fondamentali degli Stati Uniti e di Gesù, e di cercare un
percorso diverso che miri a raggiungere il duplice obiettivo di
garantire sicurezza e opportunità
nella terra della libertà».
Tra le reazioni fortemente critiche nei confronti del provvedimento della Casa Bianca si registra anche quella di Open Doors,
l’organismo che ogni anno pubblica la World Watch List, la lista
dei cinquanta paesi nei quali è
più pericoloso oggi essere cristiani. «Riteniamo cruciale — ha affermato David Curry, presidente
di Open Doors Usa — che sia garantito ai profughi cristiani e alle
altre minoranze in Medio oriente
un canale sicuro per ottenere rifugio negli Stati Uniti. Ma siamo
fermi nel difendere un approccio
che tratti ogni fede in maniera
equa. Non possiamo sostenere
l’idea di test di appartenenza religiosa negli Stati Uniti o in qualsiasi altro Paese. Politiche del genere porterebbero a un’orrenda
persecuzione dei cristiani da una
parte all’altra del mondo».
Riuniti a Bhopal i vescovi indiani di rito latino
Messaggio di amore senza esclusioni
BHOPAL, 4. L’inquietante inazione delle autorità di fronte alle aggressioni contro i cristiani, la delicata giustapposizione dei diritti
particolari e del diritto comune,
la difesa della famiglia davanti
agli attacchi ideologici di cui è
vittima: sono solo alcuni degli argomenti trattati dalla Conference
of Catholic Bishops of India
(Ccbi) nell’assemblea plenaria in
svolgimento dal 31 gennaio all’8
febbraio a Bhopal, capoluogo
dello stato di Madhya Pradesh.
Come riferisce «Églises d’Asie»
(agenzia di informazione delle
Missions étrangères de Paris), sono quasi centotrenta i vescovi di
rito latino presenti all’incontro,
preceduto da una conferenza
stampa alla quale ha partecipato
il cardinale presidente della Ccbi,
Oswald Gracias, arcivescovo di
Bombay.
Il porporato, rispondendo alle
domande dei giornalisti, ha respinto con forza le accuse, mosse
nei confronti della sua Chiesa, di
“proselitismo aggressivo”, di voler
cercare di convertire gli indù al
cristianesimo: «Siamo qui per annunciare un messaggio di amore
e di pace, non per fare delle conversioni religiose. Non potremmo
mai forzare qualcuno a convertirsi, auspichiamo invece che tutti si
mostrino fedeli alla propria religione», ha detto Gracias. L’arcivescovo di Bhopal, Leo Cornelio,
ha invece espresso preoccupazio-
ne per «la letargia di cui danno
prova le istituzioni chiamate a difendere lo Stato di diritto», sottintendendo come spesso passino
quasi inosservati episodi di violenza a danno dei cristiani.
Il tema dell’assemblea plenaria
è «Promuovere la gioia dell’amore nelle nostre famiglie», che non
sono solo quelle cattoliche. «La
Chiesa — spiega monsignor Cornelio — ha sempre avuto a cuore
il benessere e la felicità di tutti,
qualunque siano le differenze di
appartenenza linguistica o religiosa. Nelle nostre discussioni, poniamo l’accento sull’aiuto da dare
alle giovani coppie per far fronte
alle difficoltà della vita familiare
e alla necessità di condurre una
vita
esemplare,
soprattutto
nell’educazione dei figli. La perdita di fiducia in seno alle famiglie, alle famiglie nucleari in particolare, ci sembra rappresentare
un vero problema». E il cardinale
Gracias ha aggiunto che «la famiglia è sacra e noi dobbiamo proteggerla. Troppe ideologie tendono a distruggere i valori familiari.
Il nostro messaggio d’amore per
le famiglie deve dunque toccare
ciascuno, senza esclusioni». Il
porporato, in riferimento a una
recente sentenza della Corte suprema sul riconoscimento civile
della nullità matrimoniale pronunciata da un tribunale ecclesiastico, ha poi precisato che «non
esiste conflitto tra le pratiche della Chiesa e le leggi in vigore».
La Conference of Catholic Bishops of India, con sede a Bangalore, riunisce i vescovi di rito
latino (182 per 132 diocesi), e non
deve essere confusa con la Catholic Bishops’ Conference of India
(Cbci), che ha sede a New Delhi
e raggruppa le 172 diocesi della
Chiesa in India, comprensive dei
riti latino, siro-malabarese e siro
malankarese. Secondo dati abbastanza recenti, in India vivono
circa ventotto milioni di cristiani,
ovvero il 2,3 per cento della popolazione del Paese (a stragrande
maggioranza induista). I cattolici
di rito latino, siro-malabarese e
siro-malankarese sono complessivamente 15 milioni e mezzo e
rappresentano il 55 per cento dei
cristiani indiani.
OTTAWA, 4. «Anelli di pace»
a protezione dei fedeli musulmani in preghiera. È quanto è
accaduto ieri, venerdì, di fronte alle moschee di numerose
città canadesi. A Toronto, come a Edmonton e a St John’s,
centinaia e centinaia di cittadini, di ogni credo religioso,
hanno dato vita a delle catene
umane, chiamate appunto
anelli di pace, in segno di
simbolica protezione e solidarietà con la comunità musulmana, vittima domenica scorsa di un sanguinoso attentato
che ha colpito, durante la preghiera, la moschea di Québec
City, provocando la morte di
sei persone. «Nessun canade-
se dovrebbe avere paura di
andare nel proprio tempio per
poter pregare», ha dichiarato
un rabbino di Toronto, che ha
partecipato alla manifestazione di solidarietà perché «è
qualcosa di terrificante immaginare che delle persone di
fede che vanno a pregare in
pace, a pregare per la pace,
possano essere a rischio. I
luoghi di culto sono sacri e
devono essere protetti». Ringraziando la folla, Syed Pirzada, della Muslim Association
of Newfoundland and Labrador, ha rivelato che in questi
giorni la comunità islamica è
stata subissata di espressioni
di sostegno.
Impegno dei leader religiosi dello Sri Lanka
Per un domani
di riconciliazione
COLOMBO, 4. Occorre accelerare il processo di riconciliazione e pacificazione nazionale. E, per farlo, c’è bisogno di
un maggiore impegno da parte dei leader delle quattro
principali religioni dello Sri
Lanka. Lo affermano gli attivisti del Law and Society Trust di Colombo, riuniti in questi giorni per discutere delle
raccomandazioni del rapporto
finale della Consultation Task
Force on Reconciliation Mechanism. Gli esperti, riferisce
l’agenzia AsiaNews, hanno
raccolto pareri e testimonianze delle vittime della guerra
civile che ha diviso le comunità singalese e tamil, e suggeriscono di creare un tribunale
misto. Oltre a questo, gli attivisti della capitale spingono
per una veloce risoluzione
delle tensioni ancora esistenti
tra la popolazione tamil e indù e il governo.
Il paese, come è noto, ha
vissuto una lunga guerra civile, iniziata nel 1983, derivante
da tensioni etniche fra la
maggioranza singalese e la
minoranza tamil, stanziata nel
nord-est dell’isola. Dopo oltre
25 anni di violenze, il conflitto si è concluso nel maggio
2009, quando le forze governative hanno conquistato l’ultima zona controllata dalle tigri tamil. A sette anni dalla fine del conflitto, però, recriminazioni su abusi da entrambe
le parti continuano.
Sandun Tudugala, capo dei
programmi dell’associazione,
sostiene che «è compito di
noi attivisti esprimere le nostre obiezioni se il governo
non mantiene le promesse.
Abbiamo dedicato molti sforzi — ricorda — per sostenere il
nuovo esecutivo. Ora è tempo
che il governo soddisfi le richieste delle vittime. I leader
delle grandi religioni possono
avere davvero un grande ruolo, dato che insegnano la
comprensione reciproca, a
prendersi cura dell’altro e a
diffondere pace e unità».
Il paese ha una popolazione di 21,2 milioni di abitanti,
in maggioranza buddisti (70
per cento). I cristiani sono
circa il 6 per cento, mentre le
altre principali comunità religiose sono indù e musulmane.
In questo contesto, la Chiesa
cattolica, soprattutto attraverso la Commissione nazionale
per la giustizia, la pace e lo
sviluppo umano, ha da tempo
avviato numerose iniziative
per contribuire alla riconciliazione. Favorita, in questo senso, probabilmente anche dal
fatto di avere tra i battezzati
fedeli che appartengono sia
alla comunità singalese che a
quella tamil. Divenendo così
un elemento catalizzatore di
pace.
†
La Congregazione delle Cause dei Santi partecipa commossa al grave lutto del reverendissimo monsignore Carmelo Pellegrino,
promotore della Fede di questo dicastero,
per la morte del suo amatissimo padre
Signor
VITO PELLEGRINO
e prega perché il Signore Risorto lo accolga
nella luce del suo Regno in compagnia di
Maria, da lui particolarmente venerata, e dei
santi e beati.
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 5 febbraio 2017
pagina 7
Per la venticinquesima giornata mondiale del malato
Il segretario di stato
legato papale a Lourdes
da Madrid
ROSSELLA FABIANI
A Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, la gente li
chiama i gemelli di Dio. E sì che
sono molto diversi in quasi tutto.
Uno è il cardinale Dieudonné
Nzapalainga, alto e imponente,
arcivescovo di Bangui, l’altro è
l’imam Omar Kobine Layama,
minuto, filiforme e responsabile
della moschea centrale della capitale. Sono diversi, ma uniti nel
loro lavoro per la pace in una nazione impantanata nella violenza
e per costruire un futuro migliore
per il popolo. Il cardinale e
l’imam sono convinti che il dialogo interreligioso sia l’unica strada
per la soluzione del conflitto che
martorizza il Paese dal marzo del
2013 e per questo hanno fondato
la Piattaforma delle confessioni
religiose alla quale ha aderito anche l’Alleanza evangelica del
Centroafrica.
Entrambi sono in questi giorni
a Madrid per ritirare il premio
«Mundo Negro a la fraternidad
2016», per la loro opera di riconciliazione, pacificazione e promozione del dialogo interreligioso, e
anche per partecipare al «XXIX
Incontro Africa» (3-5 febbraio)
organizzato ogni anno nella capitale spagnola dalla rivista «Mundo Negro» e dai missionari comboniani. All’incontro di quest’anno partecipano, tra gli altri, il
cardinale Carlos Osoro Sierra, arcivescovo di Madrid, il presidente
dell’Unione delle comunità islamiche di Spagna, Riay Tatary, il
rettore emerito del Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica,
Justo Lacunza Balda, missionario
dei padri bianchi, e Alicia Vacas,
missionaria comboniana in Egitto
e Palestina. Il tema di queste
giornate è «L’islam e il cristianesimo, il dialogo sotto lo stesso
tetto» e si accorda perfettamente
con quanto pensano e predicano
i due leader religiosi dell’Africa
centrale. E non soltanto a parole,
ma rischiando la loro stessa vita
da quando, nel 2013, gli scontri
tra gli ex ribelli Seleka e le mili-
Lo scorso 19 gennaio è stata
pubblicata la nomina del cardinale
Pietro Parolin, segretario di Stato, a
legato pontificio per la celebrazione
della venticinquesima giornata
mondiale del malato, che avrà luogo
a Lourdes l’11 febbraio. Il porporato
sarà accompagnato da una missione
composta dai sacerdoti Jean-François
Duhar, parroco di Lourdes, e Antoine
Mérillon, parroco di Bagnères-deBigorre. Di seguito il testo della
lettera pontificia di nomina.
L’amicizia in Repubblica Centrafricana fra il cardinale Nzapalainga e l’imam Layama
Fraternità da premiare
zie anti-Balaka stanno devastando
la Repubblica Centrafricana. Un
conflitto che è spesso descritto
come interreligioso, essendo i Seleka musulmani e gli anti-Balaka
cristiani. La realtà è invece più
complessa, perché non tutti i
membri di Seleka sono musulmani e soprattutto i miliziani antiBalaka in gran parte non sono
cristiani. Il lavoro stesso che
stanno portando avanti insieme i
due leader religiosi dimostra che
non si tratta di una guerra di religione.
«La guerra in Africa centrale
non è mai stata una guerra di religione. Si tratta di una guerra
politica, per il potere e il controllo delle risorse naturali, dove la
religione è stata strumentalizzata.
Non c’è niente di religioso in
questa guerra», dice il cardinale
Nzapalainga. E tanti sono gli
esempi di amicizia e di pace tra
le
due
comunità
religiose.
«Apriamo le porte delle nostre
case e delle nostre parrocchie che
sono piene di rifugiati musulmani, e così fanno i musulmani con
i cristiani, aprendo le loro case e
le loro moschee, rischiando la
propria vita», aggiunge il porporato. Entrambi i leader religiosi
sono stati minacciati di morte. E
lo stesso arcivescovo di Bangui
ha ospitato in casa sua, per più
di nove mesi, l’imam Layama
perché i miliziani avevano bruciato la sua moschea e la sua casa:
«L’ho accolto per mostrare a tutti
la nostra amicizia perché il dialogo islamo-cristiano non è una
teoria o un’astrazione, ma uno
stile di vita». Un gesto criticato
dagli estremisti che non accettano
questa forma di rispetto reciproco. Con il passare del tempo e
con la visita di Papa Francesco,
che proprio nella cattedrale di
Bangui, il 29 novembre 2015, ha
aperto la prima porta santa del
Giubileo della misericordia, la ricerca della pace è diventata più
forte, la gente ha cominciato ad
apprezzare il gesto fatto dal cardinale e ha iniziato a chiamare i
due capi religiosi “i gemelli di
D io”. «E quando l’africano dà un
nome, ha sempre ragione», ha
sottolineato il direttore di «Mundo Negro», Jaume Calvera.
Poco a poco, la gente ha cominciato a capire che era possibile trattarsi da fratelli e i “gemelli
di Dio” hanno creato la piattaforma interreligiosa per favorire il
dialogo e mediare nei tanti conflitti che affliggono la popolazione di entrambe le religioni. E a
progetti della piattaforma andranno i diecimila euro del premio as-
Le celebrazioni in Venezuela per la Virgen de la Candelaria
Festa della luce
CARACAS, 4. Il 2 febbraio, festa
della Presentazione del Signore,
in Spagna e in molti paesi latinoamericani è stata celebrata come tradizione la Virgen de la
Candelaria, ossia della Candelora, appellativo con cui i cattolici
venerano Maria in seguito alla
scoperta di una statua, ritenuta
miracolosa, trovata in riva al mare nelle isole Canarie nel 1392.
La statua della Vergine ricorda
la presentazione al tempio di
Gesù ed è patrona delle isole
Canarie. La ricorrenza è particolarmente sentita in Venezuela,
dove questa giornata pone fine
alle celebrazioni natalizie cominciate il 24 dicembre. Qui la tradizione della Virgen de la Candelaria risale alla fine del XVII
secolo quando alcune famiglie
da Tenerife emigrarono in Venezuela in cerca della tierra de gracia. La popolazione venera la
Madonna come «guardiana della luce» che illumina il cammino
di coloro che stanno morendo, e
per questo il 2 febbraio vengono
accese candele durante la processione, poi spente a fine giornata. Tra i popoli andini è consuetudine incendiare la candileja
quando le persone stanno morendo affinché illumini loro l’ultimo tratto di strada.
In Venezuela le processioni
più suggestive si svolgono a Bailadores, Cantaura, Turmero, San
Diego, Valle de la Pascua e
Puerto Cumarebo. A La Parroquia y El Valle — come in quasi
tutte le località dello stato andino di Mérida — la popolazione
si veste di colori accesi e un
gruppo di uomini e donne, che
hanno fatto promesse alla Vergine delle luci in cambio di favori,
ballano con costumi colorati
lungo le strade. Alla Candelaria,
una delle principali parrocchie
di Caracas, si organizzano invece celebrazioni per la “festa della
luce” e per la tradizionale paradura del niño, durante la quale i
fedeli pongono una candela accesa ai piedi del Bambino Gesù.
In Perú le celebrazioni hanno
il suo centro attorno al lago Titicaca, dove giovedì scorso si sono
radunate quarantamila persone
in maschera. A Puno, sulle
sponde del lago, la festa della
Candelaria si svolge ininterrottamente ogni anno dal XVIII secolo, tanto da essere riconosciuta
dall’Unesco come patrimonio
dell’umanità.
segnato da «Mundo Negro» che
viene consegnato loro sabato 4
febbraio durante il «XXIX Incontro Africa».
Tanti sono i riconoscimenti arrivati, dagli Stati Uniti alla Germania, ai Paesi Bassi, dove
l’imam e il cardinale hanno ricevuto diversi premi. In tutti i loro
viaggi hanno ripetuto la ricetta
per spezzare la spirale della violenza: «Dobbiamo educare e formare, per convincere che, nella
società, non è la forza fisica ma
la stima e il rispetto ad avere l’ultima parola. Perché, molte volte,
chi non risponde alla violenza
viene respinto perché considerato
debole, quando invece è il contrario», osserva Nzapalainga.
Da parte sua, Omar Kobine
Layama ha sottolineato che «il
dialogo interreligioso è il cuore
del cristianesimo e dell’islam» ed
è convinto che «la violenza si basa sull’ignoranza religiosa. Soltanto il credente che non conosce
la sua fede può rispondere con la
violenza. Gli estremisti sono religiosi ignoranti. Dobbiamo chiamare le cose con il loro giusto
nome e differenziare il credente
dal criminale», ha detto l’imam.
«Mettere tutti nello stesso sacco è
la strada migliore per radicalizzare le persone e tenere in ostaggio
l’intera popolazione di un Paese», ha aggiunto il porporato.
Spesso i “gemelli di Dio” si
sentono chiedere se è possibile
esportare in altre nazioni il modello di dialogo interreligioso
della Repubblica Centrafricana e
già paesi come l’Olanda e istituzioni come l’Unione africana
hanno mostrato interesse a studiare tale modello. Il cardinale
Nzapalainga non ha dubbi: è necessario «fare un salto verso l’altro». Perché l’origine di ogni problema è «la paura dell’altro».
Venerabili Fratri Nostro
PETRO S.R.E. Cardinali PAROLIN
Secretario Status
Integram personam curare bonum
est, videlicet animam, mentem et
corpus, ut quisque homo optime se
habeat suumque Creatorem laudet,
qui omnia effecit ex amore ut essent, quique malum et mortem non
fecit, nec laetatur in perditione vivorum (cfr. Sap 1, 13-14). Et quoniam
dedit hominibus scientiam Altissimus,
ut honoraretur in mirabilibus suis, idcirco pastores, medici, valetudinarii
ipsique aegrotantes Dominum deprecabuntur, ut dirigat ad rectam cognitionem et prosperet curationem (cfr.
Eccli 38, 6.14).
Maxime profecto Nobis cordi
sunt cuncti fratres sororesque patientes, quos Ipsi velimus peculiari
affectu amplecti magnaque sollicitudine curare. Sed ecclesialibus tot
negotiis districti, vix hoc perficere
possumus. Quapropter dumtaxat ex
longinquo salutare cupimus universos in terrarum orbe aegrotantes ceterosque ad sollertem eorum curam
adhibendam paterne hortari. Adveniente vero memoria Beatae Mariae
Virginis de Lourdes, qua celebrabitur XXV Dies Universalis pro Aegrotantibus, hanc arripimus opportunitatem ut praecipuam Nostram iis
confirmemus necessitudinem.
Cum quidem noverimus hoc anno celebritates has fore in Lapurdensi sanctuario, volumus illuc Patrem Purpuratum mittere Nostras
gerentem vices. Quam missionem
tibi, Venerabilis Frater Noster, qui
magna prudentia et fidelitate Romani Pontificis cotidiana curas su-
Udienza ai gesuiti
del seminario campano interregionale
Nella mattina di sabato 4 febbraio, Papa Francesco ha ricevuto in udienza
nella Sala dei Papi del Palazzo apostolico, la comunità dei gesuiti e l’équipe formativa
del Pontificio seminario campano interregionale
stinenda officia pro totius Ecclesiae
beneficio,
libenter
fidenterque
explendam concredere cogitamus,
teque Legatum Nostrum hisce Litteris nominamus.
Die igitur XI proximi mensis Februarii liturgicis celebrationibus
Nostro nomine Lapurdensi in urbe
praesidebis Nostramque etiam omnibus significabis salutationem.
Congregatos illic christifideles invitabis ad constantem devotionem erga Beatissimam Virginem Mariam,
quae Salus est infirmorum, ut ipsa
a Divino Filio uberrimas imploret
gratias, praesertim in tribulatione
patientiam, in Deum fiduciam, de
beneficiis receptis gratitudinem et
eximiam erga omnes caritatem.
Evangelica Domini signa attentius considerantes, cernimus quod
Iesu iamque in paralytico gentium
universitas offertur medenda; sed et
curationis ipsius verba sunt contuenda
(S. Hilarius Pictaviensis, Commentarius ad Matthaeum VIII, 5). Quam
inde fidei in Christum Salvatorem
manifestam necessitatem sermone
tuo explicabis, ita ut corpore et animo aegrotantes ceterique adstantes
ad instar Petri apostoli sincero corde profiteri possint: Domine, ad
quem ibimus? Tu verba vitae aeternae
habes (Io 6, 68).
Denique Benedictionem Nostram
Apostolicam copiose tibi impertimus, quam congregatis ibi fidelibus
cunctisque memorati XXV Diei Universalis pro Aegrotantibus participibus amanter transmittendam curabis, dum ab omnibus enixe poscimus preces pro summo ministerio
Nostro congruenter exercendo.
Ex Aedibus Vaticanis,
die XIX mensis Ianuarii,
anno MMXVII,
Pontificatus Nostri quarto.
Nomina episcopale
in Messico
La nomina di oggi riguarda
l’America latina.
Juan Manuel
González Sandoval
vescovo di Tarahumara
Nato il 20 febbraio 1964 a
Guáscuaro, nello stato di Michoacan, dopo le scuole primarie
e secondarie a Città del Messico,
ha completato i corsi di filosofia
nel seminario dell’arcidiocesi di
León. Poi ha fatto il noviziato a
Santa Ana del Conde a Guanajuato (1985-1986). Conclusa la
formazione teologica nel seminario maggiore di León, a Roma si
è laureato alla Pontificia università salesiana in scienze dell’educazione, con specialità in pedagogia per la formazione delle vocazioni. Emessa la professione
perpetua il 7 settembre 1990, è
stato ordinato sacerdote dei missionari della natività di Maria il
2 luglio 1991 ed è stato per un
anno cappellano in Montaña de
Cristo Rey a Cubilete, poi formatore nel seminario di Santa
Ana del Conde a Guanajuato
(1992-1993) e coordinatore della
pastorale vocazionale della sua
congregazione religiosa (19931998). Dopo il triennio di studi
romani all’ateneo dei salesiani
per il dottorato, nel 2001 è tornato in Messico come docente di
etica e pedagogia nel seminario
dei missionari della natività di
Maria e cappellano in varie case
religiose a León. Dal 2008 era
parroco del Sagrado Corazón de
Jesús a Sanjuanito, in diocesi di
Tarahumara, responsabile della
formazione permanente della sua
congregazione, coordinatore diocesano della catechesi e della
commissione per la pastorale
profetica della provincia ecclesiastica di Chihuahua.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
domenica 5 febbraio 2017
Il Papa denuncia l’idolatria del sistema finanziario che sta distruggendo milioni di famiglie
Un’altra economia è possibile
Per cambiare le regole di un capitalismo che continua a produrre scarti
Denunciando l’idolatria
di un sistema finanziario che sta
distruggendo milioni di famiglie,
Papa Francesco invoca cambiamenti
significativi nelle regole
di un capitalismo che continua
a produrre scarti. Una denuncia
e un auspicio, quelli del Pontefice,
contenuti nel discorso rivolto
ai partecipanti all’incontro
sull’economia di comunione promosso
dal movimento dei Focolari,
ricevuti sabato mattina, 4 febbraio,
nell’aula Paolo VI.
Cari fratelli e sorelle,
sono lieto di accogliervi come
rappresentanti di un progetto al
quale sono da tempo sinceramente interessato. A ciascuno di voi
rivolgo il mio saluto cordiale, e
ringrazio in particolare il coordinatore, Prof. Luigino Bruni, per
le sue cortesi parole. E ringrazio
anche per le testimonianze.
Economia e comunione. Due parole che la cultura attuale tiene
ben separate e spesso considera
opposte. Due parole che voi invece avete unito, raccogliendo l’invito che venticinque anni fa vi rivolse Chiara Lubich, in Brasile,
quando, di fronte allo scandalo
della diseguaglianza nella città di
San Paolo, chiese agli imprenditori di diventare agenti di comunione. Invitandovi ad essere creativi, competenti, ma non solo
questo. L’imprenditore da voi è
visto come agente di comunione.
Nell’immettere dentro l’economia
il germe buono della comunione,
avete iniziato un profondo cambiamento nel modo di vedere e
vivere l’impresa. L’impresa non
solo può non distruggere la comunione tra le persone, ma può
edificarla, può promuoverla. Con
la vostra vita mostrate che economia e comunione diventano più
belle quando sono una accanto
all’altra. Più bella l’economia, certamente, ma più bella anche la
comunione, perché la comunione
spirituale dei cuori è ancora più
piena quando diventa comunione
di beni, di talenti, di profitti.
Pensando al vostro impegno,
vorrei dirvi oggi tre cose.
La prima riguarda il denaro. È
molto importante che al centro
dell’economia di comunione ci sia
la comunione dei vostri utili.
L’economia di comunione è anche comunione dei profitti,
espressione della comunione della
vita. Molte volte ho parlato del
denaro come idolo. La Bibbia ce
lo dice in diversi modi. Non a caso la prima azione pubblica di
Gesù, nel Vangelo di Giovanni, è
la cacciata dei mercanti dal tempio (cfr. 2, 13-21). Non si può
comprendere il nuovo Regno portato da Gesù se non ci si libera
dagli idoli, di cui uno dei più potenti è il denaro. Come dunque
poter essere dei mercanti che Gesù non scaccia? Il denaro è importante, soprattutto quando non
c’è e da esso dipende il cibo, la
scuola, il futuro dei figli. Ma diventa idolo quando diventa il fine. L’avarizia, che non a caso è
un vizio capitale, è peccato di
idolatria perché l’accumulo di denaro per sé diventa il fine del
proprio agire. È stato Gesù, proprio Lui, a dare categoria di “signore” al denaro: “Nessuno può
servire due signori, due padroni”.
Sono due: Dio o il denaro, l’antiDio, l’idolo. Questo l’ha detto
Gesù. Allo stesso livello di opzione. Pensate a questo.
Quando il capitalismo fa della
ricerca del profitto l’unico suo
scopo, rischia di diventare una
struttura idolatrica, una forma di
culto. La “dea fortuna” è sempre
più la nuova divinità di una certa
finanza e di tutto quel sistema
dell’azzardo che sta distruggendo
milioni di famiglie del mondo, e
che voi giustamente contrastate.
Questo culto idolatrico è un surrogato della vita eterna. I singoli
prodotti (le auto, i telefoni...) invecchiano e si consumano, ma se
ho il denaro o il credito posso acquistarne immediatamente altri,
illudendomi di vincere la morte.
Si capisce, allora, il valore etico
e spirituale della vostra scelta di
mettere i profitti in comune. Il modo migliore e più concreto per
non fare del denaro un idolo è
condividerlo, condividerlo con altri, soprattutto con i poveri, o per
far studiare e lavorare i giovani,
vincendo la tentazione idolatrica
con la comunione. Quando condividete e donate i vostri profitti,
state facendo un atto di alta spiritualità, dicendo con i fatti al denaro: tu non sei Dio, tu non sei
signore, tu non sei padrone! E
non dimenticare anche quell’alta
filosofia e quell’alta teologia che
faceva dire alle nostre nonne: “Il
diavolo entra dalle tasche”. Non
dimenticare questo!
La seconda cosa che voglio dirvi riguarda la povertà, un tema
centrale nel vostro movimento.
Oggi si attuano molteplici iniziative, pubbliche e private, per
combattere la povertà. E tutto
ciò, da una parte, è una crescita
in umanità. Nella Bibbia i poveri,
gli orfani, le vedove, gli “scarti”
della società di quei tempi, erano
aiutati con la decima e la spigolatura del grano. Ma la gran parte
del popolo restava povero, quegli
aiuti non erano sufficienti a sfamare e a curare tutti. Gli “scarti”
della società restavano molti. Oggi abbiamo inventato altri modi
per curare, sfamare, istruire i poveri, e alcuni dei semi della Bibbia sono fioriti in istituzioni più
efficaci di quelle antiche. La ragione delle tasse sta anche in questa solidarietà, che viene negata
dall’evasione ed elusione fiscale,
che, prima di essere atti illegali
sono atti che negano la legge basilare della vita: il reciproco soccorso.
Ma — e questo non lo si dirà
mai abbastanza — il capitalismo
continua a produrre gli scarti che
poi vorrebbe curare. Il principale
problema etico di questo capitalismo è la creazione di scarti per
poi cercare di nasconderli o curarli per non farli più vedere.
Una grave forma di povertà di
una civiltà è non riuscire a vedere
più i suoi poveri, che prima vengono scartati e poi nascosti.
Gli aerei inquinano l’atmosfera,
ma con una piccola parte dei soldi del biglietto pianteranno alberi, per compensare parte del danno creato. Le società dell’azzardo
finanziano campagne per curare i
giocatori patologici che esse creano. E il giorno in cui le imprese
di armi finanzieranno ospedali
per curare i bambini mutilati dalle loro bombe, il sistema avrà raggiunto il suo culmine. Questa è
l’ipocrisia!
L’economia di comunione, se
vuole essere fedele al suo carisma,
non deve soltanto curare le vittime, ma costruire un sistema dove
le vittime siano sempre di meno,
dove possibilmente esse non ci
siano più. Finché l’economia produrrà ancora una vittima e ci sarà
una sola persona scartata, la comunione non è ancora realizzata,
la festa della fraternità universale
non è piena.
Bisogna allora puntare a cambiare le regole del gioco del sistema economico-sociale. Imitare il
buon samaritano del Vangelo non
è sufficiente. Certo, quando l’imprenditore o una qualsiasi persona si imbatte in una vittima, è
chiamato a prendersene cura, e
magari, come il buon samaritano,
associare anche il mercato (l’albergatore) alla sua azione di fraternità. So che voi cercate di farlo
da 25 anni. Ma occorre agire soprattutto prima che l’uomo si imbatta nei briganti, combattendo le
strutture di peccato che producono briganti e vittime. Un imprenditore che è solo buon samaritano
fa metà del suo dovere: cura le
vittime di oggi, ma non riduce
quelle di domani. Per la comunione occorre imitare il Padre misericordioso della parabola del figlio prodigo e attendere a casa i
figli, i lavoratori e collaboratori
che hanno sbagliato, e lì abbracciarli e fare festa con e per loro —
e non farsi bloccare dalla meritocrazia invocata dal figlio maggiore e da tanti, che in nome del merito negano la misericordia. Un
imprenditore di comunione è
chiamato a fare di tutto perché
anche quelli che sbagliano e lasciano la sua casa, possano sperare in un lavoro e in un reddito dignitoso, e non ritrovarsi a mangiare con i porci. Nessun figlio,
nessun uomo, neanche il più ribelle, merita le ghiande.
Infine, la terza cosa riguarda il
futuro. Questi 25 anni della vostra storia dicono che la comunione e l’impresa possono stare e crescere insieme. Un’esperienza che
per ora è limitata ad un piccolo
numero di imprese, piccolissimo
se confrontato al grande capitale
del mondo. Ma i cambiamenti
nell’ordine dello spirito e quindi
della vita non sono legati ai gran-
di numeri. Il piccolo gregge, la
lampada, una moneta, un agnello,
una perla, il sale, il lievito: sono
queste le immagini del Regno che
incontriamo nei Vangeli. E i profeti ci hanno annunciato la nuova
epoca di salvezza indicandoci il
segno di un bambino, l’Emmanuele, e parlandoci di un “resto”
fedele, un piccolo gruppo.
Non occorre essere in molti per
cambiare la nostra vita: basta che
il sale e il lievito non si snaturino.
Il grande lavoro da svolgere è
cercare di non perdere il “principio attivo” che li anima: il sale
non fa il suo mestiere crescendo
in quantità, anzi, troppo sale rende la pasta salata, ma salvando la
sua “anima”, cioè la sua qualità.
Tutte le volte che le persone, i
popoli e persino la Chiesa hanno
pensato di salvare il mondo crescendo nei numeri, hanno prodotto strutture di potere, dimenticando i poveri. Salviamo la nostra
economia, restando semplicemente sale e lievito: un lavoro difficile, perché tutto decade con il passare del tempo. Come fare per
non perdere il principio attivo,
l’“enzima” della comunione?
Quando non c’erano i frigoriferi, per conservare il lievito madre
del pane si donava alla vicina un
po’ della propria pasta lievitata, e
quando dovevano fare di nuovo il
pane ricevevano un pugno di pasta lievitata da quella donna o da
un’altra che lo aveva ricevuto a
sua volta. È la reciprocità. La comunione non è solo divisione ma
anche moltiplicazione dei beni,
creazione di nuovo pane, di nuovi
beni, di nuovo Bene con la maiuscola. Il principio vivo del Vangelo resta attivo solo se lo doniamo,
perché è amore, e l’amore è attivo
quando amiamo, non quando
scriviamo romanzi o quando
guardiamo telenovele. Se invece
lo teniamo gelosamente tutto e
solo per noi, ammuffisce e muore.
E il Vangelo può ammuffirsi.
L’economia di comunione avrà
futuro se la donerete a tutti e non
resterà solo dentro la vostra “ca-
sa”. Donatela a tutti, e prima ai
poveri e ai giovani, che sono
quelli che più ne hanno bisogno e
sanno far fruttificare il dono ricevuto! Per avere vita in abbondanza occorre imparare a donare:
non solo i profitti delle imprese,
ma voi stessi. Il primo dono
dell’imprenditore è la propria persona: il vostro denaro, seppure
importante, è troppo poco. Il denaro non salva se non è accompagnato dal dono della persona.
L’economia di oggi, i poveri, i
giovani hanno bisogno prima di
tutto della vostra anima, della vostra fraternità rispettosa e umile,
della vostra voglia di vivere e solo
dopo del vostro denaro.
Il capitalismo conosce la filantropia, non la comunione. È semplice donare una parte dei profitti, senza abbracciare e toccare le
persone che ricevono quelle “briciole”. Invece, anche solo cinque
pani e due pesci possono sfamare
le folle se sono la condivisione di
tutta la nostra vita. Nella logica
del Vangelo, se non si dona tutto
non si dona mai abbastanza.
Queste cose voi le fate già. Ma
potete condividere di più i profitti per combattere l’idolatria, cambiare le strutture per prevenire la
creazione delle vittime e degli
scarti; donare di più il vostro lievito per lievitare il pane di molti.
Il “no” ad un’economia che uccide diventi un “sì” ad una economia che fa vivere, perché condivide, include i poveri, usa i profitti
per creare comunione.
Vi auguro di continuare sulla
vostra strada, con coraggio, umiltà e gioia. «Dio ama chi dona
con gioia» (2 Cor 9, 7). Dio ama
i vostri profitti e talenti donati
con gioia. Lo fate già; potete farlo ancora di più.
Vi auguro di continuare ad essere seme, sale e lievito di un’altra
economia: l’economia del Regno,
dove i ricchi sanno condividere le
loro ricchezze, e i poveri sono
chiamati beati. Grazie.
Nuova dignità per poveri ed esclusi
Una economia di comunione è
possibile. Anzi, conviene. E per
testimoniarlo, con fatti e dati alla
mano, oltre mille protagonisti di
questo sistema solidale, scaturito
venticinque anni fa dal carisma
focolarino, hanno incontrato il
Papa. Sono imprenditrici e imprenditori che hanno scelto la comunione come stile di vita personale e aziendale. E con loro sono
venuti a parlare con Francesco
molti giovani, studenti e professori, che attraverso la ricerca, vogliono dare fondamento teoretico
al binomio economia-comunione.
«Non potevamo non venire a
dire grazie al Papa per l’Evangelii
gaudium e la Laudato si’, il manifesto per una economia che diventi finalmente oikonomia: buon
governo della casa comune, della
terra» ha detto Luigino Bruni,
economista e coordinatore internazionale dell’economia di comunione, nel saluto rivolto a Francesco all’inizio dell’udienza. E insieme al Pontefice «che ha fatto degli “scarti” la testata d’angolo del
suo pontificato — ha affermato —
vogliamo dare una nuova dignità
a poveri ed esclusi». Il segreto è
semplice: «Mettere i propri talenti in comune, mettere la ricchezza
generata in comunione, per rispondere a una chiamata interio-
re, a una vocazione. Ma anche
per migliorare la vita di chi non
ha il necessario, per aiutare i giovani nello studio, per combattere
la miseria e scegliere insieme una
vita sobria, secondo la povertà
del Vangelo».
A dare voce, davanti al Papa,
alla concretezza di questo sistema
sono state quattro donne: Florencia, dall’Argentina; Corneille, dal
Congo; Teresa, dalle Filippine;
Maria Helena, dal Brasile. Proprio la diversità delle provenienze
ha mostrato che l’economia di comunione può trovare spazio in
qualunque area geografica e culturale, povera e ricca. E a presen-
tare al Pontefice le loro esperienze sul campo sono venuti rappresentanti di quarantasette paesi dei
cinque continenti.
Accompagnati da Maria Voce,
presidente del movimento dei Focolari, e dal consiglio generale, i
protagonisti di questa esperienza
hanno voluto condividere con il
Papa alcuni frutti della storia
dell’economia di comunione, rimarcando che è possibile affrontare sfide e crisi che stanno attanagliando il mondo. Del resto,
questo sistema anima oggi poli
produttivi in Europa e America
latina, genera vita di comunione
in oltre ottocento aziende, sostiene migliaia di poveri assicurando
anche la scuola per i loro figli,
sviluppa una riflessione culturale
che contribuisce al ripensamento
di categorie economiche come reciprocità, dono, gratuità e l’idea
stessa di mercato.
Un sistema che sta anche mettendo in atto nuovi progetti, a cominciare da una rete internazionale per sostenere soprattutto giovani imprenditori, per ora in Camerun, Portogallo, Croazia, Messico e Brasile. E sta anche funzionando con successo un partenariato con organizzazioni dell’economia sociale e civile per un training con cento giovani provenienti da contesti di vulnerabilità.
Da segnalare, inoltre, un osservatorio sulla povertà ispirato ai valori della comunione e della reciprocità.
Proprio su queste tematiche, è
stato riferito a Francesco, si stanno articolando in questi giorni tre
congressi di lavoro, nella Maria-
poli di Castelgandolfo, per definire piste e progetti per il periodo
2018-2020. «Se decidiamo di
guardare il mondo insieme a poveri e scartati — spiega ancora
Bruni — non possiamo restare sul
piedistallo, dobbiamo scendere
nell’agone, accanto alle vittime,
combattere per loro, con loro. In
cambio otterremo occhi nuovi,
vedremo cose che gli altri non vedono, a volte molto brutte, altre
volte di bellezza infinita. L’economia di comunione lo fa da venticinque anni. Se vuole vivere deve
continuare a farlo ogni giorno,
meglio, di più».
È un fatto, del resto, che oggi
— come avverte il rapporto
Oxfam 2017 — otto persone possiedono da sole la stessa ricchezza
della metà più povera dell’umanità: la forbice della disuguaglianza
si estremizza, condanna alla povertà centinaia di milioni di persone ed evidenzia l’iniquità
dell’attuale sistema economico. In
questa complessità l’economia di
comunione, come altri percorsi
economici, si può considerare
davvero un segno profetico. Non
a caso ha preso il via venticinque
anni fa per reagire allo scandalo
delle favelas che circondano la
città di San Paolo in Brasile. Era
il maggio 1991 quando Chiara Lubich inviò un primo gruppo di
imprenditori a mettere in piedi
aziende che, seguendo le leggi del
mercato, producessero utili «da
mettere liberamente in comune».
Con lo scopo di aiutare i poveri,
creare posti di lavoro, promuovere la cultura del dare in alternativa alla cultura dell’avere.