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Ripensare la didattica disciplinare
attraverso il corpo ed il movimento
Rethinking the didactic
through body and movement
Barbara De Angelis
Università degli Studi di Roma Tre
[email protected]
Philipp Botes
Università degli Studi di Roma Tre
[email protected]
Come testimoniano i dati forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità,
nel mondo contemporaneo sono sempre maggiori i casi di giovani in
sovrappeso e obesi.
Tale problematica è stata affrontata anche dalle recenti disposizioni normative in materia di istruzione e formazione (Legge 107/2015), attraverso un esplicito rimando alla prevenzione dell’obesità, sottolineando l’importanza
dell’educazione motoria e alimentare, poiché è proprio negli ambienti scolastici, infatti, che è possibile intervenire sulle abitudini del futuro cittadino
del domani.
In che misura il processo di apprendimento-insegnamento entra in relazione con la sfera corporea? Dopo un’introduzione più generale il contributo intende presentare alcune riflessioni, alla luce delle scoperte attuate
in ambito internazionale che investono il mondo della scuola e che possono rappresentare degli spunti fondamentali di rinnovamento per la didattica e la professionalità del docente.
As the World Health Organization has pointed out, in the contemporary world
there are more and more cases of overweight and obese young people.
These problems are seriously tackled by the recent legislation of education
and training system (Law 107/2015), with particular regard to the prevention
of obesity and stressing the importance of the physical and dietary education. Schools are, indeed, the place where it is possible to improve the
habits of the future citizen.
Therefore to what extent is learning-teaching process related to body element? After a general introduction, the essay presents some considerations, regarding the international discoveries about the school system:
those could be essential ideas for the didactic renovation and for the professionalism of teachers.
KEYWORDS
School, Movement, Body, Didactic, Foreign Languages.
Scuola, Movimento, Corpo, Didattica, Lingue Straniere.
1
Formazione & Insegnamento XIV – 1 – 2016
ISSN 1973-4778 print – 2279-7505 on line
Supplemento
ABSTRACT
L’articolo è il risultato di un lavoro collettivo degli autori, il cui specifico
contributo è da riferirsi come segue: il paragrafo 1 e 6 da Barbara De Angelis, i
paragrafi 2, 3, 4, 5 da Philipp Botes.
47
Barbara De Angelis, Philipp Botes
Introduzione
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Nel mondo contemporaneo, costellato da criticità e problematiche sempre più
complicate da affrontare, gli operatori dell’educazione vedono confluire il proprio
agire su una pluralità di soggetti che presentano importanti sintomi di disagio e
devianza, accompagnati anche da cattive abitudini alimentari. I giovani, infatti,
sembrano preferire attività passive, come ad esempio stare al computer, mangiare
in modo sregolato e assumere cibi ricchi di zucchero, andare a scuola in
automobile, anziché svolgere attività che privilegiano la funzione motoria. Recenti
dati forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità evidenziano come la
quantità di bambini in sovrappeso nella fascia d’età dai sei ai nove anni oscilli
dall’11% al 35% della popolazione presa in esame. Solamente in Italia la
percentuale si aggira intorno al 22,2% per quanto riguarda i giovani in sovrappeso
e al 10,6% per i soggetti obesi (WHO 2014).
In tale scenario, il sistema italiano dell’istruzione, caratterizzato da continue
riforme che ricadono sul sempre più articolato mondo degli stakeholders, sta
acquisendo consapevolezza dell’importanza di uno sviluppo armonico della
persona, basato su fattori che ruotano intorno alla salute e che andranno a
riverberarsi sul futuro benessere dell’intera nazione.
La legge 107 del 2015, meglio conosciuta col nome di “Buona scuola”, a questo
proposito fa un esplicito rimando alla prevenzione dell’obesità che può e deve
essere presa in carico anche dai professionisti dell’istruzione e della formazione,
mettendo al centro del dibattito e della pratica educativo-didattica concetti
fondamentali, quali l’educazione alimentare, l’educazione motoria e l’attività
fisica, troppo spesso interpretate come mera valenza ludico-ricreativa, soprattutto
nella scuola primaria, dove non è ancora prevista, nonostante i buoni propositi
del legislatore, la figura di un docente specializzato che si occupi di questo
ambito.
Si rende, pertanto, necessario e imprescindibile riconsiderare l’educazione al
corpo e al movimento a livello interdisciplinare, orientata alla diffusione di una
presa di coscienza della rilevanza dei profondi valori sottesi alla motricità per lo
sviluppo della persona e che, al tempo stesso, permetta di integrare
comportamenti e pratiche motorie all’interno delle singole discipline, al fine di
superare la logica corpo-mente perpetuata per secoli, con drammatici effetti
riscontrabili sia dentro la scuola che fuori.
1. A scuola con il corpo o con la mente?
In ambito scientifico appare ormai condiviso considerare il corpo come la
componente attraverso cui esplorare il mondo, entrare in relazione con gli altri,
costruire abilità e conoscenze. Le sensazioni che riusciamo a percepire attraverso
il corpo condizionano i nostri comportamenti e influiscono necessariamente sul
modo di percepire e rappresentare la realtà. Tuttavia, i processi comunicativi
caratterizzanti la quotidianità, mettono in evidenza la centralità della componente
corporea e motoria ma in un’ottica spesso utilitaristica e speculativa, mentre la
sua vera natura va rintracciata nel rapporto con la dimensione cognitiva, oggetto
di analisi e di scontro ideologico sin dai tempi più remoti.
Ecco, dunque, che il concetto di corporeità come oggetto di indagine necessita
di uno scambio dialogico fra una vastità di opinioni e saperi, mediante apporti
scientifico-metodologici in continua tensione tra la specificità e la globalità della
sua natura, fra cura di sé e cura dell’altro, tra sfera privata e sfera pubblica,
comunicazione interiore e comunicazione sociale, secondo il paradigma
dell’embodiment (Mariani 2011). Le scienze umane, filosofia e pedagogia tra tutte,
hanno abbracciato sempre più la visione della corporeità come esistenzialità
complessa implicata nella definizione dell’identità della persona, oltre che nei
processi di acquisizione e produzione del sapere (Di Torre 2014).
In Italia, l’idea di attività motoria cominciò a delinearsi in tal senso solo dopo
la seconda metà del ‘900, come testimoniano i Programmi della scuola elementare
del 1985, che perseguono un ideale di formazione olistica con il conseguente
riavvicinamento della sfera corporea a quella cognitiva. Nello specifico, appare
estremamente significativa la concezione del corpo quale elemento costitutivo
della personalità e delle relazioni sociali, susseguente all’enfatizzazione
dell’aspetto ludico-ricreativo della motricità, in cui il movimento è considerato
alla pari degli altri linguaggi, in una prospettiva di esperienze motorie con
modalità e finalità educative tali da garantire lo sviluppo integrale del soggetto
(Sarsini 2008).
La scuola intesa come luogo fisico si trasforma, da questo momento, in
ambiente di apprendimento in cui acquisire linguaggi ed esplorare il mondo
mediante la valorizzazione delle attitudini personali di ciascun soggetto in
formazione.
Numerosi sono gli apporti disciplinari, non ultimo quello delle neuroscienze, che,
negli anni, hanno permesso di ridefinire i processi di apprendimentoinsegnamento, dove il discente assume una indiscutibile centralità. Tra le più
recenti scoperte, ad esempio, le neuroimmagini avvalorano scientificamente la
tesi di come l’attivazione e il movimento del corpo migliorino il processo di
ritenzione di una lingua straniera (Sambanis & Speck 2010).
Al tempo stesso, l’uso didattico del corpo ha rappresentato un oggetto di
indagine scientifica anche per le scienze bioeducative, impegnate ad indagare le
modalità in cui il sostrato biologico condiziona e viene condizionato dalle
esperienze didattico-educative. In altri termini si può affermare che la divisione
corpo-mente non è più contemplabile, poiché la formazione dei concetti si basa
sull’esperienza percettiva e motoria ed essi sono rappresentati neuralmente; ma
soprattutto emerge che il movimento si configura come un elemento essenziale
per la crescita e lo sviluppo di numerose funzioni mentali (Marchetti 2010). Vita e
movimento, mente e corpo si fondono nel processo di sviluppo della persona a
partire dal linguaggio per arrivare alle abilità più complesse, quelle metacognitive
e riflessive. I movimenti infatti, non rappresentano un mero meccanismo, ma
assumono un ruolo fondamentale nella formazione della mente, condizionano
l’apprendimento e sono alla base del linguaggio.
In chiave pedagogica appare necessario soffermarsi sul ruolo delle relazioni
che si instaurano tra i corpi all’interno dell’ambiente formativo. Ecco, dunque, che
ogni scelta didattica, come ad esempio l’uso dei materiali, il setting, le componenti
comunicative dell’interazione docente-discente, la consapevolezza che fra i corpi
intercorrono dinamiche emotive, contribuisce a creare un ambiente sano di
apprendimento nell’incorporazione delle conoscenze (Gamelli 2013).
Il corpo non può essere relegato in spazi e tempi limitati, ma deve costituire
l’elemento fondamentale delle relazioni ed esperienze effettuate a scuola. La
dimensione corporea non può esistere soltanto nella palestra, bensì deve essere
presente anche all’interno dell’aula, prestando attenzione alla disposizione dei
banchi, ancora troppo spesso poco conformi e funzionali alle caratteristiche
evolutive dei discenti.
In tale contesto l’approccio educativo di stampo costruttivista ha contribuito
al percorso di rivalutazione del corpo e delle sue potenzialità, nella edificazione
Ripensare la didattica disciplinare
attraverso il corpo ed il movimento
2. Corpo e movimento nella didattica
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e condivisione di significati, e rilanciando la multidimensionalità dell’ambiente
didattico, in cui confluiscono differenti scienze in un contesto pluri e
interdisciplinare (Sibilio 2011). Attraverso questa prospettiva è possibile delineare
la significatività delle “corporeità didattiche”, quali componenti fisiche, motorie,
non verbali, prossemiche ed emotive che si incontrano con altre forme
comunicative nel processo di costruzione dei significati.
Barbara De Angelis, Philipp Botes
3. La scuola in movimento
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Particolarmente significative a riguardo sono le esperienze attuate nei territori
germanofoni, in cui la scuola rappresenta un’istituzione vigile ai cambiamenti e
alle caratteristiche della popolazione, e soprattutto agli effetti catastrofici causati
da una vita sempre più sedentaria sulle abilità motorie, attentive e sullo stato di
salute generale dei soggetti in formazione. Istituzioni educative di questo tipo,
ancora poco conosciute e contemplate sul territorio italiano, pongono
l’educazione alla salute e al movimento come temi centrali, meglio esplicitati
nell’articolata concezione di “scuola in movimento” (Müller & Petzold 2006).
La regione elvetica ha da tempo sviluppato un interessante modello di scuola
in movimento, fondato sul pensiero del pedagogista dello sport Urs Illi, secondo
cui l’inattività del corpo rappresenterebbe la causa principale dell’aumento dei
problemi posturali tra i giovani. Il mondo dell’istruzione e quello dell’opinione
pubblica svizzera hanno gradualmente recepito l’idea per cui una scuola attenta
al movimento è sinonimo di una scuola sana, non solamente nell’ottica di
prevenzione e benessere fisico e, di conseguenza, cognitivo, in quanto viene
enfatizzato l’utilizzo di molteplici canali sensoriali che generano la produzione di
ormoni orientati alle emozioni positive e al miglioramento della performance.
Questo tipo particolare di scuola attiva va al di là della promozione dello sport:
abbraccia un ideale di educazione che riconosce il movimento come elemento
transdisciplinare all’interno del processo di apprendimento-insegnamento. Il
movimento, secondo il modello elvetico, rappresenta una connessione tra scuola,
famiglia e tempo libero e si concretizza in molteplici occasioni (Confederazione
Svizzera 2013):
– A scuola (viaggi di istruzione, attività extracurricolari, momenti ludicoricreativi, materie facoltative);
– In classe (educazione fisica, didattica in movimento, insegnamento
interdisciplinare, attività manuali);
– Prima/dopo la scuola (tragitto casa-scuola, compiti a casa).
Dal 2005, la Confederazione elvetica ha dato la possibilità agli istituti scolastici
presenti sul proprio territorio di aderire gratuitamente ai percorsi delle scuole in
movimento, che prevedono un impegno minimo di almeno venti minuti al giorno
di attività motorie in ogni classe, al di fuori delle ore di educazione fisica, secondo
un programma piuttosto strutturato, che prevede l’uso di materiale didattico
cartaceo, consigli pratici settimanali erogati attraverso una piattaforma telematica
dedicata, visite nelle scuole da parte di personaggi famosi provenienti dal mondo
dello sport, con i quali gli studenti possono condividere esperienze e praticare
attività fisica.
Nell’ottica delle scuole in movimento è possibile consolidare, attraverso
l’esperienza scolastica, alcune abitudini che si ripercuoteranno sulla vita dei
ragazzi, in termini di sensibilizzazione e coinvolgimento attivo delle famiglie,
maggiore attività fisica e, conseguente, diminuzione dei problemi di salute.
Proprio in virtù di quanto esposto appare auspicabile, anche in Italia, un
intervento diretto delle Istituzioni per la promozione di percorsi ad hoc, e al
tempo stesso per ripensare la programmazione didattica curricolare,
tradizionalmente basata sulla parola scritta e parlata (Lipoma 2014), nel senso di un
orientamento teso ad una maggiore attenzione alla formulazione di obiettivi e alla
scelta di contenuti di natura motoria, indubbiamente lontani da quelli
strettamente sportivi.
L’oggetto specifico delle nostre ricerche e dei nostri approfondimenti sul lavoro
svolto nelle scuole in movimento riguarda il collegamento tra questo e
l’apprendimento della lingua.
La scoperta della connessione tra movimento e lingua straniera risale a
centinaia di anni fa. Sin dai tempi di Aristotele, infatti, nella scuola peripatetica, si
era convinti che il movimento influisse positivamente sull’apprendimento e sul
filosofare. Tuttavia, nell’ultimo decennio l’interesse si è concentrato sulla
comprensione a livello neuro-scientifico del collegamento tra movimento,
memoria e apprendimento.
La lingua, naturalmente, possiede una forte componente motoria, in virtù del
fatto che l’atto del parlare è di per sé un’abilità motoria. Parlare e ascoltare
assolvono dunque importanti funzioni durante l’interazione comunicativa e, di
conseguenza, anche nel processo di apprendimento della LS. Il parlare è
movimento e, così come la comunicazione, implica diversi movimenti corporei,
quali la distanza, i gesti, la mimica, per non parlare del ruolo svolto dalla motricità
nei processi emozionali (De Angelis, 2013). Ne consegue che il corpo e il
movimento non si intrecciano con la lingua, ma sono parte integrante della sua
stessa natura.
Se si prova a ripercorrere la storia dell’insegnamento delle lingue, durante il
periodo di riforma pedagogica che ha investito il ventesimo secolo, è possibile
trovare numerose tracce dell’importanza rivestita dalla applicazione dell’uso del
movimento per l’apprendimento linguistico. Si pensi, ad esempio, alle
metodologie basate sul movimento di Herold Palmer dell’Istituto di ricerca
nipponico per l’insegnamento della lingua inglese (Palmer & Palmer, 1925), al Total
Physical Response (Asher 1969), alla Suggestopedia (Lozanov 1978), ai metodi
musicali ampiamente utilizzati in glottodidattica (Maule, Cavagnoli & Lucchetti,
2006). Ciononostante, di tale gamma di opportunità sembrano giovarsi quasi
esclusivamente le scuole della prima infanzia: l’uso del suddetto approccio, infatti,
scompare nei gradi successivi di istruzione secondaria.
In ambito glottodidattico, il movimento, così come il gioco possono invece
diventare in tutti i livelli scolastici utili strumenti didattici, nonché facilitatori
dell’apprendimento delle lingue straniere e di numerose life skills. I giochi di
movimento durante la lezione sono in grado di eliminare quelli che Butzkamm
(2012) definisce blocchi di energia, e possono attenuare problemi di salute,
alleggerire la lezione e creare un ambiente di apprendimento rilassante e privo di
stress.
I benefici del movimento nel processo di apprendimento possono spiegarsi
fisiologicamente: attraverso l’attività motoria è possibile, ad esempio, ottimizzare
i processi psico-sociali, che in glottodidattica sono rappresentati dall’impiego di
consegne motorie in lingua straniera. Al contempo esistono logiche didattiche
che giustificano come il movimento riesca a ritmicizzare la lezione: il tempo
dedicato all’apprendimento viene disciplinato attraverso brevi consegne motorie.
Michaela Sambanis (2013), didatta della lingua straniera della Freie Universität
di Berlino, distingue due principali tipologie di movimento in glottodidattica, quello
Ripensare la didattica disciplinare
attraverso il corpo ed il movimento
4. L’apprendimento delle lingue straniere
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in alternativa/compensazione alla lezione frontale e quello in aiuto al processo di
apprendimento. Il movimento inteso quale alternativa alla routine della lezione
prevede, ad esempio, l’introduzione di attività di riscaldamento o di chiusura, il
dettato di corsa (Laufdiktat), i lavori in gruppo. Al contrario, fanno parte del secondo
tipo le attività in cui il movimento rappresenta un elemento essenziale per il
perseguimento degli obiettivi linguistici, come la ripetizione di parole
accompagnate ai gesti, come nel caso della sopracitata metodologia del Total
Physical Response. Recenti studi hanno dimostrato come tali attività non siano
soltanto una differente modalità per diversificare il processo di apprendimentoinsegnamento e aumentare la motivazione nei discenti, ma migliorino ed
incentivino anche la memoria a lungo termine dei contenuti appresi (Spitzer 2009).
Nella più ampia prospettiva, sempre maggiormente promossa sul territorio
nazionale, di realizzazione di percorsi CLIL, andando a veicolare discipline non
linguistiche in una lingua straniera, ecco che l’utilizzo del movimento può
configurarsi come una delle strategie più efficaci per il docente di ogni ordine e
grado scolastico. Sin dalla scuola primaria, infatti, è possibile progettare percorsi
di apprendimento interdisciplinari che colleghino i saperi, le conoscenze e le
abilità all’interno di uno scenario comune, la lingua straniera.
Barbara De Angelis, Philipp Botes
5. Prospettive future
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In conclusione ci è sembrato utile fornire alcuni elementi di sintesi delle nostre
indagini e tesi; soprattutto ci è sembrato proficuo delineare come questo filone
di ricerca si sia sviluppato all’interno del mondo scientifico internazionale e stia
diffondendosi proprio nell’ambito della didattica delle lingue straniere.
Quali sono dunque gli strumenti che gli insegnanti possono utilizzare per
realizzare percorsi inclini all’ideale di scuola in movimento, durante le attività
curricolari in classe?
Grazie all’importanza data a fattori quali la dimensione sociale e non verbale
della comunicazione, è progressivamente emersa la rilevanza empirica delle
cosiddette performing arts (Even & Schewe, 2016), ovvero dei linguaggi artistici
utilizzati nella prassi didattica, che fanno riferimento ad un apprendimento
globale; essa comporta l’attivazione di tutti i canali sensoriali necessari per lo
sviluppo dei processi di memorizzazione e della sfera cognitiva, e non può
prescindere dal considerare centrale il ruolo svolto dal movimento corporeo e
dalle emozioni (De Angelis & Botes, 2016).
Insegnare una lingua attraverso le arti performative significa attivare processi
di apprendimento che combinano la dimensione motoria, visiva, uditiva, tattile,
emotivo-affettiva con la componente cognitiva della produzione e della ricezione
linguistica.
Tale prospettiva, dunque, costituisce un vero e proprio approccio multimodale
all’insegnamento delle lingue, che riconosce ad elementi quali i codici non
verbali, il movimento corporeo e la componente socio-emotiva, una valenza
strategica, poiché il discente viene coinvolto attivamente nel processo di
apprendimento (Piazzoli, 2011). I linguaggi sonori e musicali, così come quelli
teatrali e coreutici, possiedono una forte connotazione motoria, oltre che
cognitiva ed emotiva, e dunque rappresentano una trasposizione ideale dei
principi della scuola in movimento all’interno del processo didattico.
L’insegnante della scuola contemporanea, di conseguenza, deve porsi
un’ennesima sfida al fine di non rimanere inerme ed impassibile al cambiamento.
È proprio nella parola cambiamento che è possibile scorgere l’immenso
potenziale insito negli attori dell’ambito educativo, che si ripercuote sugli stili del
fare e del vivere l’ambiente scolastico, la lezione, la relazione con gli altri, sui
materiali da impiegare, gli spazi da utilizzare, colorando la didattica di sfumature
artistiche e quindi creative.
In questi termini, riconsiderare l’agire educativo alla luce delle performing arts
può avere importanti ripercussioni sul processo di apprendimento-insegnamento,
soprattutto per quanto concerne un aumento della motivazione, un miglioramento
del clima di apprendimento, nonché una diminuzione della dispersione scolastica.
Per fare ciò, la buona scuola dovrà prestare attenzione non solo all’azione motoria,
nell’ottica di una promozione dello sport all’interno del ventaglio di proposte
dell’offerta formativa, ma soprattutto alla valorizzazione dei linguaggi artistici e del
movimento, in quanto elementi trasversali e transdisciplinari.
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