Ebrei via dall`Europa: è fuga o Aliyah?

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Ebrei via dall’Europa: è fuga o Aliyah? | 1
giovedì 26 gennaio 2017, 16:00
Il nuovo esodo degli Ebrei europei
Ebrei via dall’Europa: è fuga o Aliyah?
Aumentano i trasferimenti in Israele, ne parliamo con Davide Romano, portavoce della sinagoga Beth Shlomo
di Sergio Flore / Tiziano Marino
Che in tempi di terrorismo e crisi migratoria l'Europa abbia, almeno nell'immaginario collettivo internazionale, perso
posizioni per quanto riguarda la sicurezza dei suoi cittadini è lampante. Che alcune minoranze se ne siano accorte prima di
altre è invece apparso da relativamente poco. È il caso della popolazione ebraica d'Europa, protagonista,
apparentemente, di un nuovo e più silenzioso esodo (l'ultimo, all'alba della Seconda Guerra Mondiale, vide il 30% degli
ebrei europei fuggire dal continente). Le partenze di ebrei dal continente allo Stato di Israele sono, infatti, aumentate fino a
raggiungere, in Italia, «livelli storicamente senza precedenti». A testimoniarlo è una ricerca dell'Institute for Jewish policy
research, istituto britannico, dal 'profetico' titolo 'Are Jews leaving Europe?'. E la domanda è anche declinabile così: è fuga
o 'Aliyah'? il 'ritorno in Israele'. Secondo Davide Romano, portavoce della sinagoga Beth Shlomo di Milano "Ci sono
componenti ideologiche religiose e laiche, supportata dal fattore 'comodità', che rendono Israele una meta privilegiata",
si fugge in Israele perchè "c'è una percezione di futuro in Israele per la gente che emigra, contrapposto alla paura di
'finire' come in altri Stati europei. Non nego che ci sia addirittura chi pensa che la situazione attuale sia simile a
quella in Polonia negli anni '30 e la paura di commettere lo stesso errore, funge da leva per l'emigrazione". Secondo la
ricerca, la fuga è colpa della crisi economica, sicuramente (la ricerca mostra gli esempi di Francia e Gran Bretagna per
indicare come il livello di disoccupazione è spesso - ma non sempre - collegato ai flussi migratori), ma non solo.
L'impennata del trend, registrata dopo gli attentati a Charlie Hebdo e all'Hyper Cacher di Parigi (dopo i quali circa 8000 ebrei
hanno lasciato la Francia per Israele), farebbe pensare a una motivazione di tutt'altra natura: l'antisemitismo. La scelta dei
Paesi europei analizzati dalla ricerca non è casuale: Svezia, Regno Unito, Germania, Francia, Belgio e Italia sono tutti
Paesi ad alta presenza di popolazione ebraica (in queste Nazioni è presente il 70% del totale europeo) e da tempo
soggetti a importanti migrazioni da paesi a maggioranza musulmana. Nel primo decennio del ventunesimo secolo,
nei sei paesi considerati, la percentuale di abitanti di origine straniera, migranti di prima e seconda generazione, si attesta
tra il 22 e il 27%, salvo l'Italia dove la percentuale è del 12%. All'interno di questo quadro, gli stranieri di origine musulmana
sono tra il 4 e l'8% e si prevede che arrivino al 10-12% nel 2050. Incidenti, percezioni, sondaggi sembrano indicare Belgio e
Francia come i Paesi più colpiti dal fenomeno, seguiti da Germania, Italia, Svezia e Regno Unito. In ogni caso, anche la
Gran Bretagna sembra essere costretta ad affrontare il problema della sicurezza delle comunità ebraiche, spendendo 2
milioni e mezzo di sterline l'anno per la protezione delle scuole ebraiche. Jonathan Boyd, Direttore dell'Istituto di ricerca
che ha lavorato sullo studio in questione ha commentato al 'The Guardian': «È chiaro che gli ebrei in alcune parti
d'Europa siano preoccupati per il loro futuro, in particolare per l'antisemitismo crescente, anche se i livelli di paura non
sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelli del decennio tra il 1930 e il '40. Fare un parallelo del genere non ha
alcuna base empirica nella realtà». Eppure gli episodi di antisemitismo registrati in Francia e Regno Unito sono aumentati
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/ebrei-via-dalleuropa-e-fuga-o-aliyah/
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(dai 423 del 2014 agli 851 dell'anno successivo, stando a un rapporto di 'Human rights first'). Anche secondo Daniel
Staetsky, autore del rapporto, sarebbe impossibile ignorare questa componente nell'analisi delle migrazioni dall'Europa a
Israele:«una grande parte della popolazione ebraica europea percepisce un aumento dell'antisemitismo. La migrazione
ha sempre giocato un ruolo centrale nella demografia ebraica e se gli ebrei non si sentono ben accettati il fatto che se ne
vadano è un primo segnale». Subito dopo i primi attentati terroristici in Europa, il premier israeliano Benjamin Netanyahu
ha invitato gli ebrei a migrare in massa in Israele. Nonostante la piccolissima dimensione della comunità ebraica italiana
(una delle più antiche del Continente), anche il nostro Paese è sotto la lente del report. Gli ebrei italiani iscritti alle
comunità sono circa 35 mila, circa lo 0,5 per mille della popolazione. Anche qui, i picchi delle migrazioni coincidono con i
grandi eventi della Storia: la fondazione di Israele e la Guerra dei Sei Giorni, per esempio. I dati sull'emigrazione nel 2016
confermano comunque il trend generale, mostrando come 289 persone siano partite l'anno scorso. Parlando all'Agi Raffaele
Besso, Presidente della Comunità di Milano, ha sottolineato come la paura attuale non sia più connessa
all'antisemitismo fascista, ma a quello di matrice islamica e religiosa: «Gli attentati in Francia e Belgio hanno
notevolmente accresciuto il senso di insicurezza degli ebrei che vivono in Italia. È vero che da noi non sono fortunatamente
accaduti fatti come quelli, ma temiamo che possano verificarsi. La paura c'è. E per quanto possa sembrare paradossale la
sensazione è che in Israele ci sia una maggiore sicurezza rispetto all'Europa, da qui si ha la sensazione che la gente sia più
protetta». Il caso italiano sembra, almeno se confrontato con il resto d'Europa, comunque maggiormente connesso a fattori
economici e culturali: liceali e universitari ebrei reagiscono alla crisi puntando verso una vita nella solida economia
israeliana. Un'altro lato della nota 'fuga di cervelli', in altre parole. Romano, secondo una ricerca realizzata
dall'Institute for Jewish policy research, in Belgio, Francia e Italia, il 4% degli ebrei sono partiti tra il
2010-2015, mentre in Germania, Regno Unito e Svezia, le percentuali si attestano tra lo 0,6 e l'1,7%. Se la
tendenza fosse confermata, tra il 2016 e il 2021 l'Italia perderebbe il 7% della sua popolazione ebraica. La
domanda dunque è: ma davvero gli ebrei stanno fuggendo dall’Europa? Ci spiega cosa sta accadendo? Alla base
di questi dati ci sono due motivazioni: il peggioramento della situazione economica e il crescente antisemitismo. In Belgio e
Francia, nel corso degli ultimi anni, è sempre più difficile essere ebrei e gli atti di antisemitismo sono in costante crescita.
Dai dati forniti dal Ministero dell'Interno francese, le azioni antisemite (scritte sui negozi, violenze e aggressioni) sono
passate da una media di 80 l'anno prima del duemila, a 400. In Belgio la situazione è drammaticamente simile e negli ultimi
5 anni, tra i due Paesi, sono stati 10 gli ebrei uccisi a seguito di attentati di matrice islamica. I fatti di Tolosa, del
supermercato kosher a Parigi e del museo ebraico di Bruxelles, non possono non preoccupare le comunità ebraiche europee
che preferiscono scappare da una condizione nella quale non si sentono al sicuro. In fatto di antisemitismo, l’Italia è alla
pari di Paesi come la Francia? Gli italiani sono dunque antisemiti? L'antisemitismo crescente è reale o
percepito? E se è antisemitismo percepito cosa c’è alla base di questa percezione che falserebbe il dato reale?
L'Italia rispetto a Francia e Belgio è un'isola felice. L'ultimo morto ammazzato, in quanto ebreo, risale al 1982 con l'attentato
alla sinagoga di Roma condotto da cinque terroristi di origine palestinese, che causò la morte di Stefano Gaj Taché (2 anni).
In anni più recenti, gli atti di violenza sono stati pochi, salvo l'accoltellamento di un religioso ebreo a Milano (Nathan Graff
ferito nel novembre 2015 n.d.r.). Tuttavia, sul web si stanno moltiplicando i siti e le pagine che inneggiano all'odio contro gli
ebrei, anche a causa della confusione tra ciò che fa e rappresenta Israele e gli ebrei stessi. Sempre più spesso le comunità
ebraiche sono vittime di questo errore di percezione. In questo quadro, gli estremisti di destra e di sinistra, che appoggiano
le teorie complottistiche sugli ebrei che governano il mondo e controllano la finanza, si ritrovano alleati e questo fanatismo
politico fa il paio con quello religioso nella condanna di Israele. Questa percezione di collegamento tra Israele e gli ebrei, si
manifesta ogniqualvolta ci troviamo di fronte a un conflitto che vede come protagonista lo Stato guidato da Benjamin
Netanyahu. I dati dimostrano come, ad esempio, durante lo scontro tra Israele e Hamas, gli atti di antisemitismo sono
aumentati in maniera esponenziale in Italia e in Europa. Fortunatamente nel nostro Paese, nonostante alcuni segnali
allarmanti, la situazione è più tranquilla e la violenza è un evento raro. Secondo questa ricerca, le partenze degli ebrei
italiani verso Israele hanno superato i livelli del 1948, anno della fondazione dello Stato ebraico, quale
riflessione le suscita? Nell'analisi di questi dati incide sicuramente il fattore economico, ma non va sottovalutata la
preoccupazione delle comunità ebraiche sul futuro di questa Europa e dell'Italia. C'è un dato, magari poco politicamente
corretto, ma reale: l'arrivo di un numero sempre crescente di immigrati musulmani, porta con sé la preoccupazione che
l'antisemitismo possa aumentare. Occorre ricordare, che metà della comunità ebraica di Milano è scappata da Paesi islamici
come Libano, Libia o Iran nel secondo Dopoguerra. Quelle generazioni emigrate tra gli anni '50 e '60 ricordano
perfettamente cosa li spinse a lasciare quelle terre e ora rivivono quelle stesse sensazioni sul suolo europeo. L'ondata
migratoria in atto, proveniente dai Paesi arabi, sta riproponendo quello schema di convivenza fallita e i nuovi immigrati,
provenienti da Paesi che rendevano la vita difficile alle comunità ebraiche, sono arrivati molto spesso con quel bagaglio
culturale. C'è un problema di antisemitismo nel mondo islamico che rischia di arrivare da noi riproponendo le tensioni che
fecero scappare circa 800.000 ebrei da quelle zone. Sarebbe utile che i Paesi arabi facessero i conti con la loro storia, così da
potere un giorno ricordare anche lì cosa è avvenuto agli Ebrei. Le motivazioni sono l’antisemitismo, e dunque la
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paura, o ci sono anche altre ragioni? In Italia la situazione economica incide più dell'antisemitismo. Il flusso di emigranti
economici ebrei, va inserito nel fenomeno più generale dei tanti italiani in cerca di lavoro che vanno a Londra o a Berlino.
Qui da noi, non c'è una tradizione culturale antisemita come in Francia o in Germania, dove già Lutero era apertamente
schierato contro gli ebrei. Certo, anche in Italia c'è un antisemitismo diffuso, più popolare, ma non supportato dalla destra
cattolica come in Francia o dal lavoro di alcuni istituti islamici. In un periodo di difficoltà economica, come quello che
attraversa il nostro Paese, c'è voglia di prendersela con qualcuno e gli obiettivi più sensibili sono sempre gli stessi: gli ebrei, i
musulmani, i rom e le altre minoranze. La paura dell’ebreo italiano, nello specifico, come si presenta? Ovvero:
timore di violenza fisica? Psicologica? Emarginazione? La situazione italiana è piuttosto tranquilla, ma ci sono chiari
segnali di una tendenza che sta cambiando. A Milano, per esempio, circa 5 anni fa venne invitato al Ramadan l'Imam Riyadh
Al Bustanji, un religioso giordano famoso per aver elogiato il suicidio-omicidio jihadista dei bambini palestinesi.
Successivamente, Davide Piccardo, il portavoce del CAIM (Coordinamento delle comunità islamiche di Milano), ha difeso
Imam apertamente antisemiti. Questi eventi preoccupano perché un tale livello di tolleranza verso chi predica
l'antisemitismo, può preparare una situazione difficile e rendere impossibile il dialogo. Tornando alla Francia, quando ho
partecipato a iniziative per la giornata della memoria, nelle scuole o nelle Università, non era raro che qualche ragazzo di
origine magrebina contestasse. Ora, dopo la strage di Charlie Hebdo, questo avviene con minor frequenza, ma prima alcuni
istituti hanno smesso di ricordare la 'Shoah' per evitare contestazioni da parte degli studenti musulmani. Il prezzo pagato,
per questo atteggiamento, sono stati gli attentati e quindi è ovvio che anche qui si teme un destino simile. L'analisi deve
sempre partire dalla Francia perché il presente francese potrebbe essere il nostro futuro, e le percentuali di immigrati
potrebbero diventare molto simili; questo fa sì che lo scenario potrebbe riproporsi. Nella fuga verso Israele c’è anche
una componente ideologica? Quanto è fuga e quanto è 'Aliyah'? Ci sono componenti ideologiche religiose e laiche,
supportate dal fattore 'comodità', che hanno reso Israele una meta privilegiata. Prima di tutto in Israele ci si sente più al
sicuro rispetto all'Europa, e già questa è una percezione che fa riflettere. In secondo luogo la comodità si esprime nel fatto
che la cittadinanza automatica, offerta a chi emigra in Israele, rende tutto più semplice. Tale predilezione è dovuta anche a
un fattore psicologico, parliamo infatti di persone che hanno avuto lo status di minoranza per lunga parte della loro esistenza
e qui si sentono parte di una comunità. Infine, c'è una percezione di futuro in Israele per la gente che emigra, contrapposto
alla paura di non averne all'interno degli Stati europei in cui vivono. Non nego che ci sia addirittura chi pensa che la
situazione attuale sia simile a quella in Polonia negli anni '30 e la paura di commettere lo stesso errore, funge da leva per
l'emigrazione. La paura degli ebrei italiani, secondo alcuni osservatori, è legata al rischio di attentati di matrice
jihadista, mentre fino a qualche anno fa era legata al rischio di un rigurgito fascista. Secondo lei è così? E
quanto pesa, invece, la paura nei confronti dei populismi che hanno investito anche l’Italia? Al timore
dell'estremismo islamico si somma sicuramente una preoccupazione per l'estremismo politico. Questi due fenomeni si
alimentano a vicenda. Più attentati ci sono più cresce il populismo e questa crescita regala alibi al terrorismo religioso. Il
fatto è che la situazione per chi si trova in mezzo a questi due fuochi non è semplice.
di Sergio Flore / Tiziano Marino
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