Con coscienza si può intendere

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V

ISSUTO E COSCIENZA

(V RL, §§ 1-8)

Con

coscienza

si può intendere: a) «la compagine complessiva fenomenologica reale [ovvero effettiva] dell’io empirico, come trama dei vissuti psichici nell’unità della corrente dei vissuti» (II, 138): in questo senso sarebbero “contenuti” della coscienza o “vissuti” le componenti sensoriali, il momento visibile o tattile, ecc. Il “contenuto” o il “vissuto” sarebbero quindi “intenzionalmente ciechi”; b) «il rendersi-conto dei propri vissuti psichici» (ibid), ovvero la coscienza interna: in questo senso, a partire da una differenza tra senso interno e senso esterno, dove il primo varrebbe come adeguato e il secondo inadeguato, la coscienza sarebbe riflessione sui propri vissuti ovvero percezione interna dei propri vissuti, ovvero dei momenti sensoriali di cui sopra. Restando la “cecità intenzionale”, s’aggiunge l’equivoca sovrapposizione tra senso interno/senso esterno e adeguato/inadeguato; c) La «designazione complessiva degli “atti psichici” o dei “vissuti intenzionali” di qualsiasi genere» (ibid.). Solo a partire da quest’ultima Husserl recupera le altre due (vedi

intenzionalità

). Così. a1.) la trama reale-empirica dei vissuti diviene l’insieme dei rappresentanti o delle materie dell’apprensione, b1.) la coscienza interna diviene l’unità temporale dei vissuti in quanto intenzionali. La

coscienza

, in quanto: a) unità della coesistenza dei vissuti, b) “interdipendenza continua ed unitaria”, secondo da forma del tempo che “resta continuamente identica”, c) «unità della “corrente dei vissuti”, realmente chiusa in se stessa nel suo dispiegarsi temporale» (II, 149), coincide con il «contenuto fenomenologico dell’io, con l’io empirico come soggetto psichico» (ibid.). Con questa conclusione la prima edizione delle

Ricerche logiche

rifiuta la postulazione di un qualche io puro, in quanto centro di riferimento primitivo e privilegiato (II, 151), come “punto essenziale di unità, sempre identico” (II, 166). Tuttavia, già la definizione di coscienza secondo a), b) e c) è un compromesso tra la prima e la seconda edizione. Difatti la considerazione della temporalità della coscienza e 1

quindi del tipo specifico di unità che essa rappresenta, era nella prima edizione solo abbozzato.

→ Nella prima edizione

, l’unità della coscienza=io è semplicemente il presente – che è davvero evidente – a cui si aggiungono i contenuti che la memoria offre come passati e che costituiscono “la verosimiglianza evidente dell’

io ero

” (A 335). Ovvero: «con l’io s’intende l’adeguatamente percepito che costituisce il nucleo che fonda e rende possibile l’evidenza. A questo dominio si aggiunge

quello che la memoria presenta come qualcosa che ci è stato in precedenza presente in maniera evidente e quindi come appartenente al proprio io che è stato (evidenza ovvero verosimiglianza evidente dell’ io ero )

» (A 335).

→ Nella seconda edizione

tutto ciò che è in grassetto viene sostituito da una più attenta descrizione dell’unità temporale della coscienza (vedi II, 148-149). Ammettere però l’unità temporale della coscienza non significa concepire l’io come io puro. L’io puro serve alla fondazione, alla giustificazione della medesima evidenza, problema questo che le

Ricerche logiche

non pongono. D’altronde anche la mancanza di pregiudizi, ovvero la riduzione e la sospensione che nelle

Ricerche logiche

possono rimanere in qualche modo parziali, in seguito – almeno dal 1906 in poi – dovranno essere invece universali. Per questa ragione, benché Husserl segnali nella seconda edizione di aver cambiato opinione sull’io puro rispetto a quanto aveva sostenuto nella prima, non riscrive daccapo i passaggi che riguardano l’io e la coscienza. Può invece correggerli introducendo alcune importanti precisazioni sulla coscienza come temporalità interna, che derivavano da lezioni e ricerche che risalivano al 1904, perché in qualche modo risultano compatibili con l’impostazione originale del testo. Della compatibilità tra fenomenologia della temporalità e definizione

empirica

dell’io possono essere dimostrazione i due passi seguenti, passati quasi del tutto inalterati dalla prima alla seconda edizione: «Il nucleo fenomenologico dell’io (dell’io empirico) è formato da atti che “portano gli oggetti alla sua coscienza”: “in” essi, l’io “si dirige” verso l’oggetto in questione» (II, 152). «L’io non rappresenta per noi null’altro che l’“unità della coscienza”, ciascun “fascio di vissuti”, o anche, ma in una formulazione empirica e naturale, l’unità continua, cosale, 2

che si costituisce intenzionalmente nell’unità di coscienza come soggetto personale dei vissuti» (II, 166-167).

R

APPRESENTAZIONE

(V RL, §§.

32-33; 44-45)

Le differenti definizioni di “rappresentazione” (

Vorstellung

) che dà Husserl hanno due scopi: a) Evitare equivoci, soprattutto a1) tra psicologia, fenomenologia, teoria della conoscenza e logica; a2) e all’interno delle analisi fenomenologiche dei vissuti b) Sottoporre a vaglio il principio brentaniano secondo cui alla base di ogni vissuto o atto ci sia una rappresentazione. Si distinguono tre concetti di

rappresentazione

: 1) Rappresentazione come atto o qualità d’atto: ovvero

il modo in cui

si può “avere semplicemente in mente”, senza alcuna presa di posizione ciò che viene enunciato, domandato, giudicato, desiderato, ecc. 2) Rappresentazione come materia d’atto, o rappresentanza (

Repräsentation

): ovvero

ciò che

può essere intuito, enunciato, giudicato, ecc. «Il principio che

ogni vissuto intenzionale ha alla base una rappresentazione

sarebbe dotato di un’evidenza autentica, se si interpretasse

la rappresentazione come materia completata

» (II, 245); non sarebbe invece dotato della medesima evidenza se s’intendesse la rappresentazione come un atto o una qualità d’atto. «All’unità dell’atto corrisponde di volta in volta l’unità oggettiva che gli è relativa, l’unità dell’oggettualità (da intende nel senso più ampio) a cui esso si riferisce intenzionalmente» (II, 246). 3) Rappresentazione come contenuto espressivo di un nome 3.1) rappresentazione è, quindi,

qualsiasi atto in cui qualcosa si oggettualizza per noi in senso stretto

: a) percezioni, “che colgono l’oggettualità in un colpo solo”; b) le intuizioni parallele (che colgono unitariamente parti di un unico oggetto); c) gli atti-soggetto degli enunciati categoriali (ovvero la nominalizzazione dello stato di cose di un giudizio, come ad esempio quando si passa dal giudizio “S è p” al giudizio “Che|S è p| è q” ovvero “|L’esser-p di S|è q”, ove lo stato di cose espresso dal giudizio “S è p” diventa nome o ‘soggetto’ di cui predicare qualcosa; 3

d) gli atti che servono a formare il presupposto di un’inferenza: ad esempio, la premessa che |sia x| nell’inferenza “se x, allora y”. [Diverso dal caso 3c) è invece giudicare su un giudizio come atto realmente compiuto. Ad esempio, una cosa è dire: a) “il tuo

giudizio

sulla situazione è sbagliato”; un’altra è dire: b) “la

situazione

, così come è espressa dal tuo giudizio, è espressa in maniera sbagliata”. Tuttavia posso sempre esplicitare a) in b), ovvero: b1) “il tuo

giudizio

sulla situazione è sbagliato” perché “la

situazione

, così come è espressa dal tuo giudizio, è espressa in maniera sbagliata”. Altra cosa ancora sarebbe dire: a1) “il tuo

giudizio

sulla situazione è intempestivo”; in questo caso è proprio all’atto del giudizio che mi riferisco e solo indirettamente allo stato di cose espresso. Ad esempio: a1.1) “sei stato frettoloso a giudicare il pallone già in porta”. In questo caso metto a tema il tempo in cui è stato effettuato il giudizio, la sua intempestività, e solo indirettamente il fatto che poi lo stato di cose enunciato non sia stato verificato dall’intuizione successiva: “il pallone è andato di poco alto sulla traversa”.] In base a questa prima chiarificazione del concetto di rappresentazione, che ne individua il significato primitivo nella materia d’atto, nell’unità oggettuale e quindi nella posizionalità, nella teticità, ovvero nella capacità di oggettualizzazione, Husserl distingue 13 accezioni di rappresentazione, che si configurano come definizioni operative.

Rappresentazione

: 1)

Materia d’atto

o rappresentanza che si trova alla base dell’atto, ovvero “lo statuto completo dell’atto” fatta eccezione della qualità d’atto. «La materia dice quale oggetto venga inteso nell’atto e in quale senso venga inteso» (II, 286); 2) 3) 4) 5) La “

mera rappresentazione

”; L’

atto nominale

; L’

atto oggettivante

; L’opposto del semplice pensiero, l’equivalente dell’

intuizione

in contrapposizione al concetto; ovvero l’

intuizione riempiente

a differenza dell’intenzione significante. In questo senso, «

rappresentarsi qualcosa

vuol dire

procurarsi un’intuizione corrispondente di ciò che era stato pensato, cioè di ciò che, pur essendo

4

“significato”, era tuttavia reso intuitivo, nel migliore dei casi, in modo del tutto insufficiente

» (II, 288); 6) L’equivalente dell’

immaginazione

a differenza della percezione: «Quando vedo

la chiesa di S. Pietro

, non la rappresento. Mentre la rappresento, quando me la rendo presente nell’“immagine del ricordo”, oppure quando è di fronte a me in un dipinto, in un disegno, ecc.» (ibid.); 7) L’

atto concreto dell’immaginazione

; 7.1) ma anche: l’immagine come cosa fisica, ovvero l’

oggetto dell’immagine

(un dipinto, un’illustrazione, un ricordo) a differenza del soggetto dell’immagine (la chiesa di S. Pietro); 8) Il

segno

o il sostituto (il rappresentante) della cosa, come una fotografia oppure come un simbolo algebrico. In quest’ultimo caso, il rappresentante rende possibile delle operazioni altrimenti interdette; quindi: 8.1)

segno-immagine

, 8.2)

segno-nome

; 9)

Sensazioni

o

fantasmi

, come sinonimi di percezioni [5)] e immaginazioni [6)]; ove però mentre le sensazioni o i fantasmi (ovvero le sensazioni impressive e quelle riproduttive) sono contenuti vissuti e non atti, le percezioni e le immaginazioni sono atti e non contenuti vissuti; 10) L’

oggetto rappresentato

11) Un (es.: il percepito, l’immaginato, il ricordato, ecc.);

contenuto di coscienza

, ovvero l’

idea

nel senso dell’empirismo classico inglese; 12) Un

significato parziale

qualsiasi all’interno di un enunciato completo; questo è il significato logico di “rappresentazione” così come compare nel concetto bolzanino di “rappresentazione in sé”; quanto alla rappresentazione logica va ancora distinto: 12.1) l’ideale dal reale, ovvero il

significato nominale

dagli atti in cui si realizza, 12.2) l’

intenzione significante

dal

riempimento

(intuizione); 13) L’

opinione

(δόξα). In ogni caso, in una rappresentazione deve poter essere possibile distinguere: a) Un oggetto denotato (oggetto intenzionale) b) Un contenuto, ovvero un significato, in quanto unità ideale in senso puramente logico; c) Un contenuto reale (

reel

), effettivamente intenzionale, composto da materia e qualità d’atto; d) Un contenuto reale (

real

), effettuale, rappresentato da sensazioni o fantasmi. [Nelle rappresentazioni possiamo ancora distinguere altri significati di forma e contenuto o forma e materia]. 5

N.B.: Husserl utilizza gli aggettivi

real

e

reell

, con un’accezione diversa, anzi opposta, benché in italiano entrambi risultino tradotti con

reale

.

Real

intende ciò che è empiricamente reale, la realtà esterna, cosale, l’effettuale: in questo senso anche le sensazioni, ad es. sono

realen

, perché non sono intenzionali; mentre

reel

intende ciò che è effettivamente vissuto: quindi la materia d’atto è

reelle

in quanto rappresentante dell’oggetto intenzionale (vedi II, 212 e Nota terminologica, II, 557). Il contenuto di un concetto invece è «il sistema delle ‘note caratteristiche’, indipendentemente dalla loro forma di connessione» (II, 292-293). 6