addio wajda, il regista di ferro

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ADDIO WAJDA, IL REGISTA DI FERRO
I SUOI FILM UN INNO ALLA LIBERTÀ
Voce della Polonia per più di mezzo secolo: dal dopoguerra a Walesa
da Roma
Cataldo Greco
“Afterimage” il suo ultimo film dedicato al
pittore Wladyslaw Strzeminski, vittima delle
repressioni dell’immediato dopoguerra, è stato
presentato al festival di Roma a testimonianza
di una carriera dedicata all’esaltazione delle
libertà, personali, culturali e sociali. Maestro
incontestabile del cinema polacco Andrzej
Wajda, scomparso il 10 ottobre, all’età di
novant’anni (li aveva compiuti a marzo), ha
accompagnato i soprassalti della storia di un
Paese per più di mezzo secolo. Mentre tutti i
più grandi registi della celebre scuola di Lodz,
da Polanski a Skolimowski, non esitarono a
fuggire verso l’ospitale Occidente, Wajda
rimase in Patria a raccontare il travaglio di una
Nazione che passo dopo passo avrebbe, anche grazie ai suoi film, saputo riprendere un processo di
riaggregazione culturale. Apparteneva per generazione a quella famiglia di registi che credevano
senza tentennamenti nella missione del cinema e nella responsabilità dell’artista di fronte alla
società.
Fin dai primi film degli anni Cinquanta “I dannati di Varsavia” e “Cenere e diamanti” in cui si
saldava il conto della memoria del passato nazista, Wajda mostrò quel senso della prospettiva
storica che lo avrebbe accompagnato per tutta la lunga carriera. Nato il 6 marzo 1926 a Suwalki,
figlio di un ufficiale di cavalleria abbattuto dal fuoco nemico durante la Seconda Guerra Mondiale,
soldato lui stesso e per questo poi decorato al valore.
Andrzej Wajda si sentiva fin da ragazzo un artista e per questo, a guerra finita, si iscrisse al corso di
pittura dell’Accademia delle Belle Arti per poi migrare alla Scuola di Cinema di Lodz. Abile nel
sopravvivere nel periodo più buio del regime fascista, grazie a film televisivi, commedie
all’occasione anche popolari, e anodine, opere in costume. Con i primi sentori di primavera perdette
ogni remora e si schierò apertamente con il futuro de-sovietizzato. La consacrazione internazionale
arriva con “L’uomo di marmo”, sorta di atto di devozione di Wajda al nascente movimento di
Solidarnosc a cui fece seguito “L’uomo di ferro”, in cui Walesa compariva nei panni di se stesso,
palma d’oro a Cannes nel 1981 e poi candidato all’Oscar. Da quel momento catartico rispetto al
passato, Wajda tirò fuori dal cassetto vecchi progetti ostacolati dalla censura, realizzando forse i
suoi film migliori come “Danton” e “I demoni”, la migliore versione del romanzo di Dostoevskij.
IL FARO – Periodico del Centro Studi “ Pier Giorgio Frassati ” – Cariati (CS)
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I FILM
Negli anni Novanta e all’inizio del secolo (specie dopo
aver ricevuto l’Oscar alla carriera, 2000), il suo cinema
stempera la vena di naturale ribellione e si adagia su
percorsi di facile sostegno al nuovo corso confermando
quella sorte di destino che lo ha voluto autore simbolo
dei tempi. Tra gli ultimi film spiccano alcune pellicole
sentite in cui l’intimo prevale su tutto come “Tatarak”
affesco di una donna affetta da tumore.
Meno interessante è invece il versante storico dove
Wajda si ripete stancamente nonostante la nobiltà dei
soggetti. Vedasi film come “Pan Tadeusz” dedicato alla
tradizione cattolica dei nobili lituani-polacchi e
“Katyn” resoconto puntuale del massacro degli ufficiali
polacchi da parte dell’esercito sovietico. È di pochi
mesi fa “Walesa – l’uomo della speranza”, ispirato a
una famosa intervista di Oriana Fallaci (interpretata da
Maria Rosaria Omaggio) ultima testimonianza dello
straordinario rapporto di amicizia col sindacalistapresidente.
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