L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVII n. 22 (47.456)
Città del Vaticano
sabato 28 gennaio 2017
.
Alla commissione mista per il dialogo tra cattolici e ortodossi orientali il Papa ricorda i cristiani perseguitati
Ancora senza soluzione la crisi in Venezuela
La via dei martiri
L’opposizione
interrompe il confronto
E nel giorno della memoria invita a non dimenticare le vittime della Shoah
Papa Francesco è tornato a invocare
«la fine dei conflitti» nei paesi insanguinati dalla violenza e dall’estremismo fondamentalista, assicurando
di avere particolarmente «a cuore i
vescovi, i sacerdoti, i consacrati e i
fedeli, vittime di rapimenti crudeli, e
tutti coloro che sono stati presi in
ostaggio o ridotti in schiavitù».
L’appello del Pontefice è risuonato
durante l’udienza ai membri della
commissione mista internazionale
per il dialogo teologico tra la Chiesa
cattolica e le Chiese ortodosse orientali, ricevuti in Vaticano venerdì 27
gennaio, giornata in cui in tutto il
mondo sono state commemorate le
vittime della Shoah. Un ricordo a
cui ha voluto unirsi anche Francesco, che in mattinata ha incontrato
una delegazione dell’European Jewish Congress. «Oggi desidero fare
memoria nel cuore di tutte le vittime
dell’olocausto. Le loro sofferenze, le
loro lacrime non siano mai dimenticate» ha poi scritto in un tweet postato sull’account @Pontifex.
Non si sbloccano le trattative sulla Siria
Nuovo rinvio dei colloqui a Ginevra
La Grande Moschea di Aleppo pesantemente danneggiata dai bombardamenti (Ap)
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DAMASCO, 27. Si fa sempre più
complessa la strada della pace in
Siria. I negoziati sostenuti dalle
Nazioni Unite e inizialmente previsti per l’8 febbraio a Ginevra sono
stati rinviati «a fine mese». Ad annunciarlo è stato il ministro degli
esteri russo, Serghiei Lavrov, che
oggi a Mosca ha incontrato diversi
gruppi dell’opposizione siriana moderata già presenti al vertice di
Astana della scorsa settimana. I colloqui erano stati annunciati dall’inviato speciale per la Siria, Staffan
de Mistura, il quale peraltro aveva
lodato i risultati raggiunti ad Astana come base positiva per la ripresa
del dialogo.
C’è anche un altro aspetto che fa
capire tutta la difficoltà di questa
fase del negoziato. Come rilevano i
media, nella delegazione dei ribelli
presente a Mosca manca uno dei
gruppi più rappresentativi, ossia il
cosiddetto gruppo di Riad. «Abbiamo invitato a Mosca i rappresentanti del gruppo — ha spiegato Lavrov — ,avevano detto che sarebbero venuti, ma dopo hanno dichiarato che devono contattarci separatamente e non come parte delle forze
democratiche progressiste dell’opposizione». Secondo la Tass, all’incontro con Lavrov erano presenti
diversi gruppi dell’opposizione, oltre a rappresentanti del Partito
dell’Unione democratica curdo e un
membro del Consiglio nazionale
curdo. Gli attriti tra il gruppo di
Riad e Mosca non sono una novità:
già lo scorso aprile il gruppo aveva
deciso di sospendere la propria partecipazione ai colloqui di Ginevra
in aperta polemica con la Russia a
causa dei raid su Aleppo. Resta difficile ora capire se e come i colloqui
Jules-Géraud Saliège e gli ebrei
Il vescovo muto
che ruppe il silenzio
CHARLES
DE
PECHPEYROU
A PAGINA
5
potranno andare avanti, in modo
tale da rafforzare la tregua e aiutare
i milioni di civili ancora nella morsa dei combattimenti.
Intanto, Mosca ha presentato ieri
nuovi suggerimenti alle parti in
conflitto per una possibile soluzione politica della crisi, in particolare
con la bozza di una nuova costituzione che ridisegna l’assetto statale.
In base alle ultime indiscrezioni
fornite dalla stampa, la Russia
avrebbe proposto la formazione di
una repubblica con un parlamento
dai poteri ampliati e con maggiori
competenze. Si pone infine un limite temporale allo strapotere del capo dello stato: un singolo individuo
potrà essere presidente al massimo
per due mandati consecutivi da sette anni. Il punto più controverso riguarda i curdi: nel progetto di Mosca, sarebbero previste in Siria regioni autonome curde, ma non è
chiaro ancora in che misura. Queste
proposte sono state finora bocciate
dall’opposizione moderata siriana.
«Abbiamo risposto che spetta ai siriani scrivere la Costituzione» ha
detto Yahya Al Aridi, uno dei membri della delegazione dell’opposizione al vertice di Astana. La portavoce del ministero degli esteri russo, Maria Zakharova, ha sottolineato che «non si tratta né di un’imposizione né di un algoritmo fisso»,
ma piuttosto «di un insieme di
idee, per di più modificabili, per
iniziare un dialogo».
Sul piano militare, jet russi e turchi hanno condotto ieri un altro
raid aereo congiunto contro i jihadisti del cosiddetto stato islamico
(Is) nella zona di Al Bab, in Siria,
dopo uno scambio di dati di intelligence sugli obiettivi dei terroristi da
colpire: lo fa sapere il ministero
della difesa russo precisando che
nell’operazione sono stati distrutti
tre centri di comando dell’Is e
alcune «posizioni fortificate dei terroristi».
Sul piano umanitario, il rappresentante
dell’Onu,
Stephen
O’Brien, ha accusato ieri il governo
siriano di bloccare la consegna de-
gli aiuti a centinaia di migliaia di
persone bisognose, nonostante il
cessate il fuoco sia «un barlume di
speranza per la fine del conflitto».
O’Brien ha affermato che un solo
convoglio ha portato aiuti a 6000
persone nel mese di dicembre, mentre le Nazioni Unite volevano dare
assistenza a oltre 930.000 persone.
Nel mese di gennaio, finora, un
unico convoglio ha raggiunto
40.000 persone. O’Brien ha chiesto
di fare pressione su Damasco affinché consenta la consegna degli aiuti
alle aree assediate.
Nel discorso rivolto alla commissione mista tra cattolici e ortodossi il
Pontefice ha fatto riferimento alle situazioni di «tragica sofferenza» in
cui vivono le comunità religiose delle regioni orientali: situazioni che,
ha spiegato, «si radicano più facilmente in contesti di povertà, ingiustizia ed esclusione sociale, dovute
anche all’instabilità generata da interessi di parte, spesso esterni, e da
conflitti precedenti, che hanno prodotto condizioni di vita miserevoli,
deserti culturali e spirituali nei quali
è facile manipolare e istigare
all’odio».
«Ogni giorno — ha sottolineato —
le vostre Chiese sono vicine alla sofferenza, chiamate a seminare concordia e a ricostruire pazientemente la
speranza, confortando con la pace
che viene dal Signore, una pace che
insieme siamo tenuti a offrire a un
mondo ferito e lacerato». In proposito il Papa ha ricordato il sacrificio
dei martiri cattolici e ortodossi «che
hanno dato coraggiosa testimonianza a Cristo e hanno raggiunto la piena unità». Proprio le loro vicende
dimostrano che «laddove violenza
chiama violenza e violenza semina
morte», la risposta dei credenti
dev’essere «il puro fermento del
Vangelo, che, senza prestarsi alle logiche della forza, fa sorgere frutti di
vita anche dalla terra arida».
In questo senso, i martiri «ancora
una volta ci indicano la via: quante
volte il sacrificio della vita ha portato i cristiani, altrimenti divisi in molte cose, a essere uniti». Anche se appartenenti a tradizioni ecclesiali diverse, essi «sono già in Cristo una
sola cosa». La loro offerta è una
chiamata «a camminare più speditamente sulla strada verso la piena
unità». E come nella Chiesa primitiva «il sangue dei martiri fu seme di
nuovi cristiani», così oggi «il sangue
di tanti martiri — è stato l’auspicio
di Francesco — sia seme di unità fra
i credenti, segno e strumento di un
avvenire in comunione e in pace».
PAGINA 8
Avvicendamento nella comunità di Bose
Chi porta il peso
ENZO BIANCHI
A PAGINA
7
Persone a Caracas in fila per iscriversi a un programma di assistenza sociale (Reuters)
CARACAS, 27. L’opposizione in Venezuela interrompe il dialogo con
il presidente Nicolás Maduro, accusandolo di non onorare gli accordi raggiunti. Lo fa con un comunicato a firma dei rappresentanti del Tavolo di unità democratica
(Mud). Non è dunque riuscita a
ottenere una soluzione politica della crisi la mediazione sostenuta
dall’Unione delle nazioni sudamericane (Unasud), che ha ricevuto
ieri stesso l’ennesima manifestazione di supporto nel vertice della comunità degli stati dell’America latina e dei Caraibi (Celac) a Santo
D omingo.
L’opposizione ha affermato che
«l’esperimento di dialogo portato
avanti in Venezuela dal 30 ottobre
al 6 dicembre dell’anno scorso è
ormai un capitolo chiuso». Ha
quindi accusato ufficialmente Maduro di non onorare la parola data
sugli accordi che si raggiungono al
tavolo della trattativa, e ha spiegato che per questo «non ci sarà una
seconda parte».
Nel suo comunicato, il Mud ha
attribuito l’interruzione del dialogo
con il governo non solo «all’inadempienza degli accordi raggiunti», ma anche a quella che definisce la «superba e grossolana risposta» ad alcune istanze. Tra queste,
si chiedeva al governo l’autorizzazione dell’invio di assistenza umanitaria; una programmazione elettorale; la restituzione delle sue facoltà al parlamento e la liberazione
dei prigionieri politici. L’opposi-
Salta l’incontro alla Casa Bianca tra Donald Trump e il presidente messicano Peña Nieto
Muro contro muro
zione ha precisato che si mantiene
comunque in contatto con i mediatori internazionali — guidati dall’ex
primo ministro spagnolo José Luis
Rodríguez Zapatero — e che «sta
analizzando criticamente» il cosiddetto “accordo per la convivenza
democratica” proposto dai mediatori alle due parti in un estremo
tentativo di sbloccare la situazione.
Nei giorni scorsi, elementi
dell’opposizione sono scesi in strada per protestare contro Maduro e
chiedere nuove elezioni. Una mobilitazione in tono minore, che non
ha certo retto il confronto con le
folle di militanti che hanno manifestato per le strade di Caracas e nelle altre città del paese nell’arco
dell’anno scorso. In questo caso,
circa 2000 manifestanti hanno marciato fino alla sede della commissione elettorale centrale. Una
contromanifestazione a sostegno
del capo dello stato si è svolta nella capitale come sempre è accaduto
in occasione delle proteste dell’opposizione. Secondo gli ultimi sondaggi, sembra che circa l’ottanta
per cento della popolazione giudichi negativamente le politiche di
Maduro.
A seguito delle elezioni parlamentari a dicembre 2015, la coalizione dei partiti d’opposizione
(Mud) ha ottenuto la maggioranza
dei seggi, ridimensionando il ruolo
politico dei socialisti per la prima
volta dopo decenni. In questo modo, si è però venuta a creare una
discrepanza fra le posizioni espresse dal parlamento e quelle decise
dal governo chávista, con la conseguenza che la maggior parte delle
proposte di legge non viene approvata oppure necessita di lunghi mesi per la ratifica. Da qui, la richiesta del Mud di un referendum per
destituire Maduro dalla carica prima del naturale termine previsto
per il 2019. Ma dopo numerosi rinvii, a ottobre scorso, il Consiglio
nazionale elettorale (Cne) ha invalidato le firme raccolte per la consultazione a causa di presunti illeciti, e dunque posticipando di fatto
ancora una volta la data di possibili elezioni. Ipotizzato originariamente per la fine del 2016, il voto è
stato poi rimandato a metà del
2017 e oggi anche questa seconda
data sembra impossibile da rispettare.
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il confine tra Stati Uniti e Messico nei pressi di Tijuana (Afp)
PAGINA 3
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza gli Eminentissimi Cardinali:
— George Pell, Prefetto della
Segreteria per l’Economia;
— Fernando Filoni, Prefetto
della
Congregazione
per
l’Evangelizzazione dei Popoli.
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sabato 28 gennaio 2017
Ministri dell’interno dell’Ue (Epa)
Appello del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo
Risorse private contro la fame
rischi che questa operazione può
comportare».
L’Ifad si pone come broker nel
partenariato pubblico-privato, cercando di “compattare” la piccola
agricoltura. «Il privato per potere
investire in questo settore cerca un
aiuto, perché non può trattare con il
piccolo produttore di montagna»,
hanno concluso gli esperti del Fondo internazionale per lo sviluppo
agricolo; da qui l’importanza di mettere in rete cooperative e associazioni dei piccoli produttori, in modo da
porli in contatto con il sistema bancario e con il mercato.
Un lavoro, quello dell’Ifad, seguito con molto interesse dall’Italia, come hanno detto alla conferenza gli
esperti del ministero delle finanze, a
partire dall’imminente creazione di
uno sportello dedicato al medio finanziamento; quella nicchia di coltivatori che viene trascurata dal sistema bancario perché troppo piccola
senza sufficienti garanzie, ma anche
dal microcredito perché leggermente
superiore alla media.
ROMA, 27. Trovare il modo di attrarre le risorse del settore privato per
ridurre la fame e la povertà nel mondo, secondo gli obiettivi stabiliti
dall’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile a livello globale sottoscritto
dai governi dei 193 paesi dell’O nu.
È la sfida lanciata nella seconda
giornata dei lavori della conferenza
internazionale organizzata a Roma
dal Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad, agenzia specializzata delle Nazioni Unite per l’incremento delle attività agricole dei
paesi membri) dal titolo “Investire
in una trasformazione rurale inclusiva”. «Le risorse pubbliche non sono
sufficienti a centrare questo obiettivo
che ha un costo estremamente elevato», ha detto all’agenzia Ansa il direttore della divisione delle politiche
e consulenza tecnica dell’Ifad, secondo il quale «occorre trovare il
modo di invogliare il settore privato
a investire nel mondo della piccola
agricoltura familiare, avendo capito
che può essere potenzialmente un
buon business, ma anche mitigare i
I ministri dell’interno Ue sulla questione migranti
Necessari
concreti passi in avanti
BRUXELLES, 27. Fare passi avanti
sulla riforma del regolamento di
Dublino. È l’obiettivo ribadito
nell’incontro informale dei ministri
dell’interno europei, ieri a La Valletta, a Malta, al quale ha partecipato il commissario europeo all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos. Dal vertice è emerso che non
c’è solo la normativa sulle richieste
di asilo da rivedere, bisogna nel
La Grecia nega l’estradizione di soldati turchi
Aperta la partita tra l’Europa e il governo italiano alle prese con l’emergenza terremoto
Tensione
tra Ankara e Atene
Confronto sui conti
ANKARA, 27. Gli otto militari turchi
fuggiti in Grecia con un elicottero
dell’esercito dopo il fallito colpo di
stato del 15 luglio non saranno
estradati. Dopo una battaglia legale
durata sei mesi, la corte suprema di
Atene ha respinto la richiesta di
Ankara, che li accusa di essere tra i
golpisti, giudicando improbabile
che i soldati possano affrontare in
patria un giusto processo.
La decisione ha subito scatenato
una dura reazione da parte della
Turchia. A un paio d’ore dalla sentenza, il governo di Ankara aveva
già minacciato conseguenze per le
«relazioni bilaterali», mentre da un
tribunale di Istanbul era giunta una
nuova richiesta d’arresto per i soldati, con tanto di invito al ministero della giustizia a sollecitare all’Interpol l’emissione di un mandato di
cattura internazionale.
Un braccio di ferro da cui finora
Atene ha cercato di chiamarsi fuori.
Alla vigilia della decisione, il ministro della giustizia, Stavros Kontonis, aveva assicurato di voler lasciare la questione in mano ai tribunali,
senza un intervento diretto dell’esecutivo di Alexis Tsipras. I militari
turchi — due maggiori, quattro capitani e due sergenti — si sono sempre dichiarati innocenti, sostenendo
di temere per la propria incolumità
in caso di rimpatrio. Il tribunale ne
ha anche deciso il rilascio.
«Questo atteggiamento della magistratura greca, in contrasto con le
norme e i principi del diritto internazionale, lascia impuniti i criminali e viola i diritti delle vittime. Da
paese che in passato ha vissuto un
colpo di stato, con questa decisione
la Grecia si è purtroppo messa nella
posizione di paese che offre rifugio
e protezione ai golpisti», è l’accusa
turca, affidata a un duro comunicato del ministero degli esteri. A rischio, avverte Ankara, potrebbero
esserci anche i rapporti tra i due
paesi: «Gli effetti di questa decisione, che crediamo sia stata presa per
motivi politici, saranno oggetto di
una valutazione complessiva rispetto alle nostre relazioni bilaterali, alla nostra cooperazione antiterrorismo e alle altre cooperazioni in
questioni bilaterali e regionali».
Proprio ieri, una delegazione di
diplomatici greci era giunta ad Ankara per «regolari consultazioni politiche». Negli ultimi anni, i rap-
porti tra i due paesi confinanti sono
migliorati, ma tensioni emergono
periodicamente sulle questioni più
delicate, come la sovranità sulle isole dell’Egeo o il futuro di Cipro, su
cui in queste settimane sono in corso importanti trattative.
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ROMA, 27. Entro il primo febbraio
la commissione europea si aspetta
dall’Italia una «risposta precisa»
sulla correzione dei conti. Ma il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, assicura che l’Italia sarà puntuale, nonostante l’incertezza politica e la prospettiva ancora non precisa di elezioni.
L’Italia ha chiesto di sforare il
margine di spesa negli equilibri tra
bilancio e deficit fissato dai trattati.
Ieri il commissario agli affari economici europeo, Pierre Moscovici,
ha ribadito l’accordo raggiunto per
una correzione di non oltre lo 0,2
per cento, aggiungendo che l’Italia
è sostenuta nello sforzo per le
emergenze, ma che le spese per i
nuovi terremoti «non entrano nella
discussione in corso». La commissione è «pronta a esaminare» la ri-
chiesta, ma in altra sede. A Bruxelles il ministro Padoan ha parlato
anche con la commissaria alla concorrenza, Margrethe Vestager, del
dossier banche. La questione Monte dei Paschi di Siena non sembra
più problematica. Su questo, in
particolare, la Banca centrale europea (Bce) aspetta il piano di ristrutturazione annunciato per fine
mese.
Italia
indebitata
e povera
ROMA, 27. «Quasi la metà delle
famiglie italiane ha difficoltà a far
far quadrare i conti». È quanto si
legge nell’ultimo rapporto 2017
dell’istituto di studi politici economici e sociali, Eurispes, che denuncia il ritorno a casa di molti,
in difficoltà dopo la perdita del
lavoro o dopo il divorzio. Ma
emerge anche la percentuale di
quanti si trovano nei guai a causa
del gioco d’azzardo.
Secondo il rapporto, «il 48,3
per cento degli italiani non riesce ad arrivare alla fine del mese», con un incremento di circa
un punto percentuale rispetto
all’anno scorso, dove si registrava un 47,2 per cento. È uno dei
tratti della difficoltà degli italiani
persistente nonostante la timida
ripresa economica. Alla base dello sprofondare nella povertà ci
sono la perdita del lavoro (76,7
per cento dei casi), il seguito di
una separazione o un divorzio
(50,6 per cento), una malattia
propria o di un familiare (39,4
per cento). Ma tra le ragioni c’è
anche «la dipendenza dal gioco
d’azzardo» che colpisce nel 38,7
per cento dei casi.
Tra i dati più significativi, rispetto all’anno scorso, sono aumentati i soggetti che hanno dovuto ridurre le spese mediche
per far quadrare il bilancio (38,1
per cento rispetto al 34,2). Poi,
si nota che il 28,7 per cento delle
famiglie ha chiesto un prestito
per il mutuo della casa (il 46,8
per cento) o per la necessità di
pagare debiti accumulati (27,6
per cento).
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Pierre Moscovici e Pier Carlo Padoan (Ansa)
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Berlino estende
la missione militare nel Mali
Il presidente gambiano
torna in patria
BANJUL, 27. «Il peggio è passato».
Lo ha detto ieri il nuovo presidente
del Gambia, Adama Barrow, al
rientro nel paese a cinque giorni
dalla partenza per l’esilio del suo
predecessore, Yahya Jammeh, che
non intendeva lasciare il potere dopo 22 anni nonostante la sconfitta
alle elezioni del dicembre scorso.
«Quanto accaduto — ha aggiunto —
era parte della lotta e credo che la
fase peggiore sia terminata».
In Gambia sono presenti circa
4000 soldati dei paesi della Comunità economica degli stati dell’Afri-
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
[email protected] www.photo.va
ca occidentale (Ecowa) per garantire la sicurezza di Barrow. Nell’esercito e nella polizia — indicano gli
analisti — rimarebbero infatti parecchi uomini legati al suo predecessore. Le prime mosse di Barrow dovrebbero riguardare il ripristino delle libertà fondamentali e dei diritti
civili nel paese. Una nuova situazione di stabilità potrebbe favorire
la ripresa del turismo, fonte decisiva di entrate per il paese dell’Africa
occidentale, interamente circondato
dal Senegal, tranne che per lo sbocco sull’Atlantico.
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
frattempo far funzionare il meccanismo dei ricollocamenti.
Era previsto che 40.000 profughi
venissero ricollocati da Italia e
Grecia nei vari paesi Ue in due anni. Ma dopo quasi un anno e
mezzo quelli trasferiti dall’Italia sono ancora soltanto 2917. Al vertice
è stato chiaramente lanciato l’appello a far rispettare il piano sottoscritto da tutti i capi di stato e di
governo Ue.
Intanto, i ministri hanno concordato sulla necessità di lavorare alla
revisione del regolamento di Dublino, che al momento impone sostanzialmente al paese di primo ingresso di farsi carico dell’accoglienza e della permanenza dei richiedenti asilo. La discussione in corso
— ha sottolineato Avramopoulos —
punta a una «riforma ambiziosa e
più leale rispetto ai paesi in prima
linea».
In particolare è stato il ministro
lussemburghese Jean Asselborn a
ribadire l’urgenza di una «effettiva
solidarietà europea» nella gestione
delle politiche migratorie, ribadendo che «è impossibile che Italia e
Grecia siano lasciate da sole».
Nella riunione è emerso uno
schema per un «approccio a tre fasi» che prevede misure diverse in
relazione ai volumi degli arrivi:
bassi, alti e altissimi. In base al numero degli sbarchi, potranno scattare i ricollocamenti, ma i particolari e le proporzioni sono tutti da
definire e non sarà semplice trovare
un accordo con tutti i paesi europei. Avramopoulos ha dichiarato
che «per la prima volta non si è
lontani dalla soluzione», riconoscendo però che la partita si gioca
nei dettagli, non facili. Da parte
sua, Carmelo Abela, ministro
dell’interno di Malta, paese presidente di turno dell’Unione, ha parlato di «progressi».
Allo studio c’è anche la realizzazione di campi in Libia, dove accogliere i migranti che saranno riportati sulla costa, una volta entrato a
regime il piano votato in questi
giorni dalla commissione che prevede il rafforzamento della guardia
costiera e il rientro sulle coste libiche di chi si avventura in mare verso l’Europa. Con motovedette e altri mezzi consegnati dall’Ue, le forze libiche dovrebbero essere in grado di pattugliare le acque e riportare indietro coloro che partono
con gommoni e barconi.
BAMAKO, 27. Il Bundestag tedesco
ha approvato ieri l’ampliamento del
contributo militare della Germania
alla missione dell’Onu nel Mali.
Il nuovo mandato — informa
l’agenzia Ansa — prevede che possano essere inviati fino a mille soldati per la missione di pace, superando così il limite precedente che
era di 650 militari. Inoltre, verranno
messi a disposizione otto elicotteri
da impiegare, tra l’altro, nelle operazioni di salvataggio, finora assicurate dai soldati olandesi.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
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Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Il paese africano rimane scenario
di gravi tensioni tra esercito e jihadisti, nonostante l’intervento armato dei francesi nel 2013 e dei caschi
blu delle Nazioni Unite della missione Minusma per combattere i
gruppi jihadisti.
Nei giorni scorsi, un’autobomba
è esplosa in una base militare a
Gao, nel nord, provocando la morte di almeno 77 soldati. L’attentato
è stato rivendicato dal movimento
estremista islamico Al Morabitoun,
gruppo che appartiene al ramo
sahariano di Al Qaeda.
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
Ivan Ranza, direttore generale
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Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
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sabato 28 gennaio 2017
pagina 3
Salta l’incontro alla Casa Bianca tra Donald Trump e il presidente messicano Peña Nieto
Muro contro muro
WASHINGTON, 27. Muro contro muro: salta il vertice, in programma per
martedì prossimo, tra il presidente
statunitense, Donald Trump, e il capo dello stato messicano, Enrique
Peña Nieto. È l’ultimo atto della
lunga polemica sulle prime mosse
del nuovo inquilino della Casa Bianca sull’immigrazione, a cominciare
May
negli Stati Uniti
per ribadire
un’alleanza speciale
WASHINGTON, 27. Sarà il premier
britannico Theresa May il primo
leader internazionale a incontrare
il nuovo presidente degli Stati
Uniti, Donald Trump. Scelta per
nulla casuale, a conferma del rapporto speciale tra i due paesi, che
tanto May quanto Trump si sono
detti decisi a rafforzare.
La leader tory è giunta ieri negli Stati Uniti. La prima tappa
del suo viaggio è stata la città di
Filadelfia, dove ha parlato a una
riunione di membri repubblicani
del Congresso.
La vittoria di Trump «vi dà
l’opportunità di aprire una nuova
era» ha detto. Regno Unito e
Stati Uniti «hanno la responsabilità di essere leader per difendere
insieme i nostri valori di libertà e
democrazia che sono minacciati».
Occorre dunque un’alleanza inossidabile perché «quando Regno
Unito e Stati Uniti indietreggiano
è un male per il mondo intero:
possiamo ancora guidare il mondo».
A Filadelfia May ha anche difeso la Nato, quell’alleanza che
Trump ha definito “obsoleta”. E
tuttavia, ha aggiunto che «gli alleati debbono fare di più» senza
pesare solo su Washington per la
loro sicurezza. La leader britannica giunge negli Stati Uniti dopo
aver presentato in parlamento la
proposta di legge per avviare i
negoziati sull’uscita dall’Unione
europea, come chiesto dal verdetto della Corte suprema. Trump si
è più volte espresso in termini positivi sulla Brexit
Tra le due sponde dell’Atlantico c’è però anche qualche criticità. Il premier britannico ha annunciato che il Regno Unito potrebbe decidere di interrompere la
collaborazione con le agenzie di
intelligence statunitensi nel caso
in cui queste ultime dovessero
adottare la tortura per ottenere
informazioni negli interrogatori
dei sospettati. «La linea del Regno Unito è molto chiara e il nostro approccio sulla tortura non è
cambiato» ha detto May ai giornalisti presenti sul volo sull’Atlantico.
appunto dall'annuncio del completamento del muro tra Stati Uniti e
Messico.
L’ordine esecutivo del muro è stato firmato da Trump due giorni fa,
innescando un duro botta e risposta.
Il presidente statunitense ha dichiarato che sarà il Messico a pagare i
lavori per l’edificazione della barriera. Le proteste sono subito esplose e
Peña Nieto si è rivolto alla sua nazione con un videomessaggio: «Rimpiango e condanno la decisione degli Stati Uniti di continuare la costruzione di un muro che, da anni
ormai, invece di unirci ci divide» ha
dichiarato. Trump ha replicato che
«se il Messico non vuole pagare per
un muro molto necessario, allora sarebbe meglio cancellare l’appuntamento». Peña Nieto ha risposto a
sua volta: «Abbiamo informato la
Casa Bianca che non parteciperemo
alla riunione di lavoro programmata
per il prossimo martedì». Scelta confermata dal presidente statunitense,
che ha dichiarato: «Ci siamo accordati per cancellare l’incontro. Se il
Messico non è disposto a trattare gli
è surriscaldato e questo ha portato
al rinvio dell’incontro.
Va detto, infatti, che i rapporti
commerciali con il vicino messicano
sono importanti per Washington,
per tutte le fabbriche americane che
operano nel paese, che è il primo
importatore mondiale di prodotti
made in Usa. C’è poi il rischio di instabilità socio-politica. Come sottolineano molti analisti, Peña Nieto è a
fine mandato e non potrà ripresentarsi alle presidenziali dell’anno
prossimo. Il populista Andrés Manuel López Obrador potrebbe essere
il favorito. Il caos politico messicano
potrebbe avere gravi ripercussioni
sull’immigrazione, complicando il lavoro di Trump. E in effetti, sempre
ieri, poco dopo la decisione di cancellare il vertice, la Casa Bianca è
apparsa voler gettare acqua sul fuoco e stemperare le polemiche. Il portavoce Sean Spicer ha precisato, parlando con i giornalisti, che quella di
imporre dazi doganali del venti per
cento è solo un’ipotesi al vaglio
dell’amministrazione.
Via libera alla costruzione di oltre cento case a Gerusalemme est
Israele approva
nuovi insediamenti in Cisgiordania
TEL AVIV, 27. Israele ha dato ieri il
via libera alla costruzione di 143
nuove case nel quartiere ebraico di
Gilo a Gerusalemme est. Gli alloggi
— secondo altre fonti sarebbero 153
— erano stati già deliberati e bloccati tempo fa su pressione della passata amministrazione statunitense di
Barack Obama.
La decisione giunge a pochi giorni dall’annuncio del premier Benjamin Netanyahu dei 2500 nuovi alloggi in Cisgiordania. Si tratta in
larga parte di ampliamenti di insediamenti ebraici già esistenti. La
mossa era stata preceduta, circa due
settimane fa, dal via libera, sempre a
Gerusalemme est, di circa 566 nuove
Insediamenti ebraici ad Har Homa nella parte orientale di Gerusalemme (Afp)
Venti morti
per le valanghe in Kashmir
NEW DELHI, 27. È salito a venti —
quindici militari e cinque civili — il
numero delle vittime di due valanghe che si sono abbattute in altrettanti distretti dello stato indiano di
Jammu e Kashmir. Lo riferiscono
fonti della stampa locale.
Il più grave degli incidenti è avvenuto nel settore di Gurez, lungo
la Linea di controllo (LoC, confine
ufficioso indo-pakistano della regione himalayana), dove un’enorme
valanga si è abbattuta su un accampamento militare indiano. Quattordici le vittime accertate, ma si teme
che possano essere molte di più.
I soccorritori sono tuttora impegnati in una corsa contro il tempo
per raggiungere eventuali superstiti, e già sei di essi sono stati estrat-
Stati Uniti in maniera equa, con tutto il rispetto, questo incontro sarebbe infruttuoso, e io voglio andare in
una direzione diversa».
Nell’agenda del vertice di martedì
c’era soprattutto la rinegoziazione
del Nafta (North American Free
Trade Agreement), l’accordo per il
libero commercio tra Stati Uniti, Canada e Messico. Per preparare le
trattative, mercoledì Peña Nieto aveva inviato una delegazione a Washington. E proprio quel giorno
Trump ha firmato l’ordine del muro
e poi ha detto di voler usare il Nafta
per alzare i dazi sul venti per cento
delle merci messicane importate e finanziare così le spese per il muro,
che ammonteranno ad almeno una
decina di miliardi. «L’ho detto e ripetuto, non sarà certo il mio paese a
pagare le spese del muro» ha detto
Peña Nieto nelle prime dichiarazioni
a caldo. Nonostante le pressioni interne, all’inizio il presidente messicano aveva scelto di non disdire il faccia a faccia martedì prossimo a Washington. Poi, come detto, il clima si
ti vivi dalla coltre di neve e trasferiti in elicottero in un vicino ospedale. All’appello, però, mancano
ancora diverse persone.
Successivamente, un’altra valanga aveva causato la morte di cinque civili in una casa di Sonamarg,
nel distretto kashmiro di Ganderbal, e anche di un maggiore
dell’esercito.
Appresi i particolari delle due
tragedie, il primo ministro indiano,
Narendra Modi, impegnato a New
Delhi nelle celebrazioni del sessantottesimo anniversario della Repubblica indiana, ha manifestato in
una nota ufficiale ripresa dalle
agenzie di stampa locali il suo
«profondo dolore» per quanto accaduto ai militari e ai civili.
case, soprattutto nei sobborghi
ebraici di Ramot, Ramat Shlomo e
Pisgat Zèev. «Costruiamo e continueremo a costruire» ha detto Netanyahu, che si appresta a incontrare
Trump a Washington all’inizio del
mese prossimo.
L’annuncio delle 2500 nuove case
in Cisgiordania non ha ricevuto alcun commento da parte della Casa
Bianca. Diversa, ovviamente, la risposta dei palestinesi: il presidente
Mahmoud Abbas è intervenuto in
maniera decisa preannunciando «serie e significative ripercussioni; stiamo avendo intense consultazioni
con alcuni fratelli arabi e amici — ha
detto ieri Abbas parlando al Consiglio di Fatah, il partito maggioritario palestinese — per rimuovere a livello internazionale questa mossa
pericolosa e intraprenderemo passi
per prevenirla». Poi ha riaffermato
la linea di Ramallah sul possibile
trasferimento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme: «Siamo in
uno stato di allerta e di attenzione e
abbiamo detto al mondo che non
accetteremo questo passo e, se accadrà, questo sarà disastroso per la pace». Nei giorni scorsi, Al Fatah ha
avviato una serie di consultazioni
con Hamas (il movimento palestinese che controlla la striscia di Gaza
dal giugno 2006) per la formazione
di un governo di unità nazionale.
Una delle motivazioni di questo rinnovato dialogo — dicono i commentatori — sarebbe proprio la volontà
di far fronte comune alla proposta
dell’amministrazione Trump.
Pechino studia
un missile a lungo raggio
PECHINO, 27. La Cina sta sviluppando un nuovo missile aria-aria a lungo raggio, secondo alcune immagini
diffuse on line. La nuova arma che
Pechino sta mettendo a punto, ha
scritto ieri il «China Daily», avrebbe
un raggio di 400 chilometri, molto
superiore a quello dei missili attualmente in dotazione all’aeronautica
di Pechino, che hanno un raggio di
cento chilometri.
Una foto del missile è comparsa
sul «Liberation Army Daily», il
quotidiano ufficiale delle forze armate cinesi, trasportata da un caccia
J-11B, nel corso di un’esercitazione
aerea avvenuta a novembre scorso
nel nord-ovest della Cina.
Ancora non c’è stata alcuna presentazione ufficiale della nuova ar-
ma di cui si sarebbe dotata Pechino,
ma per un ricercatore dell’aeronautica, Fu Qianshao, che ha parlato al
«Liberation Army Daily», il nuovo
missile aria-aria potrebbe essere dotato di un radar di ultima generazione per identificare i bersagli da colpire. Pechino punta a costruire un
esercito sempre più avanzato tecnologicamente, come ha spesso sottolineato il presidente Xi Jinping, che è
anche capo delle forze armate. Xi ha
fatto visita ieri ai militari del comando di Zhangjiakou, vicino a Pechino: il presidente ha sottolineato
nell’incontro con i soldati l’importanza di continuare lungo la strada
della riforma dell’esercito, di rispettare la legge e di costruire un esercito forte.
Un tratto della barriera al confine tra Stati Uniti e Messico (Reuters)
Fondi internazionali
all’economia giordana
AMMAN, 27. L’Unione europea ha
firmato con la Giordania un accordo per fornire ad Amman un finanziamento di 55 milioni di euro in
favore dello sviluppo del settore
produttivo privato e delle infrastrutture. Secondo un comunicato
diffuso dall’agenzia giordana Petra,
l’intesa, firmata da una delegazione
dell’Unione europea e dal ministero
giordano della cooperazione internazionale, include anche dieci milioni di euro aggiuntivi per mitigare
l’impatto della presenza di profughi
siriani nel regno hashemita. Si tratta di aiuti molto importanti, tesi a
rilanciare l’economia giordana che
negli ultimi anni ha dovuto fronteggiare una gravissima crisi. I fondi —
stando a quanto riporta l’agenzia —
dovranno servire per migliorare il
sistema per le attività economiche,
incoraggiare l’imprenditorialità e
creare sviluppo. L’industria giordana è ancora basata su piccole fabbriche a conduzione semi-artigianale, occupate nella trasformazione
dei prodotti agricoli locali (oleifici,
manifatture di tabacco, birrifici, cartiere) e nella lavorazione della lana
e del cotone importato.
Appello per la fine
del conflitto afghano
Donne in una strada del centro di Kabul (Reuters)
KABUL, 27. L’alto consiglio per la
pace (Hpc) dell’Afghanistan ha rivolto ieri un appello per una rapida
fine della guerra e delle violenze
perché «la gente è stanca del conflitto». In una cerimonia in memoria della recente scomparsa del presidente dell’Hpc, Sayed Ahmad
Gailani, il vicepresidente dell’organismo, Mohammad Karim Khalili,
ha ribadito che «dovremmo trovare
un punto finale per la guerra», perché «né la gente né il governo potranno raggiungere successi in un
clima bellico».
Durante la cerimonia, il responsabile dell’alto consiglio per la pace
afghano ha sostenuto fra l’altro che
«le priorità massime dell’Hpc sono
la restaurazione della pace e la stabilità» afghana, sottolineando che
da vivo un «paziente e flessibile
Gailani fu capace di raggiungere un
accordo di pace con l’Hizb-e-islami
di Gulbuddin Hekmatyar».
Ma, intanto, il conflitto provoca
tensioni anche al confine. Le forze
di sicurezza afghane e pakistane si
sono impegnate ieri in uno scontro
a fuoco lungo la frontiera comune
non ufficiale (Durand Line) in un
incidente che è costato la vita a una
guardia afghana. Il portavoce della
polizia della provincia afghana di
Kandahar ha indicato che la sparatoria è avvenuta all’altezza del distretto di Spin Boldak, che confina
con la provincia pakistana del Baluchistan, nel momento in cui un
gruppo di militanti tentava di entrare in Afghanistan. Secondo la
versione offerta da Kabul i militari
pakistani hanno sparato su quelli
afghani dopo che questi avevano
aperto il fuoco contro i militanti
che tentavano di infiltrarsi.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
sabato 28 gennaio 2017
Kim En Joong, «Progetto di casula»
(1999, Ikej)
di DENIS COUTAGNE
he cosa rappresenta?». Se qualcuno mi
rivolge questa domanda, il quesito mi
infastidisce... Padre
Geiger, parlandomi dell’eleganza di un
fiore, mi diceva che ogni petalo è al suo
posto e offre una perfetta armonia all’insieme...
Padre Kim En Joong, facendo propria
la domanda posta un numero indefinito di
volte a proposito della sua opera («Che
cosa rappresenta?»), risponde per il tramite di padre Geiger che, a sua volta, avrebbe potuto prendere in prestito questo
motto di Cézanne: «L’arte è un’armonia
parallela alla natura». L’opera d’arte, per
quanto astratta, non detiene la sua ragion
d’essere in sé stessa, poiché essa imita misteriosamente la natura attraverso un gioco d’armonia analogo a quello che si può
ritrovare nella natura stessa. Courbet dice
che la bellezza è nella natura e che il pittore ha il merito di svelarla per trattenerla
sulla tela... Non c’è alcun bisogno quindi
di identificare una figura definita, posto
che l’opera d’arte sprigioni una bellezza
intrinseca, la quale sarà tanto più forte
quanto più si accorderà, come opera d’arte, con quella che viene data in un giardino, in un fiume, in un tramonto. La raffigurazione diventa allora un ostacolo
all’emozione che occorre esprimere, poiché essa rinvia a una realtà — precisamente quella che è raffigurata — percepita come un intermediario, un impedimento.
Kandinskij sperimenta tale emozione alla
semplice vista della riproduzione di una
tela di Monet — I mucchi di fieno — esposta capovolta, quindi impossibile da riconoscere come rappresentazione. Malevic
non aveva forse, a partire dal 1915, formulato questa necessità scrivendo il libro Il
mondo senza oggetto? E, accompagnando il
gesto pittorico alla teoria, aveva dipinto il
Quadrato nero su fondo bianco; non bastandogli, dipinse il Quadrato bianco su fondo
bianco: l’opera aveva raggiunto la sua
espressione assoluta perché era stata scar-
«C
Sulla pittura di padre Kim En Joong
Dipingo dunque sono
La seconda direzione fa riferimento a
Matisse, cioè alla pittura e nel caso specifico a quella del XX secolo, sotto l’egida di
uno dei più grandi pittori di quest’epoca,
fedele alla raffigurazione ma apertamente
agnostico. Un criterio comune sembra
adattarsi a entrambi: l’interiorità. Quando
si sa che l’ultima parola scritta da Julien
Green è stata «interiore» — per dire che
gli unici grandi viaggi sono quelli “interiori” — e questo a qualche giorno dalla morte (che viaggio!), viene il sospetto che il
criterio di bellezza di Kim En Joong non
sia nell’ordine della plasticità formale!
L’opera di Kim En Joong non sarebbe
quindi solo un’espressione lirica corrispondente alla vita interiore, la quale parteciperebbe a un mondo trascendente, invisibile, intuibile a priori attraverso le realtà
di questo mondo, persone e oggetti? Ma
allora ogni mistico non sarebbe forse immediatamente artista? Ogni pittore cosiddetto “astratto” non sarebbe allora immediatamente mistico? Un’opera così astratta
come quella di Bram van Velde, per citare
un artista morto relativamente di recente
(nel 1981), esprime forse una qualche divinità dimenticata? Aprirebbe, in quanto
astratta, un altrove come un paradiso perduto o sperato? Non parla, piuttosto, della perdita definitiva di esso? «Io dipingo
l’impossibilità di dipingere». Certo, con
quest’ultimo, «l’invisibile raffigurato sulla
tela è più vero di ciò che consideriamo
realtà», ma questo invisibile non si manifesta che nella privazione di colori e linee,
sempre come sbavature. Le parole, quelle
della poesia così come quelle della pittura,
fanno difetto: «Sono un uomo senza lingua ». E Bram van Velde non può che dipingere una deficienza radicale, «l’ostruito, il precario, l’inerte, l’inerme, il viziato,
il tremante, lo schiacciato, il nudo, l’infermo, il vacillante, il povero, l’esiliato, l’inconsolabile». Resta la necessità di poter
esprimere questa assenza.
Certo, l’esperienza della pittura implica
una parte di mistero in un cammino di
desolazione della pittura stessa che diventa
uno spazio di fluidità e
di trasfigurazione, senza
che alcun significato
possa essere garantito.
Fautrier, Tal Coat, Dubuffet, secondo pratiche
differenti, pongono alcuni punti interrogativi
analoghi: possono avere
un contenuto spirituale
delle opere talvolta lontane da ogni figurazione anche se tangibili
nella materia pittorica
talora terrosa? Certamente possono, rispondono alcuni come Bazaine, Debré, Hantai,
Hartung, Masson, Mathieu, Messagier, Manessier,
Riopelle,
Schneider, più preoccupati di un’espressione
lirica fondata sul gesto,
sul grafismo o sullo
splendore, dando vita a
movimenti intorno a temi come l’astrazione lirica, l’arte informale, il
tachismo.
Occasionalmente artisti di origine asiatica si
infiltrano in questo o
quel movimento fino ad
Kim En Joong nell’atelier Loire a Chartres
acquisire una notorietà
di Kim: in che cosa mi perviene l’invisibile? In che cosa questo “invisibile” è quello
stesso di Dio?
Precisamente, Dio, nella fede cristiana,
non è forse colui che, essendo di fatto invisibile e dunque inaccessibile, ha l’iniziativa di venire verso di noi fino a incarnarsi? Ciò in cui si è incarnato è allora tanto
colui che cela la divinità insita in sé stesso, quanto colui che è capace di rivelarne
alcune evidenze. L’episodio della Trasfigurazione attesta questo fenomeno. Guardando un’icona, posso avere l’intima convinzione di veder raffigurato il volto del Cristo tale quale si è impresso in un sudario sacro,
un’opera
d’arte
acheropita che l’iconografo riceve la missione
di ripetere secondo una
codificazione
estremaPubblichiamo uno stralcio dall’edizione
mente elaborata. Quindi
italiana curata da Alberto Fabio Ambrosio
quale criterio possiamo
del libro di Denis Coutagne Kim En Joong.
trovare per riconoscere il
Artista della luce (Roma, Carocci editore,
carattere spirituale, se
2016, pagine 272, euro 54).
non perfino cristiano,
dell’opera di Kim En
Joong,
considerando
che in apparenza Dio
non vi è raffigurato e
tata non solo l’immagine oggettiva, ma al- nemmeno la figura umana di suo Figlio,
tresì tutti i materiali della gestualità pitto- egli stesso Dio? Rileviamo subito che sorica: colore e disegno. Essa manteneva tut- no due le direzioni indicate dalle parole di
tavia la tela sul telaio e la materia colora- padre Kim: la prima tocca la spiritualità
ta, anche se solo “bianca”, cioè un non co- cristiana più autentica che vi sia, perché
lore (oppure tutti i colori condensati in confermata da santa Teresa del Bambin
uno solo). Restava ancora una linea da ol- Gesù e del Santo Volto, dottore della
trepassare, cosa che sarà compiuta alcuni Chiesa. Ma quando questa santa emette
anni più tardi: avere un’idea puramente dei giudizi estetici e plastici e compone
concettuale dell’opera d’arte. Marcel Du- poesia, si resta stupiti, persino sbalorditi,
champ varcherà questa frontiera con il suo di fronte a quanto la forma data resti incelebre orinatoio, intitolato Fontana, denoscritta in un registro di raffigurazione pia
minazione che, sola, opera il cambio di
e accademica, di stile sulpiziano. Ma è
status dell’oggetto (il ready made). Potrebproprio santa Teresa colei che Kim En
be anche non esserci più alcun oggetto
portatore di una tale diversione. Basterà Joong invoca più spesso come la sua muuna parola scritta su una lavagna di arde- sa ispiratrice!
Artista della luce
sia (cfr. le opere di Ben Vautier).
Kim En Joong non conoscerà mai questa tentazione nichilista, non avendo egli
la pretesa di dire quel che potrebbe essere
una “pittura assoluta”. La sua passione
per il colore e per il disegno, l’attenzione
nei confronti della superficie per esprimere un’immagine colorata e forse anche la
sua fede lo preservavano da tali derive. La
scelta di un’opera riconosciuta da tutti come “astratta” non sarebbe il risultato di
un conflitto tra il mondo pittorico che viene presunto autonomo e una realtà naturale nella quale abitiamo, a cominciare dal
nostro stesso corpo. Non sarebbe nemmeno il risultato di una lenta ascensione, secondo una prospettiva hegeliana di un superamento sempre più spiritualizzato, ciò
che permetterebbe di passare dall’architettura alla scultura, dalla scultura alla pittura e, nella pittura, dalle raffigurazioni storiche o religiose alle nature morte olandesi
prima di pervenire all’impressionismo. Si
tratta quindi di una scelta? L’opera di
Kim En Joong si dispiega così, naturalmente, in uno spazio visivo non figurativo
che non viene in mente come potrebbe essere una sua rappresentazione narrativa
della Cena o della Natività! Rimaniamo
allora senza un criterio per decifrare il valore artistico dell’opera di Kim e, all’interno di essa stessa, per stimarne il valore religioso? Bisogna accontentarsi delle formule tanto belle quanto adatte a ogni occasione come «pittore dell’invisibile»; «testimone dell’indicibile»? Guardo un’opera
internazionale. Così è possibile citare Zao
Wou-Ki nato nel 192o (o 1911) a Pechino e
morto nel 2013 a Nyon in Svizzera. O il
caso di Kim En Joong, il cui interesse per
la calligrafia è costitutivo della sua arte.
Come situare allora Kim En Joong tra arte estremorientale e occidentale, figurativa
e non figurativa, concreta e astratta, profana e sacra, calligrafia e tachismo, Buraglio
e Sam Francis?
Per farlo, bisogna partire dai materiali
utilizzati come supporto (carta, tela, tessuto, vetro, muro, terra) e come prodotti pittorici (acquerello, gouache, pittura acrilica addirittura industriale, olio, smalto)? Occorre forse separare le vetrate,
i quadri di ceramica, i ventagli, le
casule, come fossero tutte forme
specifiche conseguenti all’utilizzo di questi supporti?
Certamente alcuni “periodi” corrispondono alla preferenza di un supporto
piuttosto che un altro, in
ragione dei mezzi finanziari e delle condizioni
di creazione, ma le scelte di padre Kim sembrano non contemplare
alcuna esclusione e appaiono
determinate
dalla volontà di non
precludersi alcuna possibilità non appena questa gli si offre. A oggi
non gli manca nulla, se
non la scultura!
Bisogna prendere in considerazione le forme e i formati delle opere di Kim En
Joong? Per quanto riguarda i
“formati” eccoci confrontati con
una molteplicità: quale rapporto
stabilire tra i piccoli acquerelli su
carta o le pitture su piastrelle di ceramica e le immense tele lavorate direttamente sul pavimento che misurano
diversi metri di lunghezza? Talvolta
l’opera si compone di plurimi frammenti,
così come le ottanta piastrelle di ceramica
realizzate per gli 80 anni del cardinale
Danneels, o addirittura cento piccole ceramiche dipinte per il centenario di padre
Albert Patfoort... L’opera finale si avvicina
quindi a una grande iconostasi moderna!
Per quanto riguarda la forma, si trovano
tele rettangolari, ventagli, casule, piatti di
ceramica tanto rotondi quanto deformi e
ancora.
La rivelazione del lavoro di Kim trova
la sua epifania nell’arte delle vetrate: qui
sorgono alcune difficoltà di classificazione
ancor maggiori. Quale gerarchia stabilire
tra alcune immense vetrate come quelle
della cappella di Nogent-sur-Marne e
quelle, quasi intime, volute per Ganagobie? O ancora tra alcune opere volute per
uno spazio architettonico estremamente
contemporaneo e quelle di una cripta romanica? Riprendiamo la questione delle
formule applicate all’opera dell’artista vetraio. Le espressioni per qualificare l’opera
di padre Kim sono numerose perché è riconosciuta, quest’ultima, al tempo stesso
astratta e religiosa. Gli aggettivi si sovrappongono gli uni agli altri, non senza ragione, ma talora con troppa facilità senza
poi esprimere nulla di essenziale. Si dice
di volta in volta che la sua opera è luminosa, esplosiva, energica, dinamica, silenziosa. Il pittore è messaggero di luce, di
colore, di purezza, di gravità... L’artista è
a turno lottatore, danzatore impegnato in
un’espressione fisica di cui l’opera conserva la ferita o la cicatrice.
Il suo gesto è generoso, lirico, trasportato dal colore. Questo gesto è di volta in
volta autonomo, impulsivo, ragionato...
l’opera è accarezzata dal pennello o grattata dal coltello. Si rivela fluida e trasparente, libera come l’acqua di sorgente, leggera come la pioggia o pesante come una
colata di nero. Il bianco appare sempre
come il colore del lutto e della risurrezione. Questo significa immediatamente che
una delle chiavi di lettura dell’opera di
Kim En Joong sarà quella di associare la
trascendenza alla sofferenza del giusto. E
all’insegna di questo si comprende, per
esempio, il suo amore per van Gogh.
La vetrata si accorda alla pietra perché
il vetro è spesso, solido, temperato, a
meno che non si voglia affermare che
l’opera sfrutti, avvantaggiandosene, la fragilità dei materiali, l’ineffabile colorazione
dei vetri.
Così più che mai l’opera descritta sfugge alle categorie, con il rischio di essere
rinchiusa in alcune formule che fungono
spesso da schermo alle parole e alle immagini che esse trasmettono. Prendiamone
una, fin troppo spesso impiegata: «Come
se egli avesse visto l’invisibile». Numerosi
artisti non sono stati qualificati da questa
«Vetrata dell’abbazia di Notre-Dame a Ganagobie»
(2005)
stessa espressione? Ma di quale “invisibile” si parla? Di quale azione si tratta, visto
che l’artista deve agire “come se...”. Chi sa
se l’artista non sia nella notte della fede e
del mondo (come numerosi mistici e santi
a cominciare dalle diverse “santa Teresa”
d’Avila, di Lisieux o di Calcutta) essendo
la sua opera gioiosa e luminosa certamente un dono di luce, ma realizzato in sostituzione dell’“O pera”. L’invisibile rivelato
Ci si chiede quale sia il criterio
per riconoscere
il carattere cristiano della sua opera
visto che Dio non vi è raffigurato
Eppure è santa Teresa
che il pittore invoca come musa ispiratrice
sarebbe proposto solo laddove l’opera è
realizzata. L’artista, prima di noi, riceverebbe la bellezza come di un altro mondo
semplicemente applicando i colori sulla tela. Sarebbe il primo a esserne illuminato,
come se fosse a sua insaputa! È questo il
principio di necessità interiore che lo obbliga.
«Se non avesse potuto scrivere, sarebbe
morto?», domanda Rilke a un giovane
poeta. La risposta è evidente: sì, dal punto di vista spirituale, certamente.
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 28 gennaio 2017
pagina 5
Il cardinale Jules-Géraud Saliège
arcivescovo di Tolosa
Flannery O’Connor sulla Civiltà Cattolica
Un viaggio
chiamato malattia
Jules-Géraud Saliège di fronte alla persecuzione degli ebrei
Il vescovo muto
che ruppe il silenzio
di CHARLES
DE
PECHPEYROU
l 10 novembre 1956, a Tolosa, capitale di una regione francese abituata alle dispute tra cristiani e anticlericali, si assistette a una scena
poco comune. Quel giorno, sotto
le volte romaniche della cattedrale di
Saint-Étienne, cattolici, comunisti e socialisti si sedettero fianco a fianco davanti alla bara di un uomo di Chiesa che aveva
saputo conquistare l’ammirazione di tutti
con la sua resistenza durante la guerra: il
cardinale Jules-Géraud Saliège, arcivescovo di Tolosa dal 1928 fino alla sua morte.
La testimonianza migliore di quella giornata straordinaria è quella di Jean Guitton, grande amico di Saliège. «Quella
mattina a Tolosa c’è stato uno di quei
I
«Questi uomini e queste donne
questi padri e queste madri
sono nostri fratelli, come tanti altri
Un cristiano non può dimenticarlo»
scrisse in una lettera pastorale del 1942
momenti, ormai molto rari nella vita delle
nazioni, in cui l’unione degli animi si ricrea attorno a un uomo per una sorta
d’incantesimo e i poteri, le idee smettono
di contrapporsi» raccontò il filosofo e
scrittore. «Sembrava di essere tornati
Fanno parte del genere umano. Sono nostri fratelli, come tanti altri. Un cristiano
non può dimenticarlo» scrisse monsignor
Saliège in quella lettera. «Oggi tutto ciò
ci sembra evidente — ha commentato Hilaire — ma all’epoca in cui il regime di Vichy consegnava gli ebrei ai tedeschi che li
deportavano, quelle parole sconvolsero
un’opinione pubblica fino ad allora indifferente alla sorte degli ebrei».
La stesura di quella lettera pastorale, il
suo testo più noto, trae origine da fatti
precisi. All’inizio di agosto del 1942, l’arcivescovo di Tolosa riceve la visita di Thérèse Dauty, un’assistente sociale, sconvolta
dalla scena a cui aveva appena assistito
nei campi di Noë e di Récébédou, dove
sono raccolti ebrei e tedeschi antinazisti,
campi che il prelato l’aveva incaricata di
seguire: per la prima volta, bambini, donne, uomini vengono presi e condotti a
Drancy, nella regione parigina, punto di
partenza dei treni della morte. L’arcivescovo, che aveva già condannato più volte
il nazismo, prende la penna e scrive di
getto un testo breve ma efficace, frutto
del suo talento affilatosi nel corso degli
anni, dopo che nel 1932 era stato colpito
da una paralisi del bulbo rachidiano che
si era progressivamente estesa a tutto il
corpo, privandolo — lui che era dotato di
una notevole eloquenza — dell’uso della
parola.
Poco prima delle frasi sopra citate,
monsignor Saliège afferma: «C’è una morale cristiana. C’è una morale umana che
impone doveri e riconosce diritti. Questi
doveri e questi diritti appartengono alla
Un gruppo di bambini nel quartiere di Bourrassol a Tolosa
all’epoca pre-Medioevo, quando la città
prendeva coscienza di sé nel seppellire il
corpo del vescovo che l’aveva difesa contro il barbaro».
Quel barbaro, all’inizio degli anni quaranta, era l’invasore nazista. Una genia
che monsignor Saliège detestava, contro
la quale si pronunciò pubblicamente e
dalle cui grinfie salvò molti ebrei. Un atteggiamento raro nell’episcopato francese
dell’epoca, che valse al prelato il conferimento da parte del generale de Gaulle
della Médaille de la Résistance, la nomina
nel 1945 a Compagnon de la Libération e
poi, nel 1969, a titolo postumo, l’attribuzione della medaglia e del diploma d’onore di Giusto fra le Nazioni dall’istituto
Yad Vashem di Gerusalemme. Diversi anni dopo, nel 2006, gli è stato reso omaggio all’università cattolica di Tolosa e al
Capitole, alla presenza dell’arcivescovo
monsignor Le Gall, ma anche del cardinale Poupard e del sindaco della città.
«Perché monsignor Saliège, che Pio XII
creò cardinale nel 1946, attira ancora l’attenzione delle autorità religiose e civili?»
si è chiesto in quell’occasione lo storico
cattolico Yves-Marie Hilaire. «La risposta
è semplice: Jules-Géraud Saliège redasse
una lettera pastorale che fece leggere dai
suoi parroci il 23 agosto 1942, in cui scrisse che “gli ebrei son uomini. Le ebree sono donne. Gli stranieri sono uomini, le
straniere sono donne”» ha detto lo studioso. «Non tutto è permesso contro di loro,
contro questi uomini, contro queste donne, contro questi padri e queste madri.
natura umana. Vengono da Dio. Non
possono essere violati. Non è in potere di
nessun mortale sopprimerli» E insorge:
«Che bambini, donne, uomini, che padri
e madri siano trattati come un vile gregge,
che i membri di una stessa famiglia siano
separati gli uni dagli altri e portati via,
verso una destinazione sconosciuta, è toccato al nostro tempo vedere questo triste
spettacolo. Perché nelle nostre chiese non
esiste più il diritto di asilo? Perché siamo
dei vinti?».
Secondo padre Jean-François Galinier
Pallerola, specialista di storia religiosa
contemporanea all’Institut catholique di
Tolosa, «le parole di Saliège colpiscono
nel segno perché sono personali, mettono
i puntini sulle i; il suo non è un testo di
compromesso tra una maggioranza di vescovi pro-Vichy e una minoranza anti-Vichy». E all’Osservatore Romano sottolinea: «Nel clima della Francia del 1942,
dove c’è una sorta di silenzio delle élite a
causa della repressione e dell’occupazione,
le parole del vescovo hanno un impatto
straordinario; bisogna immaginare l’attesa
e il silenzio dell’epoca per comprendere
l’eco di quelle parole, ancor più perché
trasmesse dalla resistenza, amplificate, utilizzate politicamente. Di fatto, nonostante
il decreto prefettizio che ne impediva la
diffusione e la lettura da parte dei parroci
della diocesi, la Lettre sur la personne humaine di monsignor Saliège circola presto
dappertutto, letta dai pulpiti, passata di
mano in mano tra i membri della resisten-
di SILVIA GUIDI
o fatto i primi sei anni
di
scuola
dalle suore.
Grazie a loro — scrive Flannery O’Connor in
una lettera in cui parla della sua infanzia — ho sviluppato qualcosa che
è sfuggito alle definizioni dei freudiani: un’aggressività anti-angelo,
diciamo. Fra gli 8 e i 12 anni avevo
l’abitudine di chiudermi ogni tanto
a chiave in una stanza e, facendo la
faccia feroce e cattiva, vorticavo tutto attorno coi pugni serrati cercando di picchiare l’angelo. Si trattava
dell’angelo custode del quale, stando alle suore, tutti eravamo provvisti. Non ti mollava un attimo».
Onnipresente, e quindi insopporta-
«H
za, e addirittura trasmessa all’estero attraverso la Bbc.
All’epoca i principali focolai di resistenza spirituale del sud della Francia si trovano nella diocesi di Tolosa, ricorda padre
Pallerola. L’alter ego di monsignor Saliège, «rude montanaro, prudente e scaltro,
che non esce allo scoperto», è monsignor
Bruno de Solage, il rettore dell’Institut
catholique di Tolosa, «aristocratico generoso e imprudente — sarà deportato in
Germania nel 1944 — capofila di un gruppo di preti intellettuali piuttosto liberali,
repubblicani, contrari a Pétain, in ogni
caso molto antitedeschi». Dal suo ufficio,
poiché ha difficoltà a spostarsi, monsignor Saliège opera altrettanto concretamente per la resistenza. Bambini ebrei
vengono nascosti in collegi religiosi, in
conventi della regione, con falsi certificati
di battesimo per sottrarli alle retate. Nel
frattempo l’arcivescovo di Tolosa copre
l’esistenza di un cappellanato dei lavoratori spagnoli, che fa resistenza spirituale e
pubblica giornali clandestini. Organizza
anche il passaggio di aviatori inglesi o di
ebrei verso la Spagna.
Qual è oggi l’eredità del cardinale Saliège? Ricordando che gli stranieri sono
uomini, che le straniere sono donne, che
sono persone umane verso le quali non è
tutto permesso, il prelato anticipa in qualche modo quanto Papa Francesco ha detto a Lampedusa e ripetuto sull’accoglienza dei migranti, sostiene padre Pallerola.
L’ex arcivescovo di Tolosa è oggi un punto di riferimento che travalica i confini
della Chiesa cattolica. Nella sua città, la
stele che lo commemora viene regolarmente onorata dagli ebrei, dalle associazioni antirazziste, tanto che la diocesi, per
il sessantesimo anniversario della sua morte, il 10 novembre scorso, ha preso presto
l’iniziativa di celebrare una messa, proprio
perché tale eredità non le venga tolta.
Il prelato ha lasciato un patrimonio
scritto poco conosciuto. Nel giugno 1937
esce di fatto per la prima volta in «La Semaine catholique de Toulouse» un breve
articolo anonimo intitolato Menus Propos.
Presto si viene a sapere che l’autore è l’arcivescovo, il quale perpetuerà quella tradizione fino al 1947. Qualche mese dopo la
fine della guerra, mentre il mondo scopre
gradualmente tutto l’orrore dei campi di
concentramento, monsignor Saliège scrive
una delle sue cronache più belle, breve
ma pungente, intitolata semplicemente
Israël. Vi si legge: «Il Nuovo Testamento
è solidale con l’Antico. Il cristianesimo è
solidale con Israele. L’antisemitismo, attraverso Israele, attacca Dio».
La lettera pastorale del 23 agosto 1942
battere l’invadenza del suo io, appesantito dall’inevitabile bagaglio
di egoismo, presunzione, goffa necessità di autoaffermazione che la
condizione umana implica, da Adamo ed Eva in poi. «A Lui piace discutere con noi — ha ribadito Papa
Francesco martedì scorso, nell’omelia della messa mattutina a Casa
Santa Marta — a Lui piace quando
tu ti arrabbi e gli dici in faccia
quello che senti, perché è Padre».
Parlare a Dio con franchezza, senza
tacere difficoltà, obiezioni e paure,
è mille volte meglio che tenerlo “a
distanza di sicurezza” vivendo una
compunzione formale apparentemente serena ma in realtà sterile.
Per Flannery Dio è un dato
dell’esperienza, non un’intuizione
della mente; non è il materiale a
spiritualizzarsi, ma lo spirituale a
Flannery O’Connor negli anni Sessanta
bile. Come Dio. E, come Lui, tanto
affascinante quanto spaventoso.
Non si tratta solo di un simpatico aneddoto, scrivono Antonio
Spadaro ed Elena Buia Rutt nell’articolo «Sei la sottile luna crescente.
Diario di preghiera di Flannery
O’Connor» uscito sull’ultimo nu-
Forse l’immagine della lotta
fra Giacobbe e l’angelo
è quella che meglio descrive
la vita e l’opera
di questa scrittrice “sui generis”
mero della Civiltà Cattolica. Quella
della lotta fra Giacobbe e l’angelo è
l’immagine che forse meglio descrive la vita e l’opera di questa scrittrice sui generis, mistica senza ombra
di sentimentalismi e leziosità, saggia e materna senza mai cadere nella retorica, dura ed espressionista
nello stile della narrazione, senza
mai scivolare nel Grand Guignol fine a se stesso.
Dalla lotta notturna con il messaggero misterioso, Giacobbe esce
cambiato e ferito nel corpo e
nell’anima; guadagna un nuovo nome, Israele, e una nuova identità
più profonda e autentica, ma da
quel momento in poi il suo passo
sarà sempre claudicante e dolorante. Anche nei libri di Flannery
O’Connor, scrivono Spadaro e Buia
Rutt, «l’incontro con il divino passa in prima istanza per una fase di
rifiuto, di lotta, di prova. Insomma,
il primo rapporto con Dio è un resistergli».
La concretezza di questo dialogo
è sperimentata sempre in modo sofferto e in prima persona, come una
bambina che fa a pugni con il suo
angelo custode oppure — nel Diario
di preghiera (Milano, Bompiani,
2016, pagine 110, euro 11) — come
una giovane donna decisa a com-
materializzarsi, secondo il principio
dell’Incarnazione. Con un pensiero
non si litiga; a un pensiero non si
decide di dedicare ogni singolo
giorno della propria vita. A un pensiero non si dice con impazienza:
«Oh, Signore, al momento sono
una scamorza, fai di me una mistica, immediatamente» e «Non farmi
nemmeno pensare, caro Dio, che io
non sia altro fuorché uno strumento
della Tua storia».
Le parole usate da Flannery nel
suo Diario (che, lo ricordiamo, non
era destinato alla pubblicazione)
appartengono a un registro basso,
non letterario. A volte si ripetono
nella stessa riga. «Anche la sintassi
— scrivono Spadaro e Buia Rutt —
segue il ritmo del parlato, ricca di
colloquialismi, modi di dire, giochi
di parole. Essa manifesta una particolare spiritualità, che non si esprime in un linguaggio devoto, in
pensieri gentili e composti, in una
religiosità risolta e accondiscendente, ma presenta una relazione con il
divino di per sé grintosa, critica,
appassionata, carica di energia e di
intuizioni creative». Alla lotta seguirà un “sì” senza condizioni.
Quando la malattia iniziò a colpirla sferrando il suo primo attacco
in treno — proprio nel viaggio di ritorno dall’Iowa dove il Diario era
appena stato concluso, notano gli
autori dell’articolo — Flannery si
mostrò pronta a interpretarla come
un luogo “più istruttivo di un lungo viaggio in Europa”.
E in seguito considerò l’isolamento forzato una sorta di privilegio — «sono contenta di essere una
scrittrice eremita» — luogo di
quell’“esperienza del limite” che
considerava tappa irrinunciabile di
ogni autentico cammino di crescita
interiore. Del suo stato di salute
parlava sempre con poetica ironia,
definendosi «una struttura ad archi
rampanti», oppure salutando l’interlocutore, nelle sue lettere, con un
allegro: «adesso devo andarmene
sulle mie due gambe d’alluminio».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
sabato 28 gennaio 2017
Iniziative nel mondo per la settimana di preghiera per l’unità
Nuove
strade ecumeniche
Cresce il movimento Sanctuary negli Stati Uniti
Un rifugio sicuro
WASHINGTON, 27. Si sta allargando
a macchia d’olio negli Stati Uniti
l’adesione all’iniziativa New Sanctuary Movement, che mira a coinvolgere le comunità religiose del
paese a dare accoglienza agli immigrati irregolari a rischio di espulsione, garantendo loro una sorta di immunità. Da New York alla California, dal Texas a Chicago, sono sempre di più — secondo quanto riferisce anche Riforma.it (quotidiano in
rete delle comunità evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia) —
i luoghi di culto che aprono le porte
per accogliere immigrati senza documenti. Centinaia di parrocchie
cattoliche e protestanti e molte sinagoghe si sono offerte spontaneamente di aiutare i rifugiati in diffi-
coltà, forti di un’antica tradizione,
che vede i luoghi di culto, così come gli ospedali o le scuole, inaccessibili a polizia e agenti federali, una
sorta di zona franca dove non si
possono effettuare arresti o interrogatori.
Secondo l’agenzia Fides, il numero di chiese e congregazioni religiose che hanno aderito all’iniziativa
(in spagnolo chiamta Nuevo movimiento santuario) supera ormai
quota ottocento, e gli organizzatori
sperano ora di riuscire a coinvolgere
anche le moschee. Durante questa
settimana sono state organizzate veglie, conferenze e manifestazioni a
Los Angeles e San Francisco (California), Denver (Colorado), Por-
Intervento dei vescovi cileni
Con i mapuche
SANTIAGO DEL CILE, 27. Sulla questione dell’Araucanía e della popolazione mapuche non c’è più tempo da perdere. È quanto sostengono i vescovi cileni in una nota del
consiglio permanente firmata dal
presidente, il vescovo ordinario militare, Santiago Jaime Silva Retamales. I presuli chiedono infatti
che il lavoro della commissione
presidenziale
consultiva
per
l’Araucanía «possa tradursi in proposte e decisioni politiche pubbliche con l’urgenza che è richiesta»
poiché la regione, colpita da anni
da scontri e violenze, e con essa il
popolo mapuche non possono soffrire «nuove dilazioni nel cammino
di incontro, giustizia, riparazione e
pace». La commissione ha lavorato
dallo scorso luglio ed era composta da venti membri, rappresentanti del governo, della comunità mapuche, della Chiesa e della società
civile. Un lavoro che viene giudicato «positivamente» dall’episcopato.
Nella nota si ringrazia in particolare il vescovo di Temuco, Héctor Eduardo Vargas Bastidas, che
ha coordinato la commissione, redigendo un rapporto finale, con
una serie di proposte, consegnato
pochi giorni fa alla presidente della Repubblica, Michelle Bachelet,
la quale ha assicurato come la realizzazione di un piano per l’Araucanía rappresenti una priorità.
La nota dell’episcopato mette in
evidenza tre aspetti rilevanti che la
commissione ha invitato ad affrontare: la realtà storica e i diritti del
popolo mapuche, la drammatica
sofferenza delle vittime di violenza
rurale, con chiese o templi di diverse confessioni religiose bruciati,
e la grave situazione di povertà
della regione. A giudizio del consiglio permanente, il rapporto della
commissione fa emergere «una
realtà di ingiustizia, rinvio nella
soluzione dei problemi e violenza
che la Chiesa ha denunciato e accompagnato attraverso anni di
missione evangelizzatrice e di servizio alla zona».
Le richieste della commissione,
consegnate alla presidente Bachelet, prevedono, tra l’altro, il riconoscimento costituzionale dei popoli indigeni; una rappresentanza
speciale in congresso e la costituzione di un ministero per i popoli
indigeni; l’approvazione di una
legge speciale per l’Araucanía; la
creazione di commissioni per la ridistribuzione delle terre indigene e
per la riparazione delle vittime
della violenza; piani organici di
sviluppo per le comunità indigene;
la creazione di un’agenzia per l’acqua.
tland (Oregon), Tucson (Arizona) e
Philadelphia (Pennsylvania).
Il primo Movimiento santuario è
nato nella comunità presbiteriana a
sud di Tucson, nel marzo 1982, come sfida al governo federale che in
quel momento doveva risolvere il
problema degli immigrati che arrivavano dall’America centrale in fuga
da guerre civili. Il movimento è cresciuto e poco tempo dopo contava
già sull’adesione di cinquecento
realtà protestanti, cattoliche ed
ebraiche in diciassette città, che da
allora sono diventate un punto di riferimento sicuro per centinaia di migliaia di immigrati.
La Arch Street United Methodist
Church di Philadelphia, solo per fare un esempio, ha dato ora rifugio a
un messicano senza documenti, il
cui processo di espulsione è iniziato
già prima dei risultati elettorali
dell’8 novembre. La Southside Presbyterian Church di Tucson, poi, ha
assistito due messicani senza documenti nel corso degli ultimi due anni. «In generale le autorità rispettano il “santuario”. Speriamo che la
tradizione di onorare lo spazio sacro
continui in futuro», ha detto la pastora Alison Harrington. E gli studenti del Fuller Theological Seminary di Pasadena hanno firmato una
petizione in cui dichiarano di volere
che anche il loro campus diventi
uno dei “santuari”. Il primo obiettivo è quello dell’accoglienza degli irregolari ma l’impegno non si limita
a questo: in molte città le comunità
offrono infatti anche aiuto materiale
e consulenze legali ai migranti e alle
loro famiglie.
Vivere la fraternità nella quotidianità della testimonianza cristiana in
uno spirito di riconciliazione che
nasce dalla preghiera comune: è stato questo il filo conduttore di numerosi incontri che in tanti paesi
hanno animato, anche quest’anno,
la settimana di preghiera per l’unità
dei cristiani rilanciando l’idea di
quanto sia centrale la dimensione
quotidiana del dialogo ecumenico
nella costruzione della comunione.
Questa centralità è stata vissuta
con una rinnovata passione in un
momento nel quale, soprattutto dopo la cerimonia ecumenica nella cattedrale luterana di Lund dello scorso 31 ottobre, appare così significativa per un ulteriore approfondimento del cammino ecumenico la commemorazione del 500° anniversario
della Riforma; in un orizzonte che
va al di là del dialogo tra cattolici e
luterani, ma coinvolge tutti i cristiani nella ricerca di percorsi con i
quali testimoniare insieme Cristo.
Come vivere insieme la testimonianza del Vangelo nel mondo presente,
senza dimenticare le ferite del passato e le divisioni che ancora esistono,
è stata una domanda ricorrente nella settimana di preghiera; in tanti
luoghi, infatti, si è voluto riflettere
insieme su come vivere il cammino
della riconciliazione delle memorie e
la missione condivisa dell’annuncio
di Cristo. Si sono svolte giornate di
studio, come quella promossa dai
cristiani di Versailles, proprio su
«Ensemble, témoins de l’évangile
aujourd’hui», dove si è tornati a indicare le sacre Scritture come la fonte irrinunciabile per un dialogo ecumenico che aiuti a far scoprire, nella
quotidianità, giorno dopo giorno,
quanto i cristiani hanno in comune,
una volta usciti, definitivamente,
dalla stagione del pregiudizio, che
ha creato così tanti muri. Su questa
strada, non solo deve essere chiara
la condanna di ogni forma di violenza, soprattutto quando cerca giustificazione nella religione, ma soprattutto lo deve essere la scelta a
favore dell’accoglienza degli ultimi,
senza alcuna forma di discriminazione, così da essere fedeli testimoni
della parola di Dio, come negli Stati
Uniti e in Canada è stato ricordato
in numerosi incontri.
Nell’interrogarsi sull’eredità della
Riforma nella Chiesa e nella società
Il Centro Astalli critica l’accordo tra Ue e Libia
Le frontiere chiuse non sono la soluzione
ROMA, 27. Critiche all’Europa sulla proposta di trovare
un’intesa con la Libia per bloccare i flussi e chiudere le
frontiere sono giunte dal Centro Astalli, il servizio dei
gesuiti che accoglie richiedenti asilo e rifugiati a Roma.
Per l’ente caritativo, «l’accordo con la Libia sembra essere l’unica proposta politica, ma anche culturale e civile, che l’Europa è in grado di esprimere verso i migranti. Come se la soluzione alle decine di migliaia di
morti in mare possa essere chiudere le frontiere». Secondo il Centro Astalli, «pur di non salvare vite umane, pur di non attivare canali umanitari per chi fugge
da guerre e persecuzioni, pur di non investire in politiche di accoglienza e integrazione si fanno accordi con
governi non democratici, si stringono alleanze che non
tengono minimamente conto del rispetto dei diritti
umani».
«Secondo l’Ue — ha dichiarato al Sir padre Camillo
Ripamonti, presidente del Centro Astalli — per salvare
i migranti è meglio non farli partire, come se non si
stesse gestendo la migrazione di persone costrette alla
fuga, anche da situazioni di grave ingiustizia sociale di
cui certo l’Europa non può dirsi estranea». Padre Ripamonti ha ricordato che «xenofobia e chiusura delle
frontiere non sono le soluzioni che la società civile
chiede ai propri rappresentanti. I popoli europei hanno
bisogno di ritrovare umanità e solidarietà nei confronti
degli oppressi».
del XXI secolo, in tanti paesi, dal
Belgio, alla Germania, all’Inghilterra, alla Svezia, alla Polonia, accanto
alla preghiera per rendere grazie al
Signore per le speranze che accompagnano il presente del cammino
ecumenico, forte è stato l’appello a
volgere lo sguardo a Cristo, «maestro e testimone di riconciliazione»,
senza aver paura di interrogarsi di
come i cristiani, soprattutto in Europa, non abbiano saputo ancora leggere fino in fondo le ricchezze spirituali e teologiche del XVI secolo, nonostante i tanti passi ecumenici
compiuti in questi ultimi decenni.
Anche dove, come in Vietnam, la
celebrazione condivisa della settimana ha una tradizione recente, perché
risalgono al 2013 regolari incontri
tra cattolici e protestanti, quest’anno
si è voluto sottolineare, anche con
dei momenti di preghiera e di fraternità, quanto i cristiani debbano
scoprire la gioia nel superare le
«animosità del passato», come ha
ricordato il pastore luterano Nguyen
Van Kim, per il quale i cristiani sono chiamati a essere uniti «nel servire l’uomo e nel testimoniare Dio».
Vivere la settimana di preghiera come un tempo privilegiato della commemorazione comune del 500° anniversario dell’inizio della Riforma ha
aperto così nuove prospettive al dialogo ecumenico come è avvenuto in
Kerala, dove le otto Chiese cristiane
hanno vissuto questi giorni come
una tappa di un cammino per superare divisioni secolari.
Infatti, secondo padre Philip Nelpuraparampil, oltre a proseguire il
dialogo con le comunità anglicane
per una missione comune nel mondo, come è stato indicato nell’incontro di San Gregorio al Celio a Roma, lo scorso 5 ottobre, il dialogo
della Chiesa cattolica con due Chie-
se orientali, quella ortodossa malankarese e quella gacobita siriaca, potrà essere una «pietra miliare» sulla
strada di una testimonianza veramente condivisa di Cristo, luce del
mondo. (riccardo burigana)
Unità
più vicina
ROMA, 27. «Dopo Lund, l’unità
dei cristiani è più vicina». Così il
mensile «Jesus» sintetizza nel
suo ultimo numero l’intervista al
vescovo Munib Younan, presidente della Federazione luterana
mondiale. Nato a Gerusalemme
nel 1950 da una famiglia di profughi palestinesi, la riflessione di
Younan parte proprio dall’evento
ecumenico che il 31 ottobre scorso ha visto in Svezia accogliere
Papa Francesco per la commemorazione ecumenica del cinquecentenario della Riforma protestante.
L’evento di Lund, ha detto il
presidente della Federazione luterana mondiale, non è stato «uno
spettacolo religioso, ma un culto
dai profondi toni spirituali, un
momento di sincera riconciliazione tra cattolici e luterani che ha
cementato quell’amicizia e quella
fiducia necessaria alle nostre
Chiese per camminare insieme
nella testimonianza cristiana».
Una amicizia cha ha permesso di
nominare questioni controverse —
come l’ospitalità eucaristica che
ancora vede i cristiani divisi —
«non come un’accusa verso l’altro ma come espressione di una
vera sofferenza comune».
Sui contenuti del cinquecentenario della Riforma protestante,
Munib Younan ha ribadito che
esso sarà «l’occasione per riproporre il cuore biblico della dottrina luterana», cioè la preminenza
della grazia e dell’agire gratuito e
liberatorio di Dio in un mondo
in cui invece tutto ha un prezzo.
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 28 gennaio 2017
pagina 7
La teologia nel magistero in Papa Francesco
Novità
nella continuità
di ENZO BIANCHI
Nella Chiesa, a partire dal IV secolo,
uomini e donne hanno dato inizio a
forme di vita che volevano essere
ispirate dal Vangelo. Era la loro fede
e il loro amore per il Signore Gesù
Cristo che li spingeva a “inventare”
comunità dove si potesse vivere il
primato della Parola e il comandamento nuovo della carità. Dai padri
del deserto a san Pacomio e san Basilio in oriente a san Benedetto e altri in occidente, fino alle fondazioni
contemporanee è stata originata una
risposta all’unica vocazione cristiana
nelle pluralità di vie monastiche diverse. Il Signore nel giorno del giudizio dirà la sua parola sia su chi ha
iniziato una forma di vita sia su
quelli che l’hanno intrapresa.
Quando, alla fine del concilio Vaticano II, decidevo di abbracciare la
vita monastica e iniziavo a dimorare
nella solitudine di Bose, non pensavo e non progettavo lo sviluppo che
la comunità avrebbe avuto. Al Signore chiedevo soltanto: «Se è la
tua volontà, donami alcuni fratelli
perché si possa vivere un monastero
semplice e attuale in cui si cerchi
un’unica cosa: vivere il Vangelo, e
nient’altro». Dal 1968 cominciarono
Avvicendamento alla guida della comunità monastica di Bose
Chi porta il peso
che i cervi […] quando camminano
nella loro mandria […] appoggiano
ciascuno il capo su quello di un altro. Solo uno, quello che precede,
tiene alto senza sostegno il suo capo
e non lo posa su quello di un altro.
Ma quando chi porta il peso (qui
pondus capitis in primatu portabat) è
Il priore Luciano Manicardi
Luciano Manicardi è stato a Bose l’anima dei ritiri spirituali e
dei corsi biblici e ha scritto alcuni dei libri più apprezzati
editi da Qiqajon (tra questi: Il corpo, 2005, L’umano soffrire,
2006, e La fatica della carità, 2010). Nato nel 1957 a
Campagnola Emilia (Reggio Emilia), è entrato a Bose nel
1980, dove ha continuato gli studi biblici intrapresi
all’università di Bologna. La capacità di far emergere dalla
Scrittura lo spessore esistenziale e la sapienza di vita di cui è
portatrice hanno reso il nuovo priore una figura molto amata
e seguita dai frequentatori del monastero e dai suoi lettori.
a raggiungermi fratelli e sorelle cattolici e cristiani di altra confessione:
io ho semplicemente detto «Amen»,
confermato da padre Michele Pellegrino che ha custodito e accompagnato gli inizi della nostra comunità.
Ho sempre ritenuto che chi ha
iniziato un’opera non può pensare
di portarla a compimento, perché
questo spetta allo Spirito santo e
non mi sono mai sentito insostituibile. Entrando nell’anzianità e discernendo, non da solo, la maturità della comunità, ho pensato che era venuta l’ora di lasciare il posto di
priore a un altro fratello. Un commento di sant’Agostino al salmo 41
(42) era da me meditato: «Si dice
affaticato, lascia il primo posto e un
altro gli succede». Nel decidere
dunque di lasciare il priorato, ho voluto innanzitutto una visita fraterna
alla comunità, in analogia alla visita
canonica propria delle congregazioni
monastiche. Padre Michel Van Parys, già abate di Chevetogne e Grottaferrata, e l’abadessa trappista di
Blauvac, madre Anne-Emmanuelle
Devêche nel 2014 hanno incontrato
per alcune settimane tutti i membri
della comunità, sostando a Bose e
visitando le fraternità, in modo da
poterci dare una lettura, esterna ma
in solidarietà di vocazione, della vita
materiale e spirituale della comunità. Alla fine di quella visita intendevo dimissionare, ma i visitatori mi
hanno chiesto di restare per portare
a compimento il nuovo statuto, come si imponeva dopo la creazione
delle quattro fraternità. Ho così continuato a presiedere, ma avvertendo
a più riprese la comunità che erano
gli ultimi mesi del mio servizio e assentandomi sovente affinché la comunità potesse imparare a vivere
senza la mia guida diretta.
Nella storia di ogni nuova comunità monastica il passaggio di guida
dal fondatore alla generazione seguente è un segno positivo di crescita e di maturità. Scrive l’apostolo:
«Io ho piantato, Apollo ha irrigato,
ma era Dio che faceva crescere» (1
Corinzi, 3, 6). La vita continua, la
fondazione è stata feconda e di questo ringraziamo il Signore: è quindi
giunto il tempo e la sera del 26 dicembre scorso, vigilia di san Giovanni apostolo, ho annunciato le dimissioni e indetto il capitolo generale elettivo per il 25 gennaio, rivelazione di Gesù Cristo a Paolo apostolo, con l’inizio delle votazioni il
26 gennaio, memoria dei santi abati
di Cîteaux.
Ho ancora avuto modo di dire alla comunità il bonum del lasciare il
posto di priore per tanti motivi. Innanzitutto, nella mia vita ho conosciuto fondatori che sono restati in
carica fino alla morte, mettendo sovente in difficoltà le loro comunità.
Occorre obbedire alla nostra condizione e accettare la vecchiaia come
un tempo da viversi altrimenti, con
altre funzioni e altre testimonianze
da dare. Credo anche che un fondatore debba mostrare con un atto di
distacco che la comunità non gli appartiene perché essa resta comunità
del Signore.
Certamente chi ha iniziato e dato
forma a una vita monastica ha assunto responsabilità che non posso-
no venir meno né sono trascurabili,
quali il vegliare sulla fedeltà al Vangelo e alla regola monastica e sulla
comunione con la Chiesa. Viene lasciato il governo, non l’insegnamento, non la testimonianza: il fondatore resterà un fratello tra i fratelli e
obbedirà anche lui al nuovo priore,
fratello o sorella, partecipando alla
vita comunitaria come tutti gli altri,
né più né meno.
Per tutto questo nasce il ringraziamento al Signore, innanzitutto, ai
fratelli e alle sorelle che percorrono
questa nostra storia monastica, ai
pastori della Chiesa che ci hanno
custoditi e amati, dal cardinale Pellegrino al nostro vescovo padre Gabriele Mana. E ringrazio anche il Signore per tutti quelli che hanno reso
difficile e contraddetto il nostro
cammino, perché anche loro sono
stati occasione di obbedienza al
Vangelo.
Unica sofferenza che porto nel
cuore in questo momento è la consapevolezza delle difficoltà che il
monachesimo cattolico vive e il fatto
che oggi è entrato in un cono d’ombra nella vita della Chiesa. I monaci
si sentono dimenticati, ma anche
questo fa parte della loro vocazione
di marginali, di cristiani che vivono
sui confini.
Il Signore che è sempre fedele ci
ha accompagnato anche nell’elezione del nuovo priore: fratel Luciano
Manicardi, monaco di Bose dal
1980, poi maestro dei novizi e dal
2009 vice-priore, è stato eletto al
primo scrutinio, segno di una grande unità della comunità. La liturgia
di inizio del suo ministero di priore
ha inaugurato una nuova stagione
per la nostra comunità. In quest’ora
mi abita un’unica grande preghiera:
che il Signore abbia misericordia di
tutti noi, ora e nel giorno del giudizio.
Nell’educazione della mente
Evidenza di Dio
di INOS BIFFI
Se Dio esista o non esista è la
questione veramente fondamentale, quella da cui nella vita dell’uomo tutto dipende. In realtà, a ben
rifletterci, non è propriamente una
questione, dal momento che la
sua verità sporge e si impone con
evidenza. Non parlerei per questo
di idea innata, ma di constatazione incontestabile non appena
l’uomo si applichi alla riflessione
e si metta a pensare.
Procediamo per gradi. Il non
essere è inavvertibile: se l’uomo
fosse circondato dal nulla, se nulla di esistente lo stimolasse, resterebbe in una paralizzante e spenta
immobilità. L’esperienza invece
attesta il contrario. La sua coscienza si trova svegliata e stimolata da tutto un mondo che, si
potrebbe dire, sporge sul non essere, che fissa la sua attenzione e
reclama il suo riconoscimento.
Una considerazione sul non essere è posteriore, in ogni caso, a
Maternità surrogata e diritti nazionali
BRUXELLES, 27. Una decisione che fa
chiarezza sulla questione scottante
della maternità surrogata. Così si
esprime la Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) in una nota sulla sentenza — il caso «Paradiso-Campanelli contro Italia» — della corte europea dei diritti
umani relativa alla maternità surrogata, pratica vietata in Italia. «La sentenza chiarisce che non c’è l’obbligo
di riconoscere legami di filiazione in
assenza di legami biologici», sottolinea la nota, che evidenzia come la decisione della corte riaffermi «la competenza esclusiva dello stato nel rico-
del popolo, di matrice argentina;
l’enciclica Laudato si’ (2015) contiene una teologia della creazione ispirata al paradigma evolutivo (capitolo III); l’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia (2016) sviluppa una teologia morale fondata
cristologicamente, che va oltre la
sfera matrimoniale e familiare (si
veda anche qui il capitolo III).
È significativo che tra le prime
reazioni al concilio di Calcedonia vi
fu chi osservò, come il vescovo
Euippo, che la definizione cristologica poteva essere interpretata in
modo kerygmatico, alla maniera dei
pescatori (piscatorie), oppure secondo la forma speculativa della filosofia, al modo di Aristotele (Aristotelice). Oggi, come ieri, siamo sollecitatati dalla medesima questione: il
concilio Vaticano II va inteso in modo pastorale o dottrinale? Lo stile e
l’insegnamento pastorale di Papa
Francesco costituisce un vero apporto dottrinale? La risposta che
proviene dalla tradizione cristiana
non conosce l’alternativa, ma soltanto l’armonica integrazione tra le
due dimensioni costitutive della trasmissione della fede:
la novità nella continuità, tra distinzione
senza separazione e
unione senza confusione.
L’orientamento teologico-pastorale pre«Quale rapporto fra teologia e pastorale?».
sente nell’insegnamenQuesto interrogativo è il tema del convegno
to di Papa Francesco
promosso in questi giorni a Roma dal
può dunque essere
Conferenza episcopale italiana (Cei). Al
riassunto attraverso tre
centro dei lavori è in particolare la riflessione
direttrici principali: il
sul ruolo formativo delle istituzioni teologiche
primato incondiziona— facoltà universitarie e istituti di scienze
to della grazia, la mareligiose — in rapporto all’azione pastorale.
turazione
graduale
L’incontro, che si conclude sabato 28 con
nell’esistenza credente,
l’intervento dell’arcivescovo Ignazio Sanna,
il discernimento perpresidente del comitato per gli studi superiori
sonale e comunitario.
di teologia e di scienze religiose, è stato
A esse occorre riferirsi
aperto dall’arcivescovo Angelo Vincenzo Zani,
per comprendere cosegretario della Congregazione per
me la dimensione esol’educazione cattolica, e dal vescovo segretario
dale e sinodale della
generale della Cei, Nunzio Galantino.
Chiesa derivi dal dono
Pubblichiamo stralci di uno degli interventi di
di Dio più che dallo
venerdì 27, dedicato ai «paradigmi teologici
sforzo umano; come il
presenti nel magistero di Papa Francesco».
vangelo della creazione si radichi nel progetto evolutivo di Dio
che conduce l’universo
nell’esistenza credente, il discerni- alla pienezza di Cristo con graduamento personale e comunitario.
lità; come la partecipazione alla
I paradigmi teologici presenti nei pienezza della vita ecclesiale anche
tre documenti magisteriali di Papa dei figli più fragili e feriti richieda
Francesco hanno differenti ambiti un sapiente e coraggioso cammino
disciplinari di riferimento. Nella di discernimento personale e comuesortazione apostolica Evangelii nitario.
gaudium (2013) è presente una ecRaccogliendo queste chiare indiclesiologia che attinge alla teologia cazioni, spetta ai teologi il compito
umile e impegnativo di mettere in
evidenza la ricchezza del magistero
di Papa Francesco, non solo mediante un’opera di ricostruzione
delle radici teologiche del suo pensiero, ma soprattutto considerando
che i temi maggiori su cui egli insiste hanno una profondità ben radicata nella tradizione ecclesiale, che
merita perciò di essere messa in luce e approfondita. L’effettiva ripreniera più clamorosamente consa della grande stagione conciliare,
traddittoria.
dalla quale la Chiesa e il mondo
Appare da qui la necessità di
odierno ricevono nuova linfa vitale,
formare e maturare l’intelligenza,
è il ben chiaro progetto teologicoabituandola all’ascolto, all’apertupastorale dell’attuale pontificato: il
ra, all’incontro e quindi alla connostro odierno lavoro dovrebbe
templazione della realtà.
permettere ai semi teologici di
Da questo profilo potremmo
Francesco di porre radici che portiparlare di educazione religiosa o
no frutto anche nel futuro.
teologica “naturale” della mente,
nella certezza che — raggiunto
l’assesto teologico o il giusto rapporto con Dio — le altre relazioni
sono poste fondamentalmente
nella condizione di sistemarsi e di
articolarsi ordinatamente, anche
se si richiederà sempre un alto e
analitico impegno mentale.
Monsignor
Martin
Nicholas
Un modello incomparabile delLohmuller, vescovo titolare di
lo svolgimento di questo impegno
Ramsbiria, già ausiliare di Philace lo ha lasciato Tommaso
delphia (Stati Uniti d’America),
d’Aquino, che, riconosciuto il vaè morto martedì 24 gennaio.
lore di tutta la realtà e di ogni
Il compianto presule era nato
suo frammento, ne ha fatto oggeta Philadelphia il 21 agosto 1919
to di analisi penetrante, per altro
ed era stato ordinato sacerdote il
in obbedienza con quanto è inclu3 giugno 1944. Eletto alla Chiesa
so nell’originario comando di
titolare di Ramsbiria il 12 febDio: «Crescete e moltiplicatevi»
braio 1970 e nominato, allo stes(cfr. Genesi 1, 28), e con l’esito di
so tempo, ausiliare di Philadelfar
emergere
la
luminosità
phia, aveva ricevuto l’ordinaziodell’universo che Dio ha creato,
ne episcopale il 2 aprile successilasciandovi l’impronta del suo
vo. Aveva rinunciato all’ufficio
beatificante splendore.
pastorale l’11 ottobre 1994.
Non per nulla riteniamo beati i
I funerali saranno celebrati
teologi, chiamati già da quaggiù a
mercoledì 1 febbraio, alle 14, nelscorgere e a fissare con occhio più
penetrante la luce di Dio.
la cattedrale di Philadelphia.
di MAURIZIO GRONCHI
noscere una relazione giuridica genitore-figlio, anche nei casi di maternità
surrogata e le prerogative dello stato
nella salvaguardia del proprio ordine
pubblico». La sentenza, secondo la
Comece, «conferma positivamente che
gli stati membri beneficiano di un largo margine di valutazione sulle questioni sensibili in ambito etico». Si ribadisce inoltre l’opposizione degli episcopati «alla strumentalizzazione della
gestazione in affitto» e la necessità
che si «proteggano i bambini da pratiche illecite alcune delle quali connesse
al traffico di esseri umani».
quella sull’essere. Del resto, propriamente parlando, il non essere
non può rappresentare un oggetto
di pensiero, dal momento che
senza oggetto non avremmo neppure il pensiero.
Da questo profilo non sarebbe
infondato parlare di stato “estatico” provato dall’uomo nel suo
primo incontro con ciò che esiste:
sorgono in lui, a questo primo
contatto, sentimenti di stupore, di
ammirazione e di gioia.
Ma l’itinerario della mente
umana non si ferma a questa globale percezione dell’essere circostante, che potrebbe equivalere a
una percezione dell’essere diffusamente espanso e quindi panteisticamente inteso.
A una più lucida e argomentata
riflessione, avvertiamo l’esistenza
di un essere imprescindibile, dimostrato e argomentato, pur non
adeguatamente percepito, che costituisce il principio assoluto degli
esseri relativi o degli enti, che
pullulano intorno a noi, che sono
oggetto confacente e proporzionato alla nostra facoltà conoscitiva.
A questo punto la meraviglia e
la soddisfazione non solo non
scompaiono, ma accrescono col
vedere emergersi da «lo gran mar
de l’essere» (Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, I, 113)
un essere personale, quale causa
increata e fondamento stabile di
tutto ciò che esiste.
Affermare il primato del nulla
significherebbe fare violenza e
contraddire l’esperienza umana
primaria; significherebbe, cioè,
sottrarre la condizione e la premessa indispensabile di quanto
avviene
col
primo
risveglio
dell’uomo, ossia il suo accorgersi
di esistere, un accorgersi senza del
quale tutto resterebbe in uno stato di totale paralisi, contrariamente a quello che l’uomo inconfutabilmente constata e cioè che la
realtà gli si presenta, svolgendosi
e dipanandosi intorno a lui.
Com’è noto, nel mondo dei
dotti — un po’ artefatto rispetto a
quello delle persone comuni e
normali — si va parlando di crisi
della metafisica o crisi dell’essere.
Ma, a ben vedere, nell’istante
stesso in cui l’essere viene negato
o problematizzato, in realtà lo si
afferma e lo si riconosce. Solo per
fantasia, che è poi una contraddittorietà, si può proclamare che l’essere non c’è. Se veramente non ci
fosse, neppure si potrebbe dichiararne la non esistenza; cioè neppure il suo non essere potrebbe
essere affermato e ritenuto vero.
Eppure avviene così. A dispetto
della criticità che si vuole affermare come pregiudiziale assoluta del
pensare, ci si comporta nella ma-
Un elemento costitutivo accompagna da due millenni la trasmissione
della fede cristiana: lo sviluppo
dogmatico. A esso occorre riferirsi
per comprendere come il magistero
dell’attuale pontificato si collochi in
perfetta armonia con il deposito
della fede. Non è una semplice questione procedurale: si tratta della ragione formale che governa il processo di novità nella continuità,
ispirato al criterio della distinzione
senza separazione e dell’unione senza confusione.
Alla luce di una chiara e serena
visione dello sviluppo dogmatico è
possibile comprendere come l’odierno insegnamento pontificio contenga un apporto innovativo al linguaggio della fede attraverso la ripresa di alcuni semi teologici presenti nella tradizione cristiana. Le
direttrici principali che orientano la
prospettiva teologico-pastorale presente nel magistero di Papa Francesco potrebbero essere così nominate: il primato incondizionato della
grazia, la maturazione graduale
Fra studio e pastorale
Lutto
nell’episcopato
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
sabato 28 gennaio 2017
Il Pontefice ricorda i cristiani perseguitati e condanna l’estremismo fondamentalista
La via dei martiri
Appello per i vescovi, i sacerdoti, i consacrati e i fedeli vittime di rapimenti
Nelle regioni insanguinate dalla violenza e dal fondamentalismo la via dell’ecumenismo è
quella indicata dai martiri. Lo ha sottolineato Papa Francesco nel discorso rivolto ai membri
della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le
Chiese ortodosse orientali, ricevuti venerdì mattina, 27 gennaio, nella sala Clementina.
Cari fratelli in Cristo,
nel darvi un gioioso benvenuto, vi ringrazio per la vostra presenza e per le cortesi
parole che il Metropolita Bishoy mi ha rivolto a nome di tutti. Ringrazio anche per
quella bella icona, tanto significativa, del
sangue di Cristo, che ci rivela la redenzione dal grembo della Madonna. Molto bella! Attraverso di voi, porgo un cordiale saluto ai Capi delle Chiese Ortodosse
Orientali, miei venerati fratelli.
Guardo con gratitudine al lavoro della
vostra Commissione, sorta nel 2003 e
Sforzi di pace
Gratitudine a Papa Francesco «per la premura e
gli sforzi con cui mantiene e preserva la presenza
cristiana nel Medio oriente» è stata assicurata
all’inizio dell’udienza dal metropolita egiziano Bishoy di Damiette, co-presidente della commissione. Salutando il Pontefice a nome delle comunità
ortodosse orientali — la Chiesa ortodossa copta di
Alessandria, la Chiesa sira-ortodossa di Antiochia
e di tutto l’Oriente, il catolicossato ortodosso armeno della Santa Etchmiadzin, il catolicossato ortodosso armeno della Grande casa di Cilicia, la
Chiesa ortodossa etiope Tewaheedo e il catolicossato ortodosso-siro indiano malankarese — il metropolita ha ricordato che la commissione si riunisce ogni anno dal 2004 alternativamente in uno
dei paesi rappresentati e in Vaticano, dove è ospite in questi giorni per un incontro dedicato al tema dell’Eucaristia. Bishoy ha anche espresso a
Francesco preoccupazione «di fronte all’emigrazione forzata, agli spostamenti, ai rapimenti di
membri del clero e della popolazione civile,
all’uccisione di gruppi di cristiani in questa regione storica per la cristianità», auspicando che l’impegno per la pace nella regione continui.
giunta al quattordicesimo incontro. Lo
scorso anno avete avviato un approfondimento sulla natura dei Sacramenti, in particolare del Battesimo. Proprio nel Battesimo abbiamo riscoperto il fondamento della comunione tra i cristiani; Cattolici e
Ortodossi Orientali possiamo ripetere
quanto affermava l’Apostolo Paolo: «Siamo stati battezzati mediante un solo Spirito» e apparteniamo a «un solo corpo» (1
Cor 12, 13). Nel corso di questa settimana
avete potuto ulteriormente riflettere su
aspetti storici, teologici ed ecclesiologici
della santa Eucaristia, «fonte e culmine di
tutta la vita cristiana», che mirabilmente
esprime e realizza l’unità del popolo di
Dio (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Lumen
gentium, 11). Nell’incoraggiarvi a proseguire, nutro la speranza che la vostra opera
possa indicare vie preziose al nostro percorso, facilitando il cammino verso quel
giorno tanto atteso in cui avremo la grazia
di celebrare il Sacrificio del Signore allo
stesso altare, come segno della comunione
ecclesiale pienamente ristabilita.
Molti di voi appartengono a Chiese che
assistono quotidianamente all’imperversare
della violenza e ad atti terribili, perpetrati
dall’estremismo fondamentalista. Siamo
consapevoli che situazioni di così tragica
sofferenza si radicano più facilmente in
contesti di povertà, ingiustizia ed esclusione sociale, dovute anche all’instabilità generata da interessi di parte, spesso esterni,
e da conflitti precedenti, che hanno prodotto condizioni di vita miserevoli, deserti
culturali e spirituali nei quali è facile manipolare e istigare all’odio. Ogni giorno le
vostre Chiese sono vicine alla sofferenza,
chiamate a seminare concordia e a ricostruire pazientemente la speranza, confortando con la pace che viene dal Signore,
una pace che insieme siamo tenuti a offrire
a un mondo ferito e lacerato.
«Se un membro soffre, tutte le membra
soffrono insieme», scriveva ancora san
Paolo (1 Cor 12, 26). Queste vostre sofferenze sono le nostre sofferenze. Mi unisco
a voi nella preghiera, invocando la fine
dei conflitti e la vicinanza di Dio per le
popolazioni provate, specialmente per i
bambini, i malati e gli anziani. In modo
particolare ho a cuore i vescovi, i sacerdoti, i consacrati e i fedeli, vittime di rapimenti crudeli, e tutti coloro che sono stati
presi in ostaggio o ridotti in schiavitù.
Possano essere di forte sostegno alle comunità cristiane l’intercessione e l’esempio
di tanti nostri martiri e santi, che hanno
dato coraggiosa testimonianza a Cristo e
hanno raggiunto la piena unità, loro. E
noi cosa aspettiamo? Essi ci rivelano il
cuore della nostra fede, che non consiste
in un generico messaggio di pace e di riconciliazione, ma in Gesù stesso, crocifisso e risorto: Egli è la nostra pace e la nostra riconciliazione (cfr. Ef 2, 14; 2 Cor 5,
18). Come discepoli suoi, siamo chiamati a
testimoniare ovunque, con fortezza cristiana, il suo amore umile che riconcilia l’uomo di ogni tempo. Laddove violenza chiama violenza e violenza semina morte, la
nostra risposta è il puro fermento del Vangelo, che, senza prestarsi alle logiche della
forza, fa sorgere frutti di vita anche dalla
terra arida e albe di speranza dopo le notti del terrore.
Il centro della vita cristiana, il mistero
di Gesù morto e risorto per amore, è il
punto di riferimento anche per il nostro
cammino verso la piena unità. I martiri,
ancora una volta, ci indicano la via: quante volte il sacrificio della vita ha portato i
cristiani, altrimenti divisi in molte cose, ad
essere uniti. Martiri e santi di tutte le tradizioni ecclesiali sono già in Cristo una
sola cosa (cfr. Gv 17, 22); i loro nomi sono
scritti nell’unico e indiviso martirologio
della Chiesa di Dio. Sacrificatisi per amore in terra, abitano l’unica Gerusalemme
celeste, vicini all’Agnello immolato (cfr.
Ap 7, 13-17). La loro vita offerta in dono ci
chiama alla comunione, a camminare più
speditamente sulla strada verso la piena
unità. Come nella Chiesa primitiva il sangue dei martiri fu seme di nuovi cristiani,
così oggi il sangue di tanti martiri sia seme di unità fra i credenti, segno e strumento di un avvenire in comunione e in
pace.
Udienza a una delegazione
dell’European Jewish Congress
Nel giorno della memoria delle vittime della
Shoah, venerdì 27 gennaio, il Papa ha ricevuto
in udienza una delegazione di cinque membri
dell’European Jewish Congress, accompagnati
dal salesiano Norbert Hofmann, segretario della
Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo del Pontificio consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani. In un’intervista a Radio
Vaticana il religioso ha sottolineato come l’incontro sia stato molto significativo e abbia dimostrato, ancora una volta, il fecondo dialogo
in corso tra cattolici ed ebrei. Del resto, ha aggiunto Hofmann, lo stesso Pontefice ha ricordato come la sua famiglia, in Argentina, spesso ricevesse visite di ebrei. Una consuetudine amichevole che egli poi mantenne personalmente.
Durante l’udienza il presidente dell’European
Jewish Congress, Moshe Kantor, ha auspicato,
di fronte allo svilimento etico attuale, che vengano rinforzati i valori condivisi da ebrei e cristiani. Da parte sua, il Papa ha detto che la
giornata della memoria è una ricorrenza impor-
tante per tutti, e non solo per gli ebrei, affinché
una tragedia come quella della Shoah non si ripeta mai più.
Cari fratelli, vi sono grato perché a questo scopo vi adoperate. Nel ringraziarvi
per la vostra visita, invoco su di voi e sul
vostro ministero la benedizione del Signore e la protezione della Santa Madre di
D io.
E se a voi sembra bene, ognuno nella
propria lingua, possiamo pregare il Padre
Nostro insieme.
Messa a Santa Marta
Anime ristrette
Il vestito del cristiano deve essere cucito con «memoria, coraggio, pazienza e
speranza» per resistere anche alle piogge più intense senza cedere e restringersi. È proprio dal «peccato della pusillanimità» — ossia «avere paura di tutto»
e diventare «anime ristrette per conservarsi» — che il Papa ha messo in guardia nella messa celebrata venerdì mattina 27 gennaio, nella cappella della Casa Santa Marta, ricordando come Gesù
stesso abbia ammonito che «chi vuol
conservare la propria vita, senza rischiare e appellandosi sempre alla prudenza,
la perderà».
Per la sua meditazione Francesco ha
preso le mosse dalle prima lettura del
giorno che, ha subito fatto notare, è un
passo della lettera agli Ebrei (10, 32-39):
«Un’esortazione a vivere la vita cristiana, un’esortazione con tre punti di riferimento, tre punti temporali, diciamo
così: il passato, il presente e il futuro».
L’autore della lettera «incomincia con
il passato e ci esorta a fare memoria:
“Fratelli, richiamate alla memoria quei
primi giorni”». Sono — ha spiegato il
Papa — «i giorni dell’entusiasmo, di andare avanti nella fede, quando si incominciò a vivere la fede, le prove sofferte». Infatti «non si capisce la vita cristiana, anche la vita spirituale di ogni
giorno, senza memoria». E «non solo
non si capisce: non si può vivere cristianamente senza memoria».
Si tratta, ha affermato Francesco,
della «memoria della salvezza di Dio
nella mia vita», della «memoria dei
miei guai nella mia vita: come il Signore mi ha salvato da questi guai?». Per
questo «la memoria è una grazia, una
grazia da chiedere: “Signore, che io
non dimentichi il tuo passo nella mia
vita, che io non dimentichi i buoni momenti, anche i brutti; le gioie e le croci”».
Dunque, ha spiegato il Pontefice, «il
cristiano è un uomo di memoria». Tanto che «quando noi prendiamo la Bibbia, vediamo che i profeti sempre ci
fanno guardare indietro: pensate questo
che Dio ha fatto con voi, come vi ha liberato dalla schiavitù». Perché «la vita
cristiana non incomincia oggi, continua
oggi». E «fare memoria è saggezza: ricordare tutto, il buono, il non tanto
buono, il brutto; tante grazie, tanti peccati, la famiglia, la storia personale di
ognuno». Così «io vado davanti a Dio
ma con la mia storia, non devo coprirla, nasconderla: no, è la mia storia, davanti alla mia anima, davanti a te». Ecco che «l’esortazione per vivere bene
una vita cristiana incomincia con questo punto di riferimento: la memoria».
Poi, ha proseguito il Papa, l’autore
della lettera agli Ebrei «ci fa capire che
siamo in cammino, e siamo in cammino
in attesa di qualcosa, in attesa di arrivare o di incontrare». Vuol dire «arrivare
a un punto: un incontro; incontrare il
Signore». Si legge infatti nella lettera:
«Ancora un poco, infatti, un poco appena, e colui che deve venire, verrà e
non tarderà». E subito «ci esorta a vivere per fede: “Il mio giusto per fede
vivrà”». Qui entra in gioco «la speranza: guardare al futuro».
Difatti, ha spiegato Francesco, «così
come non si può vivere una vita cristiana senza la memoria dei passi fatti, non
si può vivere una vita cristiana senza
guardare il futuro con la speranza
dell’incontro con il Signore». L’autore
della lettera agli Ebrei scrive «una frase
bella: “Ancora un poco...”». Sappiamo
bene, ha ricordato il Papa, che «la vita
è un soffio, passa: quando uno è giovane, pensa che ha tanto tempo davanti,
ma poi la vita ci insegna quella parola,
che diciamo tutti: “ma come passa il
tempo, questo l’ho conosciuto da bambino, adesso si sposa, come passa il
tempo!”». Dunque «la speranza di incontrarlo è una vita in tensione, tra la
memoria e la speranza, il passato e il
futuro».
Il terzo punto «è nel mezzo: è oggi,
cioè il presente», ha affermato il Pontefice. Si tratta di «un oggi fra il passato
e il futuro». E «il consiglio per vivere
l’oggi è continuare con questo atteggiamento, che descrive i primi cristiani, di
coraggio, di pazienza, di andare avanti,
di non avere paura». Perché «il cristiano vive il presente — tante volte doloroso e triste — coraggiosamente o con pazienza». Ci sono «due parole che a
Paolo, e al suo discepolo che ha scritto
questa lettera, piacevano tanto: coraggio e pazienza». Ed «è curioso», ha
notato il Papa, che l’autore del testo
per dire «pazienza, usa una parola in
greco che vuol dire “sopportare”; e coraggio è franchezza, dice qui, dire chiaramente le cose, andare avanti con la
faccia avanti». Sono «le due parole —
ha proseguito — che lui usa tanto, tanto: la parresìa e la hypomoné, il coraggio e la pazienza». E «la vita cristiana
è così». È vero, ha riconosciuto Francesco, che tutti siamo peccatori, «chi prima e chi dopo», e «se volete dopo possiamo fare la lista, ma andiamo avanti
con coraggio e con pazienza; non restiamo lì, fermi, perché questo non ci
farà crescere».
Così dunque, ha spiegato il Pontefice, «è la nostra vita cristiana, così oggi
la liturgia ci esorta a viverla: con grande memoria del cammino vissuto, con
grande speranza di quel bell’incontro
che sarà una bella sorpresa». Certo, ha
insistito, «non sappiamo quando: può
essere domani, può essere tra quindici
anni, non si sa, ma è sempre domani, è
presto, perché il tempo passa». In ogni
caso ci deve sempre essere «la speranza
dell’incontro». E anche l’atteggiamento
di «sopportare, con pazienza; portare
qui, pazienza, e coraggio, franchezza»,
con «la faccia avanti, senza vergogna».
Proprio «così si porta la vita cristiana
avanti».
«C’è una piccola cosa, per finire —
ha evidenziato il Papa — sulla quale
l’autore» della lettera agli Ebrei «attira
l’attenzione della comunità a cui sta
parlando: un peccato». È un peccato
«che non le fa avere speranza, coraggio, pazienza e memoria: il peccato è la
pusillanimità». Si tratta, ha spiegato
Francesco, di «un peccato che non lascia essere cristiano, è un peccato che
non ti lascia andare avanti per paura».
Per questa ragione «tante volte Gesù
diceva: “Non abbiate paura”»: proprio
per mettere in guardia dalla «pusillanimità» e così fare in modo di non cedere, di non andare «sempre indietro»,
custodendo «troppo se stessi» per «la
paura di tutto», per «non rischiare»
appellandosi alla «prudenza».
Tanto che, ha affermato il Papa, uno
può anche dire di seguire «tutti i comandamenti, sì, è vero; ma questo ti
paralizza, ti fa dimenticare tante grazie
ricevute, ti toglie la memoria, ti toglie
la speranza perché non ti lascia andare». E «il presente di un cristiano, di
una cristiana, è così come quando uno
va per la strada e viene una pioggia
inaspettata e il vestito non è tanto buono e si restringe la stoffa: anime ristrette». Proprio questa immagine esprime
bene cos’è «la pusillanimità: il peccato
contro la memoria, il coraggio, la pazienza e la speranza».
Prima di riprendere la celebrazione
eucaristica, Francesco ha invitato a
chiedere nella preghiera al Signore che
«ci faccia crescere nella memoria, ci
faccia crescere nella speranza, ci dia
ogni giorno coraggio e pazienza e ci liberi da quella cosa che è la pusillanimità», cioè dall’atteggiamento di quelli
che hanno «paura di tutto» e finiscono
per essere «anime ristrette per conservarsi». Invece Gesù ci fa presente che
«chi vuole conservare la propria vita, la
perde».
Morto a Setteville il sacerdote malato di Sla che aveva ricevuto la visita di Papa Francesco
L’ultimo saluto a don Giuseppe
Nella camera ardente allestita in una
grande sala della parrocchia di Santa
Maria di Setteville di Guidonia ci sono
il cero pasquale, la croce e, sulla bara,
la palma e il Vangelo aperto. E un’ininterrotta processione di gente che da
giovedì viene a pregare per don Giuseppe Berardino, il viceparroco morto
nella serata di mercoledì 25 gennaio. Il
sacerdote era da due anni malato di Sla
e, lo scorso 15 gennaio, aveva ricevuto
la visita di Papa Francesco che gli aveva amministrato il sacramento dell’unzione degli infermi.
«Don Giuseppe — ci dice, profondamente colpito, il parroco don Gino Tedoldi — è morto serenamente così come
serenamente ha vissuto tutta la sua malattia. E l’intera comunità, pur segnata
dal dolore, è compatta nella preghiera:
da ieri vengono famiglie intere, anche i
bambini. Chiunque arriva, mi consegna
col ricordo qualcosa di don Giuseppe».
Il sentimento che maggiormente si respira nella comunità parrocchiale è
quello della gratitudine verso un sacerdote che in quattordici anni di servizio
ha seminato amore, disponibilità, pace.
Lo stesso don Gino ripete continuamente in queste ore: «Pochi genitori
sono stati voluti bene da un figlio così
come io sono stato voluto bene da don
Giuseppe». «Anche la sua malattia — ci
spiega il parroco — è stata feconda. In
questi due anni lui è stato sempre presente in mezzo a tutti noi, la comunità
ha sempre percepito la sua vicinanza
nella preghiera; una preghiera che,
quando ancora riusciva a comunicare,
ha promesso per tutti».
Nato quarantasette anni fa ad Atripalda (Avellino), Giuseppe Berardino
era entrato nel seminario Redemptoris
Mater dopo gli studi di informatica ed
era stato ordinato l’11 maggio 2003. I
suoi funerali vengono celebrati sabato
28, alle 11, dal cardinale vicario Agostino Vallini. «L’ultima consolazione —
aggiunge il parroco — don Giuseppe
l’ha ricevuta da Papa Francesco che,
dieci giorni fa, lo ha incoraggiato a vivere la sua missione misteriosa ma feconda con tanti frutti. In quell’occasione abbiamo visto concretizzato cosa significa essere vescovo: far presente Cristo anche e soprattutto nelle sofferenze
più cupe. Resterà impressa nei nostri
cuori l’immagine del Pontefice chinato
su don Giuseppe che gli dice: “Sono il
tuo vescovo”».