Gli atti non possono trovare forme ad essi adeguate

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ESPRESSIONE E PERCEZIONE (VI RL, §§ 1-5)
«Gli atti non possono trovare forme ad essi adeguate, senza essere riconosciuti,
appercepiti nella loro forma e nel loro contenuto. L’espressività del discorso non risiede
quindi nelle pure e semplici parole, ma in atti espressivi; questi ultimi imprimono in una
nuova sostanza gli atti correlativi che devono venir espressi per loro mezzo, trasformandoli
in un’espressione intellettuale [gedanklichen Ausdruck] la cui essenza generale costituisce il
significato del discorso corrispondente» (320).
Espressione simbolica
Espressione spirituale/intellettuale (di pensiero)
Espressione linguistica
«Quando gli atti intesi sono effettivamente presenti, l’espressione arriva a coincidere con
ciò che viene espresso, il significato inerente alle parole s’adegua a ciò che esso significa,
la sua intenzione intellettuale trova qui l’intuizione riempiente» (ibid.).
Classificazione degli atti:
a) Ipotesi aristotelica: a ciascun atto significativo corrisponde un diverso vissuto;
b) Ipotesi neokantiana: un atto significativo è un giudizio (un atto predicativo) o una
sua modificazione;
c) Ipotesi fenomenologica: ciascun atto significativo è un atto posizionale in
generale.
Espressione di un atto:
1) Espressi sono gli atti che conferiscono significato, che sono “resi noti” in senso
stretto: la sedia è rotta, ecc.
[«atti in cui si costituisce il significato dell’espressione corrispondente» (313)]
2) Esprimiamo atti quando «denominiamo gli atti che stiamo vivendo direttamente ed
enunciamo per mezzo della denominazione che noi li viviamo»: io desidero che, io
domando se, io giudico che…
[atti che «il parlante vuole presentare predicativamente come atti che egli stesso
vive» (ibid.)]
I significati degli enunciati sulle cose esterne non appartengono alle cose esterne
(il problema dell’esser contenuto o no del significato nelle percezioni)
Il caso del desiderio:
il vissuto del desiderio si unifica concretamente al giudizio
il desiderio, in quanto tale, viene appreso in una percezione riflessiva, in cui
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il concetto “desiderio” si distingue dal contenuto del desiderio.
Per dimostrare che il desiderio, come vissuto, non contribuisce al significato della sua
espressione vien fatto quest’esempio;
data l’espressione: “io desidero che il cielo si tinga di rosa”, se sostituisco al termine io
(che designa l’integralità del vissuto con la sua propria coscienza) il corrispettivo nome
proprio o un qualsiasi nome proprio o la sua più vaga generalizzazione (“qualcuno”),
l’espressione corrispondente modifica il proprio significato? Ovvero cosa distingue:
a) “io desidero che il cielo si tinga di rosa”;
b) “Giovanni desidera che il cielo si tinga di rosa”;
c) “qualcuno desidera che il cielo si tinga di rosa”?
L’espressione del desiderio, ovvero “desider- |che il cielo si tinga di rosa| non
muterebbe in nessuna di queste variazioni. Certo non sono più “io” però a desiderarlo!
«L’atto, nella misura in cui viene denominato o in qualche modo “espresso”, si presenta
come l’oggetto attualmente presente del discorso ovvero della posizione oggettivante che
si trova alla sua base» (313).
Il terzo significato di “espressione di atti” implica come nel secondo un’attività
giudicativa o comunque oggettivante, ma non è un giudizio sugli atti che esprime, ma un
giudizio sulla base degli atti che esprime.
3) Giudizio percettivo: «Quando esprimo la mia percezione, ciò può significare che
attribuisco predicativamente alla mia percezione questo o quel contenuto [che
dico cioè di percepire o di aver percepito questo o quello]. Ma può anche
significare che io attingo il mio giudizio dalla percezione, che non soltanto
asserisco il dato di fatto corrispondente, ma che lo percepisco e lo asserisco così
come lo percepisco. In questo caso, il giudizio viene emesso sul percepito, e non
sulla percezione» (ibid.).
Lo stesso può dirsi sulla base di fantasie, ricordi e aspettazioni: in questi casi però
la posizione dell’oggetto intuíto muta.
A partire da quest’ultima accezione di espressione di atti viene ripresa la chiarificazione
del rapporto tra significato e intuizione espressa. In particolare:
«Ci indirizzeremo verso il problema più generale di accertare se gli atti che possono
come tali dare espressione e gli atti che come tali possono ricevere espressione si muovano
all’interno di sfere specifiche essenzialmente diverse, e quindi nettamente definite, e se
ciononostante sia normativa un’unità onnicomprensiva da cui tutti gli atti che sono in grado
di svolgere una funzione significante in senso lato – sia la funzione di significato che quella del
“riempimento di significato” – siano abbracciati e racchiusi in modo tale che da tali
funzioni restino eo ipso esclusi, in forza di una legge, gli atti di tutti gli altri generi» (314).
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Esempio:
a) “un merlo ha preso il volo”: qual è l’atto in cui risiede il significato [di
quest’espressione]? (315).
Non si tratta della percezione, perché sulla base della medesima percezione, poteri dire:
b) “questo [merlo] è nero”;
c) “questo [uccello] è un uccello nero”;
d) “questo animale nero [un merlo?] ha preso il volo”;
e) “questo animale nero [un merlo?] si è sollevato in alto”.
Non solo ciascuna delle modificazioni espressive, attentive (b-e), ma anche
1) «ogni modificazione accidentale della posizione rispettiva di colui che percepisce,
modifica la percezione stessa, e
2) Persone diverse che percepiscono contemporaneamente la stessa cosa non hanno
mai una percezione esattamente identica» (315) ← su questo, ricordate l’essenza
intenzionale e ciò che in essa non rientrava, ciò che era intenzionalmente
inessenziale? L’esempio dei “ghiacci della Groenlandia”?
All’inverso:
«Il significato è indifferente rispetto a queste diversità tra le singole percezioni; esso
consisterebbe appunto in un aspetto comune che sarebbe implicito in tutti i molteplici atti
percettivi che si riferiscono ad un unico oggetto» (ibid.).
«La percezione non soltanto può variare, ma anche venire del tutto meno senza che
l’espressione cessi di essere significativa» (ibid.).
«Ma se nel venir meno della percezione l’enunciato mantiene ancora un senso anzi lo
stesso senso di prima, non potremmo più sostenere [anche prescindendo dalle forme
categoriali che in questa Sezione ignoriamo intenzionalmente] che la percezione sia l’atto
in cui si effettua [compie, realizza] il senso dell’enunciato percettivo, il suo intendere
espressivo» (316).
Certo, un enunciato esprime la percezione,
o meglio, “ciò che è ‘dato’ nella percezione”
si orienta, si dirige, si regola, sulla “portata manifestativa della percezione”
percezioni parziali/percezioni complessive
Che cosa s’intende per espressione di una percezione e che cosa si esprime, esprimendo
una percezione?
1) «“Esprimere” una percezione (o in termini oggettivi, un percepito in quanto tale) non è
cosa che riguardi il complesso fonetico, ma certi atti espressivi. […]
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2) Con espressione s’intende l’espressione animata da tutto il suo senso […].
3) Tra la percezione e il complesso fonetico è inserito un altro atto (o un insieme di
atti).
4) Parlo di atto perché il vissuto espressivo, sia esso accompagnato o meno da una
percezione, si riferisce intenzionalmente ad un’oggettualità.
5) Deve essere questo atto di mediazione che opera propriamente come donatore di
senso, esso appartiene all’espressione sensata come la sua componente essenziale,
6) facendo sì che il senso resti identico,
7) sia che ad esso si associ una percezione che lo confermi o no» (316-317).
In altri termini:
1) un’espressione è sempre legata a un linguaggio, ma non a una lingua;
2) espressione è significazione;
3) tra la lingua e ciò che è espresso (il percepito) c’è il linguaggio o la significazione;
4) la significazione è un atto intenzionale, o una serie di atti intenzionali, perché
consiste nel riferimento ad un oggetto (intenzionale);
5) la significazione è componente essenziale dell’espressione e ciò che media tra
lingua e ciò che è espresso;
6) la significazione consente che l’oggetto intenzionale resti identico (e che
l’espressione abbia un significato);
7) alla significazione è inessenziale l’effettivo riempimento;
7.1) alla significazione è essenziale la possibilità del riempimento (positivo,
negativo, simbolico/sostitutivo);
7.2) il significato di un’espressione non è il suo riempimento (ecc.);
7.3) il significato di un’espressione non è nel vissuto sulla cui base essa esprime
qualcosa [che vola] di qualcos’altro [il merlo];
7.3.1) il vissuto di base, infatti, non presenta ovvero non dà il “qualcosa di
qualcos’altro” che l’espressione esprime, ma uno “stato di fatto”1 che:
7.3.1.1) può essere espresso in molti modi;
7.3.1.2) può cioè fare da base a molti “qualcosa di qualcos’altro”
7.3.1.3) e converso, una medesima espressione, ovvero una medesima
significazione col medesimo significato (che esprime questo qualcosa di questo
qualcos’altro), può avere come base diversi vissuti base o momenti diversi del
medesimo vissuto base complessivo.
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Lo stato di fatto non è quindi uno stato di cose: il primo è un percepito, il secondo è ciò che è
espresso nell’espressione di un percepito.
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«Benché la percezione non costituisca mail il significato di un enunciato effettuato sulla
sua base, essa contribuisce tuttavia in qualche misura al significato, e proprio nei casi
appartenenti alla classe di cui abbiamo parlato or ora» (317).
Che cosa distingue le espressioni: “questo merlo” e “un merlo”?
Ovvero:
1) “questo merlo [qui, che sta dinanzi a me, ora] ha preso il volo”; e
2) “un merlo [dei tanti che stanno qui, dinanzi a me, ora] ha preso il volo”.
«La percezione, quando porta all’intuizione lo stato di cose che l’enunciato esprime sul
piano predicativo, offre un suo contributo allo statuto significativo del giudizio stesso»
(318).
Questo contributo riguarda l’intenzione significante (b) o solo l’intuizione riempiente
(a)?
a) «L’intuizione contribuisce al significato dell’enunciato percettivo: nel senso che il
significato non può dispiegarsi nel suo riferimento determinato all’oggettualità intesa
senza ricorrere all’intuizione.
b) D’altra parte, non è detto che con questo l’atto dell’intuizione sia esso stesso veicolo
del significato o che esso contribuisca in senso proprio al significato in modo tale da
poter poi ritrovare questo contributo come sussistente nel significato definito, a titolo
di elemento costitutivo» (ibid.)
Quanto a (b), «l’intuizione conferisce [all’elemento comune nelle espressioni: “un merlo”
e “questo merlo”] la determinatezza della direzione verso l’oggetto e quindi la sua ultima
differenza specifica. Questa funzione non esige però che una parte del significato stesso
risieda necessariamente nell’intuizione» (318-319).
Se dico “questo” riferendomi ad un foglio di carta, o al portamatite che ho adesso sulla
mia scrivania e che sta per cadere sul pavimento, di certo questa parolina può essere
usata in questo riferimento in virtù della percezione sulla cui base sto formulando
un’espressione. Ma il significato di “questo” non risiede in questa percezione.
→ «Quando dico “questo” non mi limito a percepire: ma sul fondamento [Grund] della
percezione si basa un atto nuovo orientato ad essa, da essa dipendente nella sua
differenza: l’atto dell’intendere-questo. In questo intendere rinviante [che rimanda a
qualcosa] risiede il significato, e solo in esso» (319).
→ «Senza la percezione – o un atto che esplichi una funzione corrispondente – il
rinviare sarebbe vuoto, privo di una differenziazione determinata:
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[esso rimarrebbe però nella sua indeterminatezza, ma non andrebbe perduto:
l’espressione rimarrebbe significativa]
in concreto, esso sarebbe impossibile.
[l’indeterminatezza in generale si tradurrebbe in impossibilità nel caso singolo]
[…] naturalmente il pensiero “colui che parla rinvia a “qualcosa” – che si potrebbe presentare
all’ascoltatore finché egli non si è ancora reso conto di quale oggetto noi intendiamo
indicare con il questo – non è affatto il pensiero che noi stessi abbiamo effettuato
nell’attualità del rinvio» (ibid.).
[nonostante qui l’esempio richiami funzioni comunicative che, per principio, dovrebbero
qui essere escluse, tuttavia si può dire che: l’indeterminatezza del riempimento non è
quella dell’intenzione; è quest’ultima a determinarsi sulla base della percezione che viene
espressa]
«La percezione realizza la possibilità per il dispiegamento dell’intendere-questo con il suo
riferimento determinato all’oggetto, ad esempio, a questo foglio di carta di fronte ai miei
occhi; ma essa stessa non costituisce, a nostro avviso, il significato, e neppure una sua
parte.
Orientandosi secondo l’intuizione, il carattere d’atto del rinvio riceve una determinatezza
di intenzione che si riempie nell’intuizione, secondo una struttura generale che va
caratterizzata come essenza intenzionale» (ibid.).
«Una conferma di questa concezione per la quale la percezione è un atto che, pur determinando
il significato, non lo contiene, è offerta dal fatto che anche espressioni essenzialmente
occasionali come questo vengono intese ed usate spesso senza un’adeguata base intuitiva»
(320) → sulle espressioni occasionali e i nomi propri si rimanda alla VII Esercitazione.
«La percezione che esibisce l’oggetto e l’enunciato che lo pensa e lo esprime per mezzo del giudizio
ovvero degli “atti di pensiero” [si ricordino prima le “espressioni intellettuali” o
“spirituali”] intessuti nell’unità del giudizio, vanno completamente separati, benché nel
caso in questione del giudizio percettivo essi si trovino in una stretta relazione reciproca,
in un rapporto di coincidenza, nell’unità del riempimento» (321).
Ergo:
1) percezione, esibizione, presentazione (vissuto intenzionale);
2) espressione della percezione (vissuto intenzionale → percepito);
3) giudizio, atto di pensiero, coincidenza tra 1) e 2) (vissuto intenzionale →stato di
cose).
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