Autobiografia di un Protone

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Transcript Autobiografia di un Protone

Autobiografia di un Protone
di Francesca Diodati – per
Esistiamo da oltre 13 miliardi di anni. La materia che costituisce tutto ciò che
conosciamo, inclusi noi stessi, ha vissuto innumerevoli esperienze
straordinarie; ha assunto le forme più disparate, ma i suoi componenti
essenziali sono sempre stati gli stessi. Chi meglio di loro può narrarci la nostra
storia, fin dagli inizi del tempo? Finalmente uno di loro, un protone, ha deciso
di scrivere la sua autobiografia, dalla nascita dell’Universo fino a oggi…
Presentazione
Salve a tutti! Io sono un protone. Se vi sembra strano che un
protone abbia deciso di scrivere la sua autobiografia, perché
non è una celebrità al pari di attori, cantanti e simili, mi
permetto di dirvi che vi state sbagliando. Se leggerete la mia
storia capirete perché. La mia vita è lunga, lunghissima,
iniziata poco dopo l’inizio dell’Universo. Chi altri conoscete
che può raccontarvi tanto? Desidero condividere con voi la
mia esperienza, e magari facendolo vi aiuterò a ricordare cose che avete
dimenticato.
Innanzitutto mi descrivo. Sono una particella subatomica, cioè sono uno dei
componenti dell’atomo , insieme all’elettrone e al neutrone. Ma posso esistere
senza problemi anche singolarmente…anzi! Ho passato gran parte della mia
vita felicemente da solo. Appartengo alla classe di particelle dette barioni, cioè
la materia comune, quella di cui siete fatti anche voi lettori. Fui scoperto nel
1919 da Ernest Rutherford, era ora, esistevo già da oltre 13 miliardi di anni! Il
mio nome deriva da una parola greca, proton, che significa Primo. E’ un nome
che sicuramente si addice alla mia specie, tuttavia devo specificare che noi
protoni non siamo propriamente una particella elementare, siamo infatti
composti da tre piccole particelle, che non possono esistere da sole, chiamate
quark. Ho una massa pari a 1,672 621 71(29) × 10−27 e un raggio di 1.5 × 1018m
– insomma…diciamo che sono minuscolo per i vostri standard. Piccolo e
leggero, eppure le differenze abissali tra i diversi tipi di atomi (ad esempio la
differenza tra un atomo di ossigeno e uno di ferro) dipendono proprio dal
numero di protoni presenti nel nucleo!
Bene, ora smetto, non vorrei avervi annoiato, e soprattutto infastidito con un
pizzico di superbia di troppo. Ma non ho potuto farne a meno! La prossima
volta vi racconterò cosa è successo alla mia nascita. Personalmente non lo
ricordo molto bene, ma in fondo, chi ricorda la propria nascita? Vi parlerò di
quello che gli scienziati credono sia successo – poi vi riferirò quanto mi è stato
svelato dai più vecchi saggi nel mondo delle particelle.
Nel frattempo, se vi piace, potete chiamarmi Proteo!
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L’origine dell’Universo
Non ricordo molto bene cosa sia successo durante le primissime fasi
dell’universo, anche se so per certo che c’ero. C’eravamo tutti, ma con forme e
caratteristiche fisiche molto diverse da quelle attuali, quindi non possiamo
averne memoria. Tutta la materia oggi esistente era concentrata in un solo
punto, a densità infinita, senza possibilità di movimento, perché non esisteva
spazio entro il quale muoversi. Poi ci fu una grande esplosione, e con essa la
formazione dello spazio. Lo spazio iniziò ad espandersi rapidamente, e la
materia venne scagliata in tutte le direzioni all’interno di esso, prendendo
strade diverse, andando in contro a destini totalmente differenti.
Sono nato durante una selvaggia battaglia. Ho ricordi vaghi di quei primi
minuti della vita dell’universo, ma me lo hanno raccontato ripetutamente gli
antichi saggi tra le particelle, i fotoni della radiazione microonde di fondo. Loro
narrano la storia del cosmo ininterrottamente, da sempre, con un sussurro
udibile indifferentemente da qualsiasi punto del cosmo. Questi nonni fotoni
narrano che subito dopo il Big Bang, si trovarono a coesistere particelle
appartenenti a due tipi di materia, identiche in tutto tranne che per la carica
elettrica. In particolare, erano numerosissimi gli elettroni, e gli antielettroni
(chiamati positroni). Particelle identiche con carica opposta non possono
coesistere. Quando entrano in contatto, si annichiliscono (annientano)
spariscono in un bagliore di luce, producendo due fotoni. In quei tempi
primordiali, l’Universo aveva appena iniziato ad espandersi, ed era quindi
densissimo. Era impossibile evitare gli scontri e tentare una difficile convivenza
pacifica! Iniziò quindi subito la lotta per la supremazia del cosmo, tra materia e
antimateria. Fu una guerra abbagliante, dove gran parte dei nemici finì per
annichilirsi a vicenda. Poiché la materia era presente in quantità leggermente
superiore rispetto all’antimateria, quando tutte le coppie di nemici si era
annichilita, una parte di materia sopravvisse, e rimase a popolare l’Universo. Si
tratta della materia che voi chiamate barionica. Ma niente muore nell’Universo,
niente scompare per sempre, semplicemente si cambia forma e proprietà
fisiche – lo dimostrò Einstein solo pochi anni fa: “la materia non si crea ne si
distrugge”. I nemici che si erano distrutti a vicenda rimasero in vita sotto
forma di brillantissimi fotoni, e presto iniziarono a vagare indisturbati nello
spazio, permeando tutto il cosmo. Oggi irradiano nel microonde, poiché le loro
lunghezze d’onda, un tempo cortissime, si sono allungate con l’espansione e il
raffreddamento dell’Universo. Il loro continuo mormorare è la prova vivente del
Big Bang e di ciò che seguì.
La mia paura più grande, ancora oggi, è di incontrare un antiprotone. E’ il
ricordo più vivo che ho dei minuti successivi al Big Bang. Me ne stavo lì, un po’
frastornato, osservando la battaglia che infervorava, pronto a fuggire nel caso
una particella identica a me ma di carica negativa mi passasse troppo vicino.
In realtà non deve essere poi così brutto essere un fotone - una particella
senza massa che può muoversi alla velocità più alta possibile, cioè quella della
luce - però io ero nato protone, materia barionica, e non volevo trasformarmi,
non così presto, almeno. Per fortuna non ci fu nessuna collisione, e più il
tempo passava, più mi sentivo al sicuro. La temperatura scendeva,
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l’espansione cosmica creava più spazio in cui potersi spostare, la densità
diminuiva. Dopo circa mezzora dalla grande esplosione, la battaglia si esaurì.
La temperatura era scesa a circa 300 milioni di gradi (si stava decisamente
meglio), l’antimateria era quasi del tutto scomparsa e i pochissimi esemplari
rimasti erano fuggiti, al riparo da altre collisioni. Noi, i sopravvissuti, eravamo
al sicuro, e liberi di iniziare il nostro viaggio cosmico nel tempo e nello spazio.
La materia allora non aveva tutte le svariate forme che ha oggi, con atomi di
diversissimi tipi e perfino molecole, gruppi di atomi. La prossima volta vi
racconterò qualcosa dei miei primi compagni di viaggio…
Compagni diversi
Io sono un tipo che si adatta facilmente. Sto bene in compagnia, ma mi piace
anche starmene in solitudine. Ci sono invece particelle che da sole proprio non
vogliono stare. Colpa delle leggi della fisica, di quelle forze fondamentali che
spesso ci obbligano ad interagire con gli altri, perfino quando ti stanno
antipatici. Le forze della fisica…sono loro a regolare i comportamenti di tutto
ciò che esiste, e a determinare gli avvenimenti che si susseguono nel cosmo.
Beh, comportamenti degli esseri umani a parte…quella è tutta un’altra storia!
Ma andiamo per ordine. All’origine dell’Universo esistevano già tutte le
particelle che in seguito, combinandosi tra di loro, daranno origine a tutto ciò
che conoscete. E’ come dire che durante il Big Bang sono stati preparati tutti
gli ingredienti necessari per cucinare i cibi cosmici.
Nonostante il mio orgoglio per la classe a cui appartengo, non riesco a stare
troppo vicino ai miei simili. E’ più forte di me…infatti, è la forza
elettromagnetica, una delle interazioni di cui parlavo, che porta particelle con
la stessa carica a respingersi, e particelle di carica opposta ad attrarsi. Per
questo noi protoni ci rispettiamo, ma non stiamo mai propriamente fianco a
fianco.
Poi ci sono i neutroni, esseri simpatici, anche se un po’ insicuri, o paurosi, non
so. Infatti, non riescono a vivere per conto loro, ma hanno la impellente
necessità di unirsi proprio a noi protoni. Sono anch’essi barioni, con una massa
solo di poco maggiore della nostra, ma senza carica elettrica. Tra protoni e
neutroni esiste una potentissima attrazione, la forza nucleare forte, perciò
quando un neutrone passa vicino a un protone, gli si appiccica. Anche a me è
successo…Ne riparleremo ampiamente in seguito.
Ci sono poi gli elettroni, esserini minuscoli e biricchini di carica negativa a cui
ho già accennato. A causa della forza elettromagnetica, di cui parlavo sopra, gli
elettroni sono fortemente attratti da noi, tanto che quando ci si avvicinano a
una distanza sufficientemente piccola, iniziano a girarci intorno e noi dobbiamo
portarceli dietro ovunque andiamo. Sono divertenti, solo piuttosto pazzerelli e
irrequieti, facilmente irritabili e incapaci di starsene fermi.
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Ci sono poi esseri molto diversi da noi, con cui i contatti sono rari e vaghi;
sono loro a suscitare in me la maggiore curiosità, proprio perché il loro
comportamento così estraneo a quello barionico porta con sé una fitta dose di
mistero. Primi fra tutti ci sono i fotoni, queste entità peculiari che pur essendo
particelle, non possiedono massa, e si muovono indisturbati per lo spazio alla
velocità della luce. Come devono sentirsi leggeri…liberi…nessuna forza li
obbliga a legarsi con altri. I fotoni percorrono distanze vertiginose portando a
osservatori lontanissimi le immagini degli oggetti da cui sono partiti. Quando
osservate una stella, ad esempio, quello che vedete sono i fotoni che hanno
percorso miliardi di chilometri per raggiungervi. Poiché la velocità a cui i fotoni
viaggiano è finita, se pur elevatissima, le immagini che giungono ai vostri occhi
corrispondono all’aspetto che aveva la stella quando i fotoni sono partiti. Mi
piace molto ascoltare le loro storie, li considero messaggeri di tempi lontani, e
di luoghi lontani dove io forse non andrò mai, ma chi lo sa…
Altre particelle alquanto strane, di cui però non so molto, sono i neutrini. Si
tratta di esserini elusivi, che non interagiscono con nessuno, e possono vagare
indisturbati per anni e anni prima di avere contatti con altra materia. Gli esseri
umani da tempo eseguono esperimenti per catturarne qualcuno, ma loro sono
furbi, non so come non si fanno mai beccare.
Bene, credo di aver presentato a grandi linee i miei principali compagni
primordiali. Ora posso continuare a raccontare la mia vita, riprendendo da quei
primi istanti di quiete dopo la tempesta.
La Gravità
Quando la materia venne decretata dominante nel neonato Universo, passata
la paura di annientarmi con un antiprotone, per la prima volta cominciai a
guardarmi intorno con calma, e a godermi l’ambiente. Senza porre alcuna
resistenza mi stavo muovendo libero nello spazio, che aumentava man mano
che l’Universo si espandeva. Anche allora, come adesso, non era così evidente
di essere trasportato dall’espansione, in quanto nessuno occupava, o occupa,
un punto di osservazione privilegiato da cui vede gli altri allontanarsi; al
contrario, ogni punto si allontana dagli altri in maniera uniforme e omogenea.
Eppure l’Universo si allargava enormemente, e allo stesso tempo la
temperatura scendeva e la densità tra noi particelle diminuiva, aumentando il
mio senso di libertà e di autonomia.
Vagai indisturbato per oltre 500000 anni - uso riferimenti temporali terrestri
per semplicità, anche se è strano utilizzarli per descrivere quei momenti, dove
la Terra, il Sole, e i loro moti erano miliardi di anni nel futuro. Gironzolavo
curioso, tra le particelle che per fortuna si diradavano sempre di più. Per lo più
incontravo elettroni, tipetti caotici e invadenti che saltavano come folletti da
una parte all’altra, con cui non volevo aver niente a che fare, e protoni liberi
come me.
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Occasionalmente c’erano anche protoni accoppiati a uno o due neutroni, e in
alcuni casi anche due protoni e due neutroni insieme. Ero molto giovane allora,
e non conoscevo bene le forze che regolavano la fisica, e quindi tutti noi. Per
quanto mi riguardava, io stavo bene per conto mio. Apprezzavo molto i fotoni,
che come me sembravano cercare a tutti i costi il loro spazio e la loro libertà.
Non avevo alcun desiderio di stringere amicizia con i neutroni; riguardo i
protoni poi, ogni volta che passavo vicino a un mio simile provavo l’impulso
innato di allontanarmi. Non mi domandavo il perché; era la mia natura. Mi
lasciavo trasportare dall’inerzia in beata solitudine, finché…
Uno di quei esserini fastidiosi, un elettrone insomma, iniziò ad avvicinarsi con
aria sospetta. Cominciò a pedinarmi, più cercavo di scrollarmelo di dosso più
lui mi seguiva, finché riuscì ad avvicinarsi a sufficienza per incollarsi a me.
Provai a convincerlo ad andarsene, ma invano. Cercai di staccarlo da me,
niente da fare. La forza elettromagnetica attrae particelle di carica
opposta, ora lo so! Gli elettroni hanno carica negativa, noi protoni positiva.
Rassegnato, alla fine rinunciai nell’impresa, e decisi di ignorarlo e continuare
nella mia esplorazione del cosmo come se lui non esistesse. Guardandomi
intorno, dopo quella pausa di distrazione, notai che a moltissimi protoni che
incontravo era accaduta la stessa cosa: tutti si trascinavano dietro un
elettrone, alcuni reticenti come me, altri più socievoli sembravano contenti di
aver finalmente stretto un legame con qualcuno. In effetti avrei potuto essere
più comprensivo con il mio piccoletto. Ho rimpianto di essere stato così
scontroso, dopo averlo perso di vista miliardi di anni fa. Ma io sono un protone
timidone, e a quei tempi ero molto più introverso di quanto non lo sia ora,
temprato dalle mille avventure che ho vissuto. Capii cos’era successo: la
temperatura era scesa a sufficienza per permettere agli elettroni di incatenarsi
a noi protoni, e di formare quindi i primi atomi. Io e il mio elettrone avevamo
ufficialmente composto un atomo di idrogeno, di cui io costituivo il nucleo!
Con la nascita degli atomi, gli elettroni smisero di gironzolare in maniera
disordinata e caotica nello spazio, e ciò rese l’Universo trasparente per i fotoni,
che finalmente liberi da ostacoli, iniziarono la loro pazza corsa cosmica alla
velocità della luce.
Io e il mio elettrone invece viaggiavamo a velocità moderata, come tutti i
barioni in condizioni normali; vagavamo leggeri e silenziosi in quello che voi
spesso definite il vuoto, che in realtà non è affatto vuoto, poiché pullula di
particelle come me. Il panorama era piuttosto noioso; ogni tanto incontravamo
atomi di idrogeno come noi, a volte qualche atomo di elio – nuclei composti da
due protoni e due neutroni, con due elettroni intorno, - ma niente di che. Ci
salutavamo distratti, senza gran che da raccontarci. Finché, dopo molto tempo,
direi…un miliardo di anni circa, notai un gruppetto di atomi stranamente vicini
tra di loro. Mi avvicinai, trascinando con me il mio elettrone, avvertendo per la
prima volta un senso di profonda curiosità. Rimasi sbalordito: anche se la
maggior parte era costituita da atomi di idrogeno o di elio, che ben conoscevo,
c’erano anche alcuni esemplari di atomi maestosamente grandi, composti da
un numero enorme di protoni e neutroni; in uno ne contai 26! Come diavolo si
erano formati? Notai che atomi di tutti i generi continuavano ad avvicinarsi
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curiosi, e non se ne andavano più, rimanevano lì, come incollati agli altri. E
mentre osservavo questo strano comportamento, mi resi conto che la stessa
cosa stava accadendo a me. Una forza irrefrenabile mi attraeva verso
quell’agglomerato di materia. Era solo curiosità?
Io e il mio elettrone diventammo presto componenti del gruppo, che i miei
nuovi compagni chiamavano nebulosa. Era un ambiente piacevole: per la
prima volta scoprii la gioia di socializzare e di chiacchierare. Alcuni di noi
avevano molto da dire, al contrario di quelli come me. Erano appunto i
componenti di quei rari atomi giganti che mi avevano colpito così tanto. Era
affascinante ascoltare le loro storie strabilianti sulla loro formazione. Parlavano
di stelle, fusione nucleare, sintesi degli elementi…cercavano di essere chiari ma
per noi, semplice idrogeno ed elio, erano concetti estranei.
Una cosa però l’avevo capita. Esiste una forza potentissima nell’Universo,
chiamata Gravità, che porta la massa ad attrarsi sempre di più con il ridursi
della distanza. E’ la forza dominante nel cosmo, poiché agisce anche a distanze
molto grandi, a differenza della forza nucleare ed elettromagnetica che avevo
imparato a conoscere. Era grazie alla gravità che si erano potute formare
nebulose come la nostra. Allo stesso tempo, la gravità avrebbe potuto
trasformarle. Ora sapevo che la mia pacifica esistenza nel sereno ambiente
della nebulosa poteva finire, e questo a causa della gravità. Ma come ciò
funzionasse esattamente rimaneva per me un mistero.
Teo, Procolo e la stella
Dov’ero rimasto? Ah già, nella nebulosa. Che bei ricordi di pace e tranquillità
conviviale. E’ nella nebulosa che ho imparato a socializzare. Sarà stato il clima
rilassato, non so, ma diventai particolarmente chiacchierone, e desideroso di
conoscere i miei vicini. Fu così che trovai il mio primo vero amico: un protone
come me, ma molto più estroverso e simpatico. Anche lui si portava dietro un
elettrone, ma non sembrava dispiacergli, anzi, pareva essergli affezionato.
Anche se non potevamo avvicinarci troppo, a causa della repulsione
elettromagnetica, potevamo comunque comunicare facilmente. Con la sua
simpatia mi conquistò, e in un certo senso mi contagiò. Fu lui ad affibbiarmi
l’appellativo di “protone timidone”, e successivamente a darmi un vero nome.
Diceva sempre: “Anche se siamo miliardi di miliardi di miliardi, ognuno di noi è
diverso, ogni singolo protone, o elettrone o fotone è diverso, ha una sua storia
e un suo futuro. La grande numerosità e la vastità del cosmo rischiano di farci
perdere la nostra identità, ma non dimenticare mai che tu sei tu!” Così decise
di darmi un nome, e scelse Proteo.
Non so come gli venne in mente, ma è curioso che oltre 10 miliardi di anni
dopo, gli esseri umani in Grecia parlarono di una Divinità chiamata Proteo, che
cambiava costantemente forma. Come noi protoni, infondo. Noi ci troviamo in
mille forme diverse, ma siamo sempre noi stessi. Così io divenni per tutti
Proteo, o per brevità, Teo. Per contraccambiare il favore, e per facilitare la
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nostra comunicazione in quel caos di particelle chiacchierone, anch’io diedi un
nome a lui; mi venne in mente Procolo, un nomignolo simpatico e buffo, come
lui.
L’incontro con Procolo fu essenziale per me. Mi fece comprendere quanto fosse
importante l’amicizia degli altri. Anche per un protone, che può starsene
facilmente da solo, a differenza dei neutroni o gli elettroni, l’unione fa la forza.
Unirsi permette di creare atomi diversi, molecole complesse, e in futuro
avrebbe permesso di dar vita alla vita! Anche se queste cose ancora non le
conoscevo appieno, iniziai ad apprezzarle proprio lì, nella nebulosa, grazie al
contatto con tanti amici, come Procolo.
Con la crescente curiosità per il prossimo, nella nebulosa nacque in me anche il
desiderio di esplorare: una sete di sapere e sperimentare che diventava ogni
giorno più intensa. Colpa di quei racconti di imprese da supereroi e avventure
mozzafiato che ci narravano pieni di vanto quegli spacconi negli atomi giganti.
Le loro storie mi stuzzicavano, fino a farmi diventare impaziente e irrequieto,
desideroso di viverle anch’io. Perfino gli elettroni componenti gli atomi più
grandi avevano storie da narrare. Quei piccoletti…erano più sapienti di me! Di
un protone come me! Con il passar dei milioni di anni iniziai a diventare
insofferente; e non solo io! Anche Procolo e i nostri vicini provavano la stessa
sensazione di impazienza.
Forse per quello, non so, le cose cominciarono a cambiare nella nebulosa. Forti
turbolenze iniziarono ad agitare la materia; violente rotazioni ci sbattevano qua
e là, come dentro la centrifuga di una lavatrice. In quel turbine che sembrava
non finire mai, purtroppo persi di vista Procolo. Andare a cercarlo era
un’assurdità in quel marasma. Cercai di farmene una ragione – in fondo era
impossibile pensare di stare insieme per sempre, in un universo in continuo
cambiamento, soggetti a forze così irrefrenabili come la gravità. Eppure devo
ammettere che per la prima volta, con la scomparsa di Procolo, provai un po’
di solitudine.
Non c’era tempo per la malinconia, però; stavano succedendo eventi
sconosciuti e non bisognava abbassare la guardia. I vortici continuavano, e con
essi notai che la temperatura scendeva, finché calò su di noi un gelo terribile,
quasi 200 gradi sotto zero. Con quel freddo era più difficile muoversi e agitarsi.
Il nostro moto rallentò, e provammo l’istinto naturale di avvicinarci sempre più
gli uni agli altri. Formammo dei gruppetti di atomi, dapprima piccoli come
granelli di polvere, poi sempre più grandi man mano che altri atomi si univano.
Anch’io entrai a far parte di uno di questi granellini. Il freddo era più
sopportabile, man mano che la materia si ammassava, i granelli si
ingrandivano, e poi si univano gli uni agli altri, sempre di più, diventando
un’unica palla di materia sempre più grande. Poiché la forza di gravità aumenta
con l’aumento della massa (ad esempio, la gravità lunare è più debole di quella
terrestre perché la luna è 4 volte meno massiccia della terra), l’attrazione tra
la materia della nebulosa era sempre maggiore. Io e il mio elettrone
occupavamo una posizione abbastanza esterna nella nebulosa, quindi pur
essendo ammassati con gli altri eravamo ancora abbastanza liberi; ma gli
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atomi più interni, nel nucleo della nube, erano soggetti a una pressione
enorme, che cresceva con l’aggiungersi di nuova materia al gruppo.
La fortissima pressione prodotta dalla gravità fece di nuovo aumentare la
temperatura. Anche noi all’esterno avvertivamo il calore, ma all’interno doveva
essere davvero torrido! Capii che stava per accadere qualcosa di straordinario,
probabilmente i fenomeni di cui avevo sentito parlare dai componenti dei
grandi atomi. Per la prima volta provai una certa preoccupazione per il mio
elettrone – a modo mio gli volevo bene! Nella nebulosa avevo imparato a
comunicare un po’ anche con lui, anche se non era facile per me trovare
argomenti di conversazione; lo consideravo solo un bambino rispetto a me. Gli
chiesi se aveva paura, e lui mi sorprese dicendomi spavaldo che era
tranquillissimo: era sopravvissuto alla battaglia tra materia e antimateria, cosa
poteva spaventarlo?
Improvvisamente accadde qualcosa di incredibile. il nucleo della nebulosa,
ormai incandescente, iniziò a sprigionare un flusso continuo di abbaglianti
fotoni. La materia si era accesa!
Ricordai le storie che mi erano state raccontate nellanebulosa, le collegai a
tutte le esperienze che stavo cfacendo, e iniziai in qualche modo a capire.
Questa era una stella. La gravità aveva compresso la materia così tanto che
non poteva più comprimersi, perciò i nuclei degli atomi di idrogeno avevano
cominciato a fondersi insieme, dando origine a nuclei di elio. La fusione libera
energia, rilasciata sotto forma di fotoni, creando quindi la luce. In questo
modo, la materia era di nuovo in equilibrio termico, cioè la tendenza a
collassare, la gravità, era contrastata dalla pressione verso l’esterno prodotta
dal rilascio di energia.
Il calore anche per noi sulla superficie era altissimo – oltre 20000 gradi, ma nel
nucleo dovevano esserci milioni di gradi! Alle temperature in cui ci trovavamo,
gli atomi non potevano più esistere; gli elettroni si separarono dai loro nuclei, e
così fece anche il mio elettrone, che sparì nel turbinio della stella appena nata.
Ero di nuovo solo, senza elettrone. E senza Procolo. Solo per modo di dire:
tutto intorno miliardi e miliardi di particelle sulla superficie della stella
assistevano come me agli eventi. Chissà se anch’io avrei partecipato alla
fusione nucleare, o se mi attendeva un altro destino. Non vedevo l’ora di
scoprirlo, ma non potevo fare altro che aspettare. E a giudicare dai tempi
cosmici, sapevo che avrei aspettato parecchio!
La Supernova e i raggi cosmici
La vita sulla superficie della stella non era certamente movimentata come
quella nel nucleo, ma non pensate che fosse tranquilla come una vacanza in
riva al mare! Non stavamo mai fermi, eravamo in continuo tumulto. In
continuazione, materia incandescente proveniente dall’interno della stella
risaliva in superficie, procurando tempeste di fuoco larghe fino a un chilometro,
chiamate “granuli”, poi un volta raffreddata ricadeva verso il basso. C’erano poi
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violente esplosioni, i flare, che si verificavano anche parecchie volte in un
giorno (usando sempre i riferimenti temporali terrestri), che liberavano una
grande quantità di energia e generavano venti potentissimi che scagliavano le
particelle lontano nello spazio. Moltissimi protoni come me lasciarono la stella a
tutta velocità, lasciandosi trasportare dal vento stellare. Da una parte avrei
desiderato entrare anch’io nel vento e volare via, all’esplorazione di nuove
regioni dello spazio. D’altra parte però ero troppo curioso di assistere
all’evoluzione di questa stella, di cui ora facevo parte. In ogni caso, non stava
a me decidere dove andare; la vita di un protone è soggetta alle forze della
natura, e anche se molti dei miei vicini vennero rapiti dal vento stellare, a me
non accadde.
Noi sulla superficie non potevamo vedere cosa sucedeva all’interno, ne
comunicare con i nostri fratelli nel nucleo. Ma c’erano i fotoni, quelli che
fuoriuscivano dal centro della stella, che mentre si facevano un varco tra di noi
abitanti degli strati esterni per uscire, ci raccontavano la loro esperienza. Per i
primi 20 milioni di anni circa, la storia che ci raccontavano era sempre la
stessa: “La gravità è fortissima laggiù. I protoni e i neutroni vengono
compressi così tanto da finire per fondersi. Coppie di protoni e neutroni –
nuclei di idrogeno – si fondono dando origine a nuclei di elio, composti da 2
protoni e 2 neutroni! Il processo libera energia, noi siamo quella energia”.
Orgogliosi, ci SFRECCIAVANO accanto e sparivano alla velocità della luce
irradiando lo spazio circostante, e portando il loro messaggio nell’Universo.
Furono i fotoni a descriverci anche com’era strutturato il corpo celeste su cui ci
trovavamo. Scoprii di abitare nell’atmosfera della stella,uno strato sottile detto
cromosfera. Sotto di noi c’era la fotosfera, la regione più luminosa, da dove i
fotoni riuscivano finalmente a sfuggire le alte densità sottostanti e a irradiarsi
all’esterno. Più internamente c’era il nucleo, sede della fornace dell’astro, dove
si produceva energia e calore.
Dopo questi primi miloni di anni, il racconto dei fotoni che ci raggiungevano
cambiò: ci dissero che tutto l’idrogeno presente nel nucleo si era trasformato in
elio, così ora erano coppie di nuclei di elio che venivano fusi insieme, dando
origine a carbonio (4 protoni e 4 neutroni). Allo stesso tempo, lo strato di
idrogeno che circondava il nucleo entrò nella fase di fusione, trasformandosi a
sua volta in elio.
Dopo altri venti milioni di anni, il racconto cambiò di nuovo: ora dicevano che
nel nucleo, coppie di nuclei di carbonio si fondevano diventando ossigeno, l’elio
più esterno si fondeva in carbonio, l’idrogeno più esterno in elio, ecc.
Avidi dei loro racconti, noi nella cromosfera restavamo in trepida attesa di
nuovi sviluppi, come al cinema quando si assiste a un film giallo, ovviamente
sempre attenti a non farci sorprendere da un flare, o altro tipo di tempesta
incandescente. Discutevamo anche del nostro futuro, cercando di fare
previsioni: saremmo entrati anche noi in una reazione nucleare? O eravamo
troppo lontani dalla fornace stellare? Spesso pensavo a Procolo. Chissà se lui
era ancora un protone singolo, cioè idrogeno, oppure se adesso era parte di un
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nucleo più pesante, come l’elio o il carbonio, insieme ad altri protoni e
neutroni.
Gli elementi cucinati nella stella aumentavano. I fotoni iniziarono a parlare di
sodio, magnesio, alluminio, silicio, zolfo, fosforo, cloro, potassio, calcio, titanio,
manganese….fino a un elemento con ben 26 protoni, il ferro. Restammo in
attesa di scoprire dai nostri cantastorie quale sarebbe stato il prossimo
elemento dopo il ferro, ma…non ve ne furono altri.
Improvvisamente, la stella esplose. Una esplosione maestosa, che ci rese più
luminosi delle centinaia di migliaia di stelle che componevano la galassia in cui
vivevamo. La materia venne scagliata in tutte le direzioni. Fu il caos generale.
L’esperienza più intensa che io avessi mai avuto, forse anche più intensa della
mia infanzia nelle battaglie tra materia e antimateria. Ebbi comunque poco
tempo per godermi lo spettacolo. L’esplosione fu così potente che mi diede
un’accelerazione violentissima. In un istante venni fiondato nello spazio a una
velocità per me inimmaginabile. Accanto a me tutto sfrecciava così
rapidamente che non riuscivo a distinguere nulla. Stordito e inebriato, mi resi
conto che solo i fotoni tenevano il mio passo. Ma come poteva essere? Era
così! Io, un protone, un barione con massa, stavo viaggiando a una velocità di
non molto inferiore a quella dei fotoni! Ero diventato un raggio cosmico…
La Cometa
Durante il mio incredibile viaggio a tutta velocità nello spazio, scoprii ben
presto di non essere l’unico a cui era successo. Innumerevoli particelle
sfrecciavano come me nel cosmo. Ci avvistavamo di sfuggita, per poi perderci
nell’immensità del cielo. Con alcuni però, che viaggiavano nella mia stessa
direzione, ho percorso lunghissimi tratti fianco a fianco. Erano per lo più fotoni,
ma c’erano anche alcuni elettroni, neutrini, e perfino….sì, perfino delle
antiparticelle! In qualche occasione mi sono trovato a distanza pericolosamente
e spaventosamente vicina a un….un….un antiprotone! Non riesco nemmeno a
pronunciare quella parola. Per me è un po’ come il “Tu sai chi” di Harry Potter!
Per fortuna non ci siamo scontrati, altrimenti sarebbe stata la fine della nostra
vita da barioni. Sapevo che c’era ancora tanto da esplorare e sperimentare
sotto forma di barione, e non volevo rinunciare alla mia natura. Immagino che
per gli antiprotoni fosse la stessa cosa. Non li invidio, poverini…per loro
l’universo è pieno di insidie, essendo composto quasi esclusivamente da
materia.
I raggi cosmici non sono particolarmente simpatici agli esseri umani, lo so.
Stanno antipatici ai fisici, che spesso nascondono i loro laboratori nel
sottosuolo per evitare che interferiscano con le loro apparecchiature. Non li
sopportano poi gli scienziati che utilizzano i satelliti che orbitano la Terra,
perché in mancanza dello schermo protettivo dell’atmosfera, possono
provocare gravi danni alle strumentazioni. Li temono soprattutto gli astronauti,
per i quali i raggi cosmici costituiscono una vera minaccia alla loro incolumità.
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Epure, i ricercatori terrestri hanno appreso molto da noi – beh, io non sono più
uno di loro, ma lo sono stato, e ne sono fiero. Studiando la nostra radiazione
infatti è stata scoperta l’antimateria, e si è sviluppata la fisica delle particelle.
Ma questo accadde molto tempo dopo. Scusate la digressione, ritorno al mio
viaggio vertiginoso e elettrizzante. Correvo da così tanto tempo, ormai iniziavo
a pensare che lo spazio fosse davvero infinito e avrei continuato a volare,
leggero elibero, per l’eternità. E invece, qualcosa fermò la mia corsa.
Una forza intensissima deviò la mia traiettoria rettilinea, prima lievemente, poi
l’attrazione diventò brusca e irrefrenabile. Ricordai l’effetto che aveva avuto su
di me la materia della nebulosa e capii che anche questa volta, era la gravità
ad avere il sopravvento. Ben presto comparve una grande massa di materia, e
io ci caddi sopra.
Era diversa dalla nebulosa al momento del mio arrivo. La densità delle
particelle era maggiore, cosicché il corpo celeste risultava compatto e solido.
La maggior parte degli atomi non esisteva da sola, ma raggruppata a due o
più; avevo già visto queste strutture sulla nebulosa, ma qui erano la norma.
Immediatamente, un elettrone mi si appiccicò, ero ritornato un atomo di
idrogeno vero e proprio. Ancora in preda ai rimorsi per aver maltrattato e
ignorato il mio primo elettrone, salutai il mio nuovo fastidioso compagno,
cercando di essere amichevole. Lui sembrò felicissimo della mia accoglienza, e
mi assalì con un fiume di parole, esprimendomi tutta la sua felicità per aver
finalmente trovato un nucleo. Presto però, appagato, iniziò a confabulare con
gli elettroni di due atomi straordinariamente vicini a noi: uno era un atomo di
idrogeno come me, un protone e un elettrone; l’altro era un atomo di ossigeno,
conteneva cioè 6 protoni, 6 neutroni e 6 elettroni. Osservai rapito l’ossigeno.
Ora sapevo che queste particelle erano state nel nucleo di una stella. Che
bello! Avrei potuto parlare con i protoni, farmi raccontare le loro esperienze e
raccontare loro le mie vicende sulla superficie della stella, e poi come raggio
cosmico. Pregustando già la serenità di un periodo tranquillo, fatto di
interessanti conversazioni con i miei simili, mi protesi verso i due nuclei. Il mio
scaltro elettrone ne aprofittò. D’acordo con gli elettroni dei due atomi vicini, a
quanto pare, si unì a loro e tutti e 8 iniziarono a gironzolare intorno ai tre
nuclei degli atomi.
Non avevo più un solo elettrone che mi pedinava, ma ben 8! Quei gruppetti di
atomi uniti che avevo già osservato anche sulla nebulosa…ora io ne facevo
parte. Erano molecole. E noi Avevamo formato una molecola d’acqua.
H2O, la formula dell’acqua, indica appunto la presenza nella molecola di 2
atomi di idrogeno “H” e uno di ossigeno “O”.
Era una condizione davvero nuova. Io, abituato alla libertà assolutta, in
esplorazione solitaria da miliardi di anni, ora ero intrappolato in una molecola.
Fu dura all’inizio, ma il mio desiderio di condivisione e di compagnia ora non
era inferiore alla mia sete di libertà. Finii quindi per abituarmi allo stato di
molecola, anzi, direi che dopo qualche annetto di assestamento, finii per
esserne addirittura felice! Col tempo diventammo un gruppo affiatatissimo.
Imparammo a conoscerci e a rispettarci. Ricordai quello che diceva il mio
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amico Procolo: anche se sembriamo tutti uguali, e se esiste un numero
esorbitante di particelle come noi, ognuno è diverso, ognuno è se stesso.
Aveva ragione, i miei nuovi amici avevano ognuno una storia particolare, e un
modo tutto loro di raccontarla, e di viverla.
Tramite il passaparola, da una molecola all’altra, apprendemmo di essere parte
di un corpo celeste ben diverso da una nebulosa, tanto meno una stella. Era un
oggetto molto freddo, di forma irregolare, largo circa 50 km, composto
soprattutto da molecole di acqua come noi, sotto forma di ghiaccio, ma che
conteneva anche una varietà straordinaria di molecole a me finora totalmente
sconosciute, come metano, ammoniaca, anidride carbonica, silicati. Eravamo
parte di una cometa!
Per un bel po’ di anni la vita procedette tranquilla e senza particolari scosse.
Ma il panorama cambiava continuamente. Le stelle nel cielo sembravano
mutare posizione. In particolare, presto avvistammo la luce di una stellina che
diventava ogni giorno più grande. Ciò indicava che la cometa rivolveva attorno
alla stella in un’orbita ellittica, che la stava ora portando a distanza sempre più
ravvicinata. Mi piaceva perdermi in quei panorami mozzafiato. Mi piaceva
osservare le stelle, sapendo di esserne stato parte. Man mano che quella stella
diventava più grande e luminosa, cominciai anche a chiedermi cosa sarebbe
accaduto quando ci fossimo trovati a stretto contatto con lei. Ma in fondo,
perché farsi troppe domande? Preferivo godermi il viaggio, sapendo che presto,
in ogni caso, inevitabilmente lo avrei scoperto.
Precipitare
Era impressionante osservare la stella crescere nel cielo, sentirsi gradualmente
avvolgere dalla sua luce e dal suo calore. Un’esperienza straordinaria, così
affascinante e misteriosa da far venire i brividi anche a un protone come me;
non importa quante cose belle o strane hai visto, davanti a certi fenomeni della
natura non puoi che rimanere senza parole. Il gelo dello spazio interstellare da
cui provenivamo cedeva il passo a un teporino molto acogliente e invitante,
che però ben presto, insomma, dopo qualche secolo, diventò un pochino
eccessivo, finché, quando la stella era ormai enorme nel nostro cielo, ci assalì
un caldo spaventosamente torrido. Mi riportò alla mente i miei milioni di anni
sulla stella; dopo tanto tempo ne rivedevo una da vicino! Ma non c’era tempo
per perdersi ne ricordi…a causa del grande calore, gli strati superficiali di
ghiaccio della cometa sublimarono, cioè passarono direttamente da stato solido
a vapore. Il vapore formò un’ampia, rarefatta atmosfera attorno alla cometa,
larga oltre 1 milione di chilometri, che assomigliava a una chioma, da qui il
nome che gli esseri umani le diedero.
A una distanza così ravvicinata, il vento stellare ci investiva con enorme
violenza, spingendo con forza parte della chioma in direzione opposta al sole,
formando quella che gli umani chiamano coda. Non potevamo ovviamente
vedere l’enorme cometa nel suo insieme, ma capimmo la nostra situazione
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grazie al solito passaparola generale di particella in particella e al racconto dei
rapidissimi fotoni, che alla loro velocità potevano percorrere la cometa in pochi
secondi. Così sballottati, pensai che presto anche noi saremmo entrati a far
parte della chioma, invece finalmente, l’orbita della cometa iniziò ad
allontanarci dall’astro. Finalmente…un po’ di tranquillità! Immaginai che mi
aspettasse un lungo viaggio di ritorno verso le zone fredde da cui eravamo
venuti. In fondo di solito le comete si comportavano così, no? Viaggiavano
perennemente in orbite più o meno lunghe attorno a un astro, alternando il
caldo luminoso al gelo cupo.
E invece no: presto qualcos’altro iniziò ad attrarre la cometa. Ancora una volta
la gravità, ma cos’era questa volta? Tutti si interrogavano, ma nessuno, ne i
miei compagni di molecola ne le particelle vicine, avevano mai visto una cosa
simile. Sicuramente non era una stella, non era accesa; non era neanche una
nebulosa, troppo densa. Forse era una cometa come la nostra? Qualunque
cosa fosse, era sempre più vicina, pericolosamente vicina… e noi eravamo in
rotta di collisione con quel coso!
L’impatto fu violentissimo. Creammo un profondo cratere su una superficie
dura e rocciosa. Il materiale della cometa venne scagliato intorno per
chilometri e chilometri. Che brivido! Io e i miei compagni di molecola eravamo
finiti in uno strano posto, pieno di molecole uguali a noi. Oggi lo so, stavamo
formando un oceano.
Il Pianeta
Ecco un nuovo capitolo della mia esistenza che iniziava nell’oceano. Non ero
mai stato su un pianeta. E che pianeta! In 4.5 miliardi di anni trascorsi sulla
Terra ho incontrato tante particelle che si sono trovate su altri pianeti in
passato, e generalmente i loro racconti parlano di luoghi noiosi, uniformi,
senza particolari eventi, tranne gli scontri con meteoriti e comete di passaggio.
Invece questo era un luogo davvero eccitante. La sua caratteristica peculiare
era che il suo ambiente incoraggiava le particelle a familiarizzare tra loro. Le
molecole di tipi più svariati si incontravano, sperimentavano nuove forme di
unione, formando entità sempre più complesse,finché queste entità
impararono a replicarsi, utilizzando l’energia assorbita dall’esterno.
Dal mio posto privilegiato nella mlecola d’acqua, un elemento che non sta mai
fermo, Ho assistito a una straordinaria evoluzione di questa organizzazione,
che ha portato infine alla nascita dell’uomo, essere davvero bizzarro, capace di
dare voce a sentimenti e pensieri che, in realtà, permeano l’universo da
sempre. La nascita della vita, come viene intesa dagli esseri originati sulla
terra, è a mio parere la nascita di una profonda coscienza, ma la vita è sempre
esistita, almeno fin dal Big Bang, cioè fin da quando io e tutte le particelle che
esistono ricordano di essere stati “vivi”.
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Ci sono particelle che raccontano di pianeti simili a questo, con avvenimenti
analogamente vivaci e bizzari. Non so se vogliano solo vantarsi delle loro
esperienze di viaggiatori,o se sia vero. Ma in fondo, perché non potrebbe
essere vero?
E’ bello essere acqua. Con i miei inseparabili compagni di molecola Ho vissuto
nelle buie e fredde profondità dell’oceano, sono risalito e ho percorso grandi
distanze trasportato dal vento in un’onda, sono stato rapito dal calore del sole,
e sono evaporato librandomi leggero nell’aria fino a visitare le montagne. Sono
stato parte di nuvole, dalle quali ho goduto di panorami mozzafiato, volando
leggero,sospinto dal vento. Che sensazione maestosa! Sono risceso in pioggia,
penetrando nella terra secca, rinfrancandola, visitando il sottosuolo, facendo
solletico alle radici deifiori e delle piante. Tutto questo, e molto altro, mi è
stato concesso grazie allo straordinario ciclo di vita dell’acqua.
Ora mi trovo in un luogo davvero peculiare: siamo intrappolati, la mia molecola
con miliardi di altre, in uno strano contenitore. Gli uomini devono bere l’acqua,
e credo proprio di trovarmi in una bottiglia. Presto forse qualcuno mi berrà!
Sarà un’altra avventura magnifica, esaltante, indimenticabile! Non ho paura.
Sono curioso, entusiasta, questo sì. So che niente si distrugge, ma tutto
cambia. La legge della natura, che non comprendo a fondo ma in cui ormai
credo per esperienza, dirige i nostri destini. Io seguirò il mio, come qualsiasi
particella, come qualsiasi cellula o uomo che noi particelle componiamo. Senza
paura…solo con un po’ di trepidazione.
La bottiglia si muove…devo andare…ma non per scomparire…soltanto per
vivere una nuova, fantastica trasformazione.
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