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Il Messaggio del
vescovo Armando in
occasione del Natale
2016
Pubblicato il 24 dicembre 2016 da Staff CMD
Precario e indifeso: l’uomo di oggi in preda alla
paura
“Guerre, terrorismo, crisi economica, migrazioni di
massa, violenza sbattuta ogni giorno in prima pagina.
E internet ci mette sotto il naso ciò che accade a
migliaia di chilometri di distanza. Ma cosa succede?
Nell’era globale ci si sente più fragili.
Reagire al timore di non farcela o abbattersi all’idea
che tanto “tutto va male” non è solo un compito
politico da assegnare ai decisori istituzionali, ma
anche un impegno spirituale e civile per ciascuno di
noi. L’ascolto interiore è importante. E la via del
meglio è fatta di piccoli passi, gesti quotidiani di
speranza, attraverso un’opzione concreta che si
rinnova continuamente per ciascuna persona”
(Giovanni Grandi. Professore associato di Filosofia
all’Università di Padova).
La paura ci blocca, ci irrigidisce, ci rende diffidenti e ci
porta a offrire al mondo il nostro personale capitolo di
una macro-narrazione spaventata del tempo che
viviamo. Spaventati dalla paura tendiamo a
diffondere a nostra volta racconti di un mondo più
difficile di prima, più avverso, più insicuro.
Condividiamo con gli altri solo il male quotidiano delle
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nostre esistenze, enfatizziamo le fatiche e tendiamo
persino a nascondere il buono e il bello. La paura si
auto-amplifica proprio perché stimola la narrazione di
scenari apocalittici, dinanzi ai quali abbiamo
progressivamente l’impressione di avere margini di
manovra sempre più stretti.
maggio 2010
gennaio 2010
Siamo senza scampo?
Bauman ritiene che la via di uscita sia anzitutto di
tipo politico. Spetta a chi governa mettere in atto
misure di contrasto. Occorre chiedersi come possiamo
aiutarci a convertire il nostro sguardo sulla realtà. Le
narrazioni sociali apocalittiche saturano
l’immaginario: il futuro appare incapace di superare il
malessere del tempo presente; tace la voce della
speranza e quel che rimane interiormente è un
monologo cupo, eco per lo più di timori di sventure
generalizzate (non ci sarà più lavoro, addio alle
pensioni, crollerà il sistema sanitario, aumenterà la
delinquenza…) che colpiranno alla cieca e rispetto a
cui la persona si sente impotente, costretta a giocare
unicamente in difesa di quel che ha, nella motivata
incertezza di un domani migliore.
La paura è paralizzante socialmente proprio perché lo
è anzitutto spiritualmente. Reagire alla paura non è
solo un compito politico da assegnare ai decisori
istituzionali. E’ anche un compito spirituale per
ciascuno, che consiste nell’affinare la capacità di
ascolto interiore, imparando a cogliere e accogliere
l’interazione tra timori e speranze.
Per sostenere questo compito può essere importante
non assecondare quelle rappresentazioni della
stagione sociale che viviamo dipinta come aperta
unicamente al peggio, in balia di forze cieche e
governabili esclusivamente a livello di istituzioni
globali.
C’è altresì un imbarbarimento nelle relazioni
interpersonali in cui la quotidianità del vivere si
deteriora e si sfilaccia in un clima sempre meno
umano.
Legato a questo deterioramento, emerge la miseria
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del discorso sociale e politico, la mancanza di un
orizzonte per la polis. In ogni discussione c’è chi alza i
toni del linguaggio, abbassando simultaneamente il
livello etico del contenuto: vengono giustificate le
ineguaglianze, si alimenta il culto dell’arroganza e
della forza, si esalta la competizione sfrenata e ci si
compiace di frasi urlate del cui contenuto fino a ieri ci
si sarebbe vergognati non solo di pronunciarlo, ma
persino di ascoltarlo… Com’è possibile il sistematico
insulto, l’ostentato disprezzo per l’altro? Com’è
possibile la continua demonizzazione del diverso,
come se fosse l’incarnazione del male? Com’è
possibile il ripetersi di proclami politici che adottano
argomenti e termini da gradasso di quartiere, di
discorsi che, con la scusa di farsi vicini alla gente, ne
solletica le peggiori tendenze? Non si dimentichi che
le parole quando si caricano di odio diventano armi,
che le accuse reciproche, senza più limiti né rispetto,
spingono alla negazione e alla distruzione
dell’avversario.
Saremo capaci di un forte risveglio di dignità umana e
di etica democratica? Sapremo riscattare il senso alto
della politica, oggi pesantemente affetta da una
malattia autoimmune di svilimento?
Da questa analisi vogliamo elevare un appello alla
vigilanza, al non rassegnarsi alla parcellizzazione
dell’individuo, al lavorare con rinnovato vigore alla
custodia dei rapporti interpersonali e sociali.
Dobbiamo essere consapevoli che è reale il rischio di
pensare che siano gli altri e non noi a poter cadere
nella barbarie, dobbiamo demistificare la credenza in
una società perfetta, rifiutando così ogni utopia, ma
nel contempo opponendo resistenza contro la
barbarie: questa resistenza – possibile, necessaria e
doverosa – potrà allora animare una nuova cultura
dell’impegno. Ed è un appello che si rivolge anzitutto
a noi cristiani, affinché sappiamo trarre da questa
ardua sfida elementi per un rinnovamento della
nostra fede e della testimonianza resa nel mondo: un
cristianesimo critico, e, proprio per questo, capace di
edificare una convivenza più abitabile; una chiesa che
sia fermento di civilizzazione e di umanesimo in una
società laica, multietnica e religiosamente variegata.
Occorre la vigilanza di uomini e donne che non
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rinuncino a pensare, occorre l’impegno di “sentinelle”,
come Giovanni Paolo II ha voluto chiamare i cristiani
in quest’ora difficile: sentinelle del dialogo, del
confronto, dei diritti, della pace. Sì, perché la barbarie
non è una fatalità, e l’annuncio del vangelo è davvero
“buona notizia per tutti” (Comunità di Bose).
Natale: Se Dio accetta di essere uno di noi, la
vita dev’essere splendida!
Un Dio che ama la vita fino a volerla condividere; un
Dio che, per amore, decide di mettersi alla pari, di
annientarsi, che accetta la sfida di spogliarsi della
propria divinità per condividere ogni istante con
l’uomo. Dio, incarnandosi, ha già preso la sua
decisione: amerà l’uomo ad ogni prezzo.
Dio non sarà mai un concorrente dell’uomo; anzi è a
servizio della nostra felicità.
“Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal
cielo”. Dio si prende cura di noi, ha a cuore la nostra
vita e per noi dona la sua vita: da ricco che era si è
fatto povero per renderci ricchi della sua nuova
umanità.
“Che fare per rendere gli uomini migliori? Bisogna
amarli, amarli ad ogni costo, amarli sempre. Il mondo
appartiene a chi più lo ama e meglio gliene dà prova”
(Santo Curato d’Ars).
Dentro le circostanze della vita Dio anche oggi ripete
ad ogni uomo e ad ogni donna, come ripeté duemila
anni fa a Maria, a Giuseppe e ai pastori, smarriti per
l’enormità di fatti che li stavano toccando: “Non
temere, io sono con te”. Dio – per usare una
bellissima espressione di San Giovanni Paolo II – ha
preso su di sé il rischio dell’amore.
+ Armando vescovo
Anche tutta l’equipè del Centro Missionario
Diocesano di Fano augura a tutti un Santo
Natale e un Felice anno nuovo!
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