La rassegna di oggi

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – martedì 24 gennaio 2017
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
Caso del doppio salario, rottura in Fiom (Piccolo)
Sindacalista con doppia paga, imbarazzo di Landini (M. Veneto, 2 articoli)
Sindacalista con doppia paga, Landini: No, solo un disguido (Gazzettino)
Tommasi: «Hera punta su acquisizioni a Nordest» (Piccolo)
Treni veloci e aerei, addio isolamento (M. Veneto)
Profughi, no a nuove strutture (Gazzettino)
CRONACHE LOCALI (pag. 4)
Nuovo sciopero alle Latterie Carsiche (Piccolo Trieste)
Il business delle badanti. In 1300 aiutano anziani (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
«Sanità strumentalizzata a fini politici» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Dietrofront sulle coppie gay. Dipiazza apre la sala matrimoni (Piccolo Trieste)
Mobbing soprattutto su donne (M. Veneto Udine)
Lavoro, una crisi al femminile. Meno occupate, meno pagate (Gazzettino Pordenone)
Caneva, i sindacati: le Poste nell’ex sede della banca (M. Veneto Pordenone)
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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
Caso del doppio salario, rottura in Fiom (Piccolo)
di Giulio Garau - «Smentisco il doppio stipendio, non esiste, va smontato dai titoli. È una questione
interna alla Fiom, c’è un ricorso che sta valutando la Commissione di garanzia, la funzionaria ha
dato ampia disponibilità a chiarire di fronte a polemiche e strumentalizzazioni, un atto di
intelligenza, coerenza e onestà». Mentre all’interno della Fiom di Udine si stava consumando la
definitiva spaccatura con l’ennesima fumata nera per l’elezione del segretario, Maurizio Landini,
numero uno della Fiom piombato a Udine per difendere invano il suo uomo (Gianpaolo
Roccasalva), cercava anche di disinnescare la bomba a orologeria della funzionaria (vicina a lui)
Chiara Lucchetto con doppio stipendio: quello di un’azienda del gruppo Finmeccanica, e dall’altro
lato quello garantito dalla categoria del sindacato metalmeccanico dove era in distacco. Una mossa
che ha lasciato tutti di stucco. Landini ieri, nel mezzo delle macerie di una categoria che ha sancito
la rottura tra le posizioni non riuscendo dopo mesi a eleggere il leader, ha provato pure a negare
l’evidenza smentendo il segretario della Cgil di Udine, Natalino Giacomini, che aveva confermato
chiaramente, con dichiarazioni ai media, l’esistenza del fatto «molto grave» della funzionaria con
doppio stipendio «per oltre 12 mesi». Funzionaria sulla quale era stato aperto un ricorso interno
visto che la categoria era stata avvisata con 21 mesi di ritardo. Una situazione, quella vissuta a
Udine, che rimanda a tragiche storie di generali riuniti per vincere la guerra mentre in realtà il
nemico li aveva già circondati. In una stanza Landini che dichiarava che in realtà «Non c’è alcun
problema nella Fiom di Udine, si è aperto un percorso che si concluderà con la proposta del nuovo
segretario il 9 febbraio». Nelle salette vicine e nei corridoi riunioni tese fino alle sette di sera dopo
una giornata estenuante durante la quale il numero uno della Fiom, in palese difficoltà, ha cercato
invano di convincere uno ad uno i delegati a votare il suo uomo. Un segretario, si è appreso poi nei
corridoi, che parrebbe tra un anno e mezzo essere destinato alla pensione. «Costruiremo un gruppo
dirigente capace di fare forte la Fiom» dichiarava Landini ai giornalisti. Poche stanze più in là
frattanto il segretario dimissionario della Fiom di Udine, Maurizio Balzarini, disperato e
amareggiato, non si dava pace e confermava la vicenda del doppio stipendio della funzionaria e il
gravissimo problema di fiducia aperto all’intero della categoria. «Nessun doppio stipendio» secondo
Landini. Intanto però da oggi Chiara Lucchetto è stata sospesa «da ogni attività sindacale». Lei,
presente alle riunioni, non ha rilasciato dichiarazioni sulla sua situazione di dirigente Fiom assunta
da un’azienda per fare la sindacalista, e si è riservata di ricorrere a un legale per difendersi. Un
panorama mai visto alla Fiom. Udine spaccata, Trieste con la segreteria dimissionaria (ieri c’era
l’uscente Sasha Colautti), la Fiom di Gorizia che prende le distanze con una nota molto pesante sul
fatto accaduto condannandolo perchè «lesivo del sindacato e offensivo nei confronti dei lavoratori».
Una giornata cupa dove, in alcune realtà industriali tra Udine e isontino, si è assistito (le
segnalazioni sono giunte dal sindacato) a moti di protesta di lavoratori e sindacalisti di fronte alla
vicenda. Una rivolta contro le “zone oscure” del sindacato ma anche nei confronti di Landini dopo
il discusso integrativo Fincantieri, mai digerito dai lavoratori (bocciato a Monfalcone) e il recente
contestato accordo sul contratto dei metalmeccanici. «Un accordo peggiorativo rispetto a quello
predente, che allora non avremmo mai iniziato a discutere» il commento di Colautti della Fiom di
Trieste.
Sindacalista con doppia paga, imbarazzo di Landini (M. Veneto)
testo non disponibile
La Fiom resta spaccata, slitta ancora la nomina del nuovo segretario
Sindacalista con doppia paga, Landini: No, solo un disguido (Gazzettino)
testo non disponibile
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Tommasi: «Hera punta su acquisizioni a Nordest» (Piccolo)
di Eleonora Vallin - «La bussola di Hera torna a guardare il Nordest per le acquisizioni e la crescita:
tutto il territorio contiguo è oggi di nostro interesse» conferma Tomaso Tommasi di Vignano,
bresciano, classe 1947, già amministratore di AcegasAps, e dal 2002 alla guida del Gruppo Hera di
cui ne ha coordinato il collocamento in Borsa e lo sviluppo, acquisendo anno dopo anno piccole e
medie utility, società commerciali e ditte proprietarie di impianti. Nei nove mesi del 2016 Hera ha
raggiunto 3,1 miliardi di ricavi con Ebitda a +1,6% a 650 milioni. In queste settimane Tommasi è
impegnato in un road show europeo, con tappa negli Usa, per incontrare gli investitori istituzionali e
illustrare le linee del piano industriale al 2020. Oggi, circa il 49% di Hera è del mercato dove
figurano investitori istituzionali, privati e un 8% di fondazioni bancarie legate a un patto di
sindacato. Il 51,3% è nelle mani di 118 soci pubblici legati da un patto di sindacato, tra cui figurano
anche i Comuni di Padova, Trieste e Udine. Presidente, il piano industriale prevede 2,5 miliardi di
investimenti. Quanto arriverà a Nordest? Il nuovo piano prevede una crescita degli investimenti per
250 milioni rispetto il piano precedente. Di questi in triveneto arriveranno 540 milioni proporzionali
alla nostra presenza, il 22% del totale. A quali capitoli saranno destinati gli investimenti? In termini
globali, ma non diversi da quello che riguarda il triveneto, le reti assorbiranno il 70% inclusi i 350
milioni per le gare del gas e altri interventi infrastrutturali, tra cui il depuratore di Servola. Qual è la
strategia per le gare sul gas? La strategia è trasparente: siamo il terzo operatore in Italia nella
distribuzione, dopo Italgas e F2i. Oggi siamo presenti in 16 aree Atem (sono 170 in tutta Italia): in
alcune la copertura è del 70% o più, in altre siamo sul 25-30%. La strategia è fare tutte le gare dove
siamo l’operatore maggioritario, perché vogliamo arrivare al 100% diventando gestore per i
prossimi 12 anni. Ciò comporterà l’assorbimento del 30% restante che spesso è in mano a piccoli
operatori. Siamo alla vigilia di un processo di semplificazione? Assolutamente sì, alla fine ci sarà
un decimo degli operatori oggi esistenti: da circa 200 a una ventina. A quante gare concorrerete?
Puntiamo su 13 gare, dove Hera detiene mediamente una quota di mercato superiore al 70%. Sono
sul tavolo nuovi dossier per acquisizioni? Non c’è stato anno nel quale non abbiamo modificato il
perimetro. Dal 2002, quando siamo nati, il 43% della crescita l’abbiamo fatto così; e nel 2015
l’azienda ha moltiplicato 4 volte e mezza il Mol che aveva a fine 2002. In questa crescita sono
confluiti 300 milioni acquisiti trovando utility disponibili a fondersi e diventare azionisti. Di
operazioni così ne abbiamo fatte una ventina, a partire della grande fusione iniziale che ha dato vita
a Hera. Sono merger con aziende di proprietà pubblica. Ci sono poi le acquisizioni di società medio
piccole private che si occupano o di vendita di energia o sono proprietarie di impianti nel settore
ambientale. Negli ultimi 15 mesi ne abbiamo fatte 5 (l’ultima è quella di Aliplast a Treviso, ndr) e
due sono in chiusura: una tra Abruzzo e Marche, l’altra è un irrobustimento in Toscana vicino a un
impianto già acquistato. Volendo salire a fine piano a oltre 1 miliardo di Mol, questa logica ce la
porteremo dietro anche in futuro. Nuove acquisizioni private all’orizzonte dopo Aliplast? Aliplast è
un’eccellenza nel riciclo della plastica e ci spinge forte in questo settore. Andare nella direzione del
riciclo significa che, se un tempo per essere grossi nel mondo dei rifiuti serviva l’impiantistica, oggi
- raggiunto un alto livello di raccolta differenziata - è necessaria una nuova fase: riconsegnare
materia prima dai rifiuti trattati. Questo è il lavoro che fa Aliplast; ma ci sono anche altri settori
oltre la plastica; siamo partiti da quello più grande. Per le acquisizioni, a piano industriale, quanto
avete accantonato? Le case di rating ci hanno consigliato di mantenere un debito non superiore a 3
volte il Mol. In uscita dal piano saremo a 2,8. Il debito sarà sostenibile, e avremo la flessibilità per
chiudere qualche operazione non prevista dal piano. Cosa ne pesa dell’operazione Aim-Agsm? È un
accordo plausibile? Vi interessavano? Si tratta di due aziende che fanno parte di un range che siamo
impegnati a guardare. Ci sono dei punti di domanda nell’operazione ma non siamo qui con il
binocolo a guardare se andrà bene o male. Trattative in corso con Ascopiave? È una bella realtà
mono business ma a oggi non c’è nessuna trattativa. Potrebbe essere un importante rafforzamento
nel gas, non escludo che in futuro ci possano essere le condizioni per valutare un’operazione. Tutto
il territorio contiguo è di nostro interesse. La veneziana Veritas? Non c’è alcuna esclusione
aprioristica. Veritas opera nella provincia più grande e operativamente complessa del triveneto. Ma
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non è detto che saremo noi a fare dei passi. Tra Padova e Vicenza c’è anche Etra... La conosciamo.
Ma qui c’è la concezione della governance è peculiare e segue una logica poco industriale.... Nel
2017 il Cda va a rinnovo. Per Padova, sarà il commissario a decidere? Sì, è compito del
commissario nominare il rappresentante per il Comune. Padova ha però venduto titoli, il peso
azionario è sceso. «Stiamo eseguendo le previsioni del patto sindacato, il giorno in cui questo andrà
a scadenza, saranno riesaminate le posizioni di ciascuno. Non ha venduto solo Padova...».
Treni veloci e aerei, addio isolamento (M. Veneto)
testo non disponibile
Profughi, no a nuove strutture (Gazzettino)
Il commissario di Governo Annapaola Porzio: bastano i centri esistenti - testo non disponibile
CRONACHE LOCALI
Nuovo sciopero alle Latterie Carsiche (Piccolo Trieste)
Secondo sciopero, a distanza di pochi giorni, dei lavoratori delle Latterie Carsiche di Villesse. La
nuova ’astensione dal lavoro è stata indetta per oggi, da Fai Cisl, Flai Cgil e dalle Rsu aziendali, in
concomitanza con l’incontro che le organizzazioni sindacali avranno nel primo pomeriggio, a
Udine, nella sede della Regione. Alla riunione con il vicepresidente Sergio Bolzonello, l’assessore
al Lavoro Loredana Panariti e quello alle Risorse agricole Cristiano Shaurli, sono stati convocati
anche i rappresentanti delle Latterie Carsiche, e dunque da essa dovrebbero emergere notizie
concrete sulla situazione complessiva dell’azienda e sulle azioni avviate per risolvere la crisi in atto.
Durante l’incontro, all’esterno della sede regionale, i lavoratori delle Latterie (in gran parte residenti
nella nostra provincia) attueranno un presidio per chiedere chiarezza e manifestare tutta la
preoccupazione per il loro futuro. Anche questa seconda giornata di sciopero rientra nello stato di
agitazione proclamato dall’assemblea unitaria del 13 gennaio, svoltasi dopo la rottura delle
trattative con l’azienda. La rottura è avvenuta dopo che i rappresentanti della proprietà avevano
comunicato che i problemi di liquidità, emersi nelle passate settimane, non sono stati risolti e che gli
esuberi, già stimati in 19 lavoratori, erano saliti a 30, più della metà quindi della forza lavoro,
consistente in 58 persone. A distanza di qualche mese si sono dunque ripresentati i problemi di
liquidità sorti nello scorso autunno, quando le Latterie Carsiche erano ancora proprietà della
famiglia Pelloni. Nonostante la vendita dell’azienda, agli inizi di dicembre, alla cooperativa
Minerva di Savogna d’Isonzo (impegnata tra l’altro nella gestione del Cara di Gradisca), il denaro
fresco apportato dalla nuova proprietà non è stato sufficiente a coprire i passivi accumulati negli
anni. In questo quadro, tra l’altro, i dipendenti hanno ricevuto la tredicesima ma sono ancora in
attesa della paga di dicembre. Nel caso la Minerva non dovesse riuscire a reperire ulteriore liquidità,
l’alternativa è l’individuazione di un nuovo socio al quale cedere o affittare il ramo produttivo
dell’azienda. Alcuni incontri si sono svolti nelle scorse settimane con due aziende friulane, la
Cepparo lattiero-casearia di Coseano e la Cospalat di Pagnacco, che hanno appunto manifestato un
certo interesse ad entrare nella compagine aziendale o ad affittare un ramo dell’impresa, ma in tali
riunioni non si sono registrati passi concreti in questo senso. Va ricordato, comunque, che l’affitto
di un ramo produttivo non migliorerebbe le prospettive per i lavoratori in quanto, per legge, in tal
caso non è possibile ricorrere alla cassa integrazione straordinaria. Per gli eventuali licenziati ci
sarebbe solo il sussidio di disoccupazione. (gi.pa.)
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Il business delle badanti. In 1300 aiutano anziani (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain - La popolazione invecchia sempre più. Inesorabilmente. E il 30,1% degli
ultrasessantacinquenni residenti in provincia di Gorizia vive da solo. Ad evidenziarlo nei giorni
scorsi l’Istat, a confermarlo i Comuni. L’effetto diretto? L’esplosione del numero delle badanti. Con
i ritmi lavorativi sempre più frenetici, le famiglie - molte volte - sono costrette a chiedere aiuto alle
colf che guadagnano mediamente 800 euro ma che riescono a raggranellare, in caso di impegno 24
ore su 24, anche 1.300 (dati forniti dalle Acli). E meno male che ci sono, altrimenti il sistema
rischierebbe di implodere. Il lavoro domestico I lavoratori domestici (o meglio le lavoratrici
domestiche) assicurati Inps risultano essere oltre 1.300 nell’Isontino: in larghissima parte donne
(1.200) e un centinaio di uomini. Sino a poco tempo fa, il sostantivo «badante» faceva rima con
lavoro nero. Erano tante, tantissime (una stima è assolutamente impossibile) le assistenti familiari
che lavoravano senza un contratto regolare e che risultavano essere completamente sconosciute al
Fisco. Il più delle volte varcavano il confine che non c’è più e prestavano servizio in questa o quella
abitazione, aiutando una persona anziana o, comunque, in difficoltà, Poi, terminato il lavoro, non
lasciavano traccia fiscalmente. Non che il lavoro sommerso sia sparito ma la regolarizzazione delle
badanti avviene con grande frequenza. Stando ai database nazionali dell’Inps, attualmente in tutta la
provincia di Gorizia, ci sono 1.300 lavoratori domestici. «Quello dell’assistenza familiare prestata a
domicilio - scrive Ires in un suo rapporto di qualche tempo fa - rappresenta un settore particolare del
mercato del lavoro regionale caratterizzato dal fatto che la domanda di lavoro non è costituita da
imprese, ma da famiglie, e l’offerta vede una prevalenza di donne di origine straniera. Nel corso
degli anni Duemila si è osservata una crescente attenzione da parte delle amministrazioni nazionali
e regionali volta a prevenire e contrastare il fenomeno del lavoro irregolare e sommerso.
Un’emersione che è stata accompagnata da progetti e interventi volti a promuovere il
riconoscimento e la valorizzazione del ruolo dell’assistente familiare, anche attraverso percorsi di
formazione mirati a rafforzare le competenze delle “badanti” e migliorare così la qualità della cura
prestata alle persone assistite a domicilio». Le spese dell’ambito Altri dati. Per l’assistenza a
domicilio degli anziani non autosufficienti, la spesa è stata nell’ultimo anno di un milione 671mila
euro: spesa che copre, in alcuni casi, anche il contributo alle famiglie per le badanti. Soffermandosi
sulle lavoratrici, si evidenzia il fatto che due su tre provengono dall’Europa orientale, ma la seconda
nazionalità è quella italiana, la cui incidenza è aumentata, come evidente conseguenza della crisi.
Meno significativa (e in diminuzione) risulta l’incidenza delle lavoratrici provenienti da altre aree
geografiche. La ragione della crescita di colf e badanti italiani è sicuramente imputabile, rimarcano
gli esperti, alla crisi e alla capacità delle persone che, avendo perso l’impiego, si sono riqualificate
per operare nel settore dell’assistenza alla persona. Una domanda che, nel complesso, rimane
sostenuta in regione, stante l’incremento dei lavoratori (lavoratrici) iscritti all’Inps, rendendo
evidente la necessità di personale in grado di prendersi cura di persone anziane e disabili. Orari
flessibili Sempre Ires, fa un’analisi su quelli che sono gli orari delle lavoratrici domestiche.
Considerando la distribuzione dei lavoratori per orario settimanale, il 22,2% ha un impegno
compreso tra le 25-29 ore e, complessivamente, il 47,4% degli iscritti opera con un orario superiore
alle 30 ore settimanali. Tra questi, il 15% presta servizio per 40-44 ore alla settimana. Dati che
emergono sempre da un report. Si conferma quindi un quadro in cui la domanda delle famiglie
cerca un’assistenza in grado di garantire una presenza continua della “badante”, con convivenza 24
ore su 24 presso la casa della persona assistita.
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«Sanità strumentalizzata a fini politici» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Tiziana Carpinelli - Alla fine è tutta una questione di metodo. E sulla sanità, ormai, tra Comune e
Regione volano gli stracci. Per Diego Moretti, capogruppo dem in piazza Oberdan,
l’amministrazione “gridata” di Anna Maria Cisint è funzionale solo alla «strumentalizzazione della
salute a fini politici». Vedi il “blitz” dei primi di gennaio all’ospedale di via Galvani. Ma l’assessore
e dirigente medico Michele Luise non ci sta: «Voi del Pd oggi siete a casa perché, a differenza
nostra, non vi siete confrontati con gli operatori sanitari, i lavoratori, i cittadini». L’affilato botta e
risposta si consuma alla vigilia della giunta comunale, aperta alla cittadinanza, che proprio oggi si
terrà alle 11.30 all’auditorium del San Polo, ormai diventato terreno di scontro partitico. «A
proposito di “blitz” in ospedale, ricordo un episodio avvenuto qualche anno fa: ero da poco stato
eletto in Regione - riferisce Moretti - e un primario mi invitò a visitare un reparto da poco
inaugurato a Monfalcone. Con una certa ritrosia accettai, specificando che sarei venuto al di fuori
dell’orario delle visite e a fine turno del medico stesso, per rispetto del luogo». «Ebbene - prosegue
il consigliere regionale - dopo quella visita, che durò pochi minuti e fu senza stampa o tv, qualche
giorno dopo fui richiamato dal primario, il quale mi riferì d’esser stato “rimbrottato” al telefono
dall’allora direttore generale per l’invito. Da allora, pur chiamato, non ho più voluto visitare un
reparto ospedaliero in veste di rappresentante istituzionale, continuando a sentire molto spesso
operatori e professionisti che vi lavorano per raccogliere indicazioni, suggerimenti e critiche».
Oggi, invece, per Moretti si assiste a un «“blitz” in ospedale, con un assessore pure medico - e, a
proposito, sarebbe curioso capire in quale delle due vesti fosse -, un presidente del Consiglio e i
giornalisti: mi pare che di “incursione” non vi sia nulla, bensì solo l’esigenza di rappresentare uno
spettacolo, peraltro organizzato». «Evidentemente - arringa - la sobrietà non è nello stile della
nuova amministrazione monfalconese». Ma per Moretti, «la campagna elettorale è finita», «quando
si rappresenta un’istituzione la sobrietà è un dovere» e la salute «non va strumentalizzata a fini
politici». Guardando ai numeri, che confermano una complessità di cui si deve tener conto, gli
accessi al presidio di Gorizia sono stati 20.131 nel 2015 e 20.254 l’anno seguente; al San Polo
rispettivamente 30.022 e 31.770. Quanto ai ricoveri: 6.430 e 6.341 nel capoluogo e 8.809 e 8.234
nella città dei cantieri. Ribatte punto per punto Luise, che a differenza del primario citato dal dem,
non ha ricevuto «alcun rimbrotto» per l’arrivo di Cisint: «Il sindaco è primo tutore della salute
pubblica e se chiede di aver accesso all’ospedale per verificare quanto sente dire dai cittadini, ha il
diritto di farlo». «È il metodo di quest’esecutivo - precisa - che si pone agli antipodi rispetto al
passato a divergere. Prima di parlare con Bono, in campagna elettorale, Cisint ha incontrato gli
operai e prima di fare lo stesso con Pilati ha ascoltato medici e infermieri». «È una forma di lavoro sottolinea -: non credo che Moretti possa permettersi il lusso di criticarlo. Se il centrosinistra ha
perso è proprio perché ha agito diversamente, realizzando una riforma che non ha avuto riscontri
positivi tra la gente. La salute tocca tutti, indistintamente. E anche l’amianto, non scordiamolo, è un
caso sanitario».
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Dietrofront sulle coppie gay. Dipiazza apre la sala matrimoni (Piccolo Trieste)
di Giovanni Tomasin - Le unioni civili potranno essere celebrate anche in piazza Unità. E in tutte le
sale dove si celebrano i matrimoni. Lo ha annunciato ieri sera in Consiglio comunale il sindaco di
Trieste Roberto Dipiazza ponendo fine a mesi di polemiche. La scelta del Comune arriva dopo le
sentenze dei Tar di Brescia e Padova che andavano nella stessa direzione, ribadendo l’uguaglianza
di trattamento fra matrimonio e unione civile. Particolarmente rilevante, fa sapere il gabinetto del
sindaco, il pronunciamento della corte lombarda. «Il Comune di Trieste applica la legge come
sempre fatto - ha dichiarato il sindaco in risposta a un’interrogazione del consigliere M5S
Domenico Basso -. Alla luce, inoltre, della sentenza del Tar di Brescia che fa giurisprudenza
sarebbe irragionevole altro comportamento». La svolta è stata derubricata a questione tecnica dalla
maggioranza, mentre l’opposizione ha rivendicato le proprie posizioni, che fin dal principio
andavano in questa direzione: «Dipiazza ha preso atto in ritardo di qualcosa che era chiaro da
subito. Meglio tardi che mai», è il succo dei commenti arrivati da Pd e M5S. Il capogruppo di Forza
Italia Piero Camber ha proposto un’esegesi della sintetica risposta del primo cittadino: «Il sindaco
ha sempre detto che avrebbe rispettato la legge. E le leggi si applicano, non si interpretano. Da parte
nostra nessuna retromarcia, solo coerenza». Ha poi aggiunto: «Le unioni civili celebrate finora sono
sei e nessuno ha avuto nulla da ridire sul dove e sul come. Soprattutto sulla bellezza della sala a loro
offerta dal Comune in palazzo Gopcevich». Così l’assessore competente Michele Lobianco: «Non
ho commenti da fare. Per me quando parla il sindaco, parla per tutti. Ubi maior...». Per la
maggioranza non c’andrebbero di mezzo nemmeno i decreti attuativi della legge Cirinnà, annunciati
nei giorni scorsi dal governo e prossimi alla pubblicazione. Documenti in cui, pur non trattando di
sale matrimoniali, si ribadisce l’uguaglianza di trattamento tra matrimoni e unioni civili. Le
rivelazioni sui loro contenuti avevano già avuto effetto sulla possibilità di delega, altro fronte su cui
la giunta teneva tirato il freno a mano. Dai ranghi dell’opposizione si esulta. La consigliera del Pd e
segretaria regionale democratica Antonella Grim ha commentato: «Verrebbe da dire meglio tardi
che mai. Peccato che la guerriglia ideologica del sindaco Dipiazza e della sua giunta sulle unioni
civili abbia creato inutili sofferenze e discriminazioni, oltre che fatto fare a Trieste una figuraccia a
livello nazionale». Ha aggiunto: «Lo abbiamo detto e ribadito per mesi, ma la maggioranza aveva
eretto una barricata del tutto irragionevole e ingiustificata. Ora, davanti alle sentenze, Dipiazza deve
fare un clamoroso dietrofront: ci auguriamo che ciò sia da monito anche negli altri casi in cui questa
amministrazione di centrodestra governa guidata dall’ideologia e non dal senso delle istituzioni e
dal buon senso». Arrivata a caldo anche la reazione dell’europarlamentare dem Isabella De Monte:
«Il rispetto della legge e dei diritti delle persone viene prima dell’ideologia. Da un buon
amministratore ci si aspetta questo». Secondo De Monte «la legge sulle unioni civili è stata per
l’Italia un risultato di civiltà straordinario, dopo anni di richiami da parte dell’Europa. Nonostante
questo ci sono stati numerosi tentativi di boicottare in vario modo la norma da parte di alcuni
sindaci italiani, come a Trieste. Una brutta pagina di amministrazione, che si chiude anche grazie
all’intervento dei giudici». Così il capogruppo M5S Paolo Menis: «L’amministrazione si è adeguata
in ritardo a qualcosa che era evidente già nel testo della legge Cirinnà. Che dire? Meglio tardi che
mai». C’è infine chi la questione l’ha vissuta sulla propria pelle, non solo come questione tecnica.
Tra questi, sicuramente Davide Zotti e Claudio Bertocchi, la coppia che ha condotto una battaglia
civile sul tema (vedi articolo a parte), e che stamane alle 9 si presenterà all’ufficio anagrafe per
programmare la propria unione civile. Da celebrarsi in piazza Unità.
Mobbing soprattutto su donne (M. Veneto Udine)
testo non disponibile
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Lavoro, una crisi al femminile. Meno occupate, meno pagate (Gazzettino Pordenone)
Davide Lisetto - Una fotografia piuttosto impietosa sul mondo del lavoro: in particolare per quello
che riguarda l'occupazione femminile. Nella provincia di Pordenone - seppure i dati non siano
molto diversi da altre realtà medie del Nordest - le donne soffrirebbero una diversità di trattamento,
rispetto ai colleghi maschi, sul fronte del lavoro e del trattamento economico. Insomma, le donne
pagherebbero di più il prezzo della crisi rispetto ai maschi. Meno occupate, meno retribuite e con
una percentuale di inattività molto più elevata. Il gap tra il tasso di occupazione maschile e quello
femminile è di quasi 20 punti percentuali a svantaggio del sesso femminile. Il dato emerge da un
recente studio nazionale del Consiglio dei Consulenti del lavoro.
Se il tasso di occupazione maschile - sulla popolazione di persone con un'età tra 15 e 64 anni - è del
75,4% (addirittura quarto in Italia), quello femminile scende drammaticamente al 56,1%, molto
lontano dal più virtuoso 64,3% registrato a Bolzano e più vicino a quelli di altre aree più disagiate
del Paese. La differenza tra il tasso di occupazione di maschi e femmine è di 19,3 punti. Uno
squilibrio occupazionale ancora piuttosto pesante: secondo lo studio è strettamente correlato allo
squilibrio nella suddivisione del carico familiare fra donne e uomini e nella disponibilità e costo dei
servizi di cura per i bambini e degli anziani: cioé carenza ed eccessivo costo di strutture di welfare
come asili e case per anziani.
Differenza piuttosto elevata anche nelle retribuzioni: la retribuzione media mensile dei lavoratori
dipendenti in provincia è di 1.364 euro, nella fascia delle busta paga più elevate d'Italia. Mentre
però un maschio ha uno stipendio di 1.501 euro, una donna porta a casa 1.190 euro: oltre trecento
euro in meno in busta paga. Le cose non vanno molto meglio alla voce disoccupazione: il tasso
medio in provincia è del 6,9% (in questo dato non vengono contati i lavoratori che sono in cassa
integrazione o in contratto di solidarietà, se considerati il dato sarebbe molto più pesante): per i
maschi il tasso si ferma al 5,9%, mentre per le donne sala all'8,1%. Alla voce popolazione inattiva
(persone che un lavoro non ce l'hanno, ma nemmeno lo cercano) la media provinciale è del 29,4%
(36% quella italiana): per i maschi siamo al 19,9%, mentre per le donne si balza al 39%.
Tra gli altri dati che emergono dallo studio quello relativo al numero di lavoratori standard (cioé
con contratti a tempo indeterminato) e non standard (contratti a tempo, collaboratori e precari in
genere): il 68,5% è considerato addetto standard, mentre il 31,5% è precario. Anche questa è una
percentuale che sul territorio ha un impatto di non poco conto. Così come il dato sui giovani Neet,
cioé i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano, né lavorano, né seguono corsi di formazione: il
dato è al 16,8% con un pesante -4,3 registrato tra il 2014 e il 2015.
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Caneva, i sindacati: le Poste nell’ex sede della banca (M. Veneto Pordenone)
«Subito soluzioni condivise per poste e medici a Sarone». È la priorità per i sindacati confederali e
dei pensionati Cgil-Cisl-Uil che incontreranno l’amministrazione comunale di Caneva giovedì:
all’ordine del giorno c’è la desiderata sul bilancio 2017. «Chiediamo un bilancio comunale che
guardi all’equità – ha anticipato Nazario Mazzotti, sindacalista Spi-Cgil – e alla reale condizione
delle famiglie». I sindacalisti sono pronti a lavorare in squadra con il sindaco Andrea Gava.
«L’obiettivo è la soluzione condivisa per restituire subito a circa 1.500 residenti lo sportello postale
a Sarone – ha confermato Mazzotti – e il servizio di medicina di base. Sono stati chiusi
improvvisamente a dicembre 2016: per inagibilità della sede delle Poste e pensionamento del
medico locale». Le proposte? «Una nuova sede per le Poste nell’ex sede della banca – è la prima
ipotesi dei sindacati confederali –. Potrebbe ridurre i tempi di riapertura dello sportello e della
realizzazione degli ambulatori. L’idea sarebbe di aprirli, nel 2018-19 al piano terra della nuova
“casa del medico”, proprio dove, fino a dicembre, c’era l’ufficio postale: è stata finanziata la
demolizione e la successiva ricostruzione dello stabile». In attesa di una decisione, i sindacalisti
incalzano con soluzioni ponte. «Bus navette per trasportare gli anziani di Sarone allo sportello
postale di Caneva e agli ambulatori dei diversi medici nel comune». Va avanti la petizione Cgil per
riaprire le poste a Sarone e i sindacalisti chiedono a Caneva la ristrutturazione della sede dei servizi
sociali in via Roma e chiarezza sul bilancio. «Il piano delle spese sociali e le scelte fiscali – è
l’appello di Mazzotti - non pesino su pensionati e lavoratori dipendenti». (c.b.)
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